impresa

  • La lezione non compresa

    Mentre l’Italia e l’intera Unione Europea sono ancora all’interno di una economia di guerra, e contemporaneamente cercano di riparare ai disastrosi effetti economici e sociali della pandemia, il nostro Paese conferma di non avere compreso alcuna lezione ma soprattutto di non avere alcuna visione relativa al futuro sviluppo economico.

    Mentre i nostri competitor europei varano delle azioni concrete con l’obiettivo di rafforzare gli asset strategici in modo da trasformarli in fattori competitivi a favore del sistema economico ed industriale, nel nostro Paese si continua con la scolastica applicazione dei principi tardo liberali del secolo scorso e di matrice accademica. Tutti esprimono la modesta espressione di “competenze” obsolete ed ampiamente ridicolizzate dal mercato globale.

    In altre parole, scendendo nel mondo reale, la Francia ha varato a maggio 2023 un piano finanziario operativo nel campo energetico, la nazionalizzazione di Edf, con il dichiarato obiettivo di offrire nelle prossime stagioni al sistema industriale ed alle famiglie francesi il più basso costo dell’energia (*).

    Viceversa, in Italia continua l’opera di sciacallaggio dei fondi privati, come Bkackrock, interessata all’acquisizione di quote di multiutility locali, che creeranno alte rendite di posizione in quanto estranee ad ogni possibile applicazione del principio della concorrenza.

    In questo contesto, diversamente da quanto accadrà in Francia, l’aumento delle tariffe rappresenterà il vero ed unico fattore di crescita della remunerazione del Roi (Return of Investiment) e si manifesterà come il maggiore fattore anticompetitivo per il nostro sistema industriale ed economico.

    In più, l’esito di questa deriva “energetica” si rivelerà come una vera e propria catastrofe per le famiglie italiane che già dal 10 gennaio 2024 vedranno abrogato il mercato tutelato per l’energia elettrica ed il gas.

    Mai come ora si avverte, tanto a livello nazionale quanto locale, una imperdonabile incapacità nella comprensione ed elaborazione di strategie che possano assicurare un supporto allo sviluppo economico del nostro Paese e contemporaneamente un aiuto alle famiglie.

    Le opportunità di crescita future dovrebbero essere individuate ora e poste all’interno del programma del PNRR (invece si pensa di approvare il Mes) con l’obiettivo di ottenere dei benefici generali nel prossimo futuro come conseguenze di scelte odierne.

    Nel silenzio, invece, tanto dell’attuale governo quanto dei due precedenti, in relazione alla miopia ideologica parlamentare accecata da argomenti etici e morali, il nostro Paese si avvia alla sua ultima discesa verso un irrimediabile declino economico e sociale.

    (*) https://www.ilpattosociale.it/attualita/il-diverso-destino-di-italia-e-francia/

  • Rivalutazione dei beni di impresa, qualche riflessione

    La legge di bilancio 2020 (L. 160/2019) ha riproposto la rivalutazione dei beni di impresa. Un’interessante opportunità che negli ultimi anni è stata più volte rivisitata, pur rifacendosi, in sostanza, al provvedimento originario del 2000 (L. 342/2000).

    La normativa si rivolge a tutte le società di capitali, alle società di persone a carattere commerciale, alle imprese individuali, alle società cooperative agli non commerciali, per i beni riconducibili all’attività di impresa e ai soggetti non residenti con stabili organizzazioni in Italia.

    Sono rivalutabili i beni risultanti dal bilancio al 31/12/2018 e deve effettuarsi nel bilancio dell’esercizio successivo (31/12/2019) di prossima approvazione. Ancora pochi giorni, quindi, per gli amministratori per valutare il provvedimento e, eventualmente, effettuare le opportune variazioni nel progetto di bilancio in fase di definizione.

    Potrà trattarsi di beni materiali o immateriali (con l‘eccezione dei meri costi pluriennali) e delle partecipazioni in società controllate e collegate, purché iscritte tra le immobilizzazioni finanziarie. Sono esclusi i beni al cui scambio o alla cui produzione è diretta l’attività di impresa (cosiddetti beni merce). La rivalutazione non può prescindere dalla corretta classificazione dei beni in categorie omogenee dovendo necessariamente riferirsi a tutti i beni appartenenti alla medesima categoria (unica eccezione per i beni immateriali che potrà riferirsi al singolo bene). Quest’ultima attività è tutt’altro che banale e va compiuta con estremo rigore e precisione potendo inficiare, a posteriori, la validità della rivalutazione stessa.

    Alla rivalutazione consegue il pagamento di un’imposta sostitutiva pari al 10% o al 12% dei maggiori valori, rispettivamente per i beni non ammortizzabili o per quelli ammortizzabili. Anche in questo caso, la suddivisione apparentemente semplice, è tutt’altro che banale soprattutto con riferimento ai fabbricati poiché, i nuovi principi contabili, non prevedono che gli stessi siano esclusi dal processo di ammortamento. A rigor di logica, i beni immobili patrimonio, essendo soggetti a limiti di indeducibilità dei costi anche con riferimento alle quote di ammortamento, dovrebbero essere ricompresi nella fascia con aliquota più bassa. Maggiori certezze si hanno invece con riferimento ai terreni esclusi per definizione dal processo di ammortamento.

    La norma non impone la redazione di perizie che sono tuttavia assolutamente consigliabili per contrastare rilievi futuri anche in considerazione del fatto che non si possono eccedere i valori correnti. Non è prevista la possibilità di dare valenza fiscale ad eventuali svalutazioni, nonostante il periodo storico di riferimento meriterebbe attenzione al fenomeno.

    A fronte dei maggiori valori va iscritta in bilancio una riserva “in sospensione di imposta” che può essere liberata dal vincolo con il versamento di un ulteriore 10%, portando il costo complessivo dell’operazione al 20% o al 22% rispetto al 27,9% della tassazione ordinaria. Nonostante le aliquote delle imposte sostitutive siano scese rispetto a quelle dell’ultimo provvedimento analogo, comportano comunque un costo complessivo non trascurabile, soprattutto in caso di affrancamento della riserva. Opzione, quest’ultima, che andrà attentamente ponderata in funzione dei piani aziendali prospettici disponibili.

    I maggiori valori acquistano valenza fiscale dal terzo anno successivo (2022) con riguardo alla deducibilità degli ammortamenti e alla disciplina sulle società di comodo, mentre dal quarto anno successivo per la determinazione di plusvalenze e minusvalenze. In caso di cessione nel periodo di sorveglianza, si terranno in considerazione i valori ante rivalutazione, emergerà un credito di imposta per il contribuente e si liberà la riserva in sospensione.

    Vorrei sollecitare nei destinatari del provvedimento alcuni ragionamenti per consentire una scelta consapevole.

    I maggiori valori acquisiranno rilevanza per il superamento del test di operatività ai sensi della normativa sulle società di comodo (art. 30 legge n. 724 del 1994) con impatti a volte complicati soprattutto se riferiti alle società operanti nel mercato immobiliare.

    Effettuare la rivalutazione senza affrancare la riserva implica un elevato costo futuro in caso di successiva distribuzione della stessa, occorrerà quindi aver ben presenti i piani prospettici dell’azienda, la politica dei dividendi nonché la redditività futura. In periodi di crisi, la rivalutazione dei maggiori valori latenti può contribuire a patrimonializzare l’azienda aumentandone la capacità di sopportare perdite future. Se questo fosse l’orizzonte, potrebbe risultare superfluo affrancare la riserva emergente. Analoghe conclusioni potrebbero essere tratte in caso di una politica di forte reinvestimento in azienda degli utili realizzati.

    Un’ultima questione sulle riserve in sospensione di imposta generatesi a seguito di precedenti rivalutazioni. Ci si potrebbe chiedere se fosse possibile affrancarle sfruttando il provvedimento legislativo odierno pagando l’imposta sostitutiva del 10%. Ebbene il testo normativa sembra far esplicito riferimento alla possibilità di affrancare esclusivamente la riserva generatasi in occasione della presente rivalutazione e in tal senso si era espressa l’Agenzia nel 2006 e nel 2013 con riferimento ai rispettivi provvedimenti normativi.

  • La cultura diventa impresa in Italia

    Non di solo pane, dice il proverbio. Quando si parla di cultura però bisogna fare i conti anche coi dati economici, come ben sanno tutte le amministrazioni comunali e non solo.

    La vera notizia è che in Italia il sistema produttivo culturale e creativo (composto da imprese, Pubblica amministrazione, no profit) genera più di 92 miliardi di euro e muove complessivamente ben 255,5 miliardi, ovvero il 16,6% del valore aggiunto nazionale. La cultura quindi produce grande ricchezza in Italia, crea occupazione ed è davvero produttiva nonostante il pensiero comune sia in molti casi differente.

    Questi sono i dati economici registrati dal rapporto 2018 “Io sono cultura: l’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi”, elaborato da Fondazione Symbola e Unioncamere con il sostegno di Regione Marche. Il rapporto, presentato a giugno al ministero per i Beni e le attività culturali, racconta diverse realtà. Il sistema produttivo culturale e creativo assicura 1,5 milioni di posti di lavoro, ovvero il 6,1% del totale degli occupati in Italia. Posti che sono cresciuti nel 2017 dell’1,6%, più della media nazionale (+ 1,1%). Symbola e Unioncamere propongono un concetto volutamente trasversale di sistema produttivo culturale e creativo, includendo diverse categorie a cui molti non penserebbero. Infatti nel rapporto vi sono architettura, comunicazione, design, cinema, editoria, musica e videogiochi, audiovisivo, e naturalmente il patrimonio storico-artistico (musei, siti storici e archeologici). A queste macro categorie si aggiungono le performing art e arti visive, ma anche le imprese creative-driven, affidate a un creativo, come l’artigianato artistico e la manifattura evoluta. L’idea di allargare le categorie nasce dal voler far capire che larga parte del Made in Italy, dalla nautica al mobilio, sarebbe impensabile senza il collegamento con il design e le altre industrie culturali e creative.

    L’area metropolitana di Milano è al primo posto nelle graduatorie provinciali per l’incidenza di ricchezza e occupazione prodotte, con il 9,9% e il 10,1%. Potrebbe quindi definirsi la capitale culturale d’Italia. Roma è seconda per valore aggiunto (9,8%) e terza per occupazione (8,6%), Torino si colloca, rispettivamente, terza (8,8%) e quarta (8,4%). Più di un terzo della spesa turistica nazionale, il 38,1%, è attivata dalla cultura e dalla creatività.

    Tutto questo è ancora più apprezzato all’estero, dove troppo spesso l’Italia è stimata più di quando lo sia tra gli stessi italiani.

    Per Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola, “la bellezza è uno dei nostri punti di forza. Secondo un’indagine della rivista Us News e dell’Università della Pennsylvania, siamo il primo Paese al mondo per l’influenza culturale. L’intreccio caratteristico dell’Italia, tra cultura e manifattura, coesione sociale e innovazione, competitività e sostenibilità, rappresenta un’eredità del passato ma anche una chiave per il futuro”.

    Forse per questo, scorrendo il rapporto, si scopre che secondo Kpmg, una delle quattro maggiori società internazionali di revisione aziendale, Made in Italy è il terzo marchio più conosciuto al mondo dopo Coca Cola e Visa.

    Ivan Lo Bello, presidente di Unioncamere, sottolinea che “l’obiettivo del Rapporto è superare la convinzione che la cultura sia soprattutto qualcosa da conservare piuttosto che una componente dello sviluppo produttivo su cui puntare”.

    Per il ministro Bonisoli “il lavoro nel settore culturale c’è e sta crescendo e non è banale che riguardi in particolare giovani in possesso di un titolo universitario. Questo è ancora più importante in prospettiva futura, se si considera che le professioni creative e le capacità umane saranno ancora più valorizzate in un contesto dove robotica e intelligenza artificiale difficilmente potranno sostituirsi all’uomo”. Bonisoli è tornato anche sull’economia: “La ripresa degli ultimi anni è stata trainata dall’export, in gran parte costituito da prodotti dell’industria creativa, e dal turismo in entrata, che nel nostro Paese ha ragioni prevalentemente culturali”.

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