Sicuramente questa settimana, caratterizzata dal ponte dell’Immacolata, ha visto il proliferare di interventi sui vent’anni dall’ingresso della Cina nel Wto con dotte relazioni dei maggiori commentatori all’interno di testate giornalistiche rispetto a quanto è conseguito da tale ingresso.
“Dopo solo vent’anni” si accorgono ora degli effetti devastanti dovuti alla creazione di un mercato unico ma privo di ogni regola comune di bilanciamento e di equilibrio tra soggetti economici e nazioni che presentavano delle differenze in termini di costi e di garanzie sociali e di tutela dei prodotti assolutamente inconciliabili che avrebbero sicuramente dato luogo a delle speculazioni, come le delocalizzazioni estreme hanno dimostrato.
Buona parte dei personaggi che adesso criticano questa situazione economico-politica in passato avevano magnificato gli effetti nel lungo termine per i consumatori della scolastica applicazione del semplice principio della concorrenza. Solo ora si cerca di dimostrare di aver compreso, fuori tempo massimo ormai, e la vera operazione è quella di celare la propria incapacità di lettura delle conseguenze e delle dinamiche economiche a medio-lungo termine di un mercato unico, la cui nascita e gli effetti benefici potevano manifestarsi se solo si fosse creata una piattaforma basata sulla condivisione di principi comuni come di controllo e di salvaguardia reciproca, oltre ad una cultura di rispetto per l’ambiente ed il lavoro.
Invece tutti hanno accettato, a partire dalla classe politica e dirigente italiana fino al mondo universitario, la creazione di un mercato privo di barriere ma soprattutto di regole il cui principio fondativo si sarebbe manifestato semplicemente nella possibilità di accedere a mercati a basso costo di manodopera e nella possibilità di suscitare così azioni speculative nel mondo industriale e, come contropartita, ponendo le basi per una China Invasion di prodotti di ogni genere e contenuto.
Questo ipocrita tentativo, ora, di rifarsi una reputazione dopo i disastri evidenti della deindustrializzazione della nostra economia nel nostro Paese, con effetti devastanti a causa del trasferimento di know-how e per la perdita di posti di lavoro e professionalità frutto di decenni di investimenti, rappresenta la fine di questo declino culturale.
In questo contesto si deve anche ricordare come al declino abbia contributo anche l’assoluta miopia dell’Unione Europea che fino a poco tempo fa intendeva riconoscere all’economia cinese lo status di “economia di mercato”. L’insostenibilità nel medio e lungo termine di questa strategia è sempre stata da noi soli sempre evidenziata per decenni.
In questo mi sembra giusto ricordare, oltre al sottoscritto, le voci dell’associazione dei Contadini del Tessile, come Riccardo Ruggeri e Luciano Barbera, unici ad essersi esposti in prima persona contro il pensiero unico magnificante il libero mercato e sempre a tutela della produzione nazionale e della tutela del Made in Italy.
Adesso, con un minimo ritardo di soli vent’anni, la sicurezza di allora sembra vacillare non tanto per la consapevolezza dell’errore commesso e degli effetti devastanti per l’economia italiana quanto per il tentativo di rifarsi una credibilità ampiamente compromessa con gli effetti devastanti per le economie in era post pandemica.
Mai come in questi ultimi vent’anni la professionalità e la competenza non sintonizzate con il pensiero unico politico ed economico sono state derise e isolate in questo dal mondo degli illuminati progressisti appoggiato da un compiacente ed altrettanto incompetente mondo accademico le cui precise responsabilità andrebbero finalmente individuate tanto per i singoli quanto per l’associazione di categoria ed i partiti.
In questo contesto, in più, non va dimenticato come all’interno di un mercato concorrenziale, le cui dinamiche principali dovevano essere conosciute alla classe politica e governativa italiana, a differenza di quanto hanno sempre dichiarato, cioè di voler abbassare il costo del lavoro, tutti i governi con le proprie politiche adottate abbiano ottenuto esattamente l’effetto opposto.
In altre parole, al di là delle dichiarazioni, il risultato è stato di accrescere cioè il costo del lavoro in Italia, una cosa fondamentalmente stupida e grave specialmente se consapevoli di operare in un mercato globale all’interno del quale il fattore principale concorrenziale è proprio quello relativo al costo del lavoro.
Questi due fattori, quindi, l’incapacità di comprendere gli scenari economici nel medio-lungo termine espressione di una classe politica e dirigente con una preparazione aggiornata precedentemente al crollo del muro di Berlino (1) unita ad una assoluta irresponsabilità della classe governativa e politica in relazione agli effetti dei continui aumenti del costo del lavoro all’interno di un mercato concorrenziale e globale (2) hanno reso il nostro Paese l’unico a crescita negativa per quanto riguarda le retribuzioni negli ultimi 30 anni (28.10.2021 https://www.ilpattosociale.it/attualita/che-altro-aggiungere/).
Questi due devastanti fattori combinati insieme hanno portato all’ennesima scelta da parte di un fondo straniero di delocalizzare la produzione, ora in Italia, dei cerchi in lega della Speedline (azienda della provincia di Venezia con 600 dipendenti). Un dramma che nasce certamente dalla volontà speculativa della proprietà ma anche dagli ampi spazi lasciati da una deleteria politica governativa italiana degli ultimi vent’anni unita ad una sostanziale incompetenza della classe dirigente accademica italiana rispetto agli effetti dell’ingresso nel Wto della Cina.
La Cina, con le proprie contraddizioni democratiche fino ad oggi assolutamente non considerate (*), si è seduta ad un tavolo imbandito ricco e privo di ogni regola di Galateo e di educazione assicurata nel proprio operato da una infantile visione globalista abbracciata dalla cosiddetta classe politica progressista. Si è così concesso al Gigante dall’estremo Oriente di mangiare con le mani non solo dal proprio piatto ma soprattutto da quelli degli altri.
(*) Si pensi al vergognoso accordo con la Cina “la via della seta” siglato dal governo Conte, vera espressione del siderale vuoto culturale ed economico di un intero governo ma anche di una assoluta insensibilità democratica.