India

  • Der Spiegel: India anger over ‘racist’ German magazine cartoon on population

    Many Indians, including a minister, have been criticising a cartoon in German magazine Der Spiegel that they say was racist and in bad taste.

    The cartoon shows a dilapidated Indian train – overflowing with passengers both inside and atop coaches – overtaking a swanky Chinese train on a parallel track.

    It is being seen as mocking India as the country overtakes China to become the world’s most populous nation.

    Der Spiegel is a weekly news magazine.

    Many Indians have tweeted, saying that that the magazine was stuck with an outdated idea of India and hadn’t recognised the progress made by the country in recent decades.

    Federal minister Rajeev Chandrasekhar tweeted: “Notwithstanding your attempt at mocking India, it’s not smart to bet against India under PM @narendramodi ji. In a few years, India’s economy will be bigger than Germany’s.”

    Kanchan Gupta, senior adviser in the ministry of information and broadcasting, tweeted that the cartoon was “outrageously racist”. Another Twitter user said the cartoon showed the magazine’s “elite mindset”.

    The magazine has not reacted to the criticism.

    While overcrowded trains can still be seen in many parts of India, significant investments have been made to improve the country’s railway network and its trains.

    Cartoons published by Western media have caused outrage in the country earlier as well. The New York Times newspaper had apologised in 2014 for a cartoon on India’s Mars Mission following readers’ complaints that it mocked India.

    The cartoon showed a farmer with a cow knocking at the door of a room marked Elite Space Club where two men sit reading a newspaper. It was published after India successfully put the Mangalyaan robotic probe into orbit around Mars.

  • L’India è la nuova superpotenza

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimomdi apparso su ‘ItaliaOggi’ il 18 aprile 2023

    L’India sta preparando la sua moneta, la rupia, a giocare un ruolo sui mercati internazionali simile a quello dello yuan. Pur essendo parte importante nel gruppo dei Paesi Brics, l’India non vede di buon occhio l’espansione cinese in Asia e non intende essere trainata dall’attivismo di Pechino.

    La riflessione indiana parte dall’energia, come riportato anche da un documento dell’Istituto Gateway House di Mumbai. Si afferma nello scenario energetico globale cambiato negli ultimi due decenni, l’unica costante è stata il dollaro Usa come valuta usata nel commercio di energia. Ultimamente lo yuan cinese è emerso per sfidare il dollaro. Nuova Delhi adesso si chiede se la rupia possa essere un terzo giocatore. Una petro rupia?

    Com’è noto, l’India è il terzo consumatore mondiale e il secondo importatore di energia. Gli indiani lamentano che il commercio mondiale di petrolio e di gas si svolga quasi interamente in dollari sulle borse occidentali e con prezzi che non rappresentano la domanda reale. Una serie di fattori politici, economici e finanziari, stanno creando un nuovo equilibrio. Uno di questi è il cambiamento nella bilancia del commercio energetico. Mentre negli Usa, in Europa e in Giappone il consumo di petrolio sta diminuendo o si sta stabilizzando, in India, con la sua economia in crescita, il consumo energetico aumenta. Si prevede, infatti, che il fabbisogno passerà dagli attuali 4 milioni di barili al giorno ai 10 milioni entro il 2040.

    Viene anche fatto notare che i due benchmark petroliferi globali, il Wti e il Brent, sono datati e che spesso sono anche manipolati. Oggi i due maggiori importatori, Cina e India, fanno riferimento a produttori e mercati totalmente diversi. È implicito che il nuovo orientamento vada a intaccare antiche posizioni di privilegio occidentale o, per meglio dire, del vecchio colonialismo.

    L’India sostiene che la crisi del 2008 ha messo in discussione il ruolo del dollaro come moneta unica globale e che la sua instabilità avrebbe fatto raddoppiare il debito degli Usa, inducendo Washington a una ritirata dai processi di globalizzazione. Si rileva che le sanzioni unilaterali e motivate geopoliticamente avrebbero suscitato forti risentimenti nei confronti del potere americano. Secondo lo studio succitato, il processo dell’Ue e dell’euro, che si sarebbe accontentato di controllare il 20% degli scambi monetari e commerciali e delle riserve mondiali, si è fermato.

    New Delhi è consapevole che sui due mercati principali, quello di New York e quello di Londra, la stragrande maggioranza delle operazioni finanziarie, future e altri derivati riguardanti l’energia, è di carattere puramente speculativo. I contratti future sono almeno 10 volte il volume del petrolio realmente trattato. Secondo gli esperti indiani anche sul mercato di Shanghai, creato nel 2018, dominerebbe incontrastata la speculazione finanziaria. Inoltre,

    Nuova Delhi vede che la Cina, attraverso l’Asian infrastructure development bank e la Belt and road iniziative, la nuova Via della seta, starebbe penetrando in molti Paesi dell’Asia, nell’Oceano Indiano e in altri continenti. Con lo yuan vorrebbe anche influenzare l’architettura finanziaria globale. Da qui nasce l’azione per l’internazionalizzazione della rupia attraverso la creazione di un hub per un nuovo mercato internazionale del petrolio e del gas, eventualmente collegato alle borse di Mumbai. Così il governo indiano potrebbe far sentire il suo peso sulla formazione dei prezzi dell’energia.

    La Reserve Bank of India ha autorizzato alcune banche indiane a operare in rupie in 60 contratti commerciali che coinvolgono 18 Stati, tra cui la Gran Bretagna e la Germania. Con la Malesia detto meccanismo è già a uno stadio più avanzato. Al prossimo summit del G20 di Nuova Delhi saranno annunciati nuovi passi verso l’internazionalizzazione della rupia.

    L’Europa non può essere indifferente ai mutamenti nello scenario globale e dovrebbe relazionarsi meglio anche con la nuova emergente superpotenza. Guai, però, a pensare di giocare l’India contro la Cina: sarebbe la solita politica miope e perdente.

    *già sottosegretario all’Economia **economista

  • Vittoria dell’UE presso l’Organizzazione mondiale del commercio in un procedimento contro le tariffe dell’India sui prodotti tecnologici

    L’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) si è espressa a favore dell’UE in un procedimento importante contro le tariffe imposte dall’India su prodotti essenziali delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC). La sentenza ha accolto tutte le rivendicazioni avanzate dall’UE nei confronti dell’India e ha ritenuto che le tariffe fino al 20% imposte dall’India su certi prodotti delle TIC, quali i telefoni cellulari, non rispettino gli impegni assunti dal Paese presso l’OMC e siano quindi illegittime. Le esportazioni dell’UE di tali tecnologie danneggiate dalle violazioni da parte dell’India ammontano a 600 milioni di € l’anno. Sebbene tale importo sia già di per sé considerevole, l’impatto reale sulle imprese europee, che esportano anche da altri paesi verso l’India, è notevolmente più elevato.

    Il panel ha confermato che le tariffe dell’India non potevano essere giustificate da nessuna delle motivazioni addotte in questo caso. L’India non ha potuto invocare l’accordo sulle tecnologie dell’informazione (ITA) per eludere gli impegni assunti nel proprio elenco OMC, né limitare il suo impegno ad applicare un dazio pari a zero sui prodotti esistenti al momento dell’assunzione di tale impegno ed escludere i prodotti tecnologici più recenti che rientrano nella stessa linea tariffaria. Il panel ha inoltre confermato che non è stato commesso alcun errore nel determinare gli impegni tariffari dell’India, anche quando le nomenclature delle linee tariffarie sono state aggiornate, e si è rifiutato di esaminare la richiesta dell’India di rettificare i suoi impegni tariffari. Tali modifiche dovrebbero essere negoziate tra i membri dell’OMC.

    Dal 2014 l’India ha gradualmente introdotto dazi doganali fino al 20% su prodotti quali telefoni cellulari, componenti e accessori di telefonia mobile, apparecchi telefonici per abbonati su filo, stazioni di base, convertitori statici o fili e cavi elettrici. L’UE ha ritenuto che tali dazi violassero direttamente le norme dell’OMC, dal momento che l’India è tenuta, in virtù degli impegni assunti nell’ambito dell’OMC, ad applicare a tali prodotti un dazio pari a zero.

    L’UE ha avviato la controversia in sede OMC nel 2019. Il panel ha pubblicato la relazione finale destinata a tutti i membri dell’OMC il 17 aprile 2023.

    Nel 2019, a seguito di un’iniziativa dell’UE, Giappone e Taiwan hanno presentato procedimenti paralleli che riguardano la stessa questione (tariffe su prodotti TIC) e pressoché gli stessi prodotti. Sono attese anche le sentenze dell’OMC su tali casi.

  • Un caso per la reintroduzione dei ghepardi in India

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di un gruppo di scienziati tra qui Laurie Marker, fondatrice del Cheetah Conservation Fund, scritto dopo il rilascio di 12 ghepardi in India

    In una recente corrispondenza a Nature Ecology & Evolution, Gopalaswamy et al. si esprimono criticamente sulla reintroduzione in India dei ghepardi, riferendosi ripetutamente ai rischi ecologici, genetici e patologici che ritengono non siano stati considerati nel sostituire i ghepardi asiatici con i ghepardi dell’Africa australe. Inoltre affermano che tre elementi esposti nella reintroduzione di ghepardi in India sono privi di sostanza: che i ghepardi in Africa non hanno più sufficiente spazio; che c’è abbastanza spazio adeguato per accoglierli in India; che la translocazione per la conservazione dei ghepardi ha avuto successo nello sforzo di recupero di areali. Inoltre affermano che la densità bassa è un fatto naturale nei ghepardi, rendendoli sensibili alla rimozione di alcuni individui dalle popolazioni d’origine.

    Siamo stati coinvolti in consulenze scientifiche sul progetto di reintroduzione in India, e ci permettiamo rispettosamente di non essere d’accordo. In questa sede affronteremo tutti gli argomenti di Gopalaswamy e colleghi, dimostrando scientificamente e appoggiando l’operazione di rinaturalizzazione attualmente in corso.

    I ghepardi storicamente occupavano una nicchia ecologica all’interno delle savane indiane e nei sistemi di foreste aperte che attualmente sono deprivate della fauna selvatica. Riempire questo vuoto contribuirebbe a restaurare l’ecologia funzionale di questi sistemi tramite un processo top down. Ripristinare le specie ed il loro ruolo negli ecosistemi è essenziale per una rinaturalizzazione efficace e onnicomprensiva; la reintroduzione dei carnivori è particolarmente importante per il ripristino degli ecosistemi. Le minacce principali, quali soprattutto il conflitto umani/predatori che ha causato l’estinzione in India, sono state ridotte sensibilmente tramite leggi e azioni di contrasto efficaci. Inoltre, la reintroduzione è stata proposta all’interno di siti protetti negli areali storici, dopo un’attenta valutazione della disponibilità di habitat e prede, oltre alla pressione antropogenica. Attualmente esistono circa 100.000 km2 di riserve protette all’interno degli areali storici del ghepardo in India, che potenzialmente sono in grado di accogliere popolazioni di ghepardi in età riproduttiva, oltre a 700.000 km quadrati in grado di sostenere la presenza di ghepardi.

    L’UICN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) ha sviluppato linee guida chiare sulla riproduzione delle popolazioni: nello specifico, i fondatori selezionati dovrebbero fornire diversità genetica adeguata, e la loro rimozione non dovrebbe mettere a rischio le popolazioni d’origine. Le linee guida appoggiano inoltre la sostituzione sostenibile di taxon (gruppo tassonomico) allorquando “una specie simile, imparentata, o una sub-specie può essere sostituita quale surrogato ecologico“.

    Nel 2022, il Dipartimento dell’Ambiente Iraniano ha riferito che solo 12 ghepardi asiatici in libertà sono stati confermati ancora in vita. Le cifre così basse ed il livello di endogamia della popolazione di ghepardi iraniani li escludono come fonte di popolazione potenziale per la reintroduzione in India. La popolazione di ghepardi sudafricani possiede la maggiore diversità genetica documentata ed è sufficientemente numerosa da fornire fondatori, senza che una rimozione vada a danneggiare le popolazioni coinvolte. Secondo nostri dati non ancora pubblicati (V.v.d.M. E Y.V.J.) la metapopolazione di ghepardi sudafricani (circa 500 individui) cresce con un incremento dell’8,8% annuo; l’analisi di fattibilità della popolazione suggerisce che la componente sudafricana di tale popolazione può reggere la rimozione annua di 29 ghepardi, senza effetti dannosi.

    Sulla base di queste informazioni, l’Autorità Scientifica del Sudafrica ha acconsentito all’esportazione del 10% di maschi e del 4% di femmine l’anno. Nel corso degli ultimi due decenni, in Sudafrica sono state coordinate settanta reintroduzioni di ghepardi. Anche se tali reintroduzioni sono avvenute principalmente in riserve recintate, 22 ghepardi sono stati liberati nel Zambezi Delta in Mozambico fin dall’agosto del 2021. In Namibia, in un altro progetto, 36 ghepardi sono stati rilasciati in territori agricoli o in riserve recintate e non, con il 75-96% degli esemplari che hanno raggiunto l’indipendenza dopo il rilascio ed con una percentuale di sopravvivenza annuale elevata.

    Come da prescrizioni della World Organization for Animal Health e dell’UICN noi (A.S.W.T., Y.V.J. E R.A.K.) ed altri abbiamo condotto un’analisi esauriente sui rischi di patologie per il progetto indiano di reintroduzione. La maggior parte dei rischi di patologie sono stati valutati come bassi o minimi.

    La trasmissione di patologie considerate di medio rischio viene mitigata dallo screening patologico e dalla somministrazione di vaccini e cure antiparassitarie durante il periodo di pre – e post quarantena.

    Pur convenendo che esistono spazi ecologici potenzialmente adatti alla reintroduzione di ghepardi in molte parti dell’Africa, la realtà ci dice che pochi siti in Africa sono in grado di fornire un livello adeguato di protezione per gli animali, tanto da garantire il successo delle reintroduzioni. I contributori culturali, religiosi e socioeconomici della tolleranza nei riguardi di grandi carnivori se paragonati all’India sarebbero troppo lunghi da dibattere in questa sede, ma riteniamo sia evidente che i ghepardi sono probabilmente meno minacciati dalle persecuzioni in India, dove altri sforzi di conservazione di grandi carnivori sono stati notevolmente pieni di successo.

    Non concordiamo con l’approccio di Gopalaswamy e coautori quando valutano la capacità di sopportare i rilasci sulla densità delle popolazioni di ghepardi dell’Africa orientale (circa 1 per 100 chilometri quadrati), in quanto le densità sono ampiamente definite dalle biomasse di prede adeguate – che a loro volta sono il prodotto delle condizioni della vegetazione. Le densità storiche di popolazioni di ghepardi in Africa Orientale probabilmente erano maggiori prima del marcato declino di prede di base, e i ghepardi a loro volta probabilmente abbondavano maggiormente in aree più produttive dei loro areali storici che oggi sono state soppiantate dall’allevamento di bestiame. In una riserva nel sud del Botswana, con recinzioni permeabili ai predatori, è stata riferita una densità media e reale di 5,23 ghepardi per 100 km2, il che sta ad indicare che densità superiori sono possibili.

    Le raccomandazioni generiche offerte da Gopalaswmy et al. relative a come l’India dovrebbe impegnarsi nella conservazione globale dei ghepardi sono affascinanti, ma ci permettiamo di suggerire che sono molto poco fattibili nell’attuale clima politico. Con alcune eccezioni degne di nota, i governi, soprattutto dei paesi in via di sviluppo, tendono a dare priorità agli investimenti nelle proprie giurisdizioni che non in progetti di conservazione in altri paesi.

    A nostro parere, i dati disponibili e le argomentazioni che abbiamo proposto precedentemente sostengono a sufficienza la reintroduzione sperimentale di ghepardi in india, e siamo ansiosi di valutare i risultati del progetto nel tempo. (Fig.1). I titoli dei media hanno recentemente dimostrato che i ghepardi hanno già richiamato positivamente l’attenzione del pubblico e dei politici indiani, che sono componenti cruciali per il successo del progetto.

    Il loro ruolo di specie ombrello, che gioverà alla conservazione della biodiversità più ampia e agli obiettivi di sussistenza in India – anche se sostenuti in teoria – dovranno essere valutati dopo che i ghepardi saranno reintrodotti e si saranno stabiliti in India.

    Adrian S.D. Tordiffe, Yadvendradev V.Jhala, Luigi Boitani, Bogdan Cristescu, Richard A. Kock, Leith R.C.Meyer, Simon Naylor, Stephen J.O’Brien, Anne Schmidt-Kuentzel, Mark R.Stanley Price, Vincent van der Merwe&Laurie Marker

  • India-China dispute: The border row explained in 400 words

    Relations between India and China have been worsening. The two world powers are facing off against each other along their disputed border in the Himalayan region.

    Here’s what you need to know in 400 words.

    What’s the source of tension?

    The root cause is an ill-defined, 3,440km (2,100-mile)-long disputed border.

    Rivers, lakes and snowcaps along the frontier mean the line can shift, bringing soldiers face to face at many points, sparking a confrontation.

    The two nations are also competing to build infrastructure along the border, which is also known as the Line of Actual Control. India’s construction of a new road to a high-altitude air base is seen as one of the main triggers for a deadly 2020 clash with Chinese troops.

    Relations between India and China have been worsening. The two world powers are facing off against each other along their disputed border in the Himalayan region.

    Here’s what you need to know in 400 words.

    What’s the source of tension?

    The root cause is an ill-defined, 3,440km (2,100-mile)-long disputed border.

    Rivers, lakes and snowcaps along the frontier mean the line can shift, bringing soldiers face to face at many points, sparking a confrontation.

    The two nations are also competing to build infrastructure along the border, which is also known as the Line of Actual Control. India’s construction of a new road to a high-altitude air base is seen as one of the main triggers for a deadly 2020 clash with Chinese troops.

    In September 2021, China accused India of firing shots at its troops. India accused China of firing into the air.

    If true, it would be the first time in 45 years that shots were fired at the border. A 1996 agreement prohibited the use of guns and explosives near the border.

    The same month, both countries agreed to disengage from a disputed western Himalayan border area.

    What’s the bigger picture?

    The two countries have fought only one war, in 1962, when India suffered a humiliating defeat.

    But simmering tensions involve the risk of escalation – and that can be devastating given both sides are established nuclear powers. There would also be economic fallout as China is one of India’s biggest trading partners.

    The military stand-off is mirrored by growing political tension, which has strained ties between Indian Prime Minister Narendra Modi and Chinese President Xi Jinping.

    Observers say talks are the only way forward because both countries have much to lose.

  • Ukraine crisis: Why India is buying more Russian oil

    As calls continue for India to keep its distance from Moscow after the invasion of Ukraine, its oil purchases from Russia have more than doubled from last year.

    The Indian government has defended the move to buy Russian oil, and said what it buys from Russia in a month is less than what Europe buys from Russia in an afternoon.

    Why is India buying more Russian oil?

    India has taken advantage of discounted prices to ramp up oil imports from Russia at a time when global energy prices have been rising.

    The US has said that although these oil imports do not violate sanctions, “support for Russia…is support for an invasion that obviously is having a devastating impact”.

    UK Foreign Secretary Liz Truss also urged India to reduce its dependence on Russia during a trip to Delhi in March, which took place at the same time as a visit by the Russian foreign minister, Sergei Lavrov.

    Mr Lavrov told his Indian counterparts that Russia was willing to discuss any goods that India wanted to buy and urged that payments be made in roubles.

    Where does India get its oil?

    After the US and China, India is the world’s third-largest consumer of oil, over 80% of which is imported.

    But in 2021, only around 2% of its total oil imports (12 million barrels of Urals crude) came from Russia, according to Kpler, a commodities research group.

    By far the largest supplies last year came from oil producers in the Middle East, with significant quantities also from the US and Nigeria.

    In January and February, India didn’t import any oil from Russia.

    But so far, the amount of Urals oil contracts made for India covering March, April, May and June – around 26 million barrels – is higher than the quantity purchased during the whole of 2021, according to Kpler.

    What’s the deal India is getting?

    Following its invasion of Ukraine, there are now fewer buyers for Russia’s Ural crude oil, with some foreign governments and companies deciding to shun Russian energy exports, and its price has fallen.

    While the exact price of the sales made to India is unknown, “the discount of Urals to Brent crude [the global benchmark] remains at around $30 per barrel”, says Matt Smith, an analyst at Kpler.

    These two types of crude normally sell at a similar price.

    At one point in March, as the price of Urals crude continued to drop, the difference between them reached an all-time record, he adds.

    So “India is likely to purchase at least some of this [Russian] crude at a significant discount,” he says.

    What’s the impact of financial sanctions?

    Although the price is attractive, India’s big refining companies are facing a challenge trying to finance these purchases, because of sanctions on Russian banks.

    It’s a problem facing trade in both directions.

    One of the options India is looking at is a transaction system based on local currencies, where Indian exporters to Russia get paid in roubles instead of dollars or euros.

    The US has made clear its reservations with this, saying it could “prop up the rouble or undermine the dollar-based financial system”.

    Where else is India looking to buy oil?

    India’s oil imports from the US have gone up significantly since February, according to analysts at Refinitiv.

    However, market analysts say this may not be sustainable in the future as the US seeks to use its domestic oil production to replace supplies from Russia after its invasion of Ukraine.

    There are also suggestions that trade with Iran could resume under a barter mechanism which Indian oil refiners could use to buy its oil. This arrangement stopped three years ago, when the US re-imposed sanctions on Iran.

    But this is unlikely to resume without a wider deal reached in international negotiations with Iran over its nuclear programme.

  • Ukraine war: Can India feed the world?

    Last week, Indian PM Narendra Modi told US President Joe Biden that India was ready to ship food to the rest of the world following supply shocks and rising prices due to the war in Ukraine.

    Mr Modi said India had “enough food” for its 1.4 billion people, and it was “ready to supply food stocks to the world from tomorrow” if the World Trade Organization (WTO) allowed.

    Commodity prices were already at a 10-year high before the war in Ukraine because of global harvest issues. They have leapt after the war and are already at their highest since 1990, according to the UN Food and Agricultural Organisation (UNFAO) food-price index.

    Russia and Ukraine are two of the world’s major wheat exporters and account for about a third of global annual wheat sales. The two countries also account for 55% of the global annual sunflower oil exports, and 17% of exports of maize and barley. Together, they were expected to export 14 million tonnes of wheat and over 16 million tonnes of maize this year, according to UNFAO.

    “The supply disruptions and threat of embargo facing Russia means that these exports have to be taken out of the equation. India could step in to export more, especially when it has enough stocks of wheat,” says Upali Galketi Aratchilage, a Rome-based economist at UNFAO.

    India is the second biggest producer of rice and wheat in the world. As of early April, it had 74 million tonnes of the two staples in stock. Of this, 21 million tonnes have been kept for its strategic reserve and the Public Distribution System (PDS), which gives more than 700 million poor people access to cheap food.

    India is also one of the cheapest global suppliers of wheat and rice: it is already exporting rice to nearly 150 countries and wheat to 68. It exported some 7 million tonnes of wheat in 2020-2021. Traders, reacting to rising demand in the international market, have already entered contracts for exports of more than 3 million tonnes of wheat during April to July, according to officials. Farm exports exceeded a record $50bn in 2021-22.

    India has the capacity to export 22 million tonnes of rice and 16 million tonnes of wheat in this fiscal year, according to Ashok Gulati, a professor of agriculture at the Indian Council for Research on International Economic Relations. “If the WTO allows government stocks to be exported, it can be even higher. This will help cool the global prices and reduce the burden of importing countries around the world,” he says.

    There are some reservations though. “We have enough stocks at the moment. But there are some concerns, and we should not become gung-ho about feeding the world,” says Harish Damodaran, a senior fellow at the Centre for Policy Research, a Delhi-based think tank.

    First, there are fears of a less-than-expected harvest. India’s new wheat season is under way and officials project a record 111 million tonnes be harvested – the sixth bumper crop season in a row.

    But experts like Mr Damodaran are not convinced. He believes the yield will be much lower because of fertiliser shortages and the vagaries of the weather – excessive rains and severe early summer heat. “We are overestimating the production,” he says. “We will know in another 10 days.”

    Another question mark, say experts, is over fertilisers, a basic component of farming. India’s stocks have fallen low after the war – India imports di-ammonium phosphate and fertilisers containing nitrogen, phosphate, sulphur and potash. Russia and Belarus account for 40% of the world’s potash exports. Globally, fertiliser prices are already high due to soaring gas prices.

    A shortage of fertilisers could easily hit production in the next harvest season. One way to get around this, says Mr Damodaran, is for India to explore “wheat-for-fertiliser deals” with countries like Egypt and in Africa.

    Also, if the war gets prolonged, India might face logistical challenges in stepping up exports. “Exporting huge volumes of cereals involves huge infrastructure like transportation, storage, ships. Also the capacity to start shipping in high volumes,” says Mr Aratchilage. There is also the question of higher freight costs.

    Lastly, there is the overriding concern over galloping food prices at home – food inflation hit a 16-month-high of 7.68% in March. This has been mainly driven by price rises of edible oils, vegetables, cereals, milk, meat and fish. India’s central bank has warned about “elevated global price pressures in key food items” leading to to “high uncertainty” over inflation.

    The Russian invasion is likely to have “serious consequences” for global food security, according to IFPRI, a think tank. The UNFAO estimates that a prolonged disruption to exports of wheat, fertiliser and other commodities from Russia and Ukraine could push up the number of undernourished people in the world from eight to 13 million.

    By the government’s own admission, more than three million children remain undernourished in India despite bountiful crops and ample food stocks. (Prime Minister Modi’s native state, Gujarat, has the third highest number of such children.) “You cannot be cavalier about food security. You cannot play around with the food earmarked for the subsidised food system,” says Mr Damodaran.

    If there is one thing India’s politicians know it is that food – or the lack of it – determines their fate: state and federal governments have tumbled in the past because of soaring onion prices.

  • Il Covid spinge le famiglie indiane a mandare i figli nei campi anziché al lavoro

    Nello Stato indiano dell’Andhra Pradesh, e che affaccia sul golfo di Bengala, i casi di lavoro e matrimoni minorili sono raddoppiati durante le prime ondate di Covid-19. La scorsa estate rapporti governativi hanno riferito che più del 29% delle ragazze tra i 20 e i 24 anni si è sposata quando era minorenne e di queste il 12,6% ha avuto la prima gravidanza tra i 15 e i 19 anni. E l’Unicef ha avvisato che i progressi raggiunti nei decenni passati in termini di protezione minorile potrebbero venire cancellati dalle conseguenze della pandemia.

    Venkataswamy Rajarapu, direttore generale di Street2School, un programma dell’ong italiana Care&Share che opera in India da più di 30 anni, ha spiegato ad AsiaNews che «nelle comunità rurali e marginalizzate non si aspetta l’età legale per il matrimonio. Le bambine vengono date in sposa a 14 anni perché anche i genitori si erano sposati alla stessa età. Ma le famiglie lo fanno anche per motivi economici: con il Covid la dote costa meno e siccome molti genitori sono rimasti senza lavoro, accettano di far sposare le figlie ora perché i prezzi poi potrebbero aumentare. Inoltre, più la ragazza è giovane, meno devono spendere le famiglie. Anche la paura che la ragazza possa sposare qualcuno di una casta diversa o di un’altra religione è un fattore importante. Se dovesse succedere, la ragazza sarebbe accusata di disonorare la famiglia. Molti giovani si suicidano o vengono uccisi per questo».

    L’impoverimento spinge le famiglie a mettere a profitto la propria progenie, tanto più che le scuole sono state sospese e quando sono state riattivate è stata lasciata libera scelta ai genitori sulla frequenza o meno dei figli e anche le strutture di assistenza sono state costrette a interrompere le attività. «Si distingue tra lavori nei campi e non. Qui nell’Andhra Pradesh il lavoro nei campi non è comune, però alcuni vengono spediti nelle piantagioni di cotone perché con le loro manine piccole è più facile raccogliere i fiori senza rovinarli». E c’è anche un fattore psicologico: «Non solo vengono mandati a lavorare, sui più piccoli vengono proiettate le ansie e le paure degli adulti. In più sono isolati, non possono uscire e vedere i loro amici. Frustrati per la mancanza di lavoro, i genitori vedono i bambini a casa come un ulteriore peso, e molti vengono abusati anche fisicamente», conclude Rajarapu.

  • India alternativa alla Cina per gli investitori post-Covid, ma non mancano le ombre

    Kongthong è un villaggio indiano di 700 anime dove i figli vengono chiamati con un fischio: a ogni bambina e bambino appena nati viene assegnato dalla madre un motivetto che si porterà per l’intera vita, suo ed esclusivo. Come riferisce un reportage di Sette, il supplemento settimanale del Corriere della Sera, il sistema si chiama Jingrwai Iawbei. Lo scorso settembre, il governo di Delhi ha candidato Kongthong a entrare nella lista dei Migliori Villaggi Turistici della World Tourist Organization dell’Onu, perché questo luogo remoto anche per gli indiani, grazie ai nomi fischiati, sta diventando un’attrazione.

    Ma mentre si impegna tanto per sdoganarsi sul mercato globale del turismo, il Paese si sottrae all’impegno della comunità internazionale per l’eliminazione drastica delle centrali a carbone chiesta da altri alla Cop26 di Glasgow. Eppure L’India non è certamente un Paese arretrato: a Bangalore (ora rinominata Bengaluru), nel centro del cono Sud della penisola, Sette riferisce che sono registrate 67mila aziende dell’Information Technology e vi hanno stabilito attività praticamente tutti i grandi nomi dell’hi-tech globale: i campioni nazionali Infosys e Wipro, ma anche Amazon, Ibm, Dell, Microsoft, Siemens, Sap, Google, Nokia e via dicendo. Chennai, la ex Madras, conta 4mila imprese tecnologiche. Hyderabad, più a Nord, è un altro centro per lo sviluppo del software. E poi naturalmente Delhi, Bombay (Mumbai), Calcutta (Kolkata). Dall’inizio del 2021, inoltre 35 start up diventate “unicorni”, hanno cioè superato il valore di un miliardo di dollari. E, in generale, la dinamicità che l’economia dell’India sta mostrando dopo i disastri nella gestione della pandemia s’incontra con la necessità di molti investitori di mettere meno denaro in Cina, dove Xi Jinping sta conducendo una serrata repressione tra le imprese private, soprattutto hi-tech, e di trovare alternative. Il Financial Times ha riportato che nel settore tecnologico quest’anno gli investimenti nelle imprese indiane sono cresciuti del 287%, contro il 118% di quelli nelle aziende cinesi. Nel trimestre luglio-agosto 2021, per ogni dollaro investito in una società hi-tech cinese, un dollaro e mezzo è andato a una indiana. L’orgoglio dell’establishment, a cominciare da quello del primo ministro Narendra Modi, si è ulteriormente gonfiato in ottobre quando il Fondo monetario internazionale ha previsto che l’economia del Paese crescerà del 9,5% quest’anno e dell’8,5% il prossimo, contro i rispettivi 8% e 5,6% della Cina.

    Nonostante il Paese sia il maggior produttore di vaccini al mondo, la campagna di immunizzazione ha avuto ritardi e solo da pochi giorni ha superato il miliardo di dosi somministrate (la popolazione sfiora gli 1,4 miliardi). La burocrazia elefantiaca e la corruzione restano una palla al piede. I contadini continuano ad assediare Delhi per protesta contro una riforma modernizzatrice della distribuzione dei prodotti agricoli. C’è un grande bisogno di riforme ma farle è straordinariamente faticoso in un Paese povero, diviso in 28 Stati e 8 Territori dell’Unione, nel quale si parlano 22 lingue riconosciute nella Costituzione. Popolato da lobby, divisioni religiose, partiti politici locali. C’è, appunto l’India che corre, alle velocità delle start-up e della Borsa o con il passo più lento del villaggio dei nomi musicati, e c’è l’India che sta ferma e frena.

  • Delhi smog: Schools and colleges shut as pollution worsens

    Authorities in the Indian capital, Delhi, have shut all schools and colleges indefinitely amid the worsening levels of air pollution.

    Construction work has also been banned until 21 November but an exception has been made for transport and defence-related projects.

    Only five of the 11 coal-based power plants in the city have been allowed to operate.

    A toxic haze has smothered Delhi since the festival of Diwali.

    The levels of PM2.5 – tiny particles that can clog people’s lungs – in Delhi are far higher than the World Health Organization’s (WHO) safety guidelines. Several parts of the city recorded figures close to or higher than 400 on Tuesday, which is categorised as “severe”.

    A figure between zero and 50 is considered “good”, and between 51 and 100 is “satisfactory”, according to the the air quality index or AQI.

    Some schools had already shut last week because of pollution and the Delhi government said it was mulling over a lockdown to improve air quality as dense clouds of smog engulfed the city.

    A mix of factors like vehicular and industrial emissions, dust and weather patterns make Delhi the world’s most polluted capital. The air turns especially toxic in winter months as farmers in neighbouring states burn crop stubble. And fireworks during the festival of Diwali, which happens at the same time, only worsen the air quality. Low wind speed also plays a part as it traps the pollutants in the lower atmosphere.

    A sense of déjà vu: By Geeta Pandey, BBC News, Delhi

    Every year as winter approaches, there’s a sense of déjà vu for us living in Delhi. The morning skies take on an ominous grey colour, we complain of stuffy nose and itchy eyes, and hospitals start to fill up with people complaining of wheezing and breathing difficulties. Those of us who can afford it, rush to buy expensive air purifiers. The mere act of breathing in Delhi becomes hazardous.

    The city routinely tops the list of “world’s most polluted capitals” and we obsessively start checking apps that provide a reading of the air quality index. We look at the levels of PM2.5, the lung-damaging tiny particles in the air that can exacerbate a host of health issues, including cancer and cardiac problems, and PM10 – slightly larger particles, but still pretty damaging.

    Levels of PM2.5 below 50 are considered “good” and under 100 “satisfactory”. Right now, it’s 363 in Delhi – in some areas, it’s almost 400. In the suburb of Noida, it’s nearly 500.

    Every year, as the air turns murky, the Indian Supreme Court hauls the state and federal governments into court, asking them what they intend to do to clean up the air. On Tuesday, after a prodding from the court, the authorities took some action.

    But these measures are like putting a bandage on a bullet hole – they have been tried in the past and have made little difference to the city’s air in the long term. Experts say cleaning up the air requires drastic measures that are not a priority for the country’s leaders. They warn that at the onset of winter next year, we’ll be back where we are now.

    This year, the pollution has become so dire that it prompted a stern warning from India’s Supreme Court, which directed state and federal governments to take “imminent and emergency” measures to tackle the problem.

    Following the hearing, a meeting was called by Delhi’s Commission for Air Quality Management and emergency measures were announced.

    Other measures announced by the panel include a ban on the entry of trucks in Delhi and the neighbouring states of Uttar Pradesh, Punjab, Haryana and Rajasthan until 21 November, except those carrying essential commodities.

    The panel also directed Delhi and other states to “encourage” private offices to allow 50% of their employees to work from home during the period to cut down vehicle emissions and dust levels.

    India’s pollution problem is not just limited to Delhi.

    Indian cities routinely dominate global pollution rankings and bad air kills more than a million people every year, a report by US research group, the Energy Policy Institute at the University of Chicago (EPIC), said. It added that north India breathes “pollution levels that are 10 times worse than those found anywhere else in the world” and, over time, these high levels have expanded to cover other parts of the country as well.

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