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  • Pechino conferma l’arresto della reporter accusata di aver spiato per l’Australia

    Cheng Lei, ex giornalista e volto noto della Cgtn, il canale della tv statale cinese in lingua inglese, è stata arrestata il 5 febbraio per spionaggio con l’accusa formale di “aver fornito segreti di Stato all’estero”. Cheng, nata nella provincia di Hunan, ma in possesso della cittadinanza australiana dopo essere emigrata da bambina, fu presa in custodia a Pechino dalla polizia del dipartimento sulla sicurezza nazionale lo scorso agosto senza spiegazioni, quando i suoi figli, di nove e undici anni, erano dai nonni in Australia durante la chiusura delle scuole per la pandemia del Covid-19.

    La svolta è stata riferita lunedì in mattinata dal ministro degli Esteri australiano Marise Payne, rimarcando che il governo australiano “ha espresso le sue serie preoccupazioni sulla detenzione di Cheng” in merito “al suo benessere e alle condizioni di detenzione”. Payne ha riferito che i funzionari consolari hanno visitato la donna sei volte finora, di cui l’ultima a fine gennaio. Cheng, che alla Cgtn ha lavorato per quasi un decennio, aveva regolarmente partecipato agli eventi tenuti dall’ambasciata australiana. Poche ore dopo è maturata la conferma del ministero degli Esteri di Pechino, secondo cui il suo caso “è in fase di ulteriore elaborazione”, assicurando che “tutti i diritti di Cheng sono stati completamente garantiti. Speriamo che l’Australia rispetti la sovranità giudiziaria cinese e la smetta di interferire nella gestione del caso in qualsiasi modo”, ha affermato in conferenza stampa il portavoce Wang Wenbin.

    La vicenda è destinata a infiammare ancora di più i pessimi rapporti esistenti tra Pechino e Canberra, in uno scontro a tutto campo dalla diplomazia al commercio. Le tensioni hanno avuto un’impennata dopo che Canberra ha chiesto un’indagine internazionale sull’origine della pandemia e Pechino ha risposto con rappresaglie commerciali. Un altro australiano, lo scrittore Yang Hengjun, è sotto processo a Pechino, accusato di spionaggio dopo l’arresto di gennaio 2019 all’aeroporto di Guangzhou.

    A Hong Kong, intanto, all’attivista radiofonico pro-democrazia Wan Yiu-sing, 52 anni, è stata contestata la “sedizione”, per quello che è il secondo caso finora registrato dal ritorno dell’ex colonia nel 1997 sotto la sovranità cinese. Il dipartimento di polizia sulla sicurezza nazionale ha notificato quattro capi d’accusa, tutti riconducibili ad altrettante trasmissioni radiofoniche online dello scorso anno.  Intanto, si avvicina il processo per altri 8 attivisti, tra cui 3 ex parlamentari, per le proteste dello scorso anno: le contestazioni si riferiscono all’incitamento del 30 giugno a partecipare a una manifestazione non autorizzata del giorno dopo. Tra gli imputati, Wu Chi-wai del Democratic Party e 4 esponenti della League of Social Democrats, incluso il carismatico ex deputato ‘Long Hair’ Leung Kwok-hung.

  • Dalla libertà al confronto di pensiero

    La libera manifestazione di pensiero rappresenta l’elemento caratterizzante ed elementare di una democrazia.

    Nell’epoca contemporanea, caratterizzata da una crescente importanza dei media tradizionali assieme a quella esponenziale dei social media, una democrazia avanzata dovrebbe garantire non solo la libertà di pensiero ma anche la possibilità di replicare a qualsiasi tesi venga sostenuta in modo da offrire la completezza d’informazione.

    In una democrazia contemporanea dovrebbe venire concesso il medesimo spazio editoriale per la assoluzione di un imputato quantomeno proporzionato allo spazio dedicato al suo arresto o imputazione. Questo impegno dovrebbe essere tanto più pressante per gli editori televisivi, i quali sempre più assumono le caratteristiche di sostenitori di una corrente politica rispetto ad un’altra e, conseguentemente, tutte le trasmissioni di opinione vengono pilotate in quel senso.

    All’interno le due trasmissioni di un editore privato non identificabile con Mediaset, a distanza di  tre giorni, un medesimo esponente del mondo finanziario (in camicia bianca molto renziana) ha potuto esporre le proprie tesi prive di qualsiasi contraddittorio. La prima in una trasmissione che va in onda verso le 21 dove ha sostenuto come questa crisi possa rappresentare un’occasione unica per trasformare l’Italia in un ufficio mondiale e trasferire tutte le produzioni in giro per il mondo controllandole da remoto. Una follia che non meriterebbe neppure un commento se non l’evidente ignoranza relativa alla catena di formazione del valore che persino Confindustria sta cominciando a fare propria (https://www.ilpattosociale.it/attualita/made-in-italy-valore-economico-etico-e-politico/). Il giovedì successivo questo stesso personaggio, con la medesima camicia, ha individuato in questo momento storico un’ottima occasione per un’operazione che abbia come obiettivo il ritorno ad un rapporto sostenibile tra debito e PIL. Le condizioni di base sono rappresentate dai bassi tassi di interesse legati alle politiche monetarie espansive e alla grande quantità di denaro dei risparmiatori che rimane inerte nei conti correnti.

    In buona sostanza si tratterebbe del solito patto con i risparmiatori i quali dovrebbero sottoscrivere circa 300/400 miliardi di nuovi titoli del debito pubblico con un bassissimo interesse ma indicizzati alla crescita del PIL il cui rimbalzo sembra o viene dato per imminente.

    Una tesi alquanto bizzarra in quanto per riportare in equilibrio il rapporto tra debito e PIL i miliardi necessari sarebbero 8/900, tanto per cominciare, e non certo i 400 indicati, essendo il nostro debito pubblico arrivato alla soglia di 2.600 miliardi mentre il nostro PIL risulta in decrescita del – 11% .

    Tenendo, poi, in considerazione gli scarsi risultati ottenuti dalla seconda emissione di BTP Futura, ampiamente al di sotto degli obiettivi del Ministero del Tesoro, risulta evidente come alla base delle motivazioni che determinano le scelte di investimenti intervengano parametri molto diversi e complessi rispetto ai soli  indicati da questo operatore finanziario. Altrimenti non si spiegherebbe per quale motivo i Bund tedeschi siano ancora i più ricercati pur offrendo rendimento negativo.

    All’interno di una democrazia avanzata, quindi, non è più sufficiente garantire la libertà di pensiero quanto garantire il più possibile il confronto tra opposte posizioni politiche ed economiche. Un compito ed un impegno disattesi molto spesso dai giornalisti ma soprattutto dagli Editori pubblici e privati.

    Sono molto lontani, purtroppo, i tempi in cui il principio “i fatti separati dalle opinioni” (*) rappresentava il codice etico per un giornalista come per il suo editore.

    (*)  Lamberto Sechi direttore di Panorama editore Mondadori.

  • Censurato e riaperto in poche ore il canale Youtube di Radio Radio

    “Ventisei ore per ripensarci, ed evitare il peggio. A questo punto il soggetto di cui parliamo non è certo Radio Radio, bensì la piattaforma multinazionale di YouTube”. E’ quanto si legge sul sito ufficiale della storica emittente radiofonica romana Radio Radio che, dopo la cancellazione di domenica 14 giugno del suo canale TV da parte del noto colosso statunitense, ha visto la mattina del 15 giugno revocare l’oscuramento avvenuto ‘per violazione delle norme della community’. La sospensione del canale sarebbe dovuta ad una segnalazione riguardante video con contenuti discriminatori su minori che, come dichiarato dal direttore di radioradio.it Fabio Duranti che aveva fatto partire immediatamente una diffida in cui si intimava a Youtube il ripristino del canale previa azioni legali, non sono mai stati pubblicati.

    Alla notizia della censura tante e immediate le rimostranze dei numerosi fan dell’emittente che a Roma e dintorni è nota, e amata, per l’ampio spazio dedicato allo sport, e alle due squadra della capitale, e per i talk di approfondimento di temi di attualità affrontati con modalità fuori dal coro come l’emergenza coronavirus raccontata in queste settimane con personaggi poco presenti nei salotti televisivi abituali e teorie che la maggior parte dei media definirebbe complottiste.

  • In Europa ormai è il ‘virus italiano’!

    “Premetto che sono stato 48 ore in Francia e ci sono andato in aereo. All’arrivo, venerdì pomeriggio, nessun controllo, esattamente come oggi alla partenza, mentre poco fa a Malpensa siamo stati accolti da due tizi in tuta spaziale che misuravano la temperatura a tutti. Evidentemente in Francia nessuno si preoccupa, qui siamo all’isteria collettiva”. E’ quanto scrive il 24 febbraio Marco Zacchera, già deputato italiano e sindaco di Verbania, nel suo sito Il Punto. “Scrivo soprattutto perchè in questi 2 giorni sono rimasto disgustato da come i media stranieri abbiano dato e stiano dando notizia del virus in Italia. Non so se lo sapete, ma titoli, reportage, iper-allarmismo con una critica anti-italiana generale e generalizzata, colpevoli non si sa bene di che cosa. Ieri sera il TG1 francese ci ha dipinto come una nazione-lazzaretto. Siamo diventati gli untori d’Europa e comunque ne subiremo le pesanti conseguenze nei prossimi mesi. E’ un caos: ‘Che succede in Italia?’, ‘Italia nazione infetta’ ‘Unici casi in Europa’ ecc.ecc. La piazza del duomo di Milano deserta e lo stadio di San Siro chiuso hanno fatto il giro del mondo, con danni incalcolabili a tutti noi, qualcuno l’aveva considerato stendendo le “grida” ministeriali? Non è un caso che oggi la borsa sia crollata del 6% o che negli alberghi sia già arrivata una pioggia di cancellazioni, con crisi incombente e generale del commercio, ristorazione, trasporti, servizi, aerei ecc.

    SE CI VENGONO NASCOSTE REALTA’ PIU’ GRAVI ALLORA E’ UN’ALTRA FACCENDA, MA SE LE NOTIZIE “VERE” SUL CONTAGIO SONO QUELLE NOTE ALLORA LA REAZIONE GENERALE ED UFFICIALE E’ STATA ED E’ ASSURDA RISPETTO ALLA REALTA!

    Davvero era necessaria questa reazione istituzionale isterica, con decisioni così drastiche condite dai sorrisini ebeti di certi ministri con il solito ritornello “Ma non preoccupatevi, niente panico!”? Il che è esattamente il contrario di quanto invece si crea.

    ….Il presidente della Basilicata chiama alla quarantena tutti quelli che vengono dal nord, dimenticando che teoricamente sono 2 settimane che i ‘nordisti’ avrebbero potuto contagiare tutti. Ieri hanno vietato perfino le Messe e l’ingresso in Duomo a Milano, mentre a Bari 40.000 persone si concentravano a sentire il Papa: quante di loro possono essere state al nord in questi giorni od aver incontrato persone che c’erano state?

    Tra l’altro è davvero così strano che “tutti” i casi siano al nord e non nel centro-sud…oppure lì si controlla di meno, esattamente come nel resto d’Europa dove chi ha la febbre sta a letto ma poi –  in pratica – guarisce con le cure di stagione?

    Mi spiegate che senso abbia correre a svuotare i supermercati quando sarebbe bastato un annuncio chiaro, netto, deciso delle autorità: (“I supermercati non chiuderanno!”) oppure che logicità c’è nel blindare regioni intere quando ormai – se qualcuno fosse stato infetto – avrebbe già moltiplicato il contagio ben fuori le ‘zone rosse’?

    E’ vero che sono morte alcune persone over 80 per il virus, ma erano già tutte malate, alcune in ospedale da giorni, e il virus potrà essere stata una “concausa”, ma non la “causa”.

    La direttrice del laboratorio dell’ospedale infettivo Sacco di Milano (verrà linciata o espulsa dall’albo?) è stata chiarissima “Sono morte 217 persone di influenza in queste settimane, questa è una influenza grave, ma come tale va trattata”. Certamente va fatto con misure adeguate, ma allora spieghiamo e ripetiamo a tutti di lavarsi spesso le mani, si distribuiscano gratis degli antisettici, ci si copra il volto se raffreddati ecc. Queste sarebbero e sono cose logiche, chiare, attuabili e doverose.

    Intanto qualcuno veramente autorevole potrebbe rispondere chiaramente ai dubbi di tutti. “Quanto vive – per esempio –  il virus fuori da un organismo malato?” Dopo quanti giorni possono comparire dei sintomi? Il virus è diffuso in Italia perché si controllano decine di migliaia di persone mentre all’estero invece no, altrimenti come mai proprio qui?

    Intanto adesso è e sarà comunque “il virus italiano” a livello europeo, gran bel risultato.

    A Mauritius oggi hanno mandato indietro un aereo Alitalia con i turisti lombardi e veneti in arrivo perchè potenzialmente “infetti” mentre la Francia non ha neppure sospeso in queste settimane i voli con la Cina: ma non è da pazzi ritrovarci un’Europa così?

    Ma quanti cinesi sono quindi arrivati in Italia via altri scali aerei e quanti di loro potevano teoricamente essere infetti? …Come mai quando un mese fa a Roma vi sono stati dei (presunti) casi, i singoli contagiati sono stati ricoverati ma nessuno ha blindato la città e perché invece adesso si è sequestrata mezza Italia, tra l’altro quella più produttiva ed internazionale?

    Ma quante centinaia di migliaia di persone hanno nel frattempo usato auto, treni, aerei per spostarsi in questi giorni? E perché obbligare ad una settimana di vacanza gli studenti (felicissimi…) quando poi stanno comunque insieme al parco giochi, al campetto o a giocare (ma NON al bar, perché questi devono chiudere alle 18: è un virus serale?).

    I “costi” di queste decisioni sono molto più gravi che non una buona profilassi e una cura adeguata (anche perché quasi tutti i pazienti per fortuna guariscono), ma le conseguenze economiche gravissime in Italia ci resteranno addosso per mesi e – vedrete – il ritornello governativo sarà “Non è colpa nostra la crisi, la colpa è del virus!”

    Poco fa ho incontrato una responsabile sanitaria dell’ospedale della mia città, letteralmente stravolta “Tutti telefonano, non si capisce più niente, nel mio reparto si continua a curare e morire per altro, ma qui siamo alla follia e isteria collettiva, siamo tutti diventati matti!”. Ringrazio tante persone come lei che in questi giorni stanno facendo l’impossibile, ma mi sembra che la diffusione del panico sia la conseguenza di una informazione poco chiara, contraddittoria, superficiale, spesso irresponsabile e regolarmente alla ricerca dello ‘scoop’”.

    Per leggere l’articolo completo www.marcozacchera.it – Per ricevere settimanalmente Il Punto di Marco Zacchera scrivere a marco.zacchera@libero.it

  • L’UE intensifica la lotta alla disinformazione ma per Facebook è un limite alla libertà di espressione

    Facebook mette in guardia utenti e non solo sul rischio di libertà di espressione perché l’Unione Europea sta attuando misure per fermare le campagne di disinformazione sulle piattaforme online.

    Secondo Nick Clegg, vicepresidente per gli Affari generali di Facebook, nel mondo online quello che poteva essere considerato un discorso accettabile si è ristretto negli ultimi anni erodendo la libertà di espressione.

    Facebook, stando sempre alle parole del manager, sta facendo attenzione a non oltrepassare la linea sottile tra il divieto di disinformazione e la soppressione della libertà di espressione.

    Le altre piattaforme social si sono già impegnate a vietare la pubblicità politica, tuttavia, Facebook ha finora resistito.

    Si prevede che l’UE, che ha istituito un gruppo sulla libertà dei media per valutare il problema, delineerà il suo piano d’azione per la democrazia con misure per la lotta alla disinformazione, consentendo nel contempo elezioni libere ed eque.

    All’inizio di questo mese, intanto, Facebook ed eBay si sono impegnate a rimuovere account, pagine e gruppi coinvolti nel commercio di recensioni false.

  • Il diritto amministrativo secondo Francesco Caringella

    Martedì 3 dicembre, alle ore 15:00, presso la Sala Isma del Senato della Repubblica, Piazza Caprinica n. 72, sarà presentato il nuovo lavoro di Francesco Caringella Il nuovo diritto amministrativo senza frontiere. La partecipazione all’evento organizzato dalla Fondazione Luigi Einaudi è libera ma occorre registrarsi al seguente link: https://www.eventbrite.it/e/biglietti-il-nuovo-diritto-amministrativo-senza-frontiere-83028475405

  • Bruxelles riceve le relazioni sulla disinformazione online dai gigante del Web e dei social network

    La Commissione europea ha pubblicato le prime relazioni annuali di autovalutazione presentate da Facebook, Google, Microsoft, Mozilla, Twitter e sette associazioni europee del settore sulla base del codice di buone pratiche sulla disinformazione lanciato a ottobre 2019 per contrastare la disinformazione online. Le relazioni descrivono i progressi compiuti nell’ultimo anno nella lotta contro la disinformazione online.

    Rispetto all’ottobre 2018, i firmatari del codice di buone pratiche segnalano un miglioramento della trasparenza e l’avvio di un dialogo più intenso con le piattaforme sulle loro politiche di lotta alla disinformazione.  La portata delle azioni intraprese da ciascuna piattaforma varia tuttavia notevolmente e, analogamente, persistono differenze tra gli Stati membri per quanto riguarda l’attuazione delle politiche delle piattaforme, la cooperazione coi portatori di interessi e la sensibilità ai contesti elettorali.

    Oltre alle relazioni stesse e sulla loro base, la Commissione europea sta valutando l’efficacia del codice di buone pratiche. Qualora i risultati ottenuti nel quadro del codice si rivelassero insoddisfacenti, la Commissione potrebbe proporre ulteriori misure, anche di natura regolamentare. Nei prossimi mesi, inoltre, la Commissione presenterà al Parlamento europeo una relazione sulle elezioni del 2019.

    Vĕra Jourová, commissaria per la Giustizia, i consumatori e la parità di genere, Julian King, commissario responsabile per l’Unione della sicurezza, e Mariya Gabriel, commissaria per l’Economia e la società digitali, hanno intanto reso una dichiarazione congiunta in merito alle relazioni ricevute: «Consideriamo particolarmente positiva la pubblicazione, da parte dei firmatari del codice di buone pratiche, delle autovalutazioni in merito all’attuazione dei loro impegni. In particolare, siamo lieti di constatare che le piattaforme online si sono impegnate a rendere più trasparenti le loro politiche e a instaurare una cooperazione più stretta con i ricercatori, i verificatori dei fatti e gli Stati membri. I progressi realizzati variano però notevolmente tra i firmatari e le relazioni forniscono scarse informazioni sull’effettiva incidenza delle misure di autoregolamentazione adottate nel corso dell’anno precedente e sui meccanismi di controllo indipendente. Sebbene le elezioni del Parlamento europeo del 2019 a maggio non siano state, ovviamente, esenti da disinformazione, le azioni e le relazioni redatte mensilmente in vista delle elezioni hanno contribuito a limitare il margine disponibile per le interferenze e a migliorare l’integrità dei servizi, neutralizzare gli incentivi economici che favoriscono la disinformazione e garantire una maggiore trasparenza della pubblicità di carattere politico e sociale. Tuttavia, la propaganda e la disinformazione automatizzate su vasta scala persistono e occorre fare di più in tutti i settori contemplati dal codice. Non possiamo accettare che tali pratiche siano considerate normali. Sebbene gli sforzi delle piattaforme online e dei verificatori dei fatti possano ridurre la viralità dannosa dei contenuti tramite i servizi delle piattaforme, rimane l’urgenza che le piattaforme online instaurino una cooperazione significativa con una gamma più ampia di organizzazioni indipendenti e affidabili. L’accesso fornito finora ai dati non risponde ancora alle esigenze dei ricercatori indipendenti. Infine, nonostante gli importanti impegni assunti da tutti i firmatari, ci rammarichiamo del fatto che nessun’altra piattaforma o nessun altro attore del settore della pubblicità abbia aderito al codice di buone pratiche».

  • In attesa di Giustizia: in nome del popolo italiano

    La giustizia è amministrata in nome del popolo, così recita l’articolo 101 della Costituzione, nella intestazione delle sentenze non può mancare – a pena di nullità – l’intestazione “In nome del popolo italiano”. Il parametro costituzionale esprime, tra l’altro, il potere di verifica da parte dell’opinione pubblica sulla amministrazione della giustizia.

    Un tempo, almeno con riguardo ai processi (soprattutto quelli penali) più coinvolgenti, la abituale e talvolta massiccia presenza di pubblico alle udienze costituiva l’estremo fisico del controllo sull’andamento della giurisdizione; oggi le cose sono cambiate, e salvo rari casi, le presenze sono ridotte a qualche familiare o a gruppi di ragazzi in visita scolastica.

    Tuttavia, un controllo in quel settore è ancora possibile e lo è ancor più agevolato  grazie ai media; sempre che, ovviamente, l’informazione non sia distorta, di parte o volta ad assicurare più che altro maggiori vendite o share.

    Il 17 aprile è mancato Massimo Bordin, voce storica di Radio Radicale: uno di quelli che l’informazione giudiziaria la sapeva fare con quella trasversalità ed indipendenza che sono patrimonio dei radicali ma anche con rigore e competenza. L’Unione delle Camere Penali, due giorni dopo la scomparsa, ha istituito un premio a lui intitolato da assegnare ogni anno al giornalista o alla testata che si sarà maggiormente distinta per correttezza e completezza della informazione su vicende giudiziarie con particolare riguardo al concreto rispetto della dignità delle persone coinvolte e del principio di non colpevolezza.

    Sino a fine marzo, invece, Piero Sansonetti è stato Direttore de “Il Dubbio”, testata giornalistica che ha come editore la Fondazione dell’Avvocatura Italiana del Consiglio Nazionale Forense e che si è proposta come pubblicazione garantista, rivolta contro le forme di giustizialismo e destinata a chi intenda approfondire le ragioni della difesa e non solo quelle dell’accusa cui – di solito – si offre maggiore spazio in cronaca.

    Non è ben chiaro cosa abbia indotto il licenziamento di Sansonetti: a sentir lui una delle ragioni  risiederebbe nell’esigenza per “Il Dubbio” di essere più filogovernativo perché giornale di una Istituzione Pubblica, l’altra nell’averlo orientato troppo a sinistra.

    Se fosse vera la prima, grande sarebbe la preoccupazione perché sottende il concetto di stampa di regime, riferita per di più ad un’area – quella della Avvocatura – che dovrebbe farsi garante di indipendenza assoluta; se fosse vera la seconda ostenderebbe il tradimento della filosofia di impostazione della testata, posto che la politica giudiziaria della sinistra ha una deriva forcaiola inequivocabile.

    Resta, a margine di queste vicende di vita così diverse ma con un minimo comun denominatore professionale, la riflessione sull’importanza di una informazione giudiziaria corretta, destinata a dare vita a quel canone costituzionale ricordato all’inizio da cui discende la rilevanza e la dignità dell’opera del cronista giudiziario.

    Su queste colonne ci proviamo: fornendo notizie e spunti senza altra pretesa che stimolare curiosità e approfondimento autonomo del lettore, qualche certezza solo se supportata da evidenze incontrovertibili.

    Su queste colonne scrivo io che non sono – come furono per la cronaca giudiziaria negli anni ’50 – Dino Buzzati per il Corriere della Sera o Alfonso Gatto per Il Mattino ma respiro quell’aria di libertà che l’editore mi lascia senza se e senza ma.

    E la libertà, quando della Giustizia si deve restare in perenne attesa, è un bene di valore assoluto.

  • Il significato delle parole

    Voi mi chiedete cosa mi costringe a parlare?
    Una cosa strana; la mia coscienza.

    Victor Hugo

    Tra i tantissimi dibattiti filosofici e psicologici che da tempo hanno attirato l’attenzione degli studiosi, ma non solo, c’è anche il rapporto tra quanto offre il lessico di una lingua parlata e le capacità del cervello delle persone, che parlano quella lingua, di esprimere un concetto, un fenomeno, una realtà ecc. Sono perciò naturali le seguenti domande: è il limitato lessico della lingua che impedisce al cervello umano di esprimersi o, invece, è il cervello umano che non riesce ad afferrare e concepire determinati concetti, fenomeni, realtà ecc.? Perché in alcuni casi non si può esprimere un concetto, un fenomeno, una realtà vissuta e/o virtuale? È la lingua, anche se forbita ed evoluta, che non soddisfa determinate esigenze del cervello con i dovuti vocaboli, oppure è il cervello umano che non riesce a concepire e connettere, nonostante le parole/locuzioni non mancano?

    Un significativo esempio, come dimostrazione di questo “dilemma”, lo potrebbe rappresentare la parola della lingua inglese whistleblower. Riferendosi ai dizionari e tradotta in italiano rappresenterebbe una persona che soffia il fischietto. Questa parola, nella lingua inglese, indica per esempio un poliziotto, un capo treno, un nostromo, un arbitro sportivo ecc. Ma la stessa parola, dalla seconda metà del secolo scorso, ha anche un altro significato, soprattutto negli Stati Uniti d’America. E cioè indica “una persona, un soggetto che, solitamente nel corso della propria attività lavorativa, scopre e denuncia fatti che causano o possono in potenza causare danno all’ente pubblico o privato in cui lavora o ai soggetti che con questo si relazionano…”. Ovviamente in questo contesto si usa anche il corrispondente verbo whistleblowing. Anzi si presume, non essendo però una cosa certa, che tutto parta da questo verbo. Facendo riferimento perciò all’usanza dei poliziotti britannici di soffiare il fischietto per allertare/attirare l’attenzione e, nel caso servisse, chiedere anche aiuto ad altri poliziotti o alle persone presenti, quando si trovavano di fronte ad un crimine commesso. Si tratta di una parola che ormai è entrata a far parte anche di molte altre lingue, incluse quelle europee, ma senza essere ancora propriamente tradotta. Perciò quasi sempre si usa nella sua forma originale, in inglese. E purtroppo, non di rado, assume anche una connotazione negativa, come spia, informatore, denunciatore, talpa e, addirittura, “gola profonda”, soprattutto nel contesto italiano.

    Per trovare la giusta e corrispondente parola nella lingua italiana, sono stati chiamati anche gli esperti dell’Accademia della Crusca. Si tratta di una delle più note istituzioni degli studi linguistici, non solo in Italia ma anche nel mondo, fondata a Firenze alla fine del sedicesimo secolo (tra il 1582 e 1583). L’Accademia della Crusca nel 2014 dava la sua risposta alla domanda “Come si traduce in italiano la parola whistleblower?”. L’Accademia, nella sua risposta, spiegava ufficialmente che “al momento, nel lessico italiano non esiste una parola semanticamente equivalente al termine angloamericano”. Si metteva però in chiara evidenza un fatto importante, che oltrepassava i confini delle competenze della stessa Accademia. Gli esperti erano convinti che non si poteva dare la colpa alle [mancate] capacità espressive della lingua italiana, ma, bensì, alla mentalità dell’opinione pubblica italiana, non ancora in grado di comprendere e di fare propri alcuni nuovi concetti, fenomeni e realtà. Mentalità che si crea e si elabora prima nel cervello umano, per poi rispecchiarsi nelle continue attività umane, sia a livello individuale che collettivo. Dando così un’ulteriore e concreta dimostrazione del sopracitato dibattito/dilemma legato alle capacità espressive della lingua e quelle cognitive del cervello. I rispettabili esperti dell’Accademia della Crusca, nella loro risposta ufficiale, ammettevano che nella lingua italiana mancava la parola corrispondente alla parola inglese whistleblower. Ma allo stesso tempo sottolineavano che è “innanzitutto il concetto designato a essere poco familiare presso l’opinione pubblica italiana”. Per loro una simile incapacità e inadeguatezza era da collegarsi direttamente con “la mancanza, all’interno del contesto socio-culturale italiano, di un riconoscimento stabile della “cosa” a cui la parola fa riferimento”. Per poi concludere che  “per ragioni storiche, socio-politiche, culturali – che qui non è il caso di discutere – in Italia ciò che la parola whistleblower designa non è stato oggetto di attenzione specifica, riflessione teorica o dibattito pubblico, almeno fino a tempi recentissimi”. Più chiaro di così! E come in Italia, anche in altri paesi del mondo. In molti altri.

    Bisogna sottolineare però che, nonostante le “incapacità” linguistiche e/o della mentalità, in molti paesi ormai sono sancite leggi che proteggono il whistleblower. Sono ormai funzionanti leggi, regole e normative protettive per tutti coloro che denunciano presso le dovute autorità statali delle attività illecite e fraudolente, ovunque esse siano verificate e accadute. Negli Stati Uniti d’America, lì dove ebbe anche inizio tutto ciò, è da più di un secolo e mezzo, precisamente dal 1863, che è stata sancita una legge federale, “The False Claims Act” (la legge per le false pretese/reclami/.rivendicazioni; n.d.a.), riconosciuta anche come “The Lincoln Law” (la legge Lincoln; n.d.a.). Legge che non solo obbligava/obbliga lo Stato, con le sue istituzioni, di prendere in difesa colui/coloro che denunciavano [whistleblower], ma anche dava/dà loro una ricompensa tra il 15% e il 25% dei danni recuperati. Da sottolineare anche che negli Stati Uniti attualmente la maggior parte degli casi perseguiti e risolti dalle autorità partono da segnalazioni e denunce dei whistleblower.

    Anche in Albania, come in molti altri paesi del mondo, non esiste la dovuta parola per definire la sopracitata parola in inglese. Ma in Albania però, i primi ad essere denunciati dovrebbero essere proprio i massimi rappresentanti/dirigenti politici, statali e dell’amministrazione pubblica. Primo ministro in testa, fatti alla mano. E le denunce non sono mancate e non mancano. Anzi! Sono talmente tante, come sono anche talmente tanti i clamorosi scandali che ormai si scavalcano l’un l’altro e, purtroppo, spesso si dimenticano. Non perché non sono importanti e con delle gravi conseguenze pubbliche, ma semplicemente perché sono numerosissimi e la memoria non sempre riesce a ricordarsi di tutto e di tutti. E poi, in Albania, invece di essere perseguiti legalmente i veri colpevoli, compresi primo ministro, ministri, deputati e altri in seguito, purtroppo sono altri, i whistleblower, ad essere perseguitati e seriamente minacciati.

    Per fortuna, da qualche tempo a questa parte e dopo gli innumerevoli scandali, è proprio la sezione albanese della ben nota radio statunitense “Voice of America” che sta facendo il whistleblower. Il che ha messo in vistosa difficoltà il primo ministro albanese. Forse lui sa anche il perché. E come al suo solito ha cominciato ad ingiuriare anche la “Voice of America”.

    Chi scrive queste righe pensa che invece è il primo ministro che, come minimo, dovrebbe essere ingiuriato. Aveva ragione Aristofane, il quale circa 2500 anni fa diceva “Ingiuriare i farabutti non è peccato. Significa, a pensarci bene, onorare gli onesti”.

  • La Ue sollecita gli Stati membri a contrastare la disinformazione sui vaccini

    Via libera dei ministri della Salute europei ad una raccomandazione che incoraggia l’uso dei vaccini e la lotta alla disinformazione “che attraverso i social media e i no-vax ha alimentato concezioni sbagliate”. E’ quanto si legge nella raccomandazione, che comunque è un provvedimento non vincolante per gli Stati membri.

    Gli Stati vengono invitati ad aumentare la copertura vaccinale, combattendo l'”esitazione” dei contrari. L’obiettivo è arrivare entro il 2020, in particolare per il morbillo, ad una copertura del 95%. Inoltre viene chiesto di rafforzare il training vaccinale nei cv dei medici, e di sfruttare le tecnologie digitali per creare dei database di tutti i vaccinati d’Europa. “Resto un sostenitore instancabile dei vaccini salvavita e lavoro con gli Stati membri per tenere il tema alto nell’agenda europea”, ha detto il commissario alla Salute Vytenis Andriukaitis, annunciando che l’anno prossimo lancerà la coalizione della vaccinazione e la Commissione ospiterà un summit sul tema.

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