“Il benessere dell’umanità è sempre l’alibi dei tiranni”, Albert Camus
Da sempre l’ideologia rappresenta lo strumento attraverso il quale giustificare una scelta anche di natura economica la quale altrimenti sarebbe ingiustificabile. Questo è quanto accade, ora, in merito alla transizione verso una mobilità elettrica, sostenuta proprio da quelle compagini politiche che hanno visto crollare i propri modelli politici e di sviluppo con la caduta del Muro di Berlino lasciandoli senza riferimenti. L’attenzione e la sete di riscossa politica si spostano quindi verso il modello di vita e consumi occidentale.
In questo contesto allora ecco la lotta alla mobilità indipendente possibile grazie all’utilizzo delle autovetture private ed al loro “impatto”.
L’auto risulta responsabile dell’1% delle emissioni di CO2, la cui riduzione del 50% sarebbe ottenibile semplicemente attendendo la normale conversione delle vecchie auto o magari attraverso una incentivazione fiscale alle classe di emissione euro 6.
Quindi, in considerazione del fatto che l’Italia risulta responsabile dello 0,7% delle emissioni totali e l’intera Europa del 6,5%, tanto le emissioni attuali di CO2 (1%), attribuibile alle auto, quanto la loro riduzione del 50% risulterebbero già di per sé marginale in rapporto alle conseguenze economiche e sociali legate ad un avvento dell’auto elettrica cinese. Basti ricordare, infatti, come il settore Automotive in Europa rappresenti dodici milioni di posti di lavoro, circa mille miliardi di entrate fiscali ed il 12% del PIL.
In relazione, poi, alle polveri sottili andrebbe ricordato come ad un grammo emesso da un motore endotermico ne corrispondano 1850 grammi attribuibili alla resistenza al rotolamento dei pneumatici che diventano 3850 nel caso di una guida più nervosa, ma comunque all’interno dei limiti imposti dal Codice della strada.
Come logica conseguenza emerge evidente come il problema dell’impatto ambientale nella mobilità sia più legato, in relazione alle polveri sottili, agli pneumatici che non al motore endotermico.
Viceversa, la deriva strategica intrapresa dall’Unione Europea e soprattutto dalla sua Commissione trova la propria ragione in una scelta puramente ideologica nella quale la leva ambientalista rappresenta il fattore scatenante.
Contemporaneamente in Cina negli ultimi due anni sono stati autorizzate le produzioni di 218 GW da centrali a Carbone (1 GW, 1 miliardo di Watt), quindi sono centinaia le centrali a carbone che la Cina sta costruendo in questo momento per alimentare il proprio sviluppo, e quindi anche l’industria automobilistica cinese, con un vita media compresa tra i 50 e i 75 anni, quindi operative fino alla fine del secolo in corso.
In questo contesto basti ricordare come le emissioni delle centrali a carbone rappresentino un quinto di quelle totali e metà sia localizzata in Cina ma in continua crescita.
Pensare di utilizzare i prodotti di una economia malsana, con il primato mondiale dell’impatto ambientale, rappresenta, all’interno di una politica attenta ad un equilibrio ambientale, sia nel settore Automotive come in precedenza avvenne con il tessile abbigliamento,
la strategia a più alto tasso di inquinamento che la UE potesse adottare.
La sola giustificazione che possa sostenere il blocco della vendita e produzione dei motori endotermici a partire dal 2035 può venire considerata solo come espressione in un cieco furore ideologico che da sempre rappresenta il modo per sostenere quanto altrimenti risulterebbe assolutamente ingiustificabile e sempre in nome del bene comune.