Internet

  • Le HCE demande que la protection des femmes soit intégrée au projet de loi de régulation du numérique

    Les femmes ne doivent pas être les grandes oubliées du projet de loi de régulation du numérique adopté au Conseil des ministres ce matin. Si le HCE salue la volonté du gouvernement de «sécuriser et réguler l’espace numérique» notamment en protégeant les jeunes des images pornographiques sur internet, il réclame que soit élargi le champ d’action du projet pour y inclure la protection des femmes. Elles sont les premières victimes de la haine en ligne et de la diffusion de contenus pornographiques de plus en plus violents et illicites (traitement contraire à la dignité humaine, torture, barbarie). Le rapport du Sénat de septembre 2022 l’a amplement démontré.

    Dans son 5ème rapport annuel sur l’état du sexisme en France, le HCE a déjà formulé des propositions concrètes :

    Réguler les contenus numériques pour lutter contre les stéréotypes, représentations dégradantes, et traitements inégaux ou violents des femmes ;

    Etendre les compétences et renforcer les moyens de la plateforme policière de traitement des signalements (Pharos) et de l’Autorité de régulation de la communication audiovisuelle et numérique (Arcom), pour éliminer efficacement les séquences illicites des vidéos pornographiques.

    En septembre, le HCE publiera un rapport d’envergure sur la pornographie et ses conséquences intolérables pour les femmes. Des propositions précises y seront faites pour mieux combattre les séquences illicites. Mais d’ores et déjà, le HCE propose de dialoguer avec le gouvernement et le Parlement pour faire adopter des amendements protecteurs pour les femmes.

    Les violences qu’elles subissent dans le monde numérique ne doivent plus rester impunies. Sur internet, comme dans le monde réel, elles doivent être sévèrement sanctionnées.

  • Ventesima giornata “Per un internet più sicuro”: rendere la Rete migliore e più sicura per bambini e giovani

    La Commissione celebra la 20a giornata “Per un internet più sicuro”, volta a consentire ai bambini e giovani di tutto il mondo di utilizzare le tecnologie digitali in modo più sicuro e responsabile. Per celebrare l’occasione, la Commissione ha pubblicato una versione a misura di minore della strategia europea per un’internet migliore per i ragazzi, in tutte le lingue ufficiali dell’UE e in ucraino. Ha anche pubblicato una versione a misura di minore della dichiarazione sui principi digitali, insieme a un gioco online sui principi digitali, in modo che i bambini e gli adolescenti possano conoscere i loro diritti nel mondo digitale.

    Nell’UE vi sono circa 80 milioni di persone sotto i 18 anni. Nel corso dell’ultimo anno, l’UE ha introdotto una serie di strumenti che includono misure atte a proteggere e responsabilizzare i giovani online. Tra questi figurano la dichiarazione europea sui diritti e i principi digitali, che prevede impegni specifici per quanto riguarda i minori online ed è stata firmata dai presidenti della Commissione, del Parlamento europeo e del Consiglio nel dicembre 2022. La normativa sui servizi digitali, entrata in vigore nel novembre 2022, introduce norme rigorose per salvaguardare la vita privata, la sicurezza e la protezione dei minori. La strategia europea per un’internet migliore per i ragazzi perfezionerà i servizi digitali adeguati all’età e contribuirà a garantire che i bambini siano protetti, autonomi, responsabili e rispettati online.

  • Internet delle Cose è arrivato a connettere 110 milioni di oggetti

    Altoparlanti e tv intelligenti, frigo, termostati e lampadine connessi, gps per chiavi e collari dei nostri animali domestici. Droni e sensori per l’agricoltura smart, dispositivi in rete per rendere più efficienti le imprese. E ovviamente telefoni cellulari e visori per il gioco e la realtà aumentata. Cresce in Italia l’esercito dell’Internet delle Cose (IoT): sono 110 milioni gli oggetti connessi e attivi, quasi due (poco più di 1,8) per persona. E si registra una forte crescita del mercato che vale 7,3 miliardi di euro e segna +22% rispetto al 2020. Nel 2019 in epoca pre-Covid valeva 6,2 miliardi.

    A disegnare il quadro una ricerca dell’Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano, che evidenzia come l’IoT avrà una spinta ulteriore grazie al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) che ha destinato 30 miliardi di euro. “Il mercato è in una fase di grande sviluppo. Aziende, Pubbliche Amministrazioni e consumatori sono sempre più interessati a gestire da remoto asset e dispositivi smart, attivandone servizi e funzionalità avanzate”, spiega Giulio Salvadori, Direttore dell’Osservatorio.  Secondo la ricerca, a fine 2021 si contano 37 milioni di connessioni IoT cellulari (+9% rispetto al 2020) e 74 milioni di connessioni abilitate da altre tecnologie di comunicazione (+25%). Tra queste, una spinta arriva dalle reti Lpwa, a bassa potenza e ampio raggio, che raddoppiano in un solo anno passando da 1 a 2 milioni di connessioni.

    L’Osservatorio ha condotto anche un’indagine che ha coinvolto 95 grandi imprese e 302 Pmi italiane: emerge che ben l’80% delle grandi aziende ha attivato servizi a valore aggiunto basati sull’Internet of Things (+4% rispetto al 2020). “In 2 aziende su 3 – evidenzia Giovanni Miragliotta, Responsabile scientifico dell’Osservatorio – il contesto legato al Covid ha avuto ripercussioni sulle decisioni di investimento in nuovi progetti di Industrial IoT. Un segnale incoraggiante, che può essere in parte attribuito anche agli ingenti investimenti previsti dal Pnrr in area Industria 4.0”.

    L’Osservatorio ricorda che in totale le risorse all’interno del Pnrr che potranno interessare il settore dell’Internet of Things ammontano a 29,78 miliardi di euro. Di questi, 14 miliardi sono stanziati per la Smart Factory, 4 miliardi per l’Assisted Living, in particolare la telemedicina. Il tema Smart City è toccato all’interno di varie Missioni con 2,5 miliardi di euro in Rigenerazione Urbana, altri 2,5 miliardi per la Gestione del rischio di alluvione e del rischio idrogeologico; 900 milioni per una Rete idrica più digitale, presente anche l’ambito Smart Building con l’efficienza energetica e lo Smart Grid con 3,6 miliardi per migliorare l’efficienza della rete. “La transizione ecologica potrà essere supportata da processi più efficienti, strumenti smart che permettano di ridurre i consumi di energia e di prevedere quando un macchinario ha bisogno di manutenzione, prima che questo si guasti. Su tutti questi fronti l’Internet of Things può svolgere un ruolo importante”, conclude Angela Tumino, condirettore dell’Osservatorio IoT.

  • Eco-logia

    Il 10 giugno del 2015 il professor Umberto Eco venne insignito della laurea honoris causa in “Comunicazione e Cultura dei Media” dall’Università di Torino. Al termine della cerimonia si trattenne con la stampa. In quell’occasione rilasciò una dichiarazione che ha fatto storia ed è, per la sua attualità, ancora degna di essere oggetto di riflessione. “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel”. E aggiunse che mentre “La tv aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità”.

    Il filosofo non si limitò a sollevare il problema con questo lapidario quanto stimolante giudizio, ma indicò anche una possibile soluzione invitando la stampa a dedicare ogni giorno almeno due pagine di analisi critica (svolta da veri specialisti in ogni settore) sulle informazioni pubblicate in rete (“perché nessuno è in grado di capire oggi se un sito sia attendibile o meno”) e invitando le scuole ad insegnare ai ragazzi ad utilizzare la rete per le loro ricerche e i loro temi (“saper copiare è una virtù ma bisogna paragonare le informazioni per capire se sono attendibili o meno”).

    Queste dichiarazioni che, al di là di tutti gli attacchi che ha ricevuto (persino sul piano personale) arrivati soprattutto da quelle legioni di imbecilli (di ogni estrazione sociale) di cui parlava, erano rivolte agli uomini di buona volontà ed avevano tutto il sapore delle parole di un saggio nonno per proteggere, dall’alto della sua esperienza, i più giovani e i più fragili. Ed è proprio per questa sua capacità di essere distaccato e critico verso il suo oggetto di studio, ovvero la comunicazione e la cultura dei media, che è stato meritoriamente premiato. Quando lessi sul giornale di queste sue dichiarazioni mi ricordai di quando ebbi la fortuna di ascoltarlo qualche tempo prima. La sera del 23 luglio 2012, infatti, ebbi modo di assistere ad una sua “lectio magistralis” intitolata “memoria e dimenticanza” presso il Salone Metaurense della Prefettura di Pesaro, in qualità di ospite del Comune di Pesaro.

    In quella occasione il professor Eco iniziò il suo discorso, spiazzando la platea, con una sua profonda autocritica. Ci confessò, infatti, di essersi pentito per essere stato tra i primi e tra i più accorati sostenitori di internet per la sua rapidità e semplicità nel fare accedere ad informazioni un tempo di difficile fruibilità (ad esempio quelli custodite nelle biblioteche di tutto il mondo) ai ricercatori e agli studenti di ogni ordine e grado. Tuttavia, oltre a questo indubbio vantaggio, nel tempo sono emerse una lunga serie di insidie e problematiche. “Un tempo” queste le sue parole “l’ignorante era la persona a cui mancava l’accesso alla cultura, oggi lo è chi è incapace di selezionare tra la miriade di informazioni a disposizione, perché la cultura è il risultato del loro filtraggio”. A riprova di ciò, ci raccontò che in qualità di uno dei maggiori esperti al mondo sul tema del Sacro Graal, volle provare a digitare queste due parole su internet per vedere cosa venisse proposto a chiunque volesse avere informazioni su questo tema. Risultato, solo alla settantesima pagina proposta dal motore di ricerca (dopo “puro ciarpame”), trovò un sito dove venivano riportate alcune informazioni corrette sull’argomento. Pertanto concluse domandandosi che “se una persona non sa nulla di un argomento, come fa a sapere se le informazioni che la rete gli propone sono corrette o meno?”. Per questo motivo ci disse che era (e lo è ancora!) urgente educare i giovani all’utilizzo di questo strumento perché “nell’impossibilità di avere un ente che monitorizzi tutti i siti ed i loro contenuti, un ruolo importante può svolgerlo la scuola, educando al senso critico, ad una valutazione scettica del web, stimolando il confronto tra vari siti, in modo che a poco a poco si distinguano le idee comuni da quelle originali e quelle originali da quelle deliranti”. Altro strumento importante è stato indicato nella lettura, “che offre la possibilità di sommare ai ricordi personali quelli collettivi e di arricchire la propria esistenza, prolungando la vita. Come lettore, ho avuto una vita così lunga che dovrei ricordarla a rate”.

    Citazioni (e ricordi) che ho voluto riportare (e far ricordare) perché davvero mi sembrano più attuali che mai.

    Quale uso viene fatto oggi della rete? Di quali temi si parla di più sui social?

    Nel 2021 l’argomento più digitato al mondo sui motori di ricerca è stato la partita di cricket fra India e Inghilterra. E in Italia? L’argomento più cercato è stato la “Seria A”, il personaggio più cercato è stato un calciatore e la domanda più frequente è stata “perché non funziona whatsapp?” (Fonte: Google Trends)

    E quante ore passiamo davanti alla tv, al cellulare e al computer in un anno?

    Circa 125 giorni di fila! Ovvero, circa 3000 ore nel 2021 (Fonte: La Repubblica)

    Insomma, considerato che stiamo distruggendo il pianeta e che stiamo mettendo a rischio di estinzione tutti gli esseri viventi ci si aspetterebbe che nel mondo stessimo parlando di ben altre cose e che spendessimo il nostro tempo facendo ben altro, ma non è così.

    Insomma, non siamo messi bene ma anche di questo gli scienziati (quelli non prezzolati) ci avvisano da molti anni: il nostro cervello si sta atrofizzando. Sia per carenza di ossigeno e di una corretta alimentazione, sia per scarso movimento fisico e per le molte ore trascorse davanti a tv, tablet e celluari.

    La situazione non è delle più semplici.

    Peggiorando esponenzialmente la qualità ambientale peggiorano di conseguenza anche le nostre capacità intellettive e fisiche e, di conseguenza diminuiscono le nostre possibilità di concentrarci sui fermi restando (dove viviamo, grazie a cosa viviamo, con chi viviamo, etc.) e le nostre possibilità di saper distinguere tra salubre e tossico, tra sopravvivere e soccombere, tra necessario e inutile, tra urgente e rinviabile, tra amore e odio, etc. etc. etc.

    Ritornando sull’argomento, il problema non è di internet come ha ben sottolineato il prof. Eco, come non è del coltello se parliamo di un delitto, ma piuttosto di chi lo usa, come lo usa e a che scopo.

    Censurare internet o togliere tutti i coltelli dalle nostre tavole non risolverebbe il problema. Lo può contenere, certamente, ma se una persona è spinta da certi impulsi, (ripeto, perché non è in condizione: meno ossigeno, più sostanze tossiche nel sangue, più modelli e contenuti educativi sbagliati, etc. etc.) e più troverà comunque il modo per soddisfarli. Siamo animali. Se abbiamo un bisogno impulsivo o una dipendenza di qualsiasi tipo, non ci fermiamo finché non la soddisfiamo. Pensate al “darkweb”, il lato oscuro di internet (accessibile solo illegalmente) dove si vendono bambini, organi di bambini, donne, bombe, armi, anagrafiche, carte di credito, droghe, etc. o ai femminicidi commessi con qualsiasi oggetto contundente trovato in casa.

    Vietiamo internet? Costringiamo le persone a vivere nelle capanne? Capiamoci. Non basterebbe nemmeno questo.

    La causa delle cause è un ambiente fortemente inquinato, impoverito, carente.

    Se l’ambiente è sano, siamo sani. Se l’ambiente è tossico, ne siamo intossicati.

    A questo segue, per importanza, il contesto sociale in cui viviamo. Se è armonioso, cresciamo armoniosi. Se è violento, cresciamo violenti.

    Ergo, la madre di tutte le battaglie, di tutti i nostri sforzi, di tutti i nostri pensieri e gesti deve essere, prima di tutto, quella della tutela dell’ambiente. Ogni futura legge, ogni futura decisione, che sia governativa o domestica, deve tenere conto di questo.

    È un percorso difficile. Possiamo farlo solo insieme agli altri. Da soli è durissima perché dobbiamo cambiare troppe cose del nostro stile di vita per essere completamente autonomi e ognuno di noi non ha né la forza necessaria e né tutte le informazioni per farlo. Covid o non covid dobbiamo rinforzare gli anticorpi delle comunità (siano esse fisiche o virtuali) per condividere questo percorso di cambiamento.

    Del resto, con quel poco di intelligenza che ci rimane, tutti vediamo che le cose non stanno andando bene. E dare la nostra vita (il nostro corpo, la nostra mente e il nostro spirito), per un modello di società che la mortifica non è già di per sé sintomo che non stiamo bene? (fisicamente, mentalmente e spiritualmente)?.

    Ci stiamo trasformando solo in cinici, avidi e compulsivi consumatori di cibo, sesso, territorio e possesso. E, per riprendere le parole del grande Eco, in legioni di imbecilli.

    È tempo di fare, ora!

    Più che di postare e di continuare a posticipare.

  • Scuola e famiglia insieme per insegnare sin da piccoli ad usare la Rete in maniera consapevole

    Da più parti, ed ormai da tempo, sociologi e studiosi evidenziano come l’eccessivo uso della rete e dei social, specie da parte dei più giovani, adolescenti e bambini, porta a gravi problemi con conseguenze comportamentali che possono stravolgere la crescita armonica e corretta ed avere valenze negative anche sulla società. Il governo cinese, sempre attento nell’espandere il suo mercato nel mondo, è però altrettanto attento nel mettere in essere iniziative che impediscano i risvolti negativi che l’eccessivo, spesso ossessivo, uso di giochi virtuali ha sui ragazzi. Così in Cina si arriva all’eccesso opposto consentendo l’uso dei videogiochi per poche ore alla settimana. Certo un regime dittatoriale usa un sistema estremo ma è noto che ormai da anni troppi adolescenti, proprio a cominciare dalla Cina, erano diventati schiavi della rete tanto che sono stati creati luoghi appositi per rieducarli. La dipendenza patologica da internet è ormai riconosciuta in tutto il mondo. Alcuni esperti sostenevano anni fa che la rete avrebbe aiutato le persone a distrarsi dai problemi legati alla mancanza di lavoro e di altre gratificazioni. In effetti internet, l’unica cosa al mondo che non ha regole, si è tramutato da strumento di libertà e di conoscenza in strumento troppe volte al servizio di interessi criminali e comunque ha tramutato le persone da fruitori consapevoli di un servizio in veri schiavi. Già dal 2009 in Italia era stato aperto a Roma un ambulatorio per curare la dipendenza da internet e da allora le cose sono nettamente peggiorate con troppe persone che si isolano con il loro pc o che indirizzano messaggi violenti che si propagano alla velocità della luce per poi tramutarsi in azioni devastanti. Curare la malattia è giusto e necessario ma si dovrebbe prevenire oltre che curare. Fin dalla scuola elementare bisognerebbe cominciare ad insegnare l’uso consapevole della rete, spiegare i pericoli e le insidie, aiutare a capire come si decodificano i messaggi. Un’educazione a scuola che deve essere supportata dalla famiglia dove spesso i genitori consegnano a piccoli di appena un anno, per distrarli e tenerli tranquilli, il loro smartphone. Ai pediatri allora il compito di insegnare ai genitori quanto sia pericoloso imparare ad usare uno strumento senza conoscerne i pregi, i difetti, i pericoli.

  • Dal primo sito web al dominio più costoso del mondo: 10 curiosità su Internet che non conosciamo

    Internet è ormai entrato nella nostra quotidianità, tanto da essere utilizzato per qualsiasi cosa, dall’acquistare prodotti al cercare notizie, oltre che per tenersi in contatto con amici e parenti tra social network, chat e videochiamate.

    Nonostante il web sia così centrale nelle nostre vite, ci sono alcuni aspetti della sua storia ancora poco conosciuti, che sono al tempo stesso interessanti e molto divertenti. Per questo motivo GoDaddy ha creato l’infografica “10 fatti che non sapevi su Internet” così da scoprire di più sul World Wide Web.

    Il primo sito web, tutt’oggi attivo, fu pubblicato il 6 agosto 1991 da Tim Berners-Lee, co-inventore del web insieme a Robert Cailliau e descrive proprio il progetto World Wide Web. Sempre allo stesso anno risale anche la prima web cam, che deve la sua nascita ad una brocca del caffè: gli studenti della Cambridge University, stanchi di recarsi nella sala della macchinetta, trovando puntualmente la brocca vuota, decisero di installare una videocamera che monitorava il livello del caffè inviando le immagini a tutti i computer.

    Molto curiosa anche la storia del primo dominio registrato: la data risale ad ancora prima della nascita del Web, dato che Symbolics.com venne registrato nel 15 marzo 1985 per essere utilizzato all’interno di ARPANET, una rete di computer nata nel 1969 considerata l’antenata dell’Internet moderno. Ancora più stupefacente è un altro fatto riguardante il nome di dominio cars.com, che detiene il record di indirizzo web più costoso al mondo: 872 milioni di dollari.

    Per rendersi conto della grandezza e della velocità a cui viaggia Internet basta elencare qualche dato, dato che in 1 secondo: vengono visti oltre 87.580 video su Youtube, fatte 88.605 ricerche su Google, inviate 2.984.403 email. Il peso di tutta questa mole di dati? Secondo alcune ipotesi in materia di fisica atomica di Russel Seitz, Internet è formato da circa 50 grammi di elettroni in movimento.

    Gli aneddoti non finiscono qui: per approfondire altre curiosità e fatti poco noti come il primo social network nato o il testo della prima mail è possibile leggere l’infografica sul blog di GoDaddy.

  • Detective stories: un hacker ha cercato di attaccarmi con Emotet

    Un hacker ha cercato di imbrogliarmi inviandomi una mail “trappola” e, dato che ci troviamo di fronte ad un tipo di minaccia particolarmente diffusa in questo periodo, mi sembra giusto parlarne per sensibilizzare i lettori di questa testata.

    Parliamo di “Emotet”, e non si tratta del nome di un film di Cristopher Nolan, ma di un pericoloso malware creato in Russia nel 2014 che tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021 sta vivendo un periodo di fortissima diffusione.

    Il modus operandi degli hacker è quello di attaccare la vittima (solitamente una azienda), inviando una mail con annessa la richiesta di spiegazioni circa una fattura/pagamento il cui file di riferimento si trova in allegato.

    In allegato però invece del solito pdf o file di word troveremo un file con al suo interno un malware pronto ad installarsi automaticamente sui vostri pc in seguito all’apertura.

    Sostanzialmente si tratta sempre della solita tattica utilizzata dagli hacker i quali però, una volta eseguito con successo l’attacco ad un utente, inviano a cascata mail (e quindi attacchi) a tutti i contatti presenti nella rubrica della vittima, questa volta però scrivendo dall’indirizzo email della prima vittima e quindi aumentando la propria credibilità e possibilità di successo.

    A differenza di altri virus o ransomware utilizzati negli ultimi anni, Emotet consente agli hacker di effettuare un periodo di “monitoraggio” della vittima, supportandoli nell’acquisizione di più dati possibili, puntando principalmente alle password per i servizi bancari digitali tipo home banking o simili. I danni possono essere irreparabili, soprattutto a livello aziendale.

    Nel mio caso specifico è stato curioso osservare come la mail in questione, apparentemente spedita da un conosciuto hotel di Milano con il quale la nostra agenzia investigativa ha effettivamente avuto per molti anni un rapporto consolidato di lavoro, provenisse in realtà da un altro indirizzo, ovvero quello di una società brasiliana a me del tutto sconosciuta.

    Effettuata l’analisi del file ed accertatomi subito della presenza del malware, ho effettuato alcuni approfondimenti ed ho scoperto che la vittima dell’attacco (del tutto inconsapevole fino al momento del mio contatto) si era effettivamente recata a Milano in vacanza qualche anno prima dove aveva soggiornato proprio presso quel famoso hotel.

    Come siano poi giunti a me resta un mistero che per motivi di tempo non ho intenzione di approfondire, ma non posso fare altro che consigliare a tutti i lettori di diffidare sempre da mail (conosciute o meno) che richiedono di aprire documenti in allegato senza fornire troppe spiegazioni.

    Gli hacker puntano sempre sull’effetto sorpresa e sulla paura, perciò nella mail faranno riferimento a pagamenti urgenti, multe o chiarimenti circa fatture affinché venga subito aperto il file in allegato. Perciò verificate sempre che il mittente sia conosciuto (condizione però che non può garantire l’attendibilità della mail) e che corrisponda al nome dell’intestatario della mail, che il tono, lo stile della scrittura sia quello utilizzato solitamente dal vostro interlocutore (spesso, per evitare di farsi scoprire, gli hacker scrivono poche frasi standard evitando di dilungarsi), ma soprattutto non aprite mai documenti in allegato contenenti file .zip o .exe . ed evitate di cliccare su link presenti all’interno della mail.

    Infine, avere un buon antivirus è sempre utile, qualora un hacker dovesse colpirvi durante una giornata nella quale per mille motivi siete meno attenti del solito nella maggior parte dei casi sarà l’antivirus ad individuare il malware e ad avvertirvi in tempo.

    Per domande e consigli di natura investigativa e/o di sicurezza, scrivetemi e vi risponderò direttamente su questa rubrica: d.castro@vigilargroup.com

  • Detective stories: Jonathan Galindo e i giochi mortali della rete

    Chi si nasconde dietro al suicidio del bambino di Napoli, gettatosi dal decimo piano?

    Secondo molti potrebbe trattarsi di Jonathan Galindo, l’ultimo spauracchio dei social network, un soggetto avvolto dal mistero che contatterebbe account di minori proponendogli di giocare insieme a lui cliccando su un link.

    Pare che in caso di accettazione, Jonathan Galindo sia in grado di monitorare continuamente il dispositivo della vittima effettuando una serie di richieste caratterizzate da una violenza esponenziale e aventi come obbiettivo la provocazione di atti di autolesionismo o l’istigazione al suicidio.

    Quello della Jonathan Galindo challenge è un fenomeno nato da qualche anno, ma giunto solo recentemente in Italia, dove si è potuto notare un incredibile aumento delle ricerche online aventi come oggetto questo nome da luglio 2020 in poi.

    Sulla rete esistono diversi profili a nome di Jonathan Galindo, molti di questi vengono aperti e chiusi dopo poco tempo, il che di per sé è alquanto esplicativo. Effettuando alcune ricerche inverse sulle immagini/foto di questi profili (dove si può notare un inquietante soggetto che indossa una maschera/protesi facciali aventi fattezze simili a quelle del personaggio Disney Pippo), è facile risalire al vero proprietario delle immagini, ovvero un make up artist e produttore di effetti speciali cinematografici presente sui social con il nome “Sammy Catnipnik”.

    Contattato da diversi youtuber e giornalisti, l’uomo ha dichiarato di essere stato il creatore di quel “trucco/personaggio”, ma di non avere alcun legame con le vicende di Jonathan Galindo e di come le sue foto gli siano state sottratte a sua insaputa.

    La realtà dei fatti è che abbiamo già conosciuto questa challenge in passato, ma con nomi diversi: Blue Whale, Momo e Samara.  A cambiare sono solo i social network di riferimento, spesso diversi per ognuna di queste challenge.

    Ci troviamo di fronte a nuovi tipi di minacce e quindi di reati dove il maggior pericolo è rappresentato non da un singolo “orco” che colpisce in tutto il mondo, ma dal rischio di emulazione di una moltitudine di soggetti che vogliono rendere reale ed essere parte integrante di un cosiddetto fenomeno “creepy pasta”.

    Da quanto trapelato dalla rete difatti, Jonathan Galindo avrebbe dapprima iniziato a colpire account presenti negli Stati Uniti, spostandosi successivamente in America Latina e solo di recente in Europa, sempre contattando le sue “vittime” utilizzando la lingua locale, il che farebbe di lui un hacker poliglotta con molto tempo a disposizione… situazione alquanto improbabile.

    Ciò è la conferma di come, salvo eccezioni, si tratti prevalentemente del tipico fenomeno emulativo di un pericoloso gioco attuato da più persone, non un singolo ma un gruppo di soggetti distinti le cui caratteristiche in determinati casi posso essere attribuibili anche a quelle di adulti esperti in tattiche di grooming che possono sfruttare il trend della parola chiave Jonathan Galindo e l’appeal che eserciterebbe sui minori.

    Per un minore a conoscenza dei rischi legati agli account di Galindo, essere contattato potrebbe essere vista come l’occasione per raccontare qualcosa di unico che gli consenta di emergere nel suo gruppo di amici, ma la situazione potrebbe presto degenerare.

    In definitiva ritengo che un vero e proprio Jonathan Galindo non esista, ciò che resta sono i pericoli cui restano esposti i nostri figli durante la navigazione della rete, per questo è giusto monitorare la loro attività sul web e proteggerli da adescatori e malintenzionati, bloccando gli account sospetti che cercano di contattarli e segnalandoli alle autorità competenti.

    Per domande e consigli di natura investigativa e/o di sicurezza, scrivetemi e vi risponderò direttamente su questa rubrica: d.castro@vigilargroup.com

  • Allarme Covid così serio che i governi rinviano al 2021 l’accordo sulla Webtax

    Covid e dissidi tra Paesi allungano i tempi per il raggiungimento di un accordo sulla Webtax, il sistema di tassazione sui giganti del web, che non potrà essere raggiunto prima del 2021. Una prospettiva che allarma l’Ocse che vede ricadute sulla crescita complessiva delle economie. “Nello scenario peggiore – una guerra commerciale globale innescata da tasse unilaterali sui servizi digitali in tutto il mondo – il mancato raggiungimento di un accordo potrebbe ridurre il PIL globale di oltre l’1% all’anno”, avverte l’organizzazione parigina. Qualcosa si muove comunque. E nell’ultima riunione dello scorso 8-9 ottobre “sono stati fatti progressi sostanziali verso il raggiungimento di una soluzione a lungo termine”, osserva l’Ocse e aggiunge che “gli ultimi colloqui riflettono opinioni convergenti su caratteristiche politiche chiave, principi e parametri per un futuro accordo. Sono state inoltre identificate le questioni politiche e tecniche rimanenti in cui le differenze di opinioni devono ancora essere colmate e le fasi successive del processo multilaterale”. Ma in questo processo “i negoziati sono stati rallentati sia dalla pandemia che dalle differenze politiche”. Obiettivo finale resta comunque quello di garantire che “le imprese multinazionali ad alta intensità digitale o rivolte ai consumatori paghino le tasse laddove conducono affari sostenuti e significativi, anche quando non hanno una presenza fisica, come è attualmente richiesto dalle norme fiscali esistenti”. Commenta il Segretario generale dell’Ocse Angel Gurría: “È chiaro che sono necessarie nuove regole per garantire l’equità nei nostri sistemi fiscali e per adattare l’architettura fiscale internazionale a modelli di business nuovi e mutevoli. Ma senza una soluzione globale basata sul consenso, il rischio di ulteriori misure unilaterali non coordinate è reale e cresce di giorno in giorno. È obbligatorio portare questo lavoro al traguardo. Il fallimento rischierebbe che le guerre fiscali si trasformino in guerre commerciali in un momento in cui l’economia globale sta già soffrendo enormemente”.

  • Sfuggire alla schiavitù dell’algoritmo è possibile

    Un algoritmo è una formula matematica ed è divenuta famosa perché si usa al computer come procedura o programma, cioè come una serie di istruzioni per trovare soluzione a un dato problema. Gli algoritmi accompagnano l’uomo sin dagli albori della civiltà, assistendolo in questioni piccole e grandi dell’esistenza e oggi risultano utilissimi, anche perché, appunto, combinati con la potenza dei computer.

    L’abbinamento tra algoritmo e potenza di calcolo dei computer fa però sì che i dati personali che vengono inseriti quando ci si registra su qualche applicazione o social network – non solo Facebook ma anche un sito di prenotazione di voli o alberghi per dire – divengano informazioni utili ad orientare l’offerta del mercato o a predire i comportamenti delle masse, attraverso metodi statistici e tecniche di profilazione predittiva. L’intelligenza artificiale si esercita su questi dati e diventa sempre più potente quanto maggiori sono i dati che le vengono messi a disposizione (la Cina ha enormi progetti in tal senso, disponendo di un’immensa platea da cui attingere dati). E’ ormai esperienza comune che chi scarica online musica, compra libri o si cerchi destinazioni per una vacanza si veda fare proposte aggiuntive (sotto voci come ‘poterebbe interessarti anche…’). Il libro Algoritmi scritto dal docente di logica matematica Carlo Toffalori ed edito da Il Mulino fornisce un’ampia rassegna in proposito.

    Algoritmi e intelligenza artificiale insomma sono strumenti efficacissimi di marketing e pongono d’altro lato problemi di privacy. Il lockdown per affrontare la pandemia di Covid-19, lo smart-working conseguente, la banale necessità di non restare tagliati fuori dal mondo a casa propria dimostrano che non si può fare a meno della tecnologia, d’altro lato – soprattutto laddove vi sono sistemi politici non proprio liberali – vi è il problema di evitare che sia l’uomo al servizio della tecnologia e non il contrario. L’articolo 22 del Gdpr della Ue è una risposta a questa esigenza, scenari come quelli del film Matrix dei fratelli Cohen possono essere evitati, purché però vi sia consapevolezza che sono possibili e devono essere presi in considerazione se si vuole scongiurarli.

Pulsante per tornare all'inizio