Internet

  • Nata la rete europea dell’intelligenza artificiale

    L’Europa punta a rafforzare la sua leadership mondiale nel campo dell’intelligenza artificiale con la rete Ellis (European Laboratory for Learning and Intelligent Systems), che nel corso di una cerimonia virtuale ha ufficialmente inaugurato i suoi 30 laboratori d’eccellenza distribuiti in 14 Paesi. Anche l’Italia è in prima fila, con ben tre unità di ricerca: quella composta da Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) e Università di Genova, quella del Politecnico di Torino e quella dell’Università di Modena.

    “Oggi celebriamo l’avvio dell’iniziativa Ellis nata due anni fa”, ha detto il 15 settembre Bernhard Scholkopf, co-fondatore della rete e direttore dell’Istituto Max Planck per i sistemi intelligenti a Tubinga, in Germania, che ospiterà una delle 30 unità di ricerca. “Dopo le prime 17 unità annunciate a fine 2019, ne abbiamo aggiunte altre 13 alla rete. Unendo le forze, daranno il loro contributo affinché l’Europa possa competere nel campo dell’intelligenza artificiale, soprattutto con Cina e Stati Uniti. Insieme, le unità creeranno nuove opportunità di collaborazione fra scienziati di tutta Europa, e forti fondamenta per lo sviluppo di un’intelligenza artificiale in linea con i valori delle società aperte europee”.

    La rete ha messo a disposizione un finanziamento comune di circa 300 milioni di euro per un periodo iniziale di cinque anni. Le attività di ricerca spazieranno dall’apprendimento automatico alla visione artificiale, dall’elaborazione del linguaggio alla robotica.

    Capire come funzionano e come possono interagire l’intelligenza artificiale e quella naturale sarà il focus dell’unità di ricerca di Genova, diretta da Massimiliano Pontil, ricercatore responsabile del Machine Learning Lab di Iit e professore all’University College di Londra, insieme al vicedirettore Lorenzo Rosasco, professore ordinario all’Università di Genova (dove coordina il centro di Machine Learning), affiliato Iit e Visiting Professor al Mit di Boston. Le possibili applicazioni interesseranno vari campi scientifici e tecnologici, quali la creazione di sistemi intelligenti per la robotica, lo studio di modelli computazionali per le neuroscienze, metodi automatici di analisi di dati biomedicali, clinici e ospedalieri. Importante sarà anche l’interazione con le realtà produttive, economiche e sanitarie del Paese.

  • Detective Stories: il rintraccio di un figlio mai conosciuto

    Nell’immaginario comune, il lavoro di un investigatore privato prevede lunghi appostamenti, pedinamenti in auto e situazioni più o meno avventurose degne di un film noir, ma negli ultimi anni molto è cambiato.

    Le persone lasciano le proprie tracce non solo nella vita reale, ma anche a livello virtuale, sulla rete, nei forum e nei social network, con i propri veri nomi nascosti da alias e nickname di vario tipo.

    Alcuni anni fa ricevetti una richiesta da parte di una signora disperata. Maria (nome di fantasia), over 70, malata e sola, voleva ritrovare il proprio figlio dato in adozione subito dopo la nascita. Ai tempi era molto difficile per una ragazza madre (perlopiù minorenne), pensare di sposarsi e mettere su famiglia e data la sua situazione economica difficile, le suore del brefotrofio la convinsero che il bimbo avrebbe avuto un futuro migliore con una famiglia americana.

    Maria, forse un po’ sconvolta dagli eventi, subito dopo il parto firmò alcuni documenti senza ben capire, il bambino venne portato via dalle suore e lei non lo rivide più. Cambiò subito idea, ma ormai era troppo tardi, Il bimbo era già in America. Lei non si diede mai per vinta e lo cercò per tutta la vita, senza mai trovarlo.

    Quando si rivolse a me aveva pochissime informazioni in mano, solo il nome di battesimo del bambino (probabilmente cambiato) e la sua data di nascita.

    Con i dati a mia disposizione non avevo trovato nessuna persona corrispondente in America. Era praticamente certo che al bambino avessero cambiato il nome. Potevo basarmi solo sull’età e purtroppo le persone nate in quella data erano diverse migliaia. Era come trovare l’ago in un pagliaio. Provai a rivolgermi a colleghi del posto, ma senza ottenere alcun risultato. Con i dati in nostro possesso la risposta era solo una: “negative”.

    Di certo c’era solo una cosa. Il figlio di Maria doveva necessariamente aver lasciato delle tracce di se, inoltre all’epoca dei fatti, non era comune fare viaggi internazionali per adottare un bambino…la famiglia adottiva doveva quindi essere “particolare”.

    Cominciai a setacciare i database alla ricerca di persone aventi quella specifica data di nascita con una attenzione ai loro nuclei familiari. Il mio intuito mi suggeriva che la famiglia adottiva doveva essere numerosa.

    Tra i vari risultati, notai una famiglia della provincia di Philadelphia piuttosto interessante: si trattava di un nucleo piuttosto numeroso, con molti figli maschi e femmine, inoltre l’età di uno di loro, Michael, combaciava con quella del figlio di Maria.

    Trovai su internet il necrologio della potenziale madre adottiva nel quale si parlava di come la donna avesse dedicato tutta la vita alla famiglia viaggiando per il mondo, promuovendo l’allattamento naturale…e se uno di questi viaggi la avesse portata in Italia?

    Su “Michael” non trovai nulla in internet, e solo allora mi concentrai sulla ricerca di profili social dei suoi possibili fratelli e sorelle. Forse in qualcuna delle loro foto avrei potuto notare Michael. Di tutti i fratelli, sorelle e membri della famiglia solo il profilo Facebook di Elisabeth mi dava le conferme che stavo cercando… la donna del profilo proveniva dalla stessa località della famiglia che avevo trovato sul database. Inoltre tra le sue amicizie risultava collegata con alcuni soggetti presenti nel database (suoi fratelli e sorelle, tutti tranne Michael). Tra gli album Facebook di Elisabeth, trovai alcune vecchie foto di un matrimonio, ed in una di quelle notai un giovane ragazzo, scuro di carnagione non molto alto e con i capelli neri, tratti somatici tipici del sud Italia. Era completamente diverso da tutti gli altri commensali, molto chiari e di probabile origine irlandese.

    Dentro di me sentivo di averlo ritrovato. Scrissi ad Elisabeth, presentandomi e spiegandole il perché del mio messaggio. Le raccontai la storia di Maria e del mio ruolo nella ricerca del figlio dato in adozione e mai incontrato. Infine lasciai il mio numero di telefono e restai in attesa.

    Dopo due giorni, un numero americano mi telefonò, sotto al numero la scritta Philadelphia. Era Elisabeth.

    Piuttosto sbalordita e con voce emozionata mi fece molte domande, del resto ricevere un messaggio da parte di un investigatore privato che chiede informazioni riservate su fatti personali non è cosa da tutti i giorni, ed Elisabeth voleva essere sicura circa la bontà del mio intervento.

    Dopo una lunghissima conversazione, Elisabeth mi disse che ero riuscito a trovare il figlio di Maria, Michael, il quale purtroppo era deceduto tre anni prima per una malattia.

    Fu molto difficile per me dire la verità a Maria, ma se non altro in tutti questi tipi di casi conoscere la realtà dei fatti è utile alle famiglie per avere una “chiusura” della vicenda.

    Spesso nei casi di ricerca di persone che ho affrontato, i dubbi e le paure dei familiari possono logorare più della certezza della morte. E’ la parte difficile di chi ha scelto di essere un investigatore, rappresentare la verità, bella o brutta che sia, al di sopra di ogni ragionevole dubbio.

    Maria e la famiglia adottiva di Michael strinsero una forte amicizia e le fu certamente di grande aiuto scoprire quanto Michael fosse stato amato durante la sua vita, una vita che insieme riuscimmo a ricostruire nei minimi dettagli, dal momento del suo sbarco all’aeroporto JFK negli anni 70, fino al giorno della sua morte.

    Quello di Maria e Michael fu un caso molto particolare, forse meno avventuroso di altri, ma certamente ricco di emozioni soprattutto per le vicende umane che lo hanno caratterizzato.

    Un caso risolto dalla mia scrivania, con un computer, un telefono e parecchio intuito. Fu un parziale insuccesso o un successo senza lieto fine.

    Rintracciare una persona di cui si sono perse le tracce è alla portata di tutti? Forse no, ma certamente avendo a disposizione i dati corretti, oggi può essere molto più semplice.

    Esistono dei siti che consentono alle persone adottate di inserire i propri dati e fotografie al fine di facilitarne il ritrovamento da parte dei familiari, ma anche di risalire ai propri genitori biologici.

    In Cina, dove esiste un grave problema di rapimenti legati al mondo delle adozioni, ci sono siti web che mostrano dei render del probabile aspetto da adulto del minore rapito, per farlo vengono utilizzati dei software per l’invecchiamento del volto. Diverse persone si sono riconosciute ed hanno ritrovato i propri cari in questo modo.

    Si tratta di piccoli passi nell’evoluzione delle tecnologie per il ritrovamento delle persone scomparse e forse in futuro, proseguendo per questa strada, riusciremo a ritrovare le persone a noi care in tempi minori e con meno sforzi.

     

    Per domande e consigli di natura investigativa e/o di sicurezza, scrivetemi e vi risponderò direttamente su questa rubricad.castro@vigilargroup.com

  • Detective Stories: difendere i minori dai Cyber predatori

    Ogni anno sono sempre di più i casi che affronto relativi a nuove tipologie di reati aventi come protagonista assoluto internet, un universo parallelo colmo di pericoli, soprattutto per i minori.

    Il rischio principale è rappresentato dai predatori della rete, ovvero adulti con un forte interesse sessuale verso i minori, abili nell’adescare e circuire i giovani tramite chat e social network. Agiscono sempre utilizzando un falso nome, mentendo sulla propria età e fingendo di avere interessi in comune con le loro vittime, le quali vengono “agganciate” quasi sempre con scuse banali o futili motivi.

    In una prima fase, agiscono inviando segnali positivi, messaggi colmi di emoji ed utilizzando un gergo giovanile, dopodiché i discorsi diventano sempre più personali, ed è così che il predatore inizia ad ottenere tasselli di informazioni sempre più utili ai propri scopi.

    Sulla base della mia esperienza maturata in anni di indagini, già dalle prime “chat” il predatore è in grado di scoprire dove abita la vittima, che scuola frequenta e quando si può trovare da sola.

    Da pericolo virtuale a reale il passo è breve, difatti l’obiettivo principale di questi mostri può sì essere quello di effettuare un incontro “reale”, ma anche (e più spesso), di collezionare fotografie di minori, immagini o video da far girare tra i membri del proprio network, vere e proprie organizzazioni di pedofili con regole e gerarchie.

    In alcuni casi, dopo essere riuscito ad ottenere fotografie personali/intime, il predatore potrebbe rivelarsi, obbligando il minore ad effettuare un incontro e costringendolo a subire violenze, minacciando altrimenti di diffondere le immagini.

    Si tratta di situazioni estreme, ma assolutamente non improbabili dove spesso la vittima si trova sola, e senza avere idea di come affrontare tale situazione.

    In ogni caso, la possibilità che si verifichi un incontro nella vita reale tra predatore e vittima è piuttosto imprevedibile. Ho affrontato casi nei quali il predatore è riuscito ad organizzare l’incontro in poche ore ed altri nei quali ha dovuto “preparare il terreno” per diversi mesi.

    Bisogna accettare il fatto che i rischi siano dappertutto e che un malintenzionato si possa nascondere su diversi tipi di piattaforme, anche sulle più improbabili, come quelle del gioco online (es: gaming), servizi di messaggistica istantanea, chat, social network, forum per studenti ma anche siti per la vendita di oggetti. Non solo siti ad hoc o social network per incontri.

    I predatori cercheranno quasi sempre di instaurare una sorta di legame pseudo affettivo con la vittima, al fine di ottenerne la fiducia ed un maggior numero di informazioni.

    Chi è più a rischio?

    Tutti i minori con poco controllo da parte della famiglia circa le proprie attività online, difatti le vittime ideali sono quelle che passano il maggior numero di tempo sulla rete. Il rischio è direttamente proporzionale alle ore passate a “chattare”.

    Come contrastare questi pericoli?

    Il controllo è l’arma più efficace che un genitore possa utilizzare, ed oggi anche quelli meno “tecnologici” devono impegnarsi a conoscere i principali social network ed il loro funzionamento.

    Il passo fondamentale è quello di educare i propri figli a tutelare la propria privacy, insegnandoli a non postare foto personali o a dare informazioni circa le proprie routine all’interno dei propri post e questo vale sia per i minori ma anche per i genitori, le cui foto dei figli sui social potrebbero venire “collezionate” da qualche malintenzionato.

    Qualora non fosse possibile evitare la presenza online del minore sui social, perlomeno verificare le impostazioni di privacy dei profili e renderli privati sarebbe un grosso step in avanti, così come fissare dei limiti per l’utilizzo di tablet e cellulari, ma in ogni caso sarà sempre fondamentale gettare le basi di una vera e propria cultura della sicurezza. Solo in questo modo i vostri figli saranno davvero più sicuri, in quanto i pericoli non si possono sempre evitare, ma vanno saputi prevedere ed affrontare in caso di necessità.

    Infine un consiglio “operativo”:

    Un minore non gradirà mai la presenza “virtuale” di un genitore in un social network, ed in diversi casi, se obbligato ad aggiungere madre e padre fra i propri follower, potrebbe creare un nuovo profilo a loro insaputa, magari utilizzando un nickname o storpiando il proprio nome. Si tratta di profili nei quali i ragazzi possono pubblicare di tutto senza freni, vincoli ma soprattutto senza destare sospetti di alcun tipo.

    In questi casi suggerisco di procedere creando un profilo/pagina avente come oggetto tematiche di gradimento a vostro figlio, ad esempio una pagina che tratti di argomenti sportivi. In questo modo potrete vedere un po’ più da vicino la natura e le dinamiche “pubbliche” delle interazioni virtuali dei vostri figli, riuscendo così ad intervenire preventivamente in caso di necessità.

    Per domande e consigli di natura investigativa e/o di sicurezza, scrivetemi e vi risponderò direttamente su questa rubricad.castro@vigilargroup.com

  • Famiglie più connesse durante la pandemia, ora urge il 5G

    Nel periodo di marzo e aprile Fastweb ha registrato un incremento nella richiesta media giornaliera di nuove attivazioni del 40% nel mercato residenziale rispetto ai due mesi precedenti. Un trend che si è confermato anche nel mese di maggio. A dirlo è Walter Renna, Chief Operating Officer di
    Fastweb intervenuto alla tavola rotonda nell’ambito dell’evento Telco per l’Italia organizzato da CorCom. Aumentata in modo significativo – di 20 punti percentuali circa – anche la richiesta di nuove linee, non derivanti da migrazioni da altri operatori. “La domanda di connessioni performanti è in crescita perché evidentemente le abitudini di consumo digitali sono cambiate”, ha commentato Renna. “Se prima del lockdown il 40% delle famiglie italiane faceva a meno della connessione fissa perché si appoggiava al mobile, oggi è emersa la necessità di una connessione ultrabroadband performante e affidabile”. Questo conferma, secondo il Coo di Fastweb, che la barriera all’adozione delle linee fisse non è il costo, visto che i prezzi degli abbonamenti ad Internet in Italia sono tra i più bassi d’Europa, ma il “bisogno di connettività”.

    Durante l’emergenza Covid tutte le attività (lavoro, studio, servizi) si sono spostate sul digitale dando un impulso deciso alla domanda di connessioni fisse. Secondo Renna “Ora è fondamentale lavorare su competenze e digital transformation delle famiglie e delle imprese per consolidare queste nuove abitudini e trasformarle in un vantaggio per il paese”.  Fastweb nei prossimi mesi svilupperà una rete 5G FWA per coprire le aree non raggiunte dalla fibra e raggiungere 8 milioni di famiglie in città medio-piccole entro il 2023. “Il 5G FWA è la soluzione definitiva per raggiungere rapidamente chi è sprovvisto di connettività ad un Giga e riteniamo sia l’unico modo per risolvere il problema dell’Italia a due velocità”, ha concluso Renna.

  • Una conquista che può tramutarsi in danno irreversibile

    Dopo aver cancellato le varie mail che mi proponevano l’allungamento del pene, l’acquisto di Bitcoin per guadagnare l’immaginabile, tre o quattro contratti diversi per luce, gas e quanto altro, proposte di incontri o professioni di amicizia…con fanciulle ed uomini di varie età, avvisi di importanti banche su modifiche di conti che non ho e di rimborsi ipotetici ai quali certamente non ho diritto, offerte di premi da parte di Amazon e dei più diversi supermercati, inviti ad acquistare sistemi di protezione individuale e di sanificazioni, avvertimenti che mi mettevano in guardia sulla violazione del mio sito, della mail, della carta di credito etc etc, e dopo aver ricevuto sugli stessi ed altri argomenti anche mail in diverse lingue, più una serie di accorati messaggi di presunti moribondi che mi offrivano le loro cospicue sostanze perché soli al mondo e dopo aver ascoltato le disperate denunce di tante persone truffate alle quali hanno sottratto denaro, dignità e serenità con le più disparate truffe, comprese quelle sentimentali, continua ad essere senza risposta la domanda del perché nel mondo conosciuto, non so su Marte, internet, i social in genere, siano gli unici che di fatto non rispondono a regole comuni, non pagano per le nefandezze che tramite loro si compiono ogni minuto, non abbiano nemmeno una tassazione giusta rispetto agli altri contribuenti dei singoli paesi dove sono utilizzati. I sistemi informatici sono stati meravigliosi quando ci hanno aiutato a lavorare, a comunicare, a mantenere le relazioni affettive e sociali nella clausura della pandemia, hanno portato ai medici dei paesi più poveri informazioni essenziali per combattere il covid ed altre malattie, hanno permesso di ascoltare un concerto, o di partecipare ad una conferenza a migliaia di km di distanza, ma rimangono strumenti che nei fatti sfuggono ad ogni controllo quando si tratta di veicolare e mettere in contatto terroristi, spacciatori e consumatori di droga, pedofili e sadici di vario tipo.

    La libertà ha un prezzo, bisogna che ci siano regole comuni rispettate, che ci sia il modo di sanzionare chi non lo fa, sbaglia chi utilizza uno strumento nato per tutti come un grimaldello personale per entrare nelle vite degli altri, chi trasforma le reti informatiche in uno strumento del terrore o della criminalità.

    Dopo l’esperienza della pandemia si moltiplicheranno i lavori da casa, le vendite online, i rapporti di lavoro ed interpersonali che viaggeranno sulla rete, ci saranno conseguenze economiche, spesso non positive almeno per i primi tempi, ma nulla potrà essere fatto con sicurezza e trasparenza se non saranno codificate regole per tutti. In caso contrario quello che oggi è una conquista si tramuterà in un danno irreversibile.

  • Allarme di Confagricoltura: Italia troppo indietro in Europa nell’impiego di Internet

    L’attuale situazione di emergenza causata dal coronavirus rende ancor più necessario l’uso di internet e di servizi informatici: dai rapporti con la Pubblica Amministrazione allo smart working, dall’attività didattica all’home banking, all’e-commerce, molte attività in questo periodo si stanno trasferendo sul web, con nuove modalità. L’Italia, da quanto emerge da un’analisi condotta dal Centro Studi di Confagricoltura su dati Eurostat 2019, risulta più indietro rispetto agli altri Paesi europei per l’utilizzo di internet e dei servizi informatici in generale.

    Il nostro Paese si colloca al 20° posto per l’accesso a internet: solo l’85% delle famiglie italiane ha questa possibilità, contro una media europea del 90%. Dalle cifre relative alla banda larga (almeno 30 Mbits/secondo) risulta, inoltre, che l’Italia è al 18° posto in Europa, con l’84% delle famiglie (rispetto alla media europea dell’89%) che può disporre di una tale velocità di connessione. Se si guarda poi alla banda ultralarga (100Mbits/secondo) scendiamo addirittura al 25° posto, seguiti solo da Croazia, Cipro e Grecia (elaborazione Corte dei Conti UE su dati Commissione UE 2017). Anche sul fronte dei servizi on line per l’espletamento di adempimenti vari, il Centro Studi di Confagricoltura rileva dati poco confortanti: sebbene ci sia stato un aumento (fra il 2015 e il 2019 dal 28% al 36% della popolazione) nell’utilizzo dell’internet banking, ovvero nella gestione dei conti correnti bancari on line, siamo comunque al 23° posto in Europa (media UE 58%).

    Nei rapporti con la Pubblica Amministrazione (per informazioni, pagamenti e gestione pratiche) la situazione non è certo migliore: in Italia i cittadini che si avvalgono di internet sono solo il 23%, rispetto a una media UE del 55%, collocandoci al 27° posto in Europa, precedendo sola la Romania. Quanto all’e-commerce, nel nostro Paese solo l’8% della popolazione effettua acquisti di beni e servizi on line, rispetto al 20% della media europea: una percentuale che ci relega al 24° posto in Europa. “Nonostante gli impegni fissati a livello nazionale ed europeo e l’approvazione del progetto ‘Strategia Digitale Italiana’ nel 2015 (per gli obiettivi di crescita UE 2020), che prevedeva che entro il 2020 almeno il 50% delle abitazioni fosse dotato di connessione a banda ultra larga, il nostro Paese – commenta il presidente di Confagricoltura Alessandria, Luca Brondelli di Brondello – continua a scontare un pesante ritardo, anche culturale, su questo fronte. L’emergenza Coronavirus, che sta costringendo la popolazione a ricorrere necessariamente ai servizi telematici per diversi adempimenti, fa affiorare in maniera ancora più evidente l’inadeguatezza del sistema infrastrutturale digitale italiano”.

  • La Svezia multa con 7 milioni di euro Google per violazione del “diritto all’oblio”

    L’autorità svedese per la protezione dei dati (DPA) ha deciso di imporre un’ammenda di 75 milioni di corone svedesi (7 milioni di euro) a Google per non aver rispettato il diritto all’oblio come previsto dal regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR).

    La normativa europea del 2014 sul “diritto all’oblio” è stata progettata per aiutare le persone a eliminare determinate pagine Web che contengono informazioni potenzialmente “dannose”. Da quando è entrato in vigore, Google ha ricevuto milioni di richieste simili, ma meno della metà è stata soddisfatta.

    Dopo un audit del 2017, che mirava a valutare la gestione da parte di Google dei diritti delle persone a rimuovere le schede dei risultati di ricerca che includevano il loro nome, il DPA ha concluso che un certo numero di schede dei risultati di ricerca deve essere rimosso e ha ordinato a Google di farlo.

    L’audit di follow-up di DPA nel 2018 ha rilevato che Google non aveva rispettato gli ordini di rimozione degli elenchi di ricerca e ha dichiarato perciò che avrebbe emesso una multa nei confronti dell’azienda.

    Un portavoce ha riferito ai media che Google non è d’accordo con la decisione e ha pianificato di presentare ricorso. Il colosso americano del web adesso ha tre settimane di tempo per farlo, prima che la decisione entri in vigore.

  • Troppi timori intorno a Internet, i ragazzi italiani sono i meno abili a navigare

    Nel 2010 solo il 4% dei ragazzi usava lo smartphone per navigare su internet. Oggi, dieci dopo, la percentuale è dell’84%. Ma se il tempo trascorso online è raddoppiato in molti Paesi (in Italia la media è di 2,6 ore al giorno su Internet), sono ancora molti i giovani che non ricevono un’educazione all’uso sicuro e responsabile della rete da genitori, insegnanti o gruppo dei pari. Ciò nonostante, quando hanno un’esperienza negativa su internet, i ragazzi dichiarano di parlarne soprattutto con i loro genitori o con gli amici. Raramente si affidano a insegnanti o educatori. E’ il quadro che emerge dall’ultimo report di EU Kids Online realizzato sui ragazzi europei di 19 Paesi in cui è stata condotta l’indagine che ha coinvolto 25,101 bambini e adolescenti fra l’autunno 2017 e la primavera 2019.

    I ragazzi usano lo smartphone ‘tutti giorni’ o ‘praticamente sempre’. Rispetto alla survey EU Kids Online del 2010, infatti, si registra un aumento significativo sia nel numero dei ragazzi che lo possiede, sia nel tempo trascorso online. In Italia, l’indagine di EU Kids Online è stata realizzata da OssCom – Centro di ricerca sui media e la comunicazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

    Due dati italiani, in particolare, fanno riflettere: “Le competenze informative dei ragazzi italiani sono sotto la media europea: solo il 42% degli intervistati ritiene facile verificare se le informazioni che ha trovato online sono vere. Quindi cresce il tempo trascorso su internet, aumentano le attività online, ma in proporzione aumentano poco le competenze digitali. Questo si spiega anche con il tipo di mediazione che i ragazzi ricevono: tendenzialmente, i genitori consigliano come usare Internet in modo sicuro, gli insegnanti danno regole su cosa è lecito fare su internet a scuola. Solo un quinto dei ragazzi riferisce di essere stato incoraggiato dai propri genitori o dagli insegnanti a esplorare e a imparare cose in autonomia su internet” – spiega Giovanna Mascheroni, docente di Sociologia dei media in Università Cattolica e responsabile italiana di EU Kids Online e fra gli autori del report.

    La rilevazione comparativa a livello europeo ha ricostruito le esperienze online di bambini e ragazzi, incluso il cyberbullismo, l’esposizione a contenuti inappropriati e violenti, i rischi di privacy, l’uso eccessivo di internet, il sexting, l’hate speech e gli incontri offline con persone conosciute online. I dati mostrano come le attività sul web non siano definibili come del tutto positive o negative: al contrario, la stessa attività può avere conseguenze positive per un bambino e negative per un altro. Un esempio è costituito dagli incontri offline con persone conosciute online.

    Il numero di ragazzi che ha incontrato di persona qualcuno conosciuto su internet varia dal 5% (Francia) al 25% (Serbia) – il 9% in Italia. Per la maggior parte dei ragazzi, conoscere di persona un contatto online è stata un’esperienza positiva e entusiasmante. Il 52% in Slovacchia, l’86% in Romania e il 56% in Italia ha detto di essersi sentito felice dopo l’incontro. La stessa esperienza, però, può causare stress o turbamento a qualche ragazzo/a (meno del 5% si è sentito abbastanza o molto turbato dopo l’incontro). Il numero di ragazzi che ha riferito di essere stato turbato da qualcosa su internet nell’ultimo anno varia dal 7% (Slovacchia) al 45% (Malta). In Italia, il numero di ragazzi e ragazze di 9-17 anni che hanno fatto qualche esperienza su internet che li ha turbati o fatti sentire a disagio raddoppia, dal 6% registrato nel 2010 al 13%. Fra quest’ultimi, la maggior parte ha detto che si è trattata di un’esperienza sporadica. Gli amici (47%) e i genitori (38%) sono le principali fonti di sostegno a cui si rivolgono i ragazzi italiani nel caso di esperienze negative. Solo il 2% dei ragazzi italiani ha parlato di quanto accaduto su internet con un insegnante, mentre un ragazzo su quattro (25%) non ne ha parlato con nessuno.

  • FBI report says Jews are the target of most religion-based hate crimes

    A recent FBI report revealed that in 2018 Jews and Jewish institutions were the main targets of religiously motivated hate crimes in the United States.

    In its annual report on hate crime statistics, the FBI found that the total number of hate crimes decreased slightly in 2018 after three consecutive years of growth, totalling 7,120 cases. Although crimes that targeted religious groups were down 8% from 2017, in 2018, nearly 60% of the hate crimes in 2018 were directed against Jews and Jewish institutions.

    “It is unacceptable that Jews and Jewish institutions continue to be at the centre of religion-based hate crime attacks,” said Jonathan Greenblatt, the CEO of the Anti-Defamation League, which publishes its own annual Audit of Anti-Semitic Incidents. “We need to take concrete action to address and combat this significant problem.”

    Following the report, the Anti-Defamation League called on American lawmakers and law enforcement officials to take action to address the deeply disturbing climate of racial and religious hatred that has grown in the United States since Donald J. Trump became president three years ago.

    “We strongly urge Congress to immediately pass the Khalid Jabara and Heather Heyer National Opposition to Hate, Assault, and Threats to Equality (NO HATE) Act. By improving hate crime training, prevention, best practices, and data collection, we can stem hate crimes nationwide,” said ADL CEO Greenblatt.

    The report notes that race-related crimes were the most common type of hate crime, followed by religious hate crimes.  Almost 50% of hate racial crimes were directed against African-Americans, while religious hate crimes accounted for almost one in five (18.6%) of all hate crime cases. Sexual orientation bias accounted for 16.9% of all hate crimes.

    In 2018, 24 hate crimes were committed, the highest since the FBI began tracking and reporting similar cases in 1991. The crimes included a deadly massacre at the Tree of Life Synagogue in Pittsburgh in October 2018, an attack that saw 11 Jews were killed by an anti-Semitic shooter.

    “The fact that such a small percentage of the population has seen such a large percentage of hate crime incidents should be worrying for all of us,” said Ira Forman, a former State Department anti-Semitism envoy from 2013 to 2017 and now a senior adviser on anti-Semitism to Human Rights First.

    “You see numbers like this or worse in European countries like France where hate-crimes against Jews are way out of proportion to the overall number of Jews in France,” Forman added.

  • La Corte di giustizia Ue circoscrive il diritto all’oblio su Google

    La Corte di giustizia dell’Unione Europea ha recentemente stabilito che Google non deve garantire in ogni parte del mondo il diritto all’oblio, ossia la possibilità di vedere rimossi contenuti che persone direttamente interessate ritengano dannosi e ormai datati. Nello specifico, la sentenza afferma che «non c’è obbligo, per un motore di ricerca che risponde alla richiesta di de-indicizzazione di una persona di condurre questa ricerca in tutte le versioni del suo motore di ricerca». La sentenza garantisce di fatto la possibilità di continuare a visualizzare risultati indesiderati sulle pagine di Google al di fuori dell’Unione Europea.

    La sentenza affonda le proprie radici nel 2014, quando, a causa di un pronunciamento della stessa Corte, Google aveva iniziato a rimuovere i contenuti segnalati da tutte le versioni europee del sito, ma non da quelle appartenenti a Paesi terzi. Nel 2016, poi, la Commission nationale de l’informatique et des libertés francese aveva sanzionato Google, poiché il popolare motore di ricerca non aveva rimosso globalmente i contenuti che un utente aveva ritenuto indesiderati: il diritto all’oblio era stato, infatti, sostanzialmente violato. La questione era stata, infine, posta all’attenzione di un tribunale francese, che ha sospeso il procedimento per chiedere un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.

    Nonostante la sentenza della Corte di Giustizia vada in direzione opposta alla posizione delle istituzioni europee, in alcuni Stati membri sono stati pronunciati verdetti contrari al “global removal”, in base all’idea che non sussista l’extraterritorialità del diritto. Pur essendo inserito nel Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR), il diritto all’oblio non è, quindi, esportabile.

    Antonello Soro, garante italiano per la privacy, si è espresso su tale questione, sottolineando che la «barriera territoriale appare sempre più anacronistica».

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