Isis

  • Chi trarrà vantaggio dall’attentato a Mosca?

    Putin, costretto dalle prove ad ammettere che il tragico attentato di Mosca è stato compiuto da terroristi islamici, insiste nel cercare responsabilità di Kiev e dei paesi occidentali, additandoli come i mandanti e gli addestratori, per giustificare il fallimento dei suoi servizi di sicurezza e crearsi un ‘alibi’ per intensificare i barbari attacchi contro i civili ucraini.

    Lo zar sostiene, e sarebbe ridicolo se invece non fosse tragico, che l’Ucraina avrebbe un beneficio dalla strage di Mosca! Quale sarebbe questo beneficio? Non è stato un attacco contro una struttura militare, contro lo stesso Cremlino, contro chi tiene detenuti i dissidenti ma un eccidio di civili che porterà nuove repressioni in Russia e ancora maggiore violenza militare, bombe, morti e feriti in Ucraina.

    Il cui prodest vede solo due ipotesi, quella ovvia e ufficializzata di una nuova azione dell’Isis K, che ha già ripetutamente preso di mira la Russia e che vuole, come ogni organizzazione terrorista, colpire nel mucchio e diramare il terrore, o quella di un attentato cresciuto all’interno dell’apparato per giustificare le prossime nefandezze e crudeltà di Putin.

    In effetti l’unico che trarrà vero beneficio dalle morti e dai feriti è lo stesso presidente che, come in altre occasioni simili, chiamerà tutti ad una maggiore coesione per difendere la madre Russia, spazzerà via quei dissidenti che hanno avuto il coraggio di opporsi il giorno delle elezioni, additerà l’Occidente come il nemico numero uno e chiederà di seguirlo senza protestare nella distruzione dell’Ucraina.

    Ormai sappiamo bene che ogni dichiarazione di Putin è una falsità, che mente sapendo di mentire e che dalle sue menzogne costruisce le sue verità, conosciamo da tempo i sistemi di controinformazione e manipolazione dell’apparato del Cremlino e sappiamo altrettanto bene che la sete di sangue e di potere del nuovo zar è immensa, perciò prepariamoci.

  • L’arresto del militante del Daesh segnale del pericolo reale di proselitismo che arriva dal web

    I carabinieri del Ros hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare a carico di un 37enne egiziano, per i reati di partecipazione a un’associazione con finalità di terrorismo internazionale. Le indagini sono partite due anni fa in seguito ai sospetti scaturiti dall’attivismo sul web dell’uomo che visionava e rilanciava materiale di propaganda jihadista a favore di una vasta comunità virtuale di utenti. L’uomo risultava segnalato, proprio in quel periodo, assieme a un altro co-indagato, come frequentatore dell’area turistica del Vaticano.

    Il 37enne egiziano militante del Daesh arrestato dai carabinieri del Ros nell’ambito della cosiddetta “jihad della penna”, era un combattente virtuale per conto dello Stato Islamico.

    Secondo gli investigatori il materiale diffuso esaltava lo Stato Islamico attraverso video ad alta valenza evocativa e aggiornamenti sui ‘successi’ delle campagne di insorgenza nei territori di conflitto, diffondendo l’idea che esso potesse continuare a sopravvivere, cooptando sotto la propria bandiera ideologica il maggior numero di aderenti, i quali erano chiamati a colpire nei territori di origine, anche in Occidente.

    Del pericolo che continua ad arrivare, malgrado non sia più notizia da prima pagina, dallo stretto rapporto web e propaganda terroristica ne abbiamo parlato, qualche giorno fa anche sulle nostre colonne con l’articolo di Cristiana Muscardini Mantenere alta la guardia sul terrorismo in Rete che è possibile leggere al seguente link https://www.ilpattosociale.it/attualita/mantenere-alta-la-guardia-sul-terrorismo-in-rete/

  • La Madonna sfregiata dall’Isis è a Forlì

    La Madonna di Batnaya proveniente da Mosul e che fu profanata dall’Isis sarà per due settimane nelle parrocchie di Forlì.  Molti i pellegrini che da tutta Italia si sono diretti e si stanno dirigendo verso la città romagnola per pregare e vedere la Statua. “Questa statua ha raccolto le grida e le preghiere dei cristiani perseguitati dell’Iraq”, commenta il parroco don Roberto Rossi, che aggiunge: “Ha visto gli scempi fatti a quelle comunità e averla davanti agli occhi significa anzitutto essere in comunione con i cristiani perseguitati, pregare per loro e ringraziare della loro testimonianza”.  L’immagine della Madonna profanata verrà venerata anche nelle altre parrocchie della città.

  • US sanctions alleged IS financiers based in South Africa

    The US has warned that Islamic State (IS) members in South Africa are playing a key role in transferring money to the group’s branches across the continent.

    This comes after the US imposed sanctions against four alleged Islamic State of Iraq and Syria (Isis) and Isis-Mozambique (Isis-M) facilitators based in South Africa.

    Among the four men is alleged Durban Isis cell leader, Farhad Hoomer. He was arrested in 2018, but later released along with his associates, for their alleged involvement in a plan to deploy improvised explosive devices near a mosque and commercial and retail buildings in the region.

    The case against them was thrown out of court because of delays by the prosecution in submitting evidence. Mr Hoomer was never asked to plead in court and has threatened to sue the state for damages.

    On Tuesday, the US Office of Foreign Assets Control (OFAC) also listed three others, aside from Mr Hoomer, as being sanctioned including one Ethiopian and one Tanzanian national.

    They are allegedly linked to recruitment, robberies, kidnapping and extortion. They have not commented on the accusations.

    The OFAC has said that IS members and associates in South Africa are “playing an increasingly central role in facilitating the transfer of funds from the top of the ISIS hierarchy to branches across Africa”.

    They say IS has recently attempted to “expand its influence in Africa through large-scale operations in areas where government control is limited”.

    The sanctions mean the four men are effectively blocked from doing business with the United States.

    In response to the sanctions, South Africa’s main opposition party, the Democratic Alliance (DA), has urged the country’s finance minister to act against terrorism financing.

    It said in a statement that “South Africa’s robust financial system should not be a safe haven for terrorism, nor should it be subject to abuse by terrorists who harm innocent people on our continent and abroad”.

  • Soldati italiani nell’Africa occidentale per contrastare l’Isis

    L’operazione Takuba vedrà soldati italiani impegnati nella regione del Liptako-Gourma, a cavallo del confine fra Niger, Mali e Burkina Faso: il Parlamento ha autorizzato la partecipazione di 8 elicotteri e circa 200 uomini con compiti di ricognizione ed evacuazione sanitaria. Ma, come ha spiegato il ministro della Difesa Lorenzo Guerini alle Camere, “prevediamo a partire dal 2022, di estendere l’attività anche all’addestramento delle componenti di forze speciali locali”. Il rischieramento del contingente è cominciato a marzo, nelle basi di Gao e Menaka, e dovrebbe diventare operativo “subito dopo l’estate”. Inoltre a Niamey, proprio in queste settimane, è iniziata la costruzione di una base italiana quale hub regionale per l’addestramento delle forze locali.

    Nelle loro comunicazioni in Parlamento sia Guerini sia il ministro degli Esteri Luigi Di Maio hanno chiaramente spiegato che, oggi, il focus di interesse strategico per l’Italia è il Sahel. Lì verranno concentrati i nostri sforzi e questo non piace all’Isis, che proprio in quella regione dell’Africa sta vivendo una fase di espansionismo. In questo contesto va collocato, secondo la nostra intelligence, l’ ‘editoriale’ minaccioso dedicato anche all’Italia e al ministro Di Maio pubblicato l’8 luglio nel numero 294 del settimanale al-Naba, organo propagandistico del Daesh, veicolato sul circuito social “rocket.chat”. Lo spunto è stata la riunione ministeriale della coalizione anti-Daesh tenutasi a Roma il 28 giugno, presieduta dal ministro degli Esteri italiano e dal Segretario di Stato Usa Anthony Blinken. A pagina 3, nell’articolo dal titolo “La coalizione dei crociati tra Roma e Dabiq”, si dà spazio a tutta la retorica jihadista nella sottolineatura dell’impossibilità di sconfiggere il Califfato nonostante gli sforzi dei Paesi “crociati”. E si evidenzia come l’Isis, in ritirata da Siria e Iraq, si stia espandendo in altre aree, in particolare la regione centro occidentale dell’Africa. Contro le iniziative anti-Isis discusse e messe a punto durante il summit, il Daesh promette di continuare la Jihad fino a conquistare “Dabiq, Ghuta, Gerusalemme e Roma”, città che viene citata 12 volte nel testo e che viene indicata come possibile obiettivo non appena se ne presenterà l’occasione. Alla stessa stregua dell’Italia (come Paese nel suo complesso), citata tre volte e considerata un target ‘prioritario’ della campagna di conquista dello Stato islamico, attraverso i suoi soldati provenienti dall’Africa.

    Secondo gli analisti della nostra intelligence, che hanno studiato a lungo il documento, in esso la propaganda del Daesh è finalizzata ad affermare la propria vitalità, nonostante le sconfitte degli ultimi anni. E viene individuato proprio il Sahel quale attuale terreno di scontro, dove alcuni paesi europei, tra cui l’Italia, hanno dato vita alla nuova missione Takuba. Ora, le minacce non sono certo una novità, ma in questa particolare congiuntura gli 007 ritengono che non possano essere minimizzate e che oggettivamente innalzino il livello di rischio per i connazionali e gli interessi italiani dislocati in quell’area, dove peraltro sono già stati attaccati contingenti internazionali, francesi e maliani, e dove la situazione è destinata a peggiorare. Non solo. La minaccia è presente anche in Europa, non tanto per effetto dell’Isis come organizzazione, quanto di elementi, spesso isolati e non organicamente riconducibili al Daesh, desiderosi di accreditamento e visibilità. I cosiddetti lupi solitari self-starter, soggetti auto-radicalizzati o con difficoltà ad integrarsi nel tessuto sociale nazionale, che devono essere dunque attentamente monitorati. Per gli 007, non vi sono “indicatori concreti di minaccia” che possono mettere in pericolo figure istituzionali italiane o della coalizione anti-Isis, e neppure vi sono al momento informazioni di reti o network terroristici strutturati all’interno dei nostri confini, ma bisogna essere consapevoli – avvertono – che l’impegno nel Sahel espone l’Italia a possibili azioni di ritorsione, al pari della Francia. 

  • Terrorista islamico arrestato a Salerno

    Era stato in Siria nel 2012 e si era arruolato nelle file di al-Nusra, braccio armato di al-Qaeda, poi quando il Califfato aveva preso terreno sotto la guida di Abu Bakr al-Baghdadi, aveva deciso di continuare a combattere per lo Stato islamico, di cui era diventato uno dei capi militari. Afia Abderrahman, più noto tra i foreign fighter con il nome di battaglia di Abu al-Bara, 29 anni, marocchino, è stato catturato dalla polizia a Lago, in provincia di Salerno. Su di lui, fanno sapere le autorità, pendono le accuse di associazione a delinquere finalizzata alla preparazione e alla commissione di atti di terrorismo, detenzione illegale di armi da fuoco, attività collettiva avente fine di attentare all’ordine pubblico e raccogliere fondi per il finanziamento di atti di terrorismo. A firmare il mandato d’arresto è stato il procuratore generale presso la Corte di appello di Rabat, in Marocco, il 28 giugno scorso. La misura è poi stata estesa a livello internazionale l’8 luglio.

    La cattura dell’ex foreign fighter è avvenuta grazie alla collaborazione tra l’intelligence italiana, marocchina e l’Interpol, che attraverso una minuziosa attività di osservazione, controllo e pedinamento, grazie anche all’uso di tecnologie all’avanguardia, sono riusciti a localizzare l’uomo vicino a un bar in Campania, mentre si trovava lì con altri cittadini extracomunitari. A quel punto è scattata l’operazione che ha portato all’arresto del 29enne, a carico del quale risultano segnalazioni nella banca dati Schengen inserite da Spagna e Francia. L’uomo era inoltre già emerso all’attenzione del Comparto sicurezza nel 2018, in quanto segnalato dall’intelligence come combattente jihadista. Adesso è detenuto nel carcere di Salerno, a disposizione dell’autorità giudiziaria in attesa del perfezionamento della procedura per l’estradizione.

  • Italia e Usa preoccupati per l’Isis in Africa

    C’è sintonia, “un allineamento di valori”, quasi hanno parlato all’unisono Luigi Di Maio e Antony Blinken, che il 28 giugno insieme hanno presieduto la ministeriale della Coalizione anti-Daesh alla nuova Fiera di Roma, la prima dopo due anni di pausa, con le delegazioni di 80 Paesi. La seconda giornata della visita del segretario di Stato Usa in Italia è stata dedicata soprattutto alla lotta all’Isis. Ed è stata anche l’occasione anche per ribadire la visione atlantista dell’Italia – nonostante gli accordi commerciali con la Cina – come fedele alleato degli Stati Uniti, in guerra (politica) col nemico cinese, sulla scia del faccia a faccia tra Joe Biden e Draghi al G7 in Cornovaglia.

    Lo Stato Islamico è scomparso dai media e dal terreno, perlomeno in Siria e Iraq, nonostante restino ancora sacche di resistenza dove l’applicazione estremistica e ideologica della sharia torna a rialzare la testa. “Daesh è stato sconfitto nella sua dimensione territoriale, ma non è stato sradicato – ha avvertito Di Maio -. Per questo l’Italia, con oltre 800 unità dislocate tra Iraq e Kuwait, continuerà a mantenere in Iraq, nel rispetto della sovranità irachena e in pieno accordo con Baghdad, un significativo contingente militare”. Parole, anche queste, in linea con la visione americana nel giorno in cui Washington ha lanciato nuovi raid contro milizie filoiraniane al confine tra l’Iraq e la Siria. Attacchi che hanno fatto infuriare il premier iracheno, Mustafa Al Khadimi, per la “flagrante violazione” della sovranità territoriale del suo Paese. Secca la replica di Blinken dalla conferenza stampa alla Fiera di Roma: “Con quelle azioni abbiamo dimostrato che il presidente Biden è pronto ad agire e a difendere gli interessi nazionali. Speriamo che il messaggio sia chiaro”.

    Ma a preoccupare adesso è soprattutto il tentativo dell’Isis di allargarsi in Africa, attraverso le sue ramificazioni locali, destabilizzando Paesi cruciali per l’Europa, soprattutto nel Sahel, da dove partono la maggior parte dei migranti che sperano di attraversare il Mediterraneo e dove è già schierato un contingente internazionale, di cui l’Italia fa parte, per sostenere in particolare il Mali a combattere i jihadisti, ora che la Francia ha deciso di ridimensionare la propria presenza militare nella regione. “L’Italia farà la propria parte, impegnandosi per la pace, la stabilità e lo sviluppo sostenibile anche in quest’area, prioritaria per la nostra politica estera”, ha detto Di Maio proponendo la creazione di un Gruppo di lavoro che si concentri sul contrasto allo Stato islamico nel continente africano. Proposta accolta con “forte sostegno” dagli Stati Uniti che riconoscono all’Italia “una leadership” nell’affrontare “le sfide comuni al centro dell’agenda globale”. “Un allineamento di valori” tra Italia e Usa “per i diritti umani e la democrazia”, ha sottolineato Blinken.

    Quei diritti umani che la Cina viola nello Xinjiang, ai danni della minoranza musulmana degli uiguri, costringendo Stati Uniti e Unione europea ad imporre sanzioni contro Pechino, ricambiate in egual misura. “L’Italia è un forte partner commerciale della Cina, abbiamo relazioni storiche, ma non vanno a interferire con le relazioni che abbiamo con Usa e Nato”, ha assicurato però Di Maio rispondendo a una domanda in conferenza stampa, garantendo che “la nostra democrazia è in grado di affrontare questioni come i diritti umani” quando si trova in prima linea con un partner scomodo. Del resto, è stata invece la risposta conciliante di Blinken, con la Cina “gli Usa e gli alleati europei trovano le stesse difficoltà: un rapporto che ha dei contrasti, degli aspetti di concorrenza, ma anche di cooperazione”.

    Sulla Libia ci si è soffermati negli incontri che il segretario di Stato Usa ha avuto con Draghi a Palazzo Chigi e con Mattarella al Quirinale, con quest’ultimo che ha definito “centrale per gli equilibri del Mediterraneo e per la politica estera e di sicurezza dell’Italia” il dossier. Il capo dello Stato ha poi espresso all’ospite tutta la sua “soddisfazione” per la fase di rilancio della collaborazione transatlantica e la ripresa della piena sintonia tra agenda Ue e agenda Usa.

  • Per Eurojust i combattenti dell’ISIS che tornano in Europa dovrebbero essere accusati di crimini di guerra

    I combattenti dell’ISIS che tornano in Europa dai conflitti in Iraq e in Siria dovrebbero essere accusati di crimini di guerra e genocidio, è quanto afferma ‘Genocide Network’, un’agenzia sostenuta da Eurojust che indaga su crimini internazionali.

    In un rapporto presentato il 23 maggio, ‘Genocide Network’ ha affermato che alcune organizzazioni terroristiche tra cui ISIS, Jabhat al-Nusra e le sue affiliate dovrebbero essere perseguite dalle autorità nazionali non solo per reati di terrorismo ma anche per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e crimine di genocidio, considerati “principali crimini internazionali”.

    Secondo ‘Genocide Network’  le accuse potrebbero fare aggravare condanne già pesanti e rendere maggiore giustizia alle vittime, poiché lo statuto per le limitazioni non si applica ai crimini internazionali principali e i combattenti terroristi stranieri (FTF) potrebbero essere perciò ritenuti responsabili di tali crimini nei decenni futuri.

    La Germania, la Francia, l’Ungheria, la Finlandia e i Paesi Bassi hanno già avviato procedimenti contro gli FTF, o addirittura pronunciato sentenze in cui addebitano loro anche i crimini più gravi.

  • Simbolo, avvertimento o patente di immunità per il nostro Paese?

    Silvia Romano è tornata in Italia, siamo contenti specialmente per i suoi genitori. E non c’è dubbio che abbia tutti i diritti di convertirsi all’Islam come a qualunque altra religione od ideologia  è di vestirsi come ritiene. Detto questo rimangono alcune considerazioni che è bene fare subito evitando future polemiche.

    Silvia Romano è arrivata indossando, sopra un abito africano, un mantello verde con cappuccio, verde è il colore dell’Isis, il colore della bandiera islamista. Salutando gli astanti, al suo arrivo, aveva gli avambracci nudi, il che è un anomalia per chi conosce usanze e costumi delle donne che indossano vesti e copricapo che dovrebbero, secondo la religione mussulmana, proteggerle dalla vista di altre persone, specie uomini. Non è apparsa con un burqa tradizionale o con un copricapo tipico delle donne africane o con un velo di garza come molte somale ma la sovraveste verde. La giovane  Romano ha dichiarato di essere sempre stata trattata con rispetto, a differenza di altri rapiti, alcuni dei quali hanno perso la vita, e di questo siamo tutti contenti.  Le autorità italiane hanno ringraziato i servizi di intelligence somali e turchi, pur comprendendo la necessità politica di essere accomodanti nessuno può ignorare che se c’è un servizio di intelligence che non esiste è quello somalo  che non è in grado di prevenire  neppure gli attentati che periodicamente colpiscono la loro capitale Mogadiscio. Per quanto riguarda i turchi è nota la loro interessata simpatia politica per i Fratelli musulmani, grandi protettori degli shabaab,i carcerieri della Romano nonché i terroristi che hanno perpetrato efferati attentati non solo in Kenya.

    I turchi hanno grande interesse per la Somalia non solo per il petrolio ma specialmente per la posizione strategica del paese che può essere un avamposto per  cercare di riportare l’Egitto verso quelle posizioni integraliste che il presidente al Sisi ha stroncato e per impedire che paesi come il Kenia continuino nella tradizione della laicità dello stato. L’Italia ha il dovere di mettere insieme tutte le energie per riportare a casa cittadini italiani che siano stati rapiti  vale però ricordare che qualunque riscatto pagato ai terroristi è di fatto un finanziamento alle loro attività criminali, molte delle quali sono state e saranno perpetrate in Europa e che ogni pagamento dà il via libera ad altri rapimenti, come è stato a lungo per le navi sequestrate nei mari del corno d’Africa. L’Italia, che non ha mai speso una parola per ricordare le segnalazioni fatte sul terrorismo dall’ambasciatore somalo alle Nazioni Unite Yusuf  Ismail Bari Bari, vissuto e laureato a Bologna e ucciso dagli shabaab a Mogadiscio proprio per la sua indefessa lotta contro il terrorismo islamista, è bene si interroghi oggi sulla sovraveste verde di Silvia Romano per capire se è un simbolo, un avvertimento o una patente di immunità, almeno per un po’, per il nostro Paese. credo inoltre che si debba affrontare anche il tema delle associazioni, di qualunque estrazione, che inviano cooperanti in paesi nei quali, per un motivo o per un altro, esistono situazioni a rischio, il ministero degli Esteri dovrebbe essere informato di ogni progetto e partenza per dare il suo parere, perché se è vero che uno stato democratico e civile deve riportare a casa i suoi cittadini che si trovano in difficoltà è anche vero che ciascuno di noi, come contribuente, ha il diritto di sapere se l’attività, la missione che ha comportato un rischio o un danno al proprio connazionale, e all’intero paese, è stata o meno condivisa dalle istituzioni italiane.

  • Progettava attentati a San Pietro, condannato un terrorista somalo

    Il 22enne somalo Mohsin Ibrahim Omar è stato condannato a 8 anni e 8 mesi di reclusione per terrorismo internazionale al termine di un giudizio con rito abbreviato. Fermato a Bari il 13 dicembre 2018, era ritenuto dalle agenzie per la sicurezza Aisi e Aise e dall’Fbi affiliato al Daesh in Somalia e in contatto con una sua cellula operativa. Secondo quanto emerso dalle indagini della Digos di Bari, progettava un attentato nella Basilica di San Pietro a Roma, cuore della cristianità, una bomba – si legge nelle intercettazioni – nella “chiesa più grande” d’Italia nel giorno di Natale o poco dopo, quando in quel luogo ci sono “il Papa e tanta gente, è pieno, pieno, pieno”. Durante la detenzione nel penitenziario barese, Ibrahim non si è descritto agli inquirenti della Dda come un terrorista ma, diceva, che “se Dio vuole, se serve alla causa, bisogna farlo, bisogna uccidere”.

    Mohsin Ibrahim fu fermato nel capoluogo pugliese dalla Digos di Bari, diretta da Michele De Tullio, con le valigie in mano, mentre tentava di fuggire dopo aver esultato, poche ore prima, per l’attentato a Strasburgo: “Quello che uccide i nemici di Allah – si legge in una sua intercettazione agli atti della Dda barese – è nostro fratello”. Il somalo era stato segnalato all’antiterrorismo barese dall’intelligence italiana e internazionale come un “mujaheddin”, miliziano dell’Isis, componente del gruppo armato somalo-keniota di Daesh, noto per aver combattuto in Somalia e in Libia, e arrivato in Italia nel novembre 2016, dopo l’arretramento dell’Isis, “per compiere attentati fuori dai confini dello Stato Islamico come quelli” di Parigi e Bruxelles.

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