Israele

  • La memoria corta

    Il 5 ottobre la Russia, con un attacco missilistico contro il villaggio ucraino di Hroza, ha ucciso 59 persone, 36 donne, 22 uomini e un bambino che partecipavano ad una veglia funebre.

    Sempre soldati russi avevano ucciso, nel Donbass occupato dall’esercito di Mosca, 9 componenti di una famiglia che stava festeggiando un compleanno.

    Due casi che sono gocce nel mare di sangue nel quale il popolo ucraino cerca di non affogare da quando Putin ha iniziato la sua crudele guerra contro una nazione libera ed indipendente.

    La memoria degli uomini è sempre più corta così, mentre assistiamo con dolore alla morte di civili nella striscia di Gaza, civili che Hamas ha usato ed usa come scudi umani, abbiamo già relegato in ricordi lontani la strage di Bucha e le altre tante, troppe tragedie che l’Ucraina sta vivendo con intere città rase al suolo, centinaia di bambini morti, centinaia di bambini feriti ed altrettante centinaia di bambini rapiti, deportati  in Russia.

    L’Ucraina non era un pericolo per la Russia quando Putin ha deciso di attaccarla annettendone, in modo violento e fraudolento, interi territori. Gli ucraini hanno non solo il diritto ma il dovere di difendersi e così facendo difendono il diritto internazionale, la libertà ed il futuro anche degli altri paesi europei.

    Israele non era un pericolo per i palestinesi, se i musulmani integralisti radicali avessero riconosciuto Israele, come la comunità  internazionale chiede da anni, anche i palestinesi oggi avrebbero uno stato riconosciuto, libertà ed indipendenza.

    Israele non era un pericolo ma da anni Hamas costruiva tunnel per attaccarla e in quel tragico 7 ottobre è entrata, con i suoi terroristi, sul suolo israeliano per commettere atrocità che solo dei mostri imbottiti di droga e con pietre al posto del cuore potevano compiere.

    Oggi quello spaventoso giorno, che ha visto anche bambini decapitati e bruciati vivi, sembra già dimenticato da quanti ricordano solo i civili morti a Gaza senza chiedersi come nessuno nelle striscia abbia visto, per anni, costruire i tunnel o si sia chiesto dove finivano i soldi, i molti soldi, dati ad Hamas per il popolo palestinese e che sono invece stati usati per comperare e costruire armi di attacco e per far vivere lussuosamente, all’estero, i capi  del terrorismo jihadista.

    Memoria corta, troppo corta ma noi non dimentichiamo chi ha tentato di distruggere l’Ucraina, chi sta tentando di distruggere Israele e tenteremo sempre di far tornare la memoria a chi trova comodo dimenticare.

  • A chi giova?

    Tutti coloro che hanno a cuore la vita umana, non solo la propria ma anche altrui, non possono che essere preoccupati, angosciati, per ì civili che sono morti e moriranno a Gaza. Sperando che provino gli stessi sentimenti per i morti israeliani.

    Ciascuno dovrebbe chiedersi perché è cominciato tutto questo sapendo bene che l’inizio è stato il 7 ottobre quando Hamas è entrato in Israele trucidando ragazzi, persone normali e tanti bambini, anziani e donne inermi.

    Se Hamas non fosse entrato in Israele, se non avesse ucciso, secondo le stime attuali, ma sembra non ancora finito il riconoscimento, più di 1400 persone, se Hamas non avesse rapiti 240 ostaggi, se non avesse lanciato un numero enorme di razzi contro Israele, dimostrando di avere a disposizione una grande potenza di fuoco e una moderna tecnologia, come i droni, oggi non ci sarebbero tanti morti e feriti palestinesi.

    Se Hamas avesse usato i forti finanziamenti, arrivati sia dall’Europa che da alcuni paesi arabi, per rendere più giusta la vita degli abitanti di Gaza, mentre invece scavava, da anni, tunnel lunghi chilometri e vere e proprie roccaforti sotterranee per arrivare in territorio israeliano e commettere atrocità delle quali troppo poco si è parlato, se Hamas avesse voluto quella mediazione politica necessaria per raggiungere l’accordo: due popoli, due Stati, oggi, con buona pace di tutti quelli che sfilano bruciando le bandiere israeliane, i morti non ci sarebbero stati, né a Gaza né in Israele

    Se Hamas non avesse avuto da tempo l’obiettivo di cercare di distruggere Israele, Stato che, secondo alcuni, non esiste, non è neppure sulle loro carte geografiche di certi paesi musulmani, se avesse aperto la strada al reciproco riconoscimento, se non fosse collegato con l’Iran, finanziato dal Qatar, blandito dai russi di Putin, se, se, con i se non andiamo da nessuna parte.

    La verità è come una coperta corta che ciascuno tira dalla sua parte ma, con buona pace di Guterres e di quel personale dell’Onu che non si è mai accorto dei tunnel o delle condizioni miserrime dei palestinesi, nonostante i molti sostanziosi aiuti economici, la realtà è inconfutabile: Hamas è entrata in Israele per uccidere, fare più male possibile sapendo che vi sarebbe stata la ovvia reazione dell’esercito israeliano, con le conseguenze che tutti conosciamo.

    La realtà, che non può essere più di tanto manipolata dalle false notizie, è che il piano, concordato non solo con l’Iran, era di cercare di attirare Israele in una strada senza uscita e la Russia ne era ben contenta sia perché è noto il suo antisemitismo sia perché sperava di distogliere l’attenzione dalla turpe guerra che da quasi due anni ha portato in Ucraina.

    Gli antichi romani avrebbero detto: cui prodest? A chi giova?

    Non certo ai civili palestinesi usati come scudi umani, non certo agli israeliani che, in un attimo, si sono trovati meno forti e sicuri ed hanno visto, in gran parte, vanificare i faticosi progressi fatti con l’accordo di Abramo, certo giova ai nemici del diritto, della democrazia, della pacifica convivenza ed anche ai propugnatori di un nuovo ordine mondiale.

    Certo il diritto alla difesa non può portare a perpetrare uccisioni indiscriminate ma se i miliziani di Hamas si nascondono tra i civili ed i miliziani di Hamas continuano a lanciare razzi ed a fare incursioni in territorio israeliano, tenendo prigionieri 240 cittadini, non solo israeliani, cosa deve fare Israele, concedere una tregua per ritrovarsi come al 7 ottobre attaccata proditoriamente!

    Quella parte di comunità internazionale che tanto si agita a condannare Israele, partendo dal ras turco Erdogan, cosa ha fatto o intende fare per rendere inoffensivo Hamas, quando si deciderà a condannarlo?

    Mentre vediamo manifestazioni pro Hamas e contro Israele ci chiediamo perché queste sfilate e prese di posizione, Onu compresa, non le abbiamo viste e non le vediamo per le persone uccise, seviziate, rimaste senza nulla in Ucraina dove i bombardamenti hanno raso al suolo, completamente, numerose città e dove gran parte del terreno ucraino non potrà essere coltivato per anni, portando lo spetro della fame non solo per la popolazione locale ma per i paesi più poveri nel mondo.

    Ma di questo la piazza non parla, non urla e l’Onu è non solo inutile ma pericoloso se non sarà cambiato radicalmente.

    La verità appartiene alla visione della vita che noi o la nostra idea politica o religiosa ci suggerisce, la realtà si basa sui fatti ed è incontrovertibile che Hamas è entrato in Israele per uccidere e per trascinare Israele in guerra, i palestinesi che da anni non hanno avuto la capacità, il coraggio, la volontà di liberarsi di Hamas ne pagano le conseguenze, ma c’è una chiamata di correo per tutti quelli che oggi non condannano Hamas ed ogni terrorismo.

  • Risposte necessarie e condivise

    Sono passati più di 600 giorni dall’attacco di Putin all’Ucraina e la guerra continua con efferata crudeltà, da parte russa, con dispiego di mezzi ed uomini.

    Più di un terzo del territorio Ucraino è inagibile, devastato dalle bombe e minato dai soldati russi per rallentare l’avanzata dell’esercito di Kiev che con coraggio continua a difendere la propria terra.

    Non solo il grano ucraino non può liberamente partire verso quei paesi che ne hanno necessità per sopravvivere ma non può essere coltivato come un tempo, le terre coltivabili sono in parte distrutte e ci vorranno anni per bonificarle, mentre lo spettro della fame aleggia su gran parte del mondo e si moltiplicano le aree di conflitto.

    Lo zar ha cominciato una nuova chiamata alle armi indirizzata alle donne e trova fiato, alla stagnazione della sua campagna criminale, nella guerra che Hamas ha portato in Israele dichiarandosi mediatore per liberare gli ostaggi.

    Basta prendere la cartina geografica per capire da dove parte il grandioso progetto dello zar di ridare al mondo un nuovo ordine, politico, economico, militare, in sintesi un nuovo potere.

    La sempre più stretta amicizia con l’imperatore cinese, l’antico rapporto con il dittatore siriano, la nuova liaison con  Kim Jong-Un con l’arrivo in Russia di armi coreane, i buoni rapporti con Erdogan, che in modo funambolico cerca di giocare una sua partita di peso bilanciandosi tra Nato, Occidente ed il ruolo di mediatore e islamico apparentemente moderato, Libia, dove Putin  ha come riferimento il generale Haftar, vari stati africani, dove le milizie già di Prigozhin supportano vecchi dittatori e nuovi golpisti, e Iran dove il regime di Raisi gli fornisce droni a non finire. Né si devono dimenticare i rapporti con un certo numero di paesi dell’America Latina ed altre varie amicizie, più o meno palesi, in varie parti del mondo, compresi i paesi occidentali, lo stesso Orban mina la coesione europea a favore di Kiev.

    Nello stesso tempo il pericolo evidente di un allargamento del conflitto mediorientale può distrarre, in parte, l’attenzione occidentale dalla guerra in Ucraina e l’altrettanto grave pericolo del ritorno del terrorismo in Europa costringe ad un dispiego di mezzi e risorse per la sicurezza interna.

    Da queste brevi considerazioni dovrebbe nascere in tutti, specialmente nelle forze politiche e nei media, la necessità di concentrarsi su quanto è veramente preoccupante.

    Vi è ora, più che mai, la necessità di risposte condivise e ponderate, sembra invece che, come in altre occasioni, per altro di minor pericolo, troppi concentrino dichiarazioni ed azioni su presunti e pretestuosi interessi di parte, non si guardi, perciò, con stupore alla disaffezione al voto della maggioranza degli elettori.

  • Adesso è tutto chiaro

    Dopo le dichiarazioni del segretario delle Nazioni Unite Guterres è chiaro il motivo per il quale le Nazioni Unite da tempo non contano più nulla e non ottengono risultati, anzi aggravano i problemi.

    Se da un lato è giusto e doveroso preoccuparsi per i civili palestinesi, quelli che non sono complici e correi di Hamas, è improvvido, sbagliato, pericoloso, è una negazione di quanto Israele ha subito, pronunciare le parole che Guterres ha detto alle Nazioni Unite, parole che di fatto giustificano gli eccidi, le torture, le violenze perpetrate da Hamas il 7 ottobre.

    La richiesta di dimissioni di un uomo che di fatto ha reso le Nazioni Unite un organismo inutile ed imbelle e che, con le ultime dichiarazioni, fa da sponda al terrorismo non solo è legittima ma necessaria.

  • Hamas e Israele: chi ha davvero interesse alla pace?

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Dario Rivolta apparso su notiziegeopolitiche.net

    Dopo la sanguinosa carneficina perpetrata da Hamas dentro il territorio di Israele, gli israeliani sono assetati di sangue e nessun governo, né quello al potere prima dell’attacco né quello attuale di unità nazionale, potrà permettersi di tornare alla situazione precedente o limitarsi a una vittoria di facciata contro Hamas.

    Tuttavia, una invasione di terra con l’obiettivo di “eliminare del tutto” Hamas prospetta danni molto più gravi di quanto la rabbia dei primi momenti avrebbe suggerito. Si verificherà una catastrofe umanitaria, morale e strategica. La striscia di Gaza è un’entità con la densità di popolazione tra le più alte al mondo e Gaza city è abitata da più di un milione di persone. Anche chi volesse andarsene prima dell’invasione non saprebbe realmente dove recarsi (il valico di Rafah con l’Egitto resta chiuso e gli ospedali e le maggiori infrastrutture si trovano solo nella capitale). Di certo l’ingresso di migliaia di soldati israeliani non sarà accolto con giubilo dalla popolazione locale e ciò che sarà più probabile è un combattimento casa per casa.  Ci saranno cecchini, attentatori suicidi e esplosivi improvvisati. Le vittime non potranno che essere migliaia e, se pur tra loro ci saranno militanti del gruppo terrorista, la maggior parte dei morti sarà tra i cittadini inermi. Ciò rafforzerà ancora di più i sentimenti anti israeliani in tutte le popolazioni arabe del medio oriente e nessun governo locale, nemmeno il più moderato, avrà il coraggio di ostacolare o di scoraggiare le manifestazioni.

    In un mio altro articolo del maggio 2021 sostenevo che lo status quo di allora fosse l’unica soluzione possibile anche se non l’ottimale. Purtroppo oggi anche quell’ipotesi non sembra più percorribile e Hamas è il primo a non volerlo sperando che un possibile allargamento del conflitto porti veramente alla distruzione (o al drastico ridimensionamento) di Israele.

    La situazione e le conseguenze che potrebbero derivarne è molto delicata e pericolosa, non solo per gli israeliani ma anche per tutto il mondo occidentale. Ciò nonostante, io non ho alcun dubbio: voglio che Israele esista e prosperi e trovo che noi europei non abbiamo scelta alternativa. Io sto con Israele.

    *Già deputato è analista politico ed esperto di relazioni e commercio internazionali

  • L’unica soluzione? Il riconoscimento dei due Stati, Israele e Palestina

    Lo si dice da anni, lo si ripete in ogni occasione di conflitto o di azioni terroriste, una litania che rischierebbe di diventare patetica se non esprimesse una sacrosanta verità negata, nei fatti, da molti di quelli che la pronunciano.

    E’ il mondo arabo, o almeno la maggior parte di esso, nel suo complesso e nelle sue diverse forme organizzative, che ha negato ai palestinesi il loro diritto a vivere in uno stato indipendente e riconosciuto nel momento nel quale, per decenni, si è rifiutato di riconoscere Israele.
    Anche l’Occidente ha le sue colpe nel non avere fatto comprendere al mondo arabo moderato i pericoli di lasciare nel limbo del non riconoscimento sia Israele che i palestinesi, nel non aver controllato come si usavano i molti soldi inviati come aiuti umanitari, nel non avere portato fino in fondo la guerra al terrorismo, nel non avere approntato in Europa regole comuni per l’immigrazione e per il rispetto delle regole e delle leggi europee.
    I più o meno recenti accordi di Abramo, i quali seguono altri tentativi di accordi siglati e disattesi, che sembravano aprire finalmente la strada per arrivare al riconoscimento di Israele e di conseguenza della Palestina, sono stati sabotati nel sangue che Hamas ha scientemente, e con inaudita ferocia, versato in Israele nel tentativo di fare imboccare a tutti una strada senza ritorno.
    Hamas pur avendo usato i soldi degli aiuti umanitari, che arrivavano da gran parte del mondo, Europa in testa, per dotarsi di nuove armi e di fabbriche per incrementare il suo arsenale di  guerra, invece che per dare migliori condizioni di vita ai palestinesi, non avrebbe potuto preparare un piano così efferato e preciso se non avesse avuto a monte il fattivo sostegno di altre potenti realtà, non soltanto dell’Iran.
    L’Iran, messo in difficoltà dalle proteste interne, nell’ultimo anno diventate più evidenti e ormai all’attenzione mondiale, non poteva aspettare oltre visti i colloqui e le intese che si andavano costruendo anche  tra Arabia Saudita ed Israele.
    Stabilizzare il Medio Oriente creando condizioni di civile convivenza, di sicurezza per Israele e di maggiore benessere per i palestinesi, non era e non è un obiettivo né degli islamisti radicali, né del terrorismo islamista, sia esso al Qaeda o  Isis, ma neppure di quelle  potenze che, negli ultimi anni, stanno cercando di creare sinergie per dare vita ad un nuovo sistema mondiale sia politico che economico.
    Gli incontri tra Putin e il presidente cinese, la guerra che lo zar ha scatenato contro l’Ucraina, la sempre più forte penetrazione in vari paesi africani sia da parte cinese che russa, anche se con metodi diversi, fanno parte di un ampio disegno che vede nell’attacco ad Israele, senza pari per violenza ed capacità organizzativa, un nuovo spaventoso scenario nel quale tutti possono restare coinvolti ma solo alcuni hanno l’arma, che potrebbe diventare vincente, del ricatto e del terrore.
    Siamo tutti consapevoli che nei bombardamenti su Gaza soffriranno migliaia di civili che perderanno la casa se non la vita, ma dobbiamo essere altrettanto consapevoli che da Gaza continuano a piovere missili su Israele, assediata anche dagli Hezbollah e non solo.
    Siamo consapevoli che Israele non può, come nessuno stato può, che reagire con estrema fermezza alla mattanza fatta dai terroristi di Hamas perché non può ignorare il disegno, che esiste da sempre, di distruggerla e che la chiamata alla jihad è un pericolo per tutto il mondo, non lo può ignorare Israele e non lo possiamo ignorare noi.

    Né si possono ignorare le manifestazioni che sono state tenute in vari paesi, Italia compresa, a favore dei palestinesi, di Hamas ed inneggianti la distruzione di Israele. Legittimo, anzi giusto chiedere attenzione per i civili palestinesi, per la loro salvezza, barbaro non avere pietà e rispetto per le persone, i bambini trucidati da Hamas.

    I tanti, Cina compresa, che chiedono, con più o meno arroganza e mistificando le realtà, che gli israeliani non entrino a Gaza perché non chiedono ad Hamas di cessare il lancio di razzi contro Israele? Perché non condannano, senza se e senza ma, quello che Hamas ha fatto ad Israele e contro gli stessi palestinesi?

    Chiedere pace bruciando le bandiere di Israele e non condannando il terrorismo è la strada per ancora più odio e guerra.

    La doppia verità è sempre menzogna e l’arma del terrore deve essere distrutta perché tutti possano aspirare ad un mondo nel quale diritti umani, libertà e sicurezza non siano soltanto parole.

  • Un altro e preoccupante conflitto in corso

    La guerra non restaura diritti, ridefinisce poteri.

    Hannah Arendt

    Circa tre mila anni fa era una regione popolata da tribù nomadi. Ma anche da diverse popolazioni che si sono stabilizzate in una vasta area, parte della quale era desertica. Popolazioni che erano ben organizzate dal punto di vista sociale e della gestione del potere. In quella vasta regione c’erano però anche degli insediamenti urbani molto più antichi. Dati storici affermano comunque che circa 3200 anni fa in quel territorio si stabilirono, altresì, dei coloni che arrivarono dalla vicina isola di Creta. In quel periodo tutta la regione era controllata dagli egizi. Poi è stata occupata e dominata da diversi invasori durante l’antichità. Sempre dati storici alla mano, risulta che i primi sono stati gli assiri dall’830 a.C.. In seguito, nel 597 a.C., la regione è stata occupata dai babilonesi fino al 332 a.C., quando sono arrivati i macedoni di Alessandro Magno. Nei secoli successivi parte della regione entrò sotto il controllo di alcuni sovrani della Grecia antica. Poi, nel 63 a.C., arrivarono i romani. Circa sette secoli dopo la regione cadde nel dominio degli arabi. Un dominio, quello arabo, che è stato interrotto dall’arrivo degli eserciti del Impero ottomano nel 1517. All’inizio del ventesimo secolo, quando l’Impero ottomano cominciò a indebolirsi, la regione entrò sotto il controllo del Regno Unito. Ed è proprio quella regione dove si svolgono tutte le storie, dove vivono ed operano tutti i personaggi, profeti e santi, compreso anche Gesù Cristo, che sono state molto bene testimoniate nelle Sacre Scritture. Una regione, nota anche come la Terra Santa dalle tre maggiori religioni monoteiste, l’ebraismo, il cristianesimo e l’islam, dove, per circa tre mila anni, hanno vissuto gli ebrei ed i palestinesi.

    Per dei motivi ben noti, testimoniati dalle Sacre Scritture e legati alla vita, alla crocifissione e alla risurrezione di Gesù Cristo, gli ebrei sono stati perseguitati e costretti a lasciare i territori in cui hanno vissuto per molti secoli. Mentre i palestinesi sono rimesti in quei territori che condividevano anche con gli ebrei. Molti degli ebrei sono arrivati in Europa ed in Russia. In molte città dove si sono insediati hanno vissuto quasi sempre confinati in quelli che sono noti come i ghetti degli ebrei. Ma dalla seconda metà del diciannovesimo secolo cominciò un ritorno degli ebrei nelle terre dei loro antenati. Tutto è dovuto ad una proposta, fatta nel 1840, dall’allora primo ministro del Regno Unito, Lord Palmerson. Egli lanciò l’idea di istituire un insediamento permanente per gli ebrei nel territorio della Palestina. Secondo il proponente, quel rientro degli ebrei nei territori da loro lasciati sulla costa orientale del mare Mediterraneo doveva permettere al Regno Unito di mantenere sempre aperta “la Porta d’Oriente per i commerci e le truppe inglesi”. Passarono non più di una ventina di anni e si verificarono i primi flussi di rientro degli ebrei, molti dei quali partiti dalla Russia, nei territori dove la maggior parte della popolazione era quella arabo palestinese. Loro, una volta arrivati, compravano dei territori e lì si stabilivano. All’inizio tutto progrediva tranquillamente, ma i palestinesi, con il passare del tempo, cominciarono a preoccuparsi di un simile e crescente flusso di rientro degli ebrei. Era il 1891 quando ebbero inizio le prime proteste dei palestinesi contro la vendita dei terreni agli ebrei. Tre anni dopo in Francia scoppiò uno scontro politico e sociale, noto come Affaire Dreyfys (Affare Dreyfus). Uno scontro che continuò dal 1894 al 1906. Tutto era legato ad un processo giudiziario contro un capitano dell’esercito, di origine ebrea, Alfred Dreyfus, condannato con l’accusa di tradimento e spionaggio a favore della Germania, il nemico storico della Francia. Già dall’inizio del processo erano non pochi coloro che difendevano e proclamavano innocente il capitano ebreo Alfred Dreyfus. Tra loro anche Émile Zola, che il 13 gennaio 1898 scrisse una lettera aperta nel giornale L’Aurore, intitolata J’accuse (Io accuso). Con quella lettera aperta il noto scrittore francese difendeva l’innocenza di Dreyfus. Ebbene dovevano passare ben dodici anni prima che venisse riconosciuta finalmente l’innocenza di Dreyfus. Prendendo spunto dall’Affare Dreyfus, un altro scrittore, l’ungherese Theodor Herlz, scrisse e pubblicò nel 1896 un libro intitolato “Lo Stato degli ebrei”. Un libro con il quale l’autore si metteva contro un crescente movimento antisemita in Europa e auspicava che gli ebrei potessero avere uno Stato indipendente nella loro “Terra dei padri”. Nel frattempo in diversi Stati europei  era nato il sionismo, un movimento politico e religioso che chiedeva la costituzione di “uno Stato ebraico sovrano ed indipendente” in cui potevano ritornare per ricongiungersi tutti gli ebrei che si trovavano in vari Paesi europei, in Russia ed altrove. Ebbene, soltanto un anno dopo la morte di Theodor Herlz, il settimo congresso internazionale sionista decise che lo Stato indipendente degli ebrei doveva essere costituito in Palestina. In quel periodo Israel Zangwill, uno dei dirigenti del movimento sionista affermava che “La Palestina è una terra senza popolo per un popolo senza terra”. Mentre David Ben Gurion, il fondatore, il 14 maggio 1948, dello Stato d’Israele ed il suo primo ministro, affermava circa all’inizio delle attività del movimento sionista, che la Palestina era “primitiva, abbandonata e derelitta”. Da dati ufficiali risultava che nel 1906 in Palestina si trovavano circa 645.000 arabi palestinesi e 55.000 ebrei. Bisogna sottolineare che per gli ebrei la “Terra dei padri” era proprio la “Terra promessa” di cui si fa ampiamente riferimento nelle Sacre Scritture. Gli ebrei rientrati nel territorio della Palestina nel 1909 istituirono il primo villaggio in cui gli abitanti condividevano la terra che lavoravano insieme. Quel tipo di villaggio è stato nominato kibbutz (parola ebraica che significa comune, riunione; n.d.a). Da dati storici risulta che tra il 1908 ed il 1913 sono state istituite nel territorio palestinese undici nuove colonie di ebrei. Il che suscitò delle forti reazioni dei palestinesi che erano diventati convintamente contrari alla vendita dei terreni agli ebrei. Ragion per cui, sempre dati storici alla mano, i rapporti tra gli arabi palestinesi e gli ebrei, che prima convivevano pacificamente, con il passare del tempo, diventarono sempre più agguerriti. E la storia ci insegna che dall’inizio del secolo scorso ad oggi i rapporti tra le due popolazioni sono tutt’altro che pacifici.

    La storia, questa grande maestra, ci insegna che le scelte fatte e le decisioni prese, soprattutto dagli Stati grandi ed importanti nell’arena internazionale, nel bene e nel male, sono sempre motivate e/o condizionate da ragioni geopolitiche e geostrategiche. E proprio per garantire una significativa e continua presenza del Regno Unito nel territorio palestinese, il 2 novembre 1917, l’allora ministro degli Affari esteri Arthur James Balfour scrisse una lettera ad uno dei fondatori del movimento sionista, Lord Rotschield. Quella lettera, nota anche come la Dichiarazione Balfour, ormai viene considerata anche come l’avvio dei rapporti di collaborazione tra il Regno Unito ed il movimento sionista. In quella lettera si confermava che “Il governo di Sua Maestà vede favorevolmente la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico e si adopererà per facilitare il raggiungimento di questo scopo, essendo chiaro che nulla deve essere fatto che pregiudichi i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche della Palestina, né i diritti e lo status politico degli ebrei nelle altre nazioni”. Bisogna evidenziare che il territorio dove si doveva costituire quel “focolare nazionale per il popolo ebraico” era ancora sotto il dominio dell’Impero ottomano che, in quel periodo, si stava però sgretolando. Era un territorio dove si trovavano quella che ormai è nota come la Cisgiordania, la parte meridionale dell’attuale Libano, la Striscia di Gaza e le alture del Golan. La dichiarazione Balfour è stata una breve lettera, ma molto apprezzata dal movimento sionista. Nel frattempo, più di un anno prima, visto il continuo e vistoso indebolimento dell’Impero ottomano, si sono incontrati i rappresentanti della Francia e del Regno Unito, con il pieno consenso  della Russia. Dovelano prendere delle decisioni geostrategiche, in base alle quali stabilire e sancire anche le zone di influenza nel Medio Oriente. Il 16 maggio 1916 sono stati firmati segretamente quegli che ormai sono noti come gli Accordi Sykes-Picot (dai nomi dei rappresentanti del Regno Unito e della Francia; n.d.a.). Secondo quegli Accordi, il territorio della Palestina viene messo sotto il controllo del Regno Unito. La dichiarazione Balfour è diventata parte integrante anche del Trattato di Sèvres. Con quel trattato, firmato a Sèvres (cittadina francese; n.d.a.) il 10 agosto 1920, si ufficializzava la resa dell’Impero ottomano e si stabilivano i rapporti tra la Turchia e i vincitori della prima guerra mondiale. Anche nel Trattato di Sèvres il territorio della Palestina veniva assegnato e messo sotto il controllo del Regno Unito. Dal primo censimento ufficiale della popolazione, svolto nel 1919, risultava che lì abitavano circa 700.000 arabi e 70.000 ebrei. In seguito, nel luglio 1922 la Società delle Nazioni riconosceva il diritto al Regno Unito, assegnandogli anche un apposito mandato ufficiale, di preparare la costituzione di uno Stato nazionale ebraico. Sempre dati alla mano, tra il 1924 ed il 1928 risulta che più di 60.000 altri ebrei sono rientrati nei territori della Palestina. La storia ci testimonia che da allora si sono accentuati gli attriti tra i palestinesi e gli ebrei. I palestinesi consideravano gli ebrei come degli intrusi ed invasori. Mentre gli ebrei finalmente si ritrovavano nella “Terra dei padri”, nella Terra promessa da Dio.

    Nel periodo tra le due guerre mondiali, gli ebrei  sono continuati a ritornare nel territorio a loro assegnato. Nel 1936 i palestinesi cominciarono quella che è nota come la Grande rivolta contro il sionismo ed il controllo del territorio da parte del Regno Unito. La reazione britannica è stata molto dura. Nel frattempo però, in Germania prima e poi in altri Paesi europei, dopo l’approvazione nel settembre 1935 delle due leggi di Norimberga, comincia la persecuzione degli ebrei. Purtroppo durante la seconda guerra mondiale gli ebrei hanno subito delle ineffabili atrocità nei campi di sterminio di massa. Ragion per cui in seguito tutti quelli che sono riusciti a sopravvivere, ma anche gli altri che erano riusciti a mettersi in salvo, sentivano il bisogno di avere un loro Paese dove vivere in pace. Ragion per cui, nell’aprile del 1947 l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha nominato una apposita commissione d’inchiesta internazionale, il cui rapporto, in seguito, ha raccomandato la creazione di uno Stato ebraico e uno Stato arabo in Palestina. Il 14 maggio 1948, si costituisce lo Stato d’Israele. Ma da allora molti scontri armati si sono svolti tra gli ebrei e gli arabi, sia quelli palestinesi che di altri Paesi con loro confinanti.

    L’ultimo conflitto armato è stato avviato sabato scorso, 8 ottobre. Un conflitto che è cominciato dopo l’attacco con razzi da parte dei militanti dell’organizzazione Hamas (l’acronimo di Harakat al-Muqawwama al-Islamiyya – Movimento Islamico di Resistenza; n.d.a.). Sono stati centinaia i morti già dopo le prime ore dell’attacco. Soprattutto cittadini israeliani, ma sono stati presi in ostaggio più di cento altri cittadini ebrei e altri con doppia nazionalità. In seguito è stata durissima anche la risposta dell’esercito israeliano che ha causato centinaia di morti nella Striscia di Gaza. Oggi, al quinto giorno di quella che il primo ministro d’Israele ha considerato come una guerra, il numero delle vittime purtroppo sta aumentando, sia israeliani che palestinesi. Ieri, 10 ottobre sono stati trovati morti in un kibbutz anche circa 40 bambini, alcuni di essi decapitati. Orrori della guerra che continua e che, dall’inizio, ha attirando tutta l’attenzione pubblica, politica e mediatica.

    Chi scrive queste righe ha scelto di non riportare le tante e continue notizie che ora dopo ora molte agenzie stanno diffondendo in tempo reale di quest’altro e preoccupante conflitto in corso. Egli, continuerà a seguire gli sviluppi e riferire ai nostri lettori. Chi scrive queste righe, come la storia ci insegna e come affermava Hannah Arendt, è convinto che, purtroppo, la guerra non restaura diritti ma ridefinisce poteri.

  • Difendere Israele e l’Ucraina imperativo per tentare di garantire il futuro di chi crede nella civiltà

    Dopo gli orrori di Bucha  e dei troppi luoghi ove si è accanita la crudeltà e l’efferatezza di alcuni reparti russi, nella criminale guerra di Putin, ecco ora gli orrori che gli islamisti hanno commesso in Israele, trucidando persone inermi e decine e decine di bambini, alcuni di questi, secondo le notizie apparse su diversi media, sono stati sgozzati e decapitati.

    Difficile trovare parole idonee per condannare questo orrore, difficile pensare in modo razionale, non farsi prendere dall’odio.

    Chiedere giustizia sembra ormai inutile perché di fronte al terrore, ad uomini che non hanno remore del dichiararsi terroristi o di comportarsi come tali, di farsi saltare in aria o di mandare a sicura morte altri uomini incuranti di ogni principio comune, di ogni pietà e rispetto, le leggi, le associazioni internazionali sembrano non avere più capacità di intervento, oltre alle solite dichiarazioni.

    Gli antichi dicevano “se vuoi la pace prepara la guerra” e tutto il nostro difficile tentativo, protrattosi nei secoli, per arrivare a una società che riconoscesse la civiltà come bene comune deve riportarci a considerare quella frase, purtroppo, ancora attuale.

    Difendere Israele come difendere l’Ucraina sono imperativi per tentare di garantire il nostro futuro di italiani, di europei, di donne e uomini che credono nella civiltà.

    Il terrore non ci deve impaurire e piegare, non ci sono né se né quando la stessa civiltà è messa in serio pericolo: in poche ore siamo tornati indietro nel tempo prima in Ucraina ed ora in Israele.

    Le risposte, anche le più cruente, al terrorismo ed alla violenza contro civili, contro bambini, non sono solo giustificate ma necessarie perché le belve umane sono le più sanguinarie e pericolose che esistono e solo rendendole inoffensive, definitivamente, il mondo ritroverà quella civiltà che loro stanno tentando di sopprimere.

  • In attesa di giustizia: un verdetto evitabile?

    In Israele è tempo di pesanti contestazioni per la riforma della Giustizia proposta dal Premier Netanyahu e questa settimana, subito dopo la Pasqua, può essere stimolante ed originale trattare proprio del più famoso e controverso processo mai celebrato in Israele, quello a carico di Yehoshua ben Yosef (Gesù figlio di Giuseppe) e della sua condanna a morte: un argomento che costituisce ancor oggi terreno di scontro tra diverse culture.

    Chi fu l’artefice di quella condanna?

    A chi ascrivere il “peso” di una sentenza finale percepita ancora come massimamente ingiusta?

    Non esiste una risposta univoca e gli stessi Evangelisti diversificano molto il giudizio.

    Matteo, giudeo che scriveva per i giudei, non esita a responsabilizzare in modo diretto non solo il Sinedrio ma tutto il popolo ebraico, reo di aver chiesto che si versasse il sangue del Cristo; Giovanni, invece, offre una rilettura di Pilato in chiave quasi assolutoria tramandando la famosa risposta che Gesù gli diede negli ultimi momenti del loro faccia a faccia: “…chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande”.

    La materia è da trattare con grande prudenza, senza dimenticare che un’interpretazione distorta è stata presa a pretesto per la persecuzione di un intero popolo: ma è un ambito in cui le omissioni potrebbero essere esse stesse una colpa.

    Il sistema giudiziario giudaico nel 30/36 d.C. non prevedeva l’esecuzione della pena capitale. O, meglio, il potere di infliggere la pena di morte era riservato alla sola autorità romana, quale forza occupante.

    Conosciamo storicamente l’uso della lapidazione, ma a quei tempi era piuttosto una reazione immediata della gente in caso di flagranza di “delitti religiosi” quali la bestemmia e l’adulterio.

    Gesù, invece, doveva essere innanzitutto processato attesa la mancata flagranza, e l’eventuale condanna capitale non poteva che essere deliberata ed eseguita dall’autorità romana. Su questo non c’è dubbio.

    La richiesta di condanna a morte, tuttavia, giunse – senza un vero e proprio processo – dalla folla che fronteggiava Pilato nel pretorio, chiedendo il rilascio di Barabba e gridando con forza, riferita al Cristo, “crucifige!”.

    Certo, non fu tutta Gerusalemme ma coloro che accolsero il prevedibile invito di Caifa e degli altri notabili del Sinedrio: diversamente non si capirebbe come una intera città che, appena una settimana prima, aveva osannato Gesù mentre percorreva le strade a dorso di mulo gli si fosse rivoltata contro volendolo morto.

    Fatta questa puntualizzazione occorrerà chiedersi se il Governatore romano avrebbe potuto salvare la vita dell’imputato eccellente. In teoria sì, In pratica no.

    Leggendo i Vangeli, si ricava che Pilato tentò sicuramente di “allungare il brodo” (come diremmo oggi). Temporeggiò, trattò, lusingò e l’invio del prigioniero da Erode Antipa fu sicuramente un tentativo di aggirare la caparbietà del Sinedrio. Ma il punto di non ritorno, più che il “crucifige!”, fu costituito dalla frase che la folla gli urlò contro: “Se liberi costui non sei amico di Cesare!”.

    Immaginiamo la situazione: Ponzio Pilato, incaricato dall’imperatore Tiberio (Cesare, appunto) come Autorità Territoriale della Giudea, che viene sostanzialmente minacciato dal popolo di accusarlo per alto tradimento se si ostinerà a difendere un “bestemmiatore” sconosciuto.

    Davanti a tali argomenti e prospettive nulla avrebbe potuto fare Pilato, nulla di diverso da quello che fece.

    Ma Gesù avrebbe potuto veramente salvarsi? La risposta corretta a tale domanda sembra essere negativa.

    Gesù avrebbe potuto salvarsi solo a condizione che “il calice gli fosse passato davanti” senza essere bevuto. Ma quell’amaro calice da bere era il prezzo per il riscatto dell’intera umanità e andava bevuto.

    E questo è, forse, il punto: l’obbedienza di Gesù alla volontà del Padre era un cardine ineludibile. I comportamenti degli uomini furono sicuramente importanti, perché nulla opposero con il loro libero arbitrio, eppure, al contempo, consequenziali segmenti di un piano che trascendeva il loro potere.

    Ognuno tragga le proprie conclusioni sulle responsabilità dei protagonisti che abbiamo ricordato ma, forse, una sola è la certezza: se il verdetto era evitabile, tuttavia Gesù doveva morire.

  • Earliest evidence of opium use found in burial site in Israel

    Evidence of the earliest use of the narcotic opium has been found in an ancient burial site in Israel.

    Traces were discovered by archaeologists in pottery vessels at the complex in Yehud, about 11km (7 miles) south-east of Tel Aviv.

    They say the containers date back about 3,400 years, apparently having been used in local burial rituals.

    The site was used by inhabitants during the period when the land was known as Canaan.

    The vessels had been unearthed in 2012 when the site was excavated by the Israel Antiquities Authority (IAA), but the latest findings are the result of a new study by the IAA, Tel Aviv University and The Weizmann Institute of Science.

    It is believed the opium was grown in what is modern-day Turkey and brought to Yehud via Cyprus. The receptacles themselves were made in Cyprus, the report says. Described as Base-Ring juglets, they were part of a number of pottery vessels thought to have been given to accompany the dead into the afterlife.

    They are shaped like inverted closed poppy flowers, which had long ago given rise to the hypothesis that such vessels were used in rituals for the drug. The discovery at Tel Yehud marks the first time actual traces have been found in this type of jug.

    “It may be that during these ceremonies, conducted by family members or by a priest on their behalf, participants attempted to raise the spirits of their dead relatives in order to express a request, and would enter an ecstatic state by using opium,” said Dr Ron Beeri of the IAA.

    “Alternatively, it is possible that the opium, which was placed next to the body, was intended to help the person’s spirit rise from the grave in preparation for the meeting with their relatives in the next life.”

    Two years ago, researchers identified as cannabis a substance found in a 2,700-year-old temple in Tel Arad in south-east Israel. They said it might have been used in religious rituals by ancient Israelites.

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