Israele

  • Dal mare al fiume, l’idea di Israele per liberare la Palestina da Hamas

    Dal fiume al mare, dicono quelli che vogliono completare la soluzione finale lasciata incompiuta negli anni Quaranta, intendendo con quelle parole significare la cacciata di tutti gli ebrei tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo, cioè la distruzione di Israele. Ma dal mare al fiume potrebbe essere chiamata l’idea di Israele per liberare la Striscia di Gaza dai terroristi del gruppo armato palestinese islamista Hamas e della Jihad islamica.

    Le operazioni delle Forze di difesa israeliane (Idf) nella Striscia di Gaza, secondo quanto riferito dal generale Yaron Finkelman, capo del Comando sud delle Idf, hanno condotto i soldati israeliani “nel cuore di Jabaliya, nel cuore di Shejaiya e, da oggi, anche nel cuore di Khan Younis”, la città più grande nel sud della Striscia, considerata da Israele una delle roccaforti del movimento islamista palestinese Hamas. Le Idf starebbero valutando l’ipotesi di pompare acqua di mare nella rete di tunnel di Hamas a Gaza, secondo quanto riferisce il quotidiano statunitense “Wall Street Journal”. Cinque grandi pompe sono già state montate a nord del campo profughi di Al Shati nell’ultimo mese, ciascuna in grado di pompare migliaia di metri cubi di acqua di mare nei tunnel. Da parte loro, le Brigate Qassam, l’ala armata di Hamas, hanno affermato sul loro canale Telegram di aver colpito obiettivi delle Idf nell’area di Khan Younis, distruggendo totalmente o parzialmente 24 veicoli e riempiendo di esplosivo un edificio contenente una postazione dell’esercito israeliano, causandone il completo crollo.

    Dall’inizio della guerra tra Israele e il gruppo islamista il 7 ottobre scorso, sono morti circa 1.200 civili israeliani e 9.460 sono rimasti feriti. Secondo quanto si apprende, oltre 11.500 raffiche di razzi sono state lanciate verso il territorio israeliano. È salito invece a 15.900 il bilancio dei morti negli attacchi delle Idf a Gaza dall’inizio della guerra, secondo l’ultimo annuncio della ministra della Sanità dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Mai al Kaila. Secondo le stime del governo di Hamas sarebbero invece 16.248.

    Proseguono nella regione le preoccupazioni per un eventuale allargamento del conflitto. Il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, ha affermato che “le atrocità commesse dall’esercito israeliano nel conflitto nella Striscia di Gaza non si devono trasformare in una guerra che coinvolge tutta la regione del Golfo”. Erdogan è intervenuto in occasione del 44esimo vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc) in corso a Doha, in Qatar, durante il quale diversi leader regionali affronteranno varie questioni politiche ed economiche, in particolare il conflitto in corso tra il movimento islamista palestinese Hamas e Israele nella Striscia di Gaza. Nel suo intervento, Erdogan ha dichiarato: “La Turchia confida in un cessate il fuoco permanente e nella creazione di uno Stato sovrano palestinese indipendente”, aggiungendo che “l’amministrazione Netanyahu è pericolosa perché sta mettendo a rischio la sicurezza e il futuro di tutta regione del Golfo, a causa dei suoi calcoli politici errati”.

  • Per Erdogan anche in guerra c’è una legge, ma non lo ricorda a Putin

    Erdogan, riferendosi ad Israele e, come al solito, attaccandolo, dice “anche in guerra c’è una legge.”

    Perché non lo ricorda al suo amico Putin che da quasi due anni sta massacrando il popolo ucraino senza alcuna giustificazione se non la sua brama di sangue e potere!

    Secondo Erdogan sono diversi dai palestinesi i civili bombardati in Ucraina, i bambini morti o rapiti, gli ospedali o le case e le chiese rase al suolo, il grano, necessario anche ad altri paesi affamati, bruciato dalle bombe russe, le donne stuprate, i civili torturati? Certo non sono musulmani gli ucraini e forse perciò sono meno interessanti per il leader turco che continua, nonostante l’età, a sognare di essere un riunificatore del mondo arabo e musulmano mentre nelle sue carceri sono detenuti giornalisti, uomini di pensiero, un gran numero di coloro che non la pensano come lui, come ogni dittatore imprigiona la protesta per non confrontarsi con la realtà ma non si possono, in eterno, far stolti gli dei per far brillare come giuste le proprie colpe.

  • L’università e la banda dei quattromila

    Risulta sempre molto difficile individuare la corretta definizione di cultura, in quanto molto spesso questa si può più agevolmente identificare  attraverso l’individuazione di  “comportamenti elevanti” dei singoli più che  da generiche  figure retoriche.

    La cultura, per propria natura, rappresenta un valore aggiunto e fornisce gli strumenti idonei per adottare  comportamenti i quali trascendano dai banali interessi di schieramenti politici ed ideologici. La sua acquisizione, quindi, dovrebbe sempre assicurare il conseguimento dell’obiettivo principale di questo valore, rappresentato dalla possibilità di un confronto umano e dialettico anche tra esponenti con posizione  opposte ed anche estreme.

    Al tempo stesso risulta assai facile accorgersi della sua assenza, basti ricordare la recente follia massimalista  espressa con il  divieto opposto all’esibizione di concertisti ed artisti in quanto nel DNA presentavano una  “russa” colpa,  cioè di rappresentare il paese  di Putin.

    Una scelta anticulturale e contemporaneamente un esempio classico di come in quei momenti la politica si sia dimostrata assolutamente incapace di assicurare anche il minimo flusso culturale garantito dalla stessa performance dell’artista.

    Tuttavia, la peggiore versione dell’anticultura (la negazione di tutti i valori che la cultura invece dovrebbe assicurare) viene ora rappresentata da quel mondo universitario impregnato di ideologia e massimalismo politico il quale chiede di interrompere ogni rapporto culturale e di confronto con le università israeliane.

    In questo contesto andrebbe ricordato ai quattromila (4.000) eruditi docenti universitari come un qualsiasi mondo accademico nazionale non possa venire identificato con l’indirizzo politico dello Stato, sia esso  dislocato tanto in Corea del Nord, Cina.  Israele o Stati Uniti.

    Al contrario, l’università, se veramente democratica, può talvolta venire definita come la rappresentazione,  anche se  parziale, di una variegata cultura contemporanea, ma non certo l’espressione di una realtà politica e governativa  nazionale.

    Questa degradante richiesta si rivela come la classica affermazione di quella anticultura, per di più in ambito accademico, e si conferma come l’antitesi di quel “comportamento elevante”  a cui si faceva riferimento prima. Un comportamento che, proprio grazie alla disponibilità di strumenti culturali, dovrebbe permettere alle persone di elevarsi a latitudini ben superiori rispetto alle terrene contrapposizioni politiche ed ideologiche espresse dalla “banda dei quattromila”.

    Mai come ora questa porzione del mondo accademico si rivela come una  mediocre espressione di quella anticultura nella sua forma più mediocre in quanto questa dimostra di non possedere il livello minimo di strumenti culturali i quali permetterebbero il mantenimento di un canale aperto e praticabile all’interno del quale valorizzare la possibilità di un confronto dialettico rispetto al contesto politico ed  ideologico.

    Il declino di un paese trova le proprie conferme proprio là dove dovrebbe regnare la cultura come valore aggiunto, ed invece si rivela il terreno di conquista di una qualsiasi “banda dei quattromila”.

  • Inutili oggi i se ed i ma

    In un giorno Hamas, il 7 ottobre, ha ucciso 1400 persone in Israele, donne stuprate ed uccise con bambini, vecchi, uomini che stavano facendo  la loro vita.
    In 35 giorni di guerra Israele ha ucciso, secondo i dati, da verificare, diffusi da Hamas, circa 10.000 persone, una parte di queste sono miliziani e dirigenti di Hamas.
    Se Israele avesse applicato i sistemi di Hamas, non con la crudeltà dei terroristi ma con più energiche azioni di guerra, seguendo i numeri e le percentuali del 7 ottobre, i morti sarebbero stati quasi 50.000, ma sembra che nessuno faccia qualche calcolo.
    Se Hamas non avesse attaccato ed ucciso i civili israeliani non ci sarebbero stati, nella striscia di Gaza, né morti né la distruzione di gran parte della città.
    Se Hamas non avesse impedito ai civili di scappare non ci sarebbero stati tante vittime civili, se Hamas non avesse costruito i tunnel sotto case, scuole, ospedali non ci sarebbero stati così sanguinosi bombardamenti, se avesse fatto riparare i civili, come ha fatto l’amministrazione Ucraina, le vittime sarebbero molte meno.
    Se i palestinesi di Gaza, o almeno una parte di loro, si fosse ribellata al dominio di Hamas, che li ha fatti vivere nella miseria utilizzando gli aiuti economici per armarsi sempre di più invece che per far vivere meglio la popolazione, avesse denunciato e almeno tentato di impedire la costruzione dei tunnel e dei depositi delle armi sotto gli ospedali e le case.
    Se Hamas con i suoi alleati, a partire dall’Iran, avessero riconosciuto lo Stato di Israele.
    Se, se, inutili oggi i se ed i ma, la realtà è quella che è: Hamas è responsabile per quanto ha fatto il 7 ottobre e per le conseguenze che ne sono derivate nella Striscia di Gaza o in Cisgiordania, Israele ha il diritto di difendersi ed il dovere di cercare di difendere anche quella popolazione civile palestinese che Hamas usa come scudi umani mentre Abu Mazen aveva ed ha il dovere di condannare Hamas se vuole impedire che altri morti insanguino la Cisgiordania, oltre la striscia di Gaza.

    La realtà è che Hamas sapeva benissimo cosa sarebbe accaduto, Hamas è stata la lunga mano utilizzata per realizzare un disegno più ampio che ha un duplice obiettivo: 1)cercare di distruggere per sempre lo Stato di Israele, 2) tentare di unire il più possibile la parte integralista del mondo arabo-mussulmano per mettere in minoranza i governi moderati e lanciare una sfida a tutto campo all’Occidente.
    Ci sono in gioco valori fondamentali come la libertà, i diritti umani, il rispetto delle culture e interessi di potere ed economici di grande portata.

    L’Islam integralista con aspirazioni egemoniche è presente in molti paesi, dall’Asia all’Africa, e sue cellule terroriste vivono e ramificano in occidente supportate dalla mancanza di visione di molti governi e dalla ingenuità di chi parla di pace senza accettare che, per mantenere la pace, bisogna rispettare regole e territori.
    In questa che sta diventando una guerra a tutto campo vi sono  anche chiare responsabilità della Russia, della Cina e dell’Onu diventata da anni un organismo pletorico incapace di difendere i principi  del diritto internazionale anche al proprio interno, come si è visto già dalla guerra in Ucraina.
    Comincino a pensare a questo coloro che sfilano senza accorgersi che anche le bandiere della pace sono ormai insanguinate dai distinguo tra i morti dell’una o dell’altra parte.

  • La memoria corta

    Il 5 ottobre la Russia, con un attacco missilistico contro il villaggio ucraino di Hroza, ha ucciso 59 persone, 36 donne, 22 uomini e un bambino che partecipavano ad una veglia funebre.

    Sempre soldati russi avevano ucciso, nel Donbass occupato dall’esercito di Mosca, 9 componenti di una famiglia che stava festeggiando un compleanno.

    Due casi che sono gocce nel mare di sangue nel quale il popolo ucraino cerca di non affogare da quando Putin ha iniziato la sua crudele guerra contro una nazione libera ed indipendente.

    La memoria degli uomini è sempre più corta così, mentre assistiamo con dolore alla morte di civili nella striscia di Gaza, civili che Hamas ha usato ed usa come scudi umani, abbiamo già relegato in ricordi lontani la strage di Bucha e le altre tante, troppe tragedie che l’Ucraina sta vivendo con intere città rase al suolo, centinaia di bambini morti, centinaia di bambini feriti ed altrettante centinaia di bambini rapiti, deportati  in Russia.

    L’Ucraina non era un pericolo per la Russia quando Putin ha deciso di attaccarla annettendone, in modo violento e fraudolento, interi territori. Gli ucraini hanno non solo il diritto ma il dovere di difendersi e così facendo difendono il diritto internazionale, la libertà ed il futuro anche degli altri paesi europei.

    Israele non era un pericolo per i palestinesi, se i musulmani integralisti radicali avessero riconosciuto Israele, come la comunità  internazionale chiede da anni, anche i palestinesi oggi avrebbero uno stato riconosciuto, libertà ed indipendenza.

    Israele non era un pericolo ma da anni Hamas costruiva tunnel per attaccarla e in quel tragico 7 ottobre è entrata, con i suoi terroristi, sul suolo israeliano per commettere atrocità che solo dei mostri imbottiti di droga e con pietre al posto del cuore potevano compiere.

    Oggi quello spaventoso giorno, che ha visto anche bambini decapitati e bruciati vivi, sembra già dimenticato da quanti ricordano solo i civili morti a Gaza senza chiedersi come nessuno nelle striscia abbia visto, per anni, costruire i tunnel o si sia chiesto dove finivano i soldi, i molti soldi, dati ad Hamas per il popolo palestinese e che sono invece stati usati per comperare e costruire armi di attacco e per far vivere lussuosamente, all’estero, i capi  del terrorismo jihadista.

    Memoria corta, troppo corta ma noi non dimentichiamo chi ha tentato di distruggere l’Ucraina, chi sta tentando di distruggere Israele e tenteremo sempre di far tornare la memoria a chi trova comodo dimenticare.

  • A chi giova?

    Tutti coloro che hanno a cuore la vita umana, non solo la propria ma anche altrui, non possono che essere preoccupati, angosciati, per ì civili che sono morti e moriranno a Gaza. Sperando che provino gli stessi sentimenti per i morti israeliani.

    Ciascuno dovrebbe chiedersi perché è cominciato tutto questo sapendo bene che l’inizio è stato il 7 ottobre quando Hamas è entrato in Israele trucidando ragazzi, persone normali e tanti bambini, anziani e donne inermi.

    Se Hamas non fosse entrato in Israele, se non avesse ucciso, secondo le stime attuali, ma sembra non ancora finito il riconoscimento, più di 1400 persone, se Hamas non avesse rapiti 240 ostaggi, se non avesse lanciato un numero enorme di razzi contro Israele, dimostrando di avere a disposizione una grande potenza di fuoco e una moderna tecnologia, come i droni, oggi non ci sarebbero tanti morti e feriti palestinesi.

    Se Hamas avesse usato i forti finanziamenti, arrivati sia dall’Europa che da alcuni paesi arabi, per rendere più giusta la vita degli abitanti di Gaza, mentre invece scavava, da anni, tunnel lunghi chilometri e vere e proprie roccaforti sotterranee per arrivare in territorio israeliano e commettere atrocità delle quali troppo poco si è parlato, se Hamas avesse voluto quella mediazione politica necessaria per raggiungere l’accordo: due popoli, due Stati, oggi, con buona pace di tutti quelli che sfilano bruciando le bandiere israeliane, i morti non ci sarebbero stati, né a Gaza né in Israele

    Se Hamas non avesse avuto da tempo l’obiettivo di cercare di distruggere Israele, Stato che, secondo alcuni, non esiste, non è neppure sulle loro carte geografiche di certi paesi musulmani, se avesse aperto la strada al reciproco riconoscimento, se non fosse collegato con l’Iran, finanziato dal Qatar, blandito dai russi di Putin, se, se, con i se non andiamo da nessuna parte.

    La verità è come una coperta corta che ciascuno tira dalla sua parte ma, con buona pace di Guterres e di quel personale dell’Onu che non si è mai accorto dei tunnel o delle condizioni miserrime dei palestinesi, nonostante i molti sostanziosi aiuti economici, la realtà è inconfutabile: Hamas è entrata in Israele per uccidere, fare più male possibile sapendo che vi sarebbe stata la ovvia reazione dell’esercito israeliano, con le conseguenze che tutti conosciamo.

    La realtà, che non può essere più di tanto manipolata dalle false notizie, è che il piano, concordato non solo con l’Iran, era di cercare di attirare Israele in una strada senza uscita e la Russia ne era ben contenta sia perché è noto il suo antisemitismo sia perché sperava di distogliere l’attenzione dalla turpe guerra che da quasi due anni ha portato in Ucraina.

    Gli antichi romani avrebbero detto: cui prodest? A chi giova?

    Non certo ai civili palestinesi usati come scudi umani, non certo agli israeliani che, in un attimo, si sono trovati meno forti e sicuri ed hanno visto, in gran parte, vanificare i faticosi progressi fatti con l’accordo di Abramo, certo giova ai nemici del diritto, della democrazia, della pacifica convivenza ed anche ai propugnatori di un nuovo ordine mondiale.

    Certo il diritto alla difesa non può portare a perpetrare uccisioni indiscriminate ma se i miliziani di Hamas si nascondono tra i civili ed i miliziani di Hamas continuano a lanciare razzi ed a fare incursioni in territorio israeliano, tenendo prigionieri 240 cittadini, non solo israeliani, cosa deve fare Israele, concedere una tregua per ritrovarsi come al 7 ottobre attaccata proditoriamente!

    Quella parte di comunità internazionale che tanto si agita a condannare Israele, partendo dal ras turco Erdogan, cosa ha fatto o intende fare per rendere inoffensivo Hamas, quando si deciderà a condannarlo?

    Mentre vediamo manifestazioni pro Hamas e contro Israele ci chiediamo perché queste sfilate e prese di posizione, Onu compresa, non le abbiamo viste e non le vediamo per le persone uccise, seviziate, rimaste senza nulla in Ucraina dove i bombardamenti hanno raso al suolo, completamente, numerose città e dove gran parte del terreno ucraino non potrà essere coltivato per anni, portando lo spetro della fame non solo per la popolazione locale ma per i paesi più poveri nel mondo.

    Ma di questo la piazza non parla, non urla e l’Onu è non solo inutile ma pericoloso se non sarà cambiato radicalmente.

    La verità appartiene alla visione della vita che noi o la nostra idea politica o religiosa ci suggerisce, la realtà si basa sui fatti ed è incontrovertibile che Hamas è entrato in Israele per uccidere e per trascinare Israele in guerra, i palestinesi che da anni non hanno avuto la capacità, il coraggio, la volontà di liberarsi di Hamas ne pagano le conseguenze, ma c’è una chiamata di correo per tutti quelli che oggi non condannano Hamas ed ogni terrorismo.

  • Risposte necessarie e condivise

    Sono passati più di 600 giorni dall’attacco di Putin all’Ucraina e la guerra continua con efferata crudeltà, da parte russa, con dispiego di mezzi ed uomini.

    Più di un terzo del territorio Ucraino è inagibile, devastato dalle bombe e minato dai soldati russi per rallentare l’avanzata dell’esercito di Kiev che con coraggio continua a difendere la propria terra.

    Non solo il grano ucraino non può liberamente partire verso quei paesi che ne hanno necessità per sopravvivere ma non può essere coltivato come un tempo, le terre coltivabili sono in parte distrutte e ci vorranno anni per bonificarle, mentre lo spettro della fame aleggia su gran parte del mondo e si moltiplicano le aree di conflitto.

    Lo zar ha cominciato una nuova chiamata alle armi indirizzata alle donne e trova fiato, alla stagnazione della sua campagna criminale, nella guerra che Hamas ha portato in Israele dichiarandosi mediatore per liberare gli ostaggi.

    Basta prendere la cartina geografica per capire da dove parte il grandioso progetto dello zar di ridare al mondo un nuovo ordine, politico, economico, militare, in sintesi un nuovo potere.

    La sempre più stretta amicizia con l’imperatore cinese, l’antico rapporto con il dittatore siriano, la nuova liaison con  Kim Jong-Un con l’arrivo in Russia di armi coreane, i buoni rapporti con Erdogan, che in modo funambolico cerca di giocare una sua partita di peso bilanciandosi tra Nato, Occidente ed il ruolo di mediatore e islamico apparentemente moderato, Libia, dove Putin  ha come riferimento il generale Haftar, vari stati africani, dove le milizie già di Prigozhin supportano vecchi dittatori e nuovi golpisti, e Iran dove il regime di Raisi gli fornisce droni a non finire. Né si devono dimenticare i rapporti con un certo numero di paesi dell’America Latina ed altre varie amicizie, più o meno palesi, in varie parti del mondo, compresi i paesi occidentali, lo stesso Orban mina la coesione europea a favore di Kiev.

    Nello stesso tempo il pericolo evidente di un allargamento del conflitto mediorientale può distrarre, in parte, l’attenzione occidentale dalla guerra in Ucraina e l’altrettanto grave pericolo del ritorno del terrorismo in Europa costringe ad un dispiego di mezzi e risorse per la sicurezza interna.

    Da queste brevi considerazioni dovrebbe nascere in tutti, specialmente nelle forze politiche e nei media, la necessità di concentrarsi su quanto è veramente preoccupante.

    Vi è ora, più che mai, la necessità di risposte condivise e ponderate, sembra invece che, come in altre occasioni, per altro di minor pericolo, troppi concentrino dichiarazioni ed azioni su presunti e pretestuosi interessi di parte, non si guardi, perciò, con stupore alla disaffezione al voto della maggioranza degli elettori.

  • Adesso è tutto chiaro

    Dopo le dichiarazioni del segretario delle Nazioni Unite Guterres è chiaro il motivo per il quale le Nazioni Unite da tempo non contano più nulla e non ottengono risultati, anzi aggravano i problemi.

    Se da un lato è giusto e doveroso preoccuparsi per i civili palestinesi, quelli che non sono complici e correi di Hamas, è improvvido, sbagliato, pericoloso, è una negazione di quanto Israele ha subito, pronunciare le parole che Guterres ha detto alle Nazioni Unite, parole che di fatto giustificano gli eccidi, le torture, le violenze perpetrate da Hamas il 7 ottobre.

    La richiesta di dimissioni di un uomo che di fatto ha reso le Nazioni Unite un organismo inutile ed imbelle e che, con le ultime dichiarazioni, fa da sponda al terrorismo non solo è legittima ma necessaria.

  • Hamas e Israele: chi ha davvero interesse alla pace?

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Dario Rivolta apparso su notiziegeopolitiche.net

    Dopo la sanguinosa carneficina perpetrata da Hamas dentro il territorio di Israele, gli israeliani sono assetati di sangue e nessun governo, né quello al potere prima dell’attacco né quello attuale di unità nazionale, potrà permettersi di tornare alla situazione precedente o limitarsi a una vittoria di facciata contro Hamas.

    Tuttavia, una invasione di terra con l’obiettivo di “eliminare del tutto” Hamas prospetta danni molto più gravi di quanto la rabbia dei primi momenti avrebbe suggerito. Si verificherà una catastrofe umanitaria, morale e strategica. La striscia di Gaza è un’entità con la densità di popolazione tra le più alte al mondo e Gaza city è abitata da più di un milione di persone. Anche chi volesse andarsene prima dell’invasione non saprebbe realmente dove recarsi (il valico di Rafah con l’Egitto resta chiuso e gli ospedali e le maggiori infrastrutture si trovano solo nella capitale). Di certo l’ingresso di migliaia di soldati israeliani non sarà accolto con giubilo dalla popolazione locale e ciò che sarà più probabile è un combattimento casa per casa.  Ci saranno cecchini, attentatori suicidi e esplosivi improvvisati. Le vittime non potranno che essere migliaia e, se pur tra loro ci saranno militanti del gruppo terrorista, la maggior parte dei morti sarà tra i cittadini inermi. Ciò rafforzerà ancora di più i sentimenti anti israeliani in tutte le popolazioni arabe del medio oriente e nessun governo locale, nemmeno il più moderato, avrà il coraggio di ostacolare o di scoraggiare le manifestazioni.

    In un mio altro articolo del maggio 2021 sostenevo che lo status quo di allora fosse l’unica soluzione possibile anche se non l’ottimale. Purtroppo oggi anche quell’ipotesi non sembra più percorribile e Hamas è il primo a non volerlo sperando che un possibile allargamento del conflitto porti veramente alla distruzione (o al drastico ridimensionamento) di Israele.

    La situazione e le conseguenze che potrebbero derivarne è molto delicata e pericolosa, non solo per gli israeliani ma anche per tutto il mondo occidentale. Ciò nonostante, io non ho alcun dubbio: voglio che Israele esista e prosperi e trovo che noi europei non abbiamo scelta alternativa. Io sto con Israele.

    *Già deputato è analista politico ed esperto di relazioni e commercio internazionali

  • L’unica soluzione? Il riconoscimento dei due Stati, Israele e Palestina

    Lo si dice da anni, lo si ripete in ogni occasione di conflitto o di azioni terroriste, una litania che rischierebbe di diventare patetica se non esprimesse una sacrosanta verità negata, nei fatti, da molti di quelli che la pronunciano.

    E’ il mondo arabo, o almeno la maggior parte di esso, nel suo complesso e nelle sue diverse forme organizzative, che ha negato ai palestinesi il loro diritto a vivere in uno stato indipendente e riconosciuto nel momento nel quale, per decenni, si è rifiutato di riconoscere Israele.
    Anche l’Occidente ha le sue colpe nel non avere fatto comprendere al mondo arabo moderato i pericoli di lasciare nel limbo del non riconoscimento sia Israele che i palestinesi, nel non aver controllato come si usavano i molti soldi inviati come aiuti umanitari, nel non avere portato fino in fondo la guerra al terrorismo, nel non avere approntato in Europa regole comuni per l’immigrazione e per il rispetto delle regole e delle leggi europee.
    I più o meno recenti accordi di Abramo, i quali seguono altri tentativi di accordi siglati e disattesi, che sembravano aprire finalmente la strada per arrivare al riconoscimento di Israele e di conseguenza della Palestina, sono stati sabotati nel sangue che Hamas ha scientemente, e con inaudita ferocia, versato in Israele nel tentativo di fare imboccare a tutti una strada senza ritorno.
    Hamas pur avendo usato i soldi degli aiuti umanitari, che arrivavano da gran parte del mondo, Europa in testa, per dotarsi di nuove armi e di fabbriche per incrementare il suo arsenale di  guerra, invece che per dare migliori condizioni di vita ai palestinesi, non avrebbe potuto preparare un piano così efferato e preciso se non avesse avuto a monte il fattivo sostegno di altre potenti realtà, non soltanto dell’Iran.
    L’Iran, messo in difficoltà dalle proteste interne, nell’ultimo anno diventate più evidenti e ormai all’attenzione mondiale, non poteva aspettare oltre visti i colloqui e le intese che si andavano costruendo anche  tra Arabia Saudita ed Israele.
    Stabilizzare il Medio Oriente creando condizioni di civile convivenza, di sicurezza per Israele e di maggiore benessere per i palestinesi, non era e non è un obiettivo né degli islamisti radicali, né del terrorismo islamista, sia esso al Qaeda o  Isis, ma neppure di quelle  potenze che, negli ultimi anni, stanno cercando di creare sinergie per dare vita ad un nuovo sistema mondiale sia politico che economico.
    Gli incontri tra Putin e il presidente cinese, la guerra che lo zar ha scatenato contro l’Ucraina, la sempre più forte penetrazione in vari paesi africani sia da parte cinese che russa, anche se con metodi diversi, fanno parte di un ampio disegno che vede nell’attacco ad Israele, senza pari per violenza ed capacità organizzativa, un nuovo spaventoso scenario nel quale tutti possono restare coinvolti ma solo alcuni hanno l’arma, che potrebbe diventare vincente, del ricatto e del terrore.
    Siamo tutti consapevoli che nei bombardamenti su Gaza soffriranno migliaia di civili che perderanno la casa se non la vita, ma dobbiamo essere altrettanto consapevoli che da Gaza continuano a piovere missili su Israele, assediata anche dagli Hezbollah e non solo.
    Siamo consapevoli che Israele non può, come nessuno stato può, che reagire con estrema fermezza alla mattanza fatta dai terroristi di Hamas perché non può ignorare il disegno, che esiste da sempre, di distruggerla e che la chiamata alla jihad è un pericolo per tutto il mondo, non lo può ignorare Israele e non lo possiamo ignorare noi.

    Né si possono ignorare le manifestazioni che sono state tenute in vari paesi, Italia compresa, a favore dei palestinesi, di Hamas ed inneggianti la distruzione di Israele. Legittimo, anzi giusto chiedere attenzione per i civili palestinesi, per la loro salvezza, barbaro non avere pietà e rispetto per le persone, i bambini trucidati da Hamas.

    I tanti, Cina compresa, che chiedono, con più o meno arroganza e mistificando le realtà, che gli israeliani non entrino a Gaza perché non chiedono ad Hamas di cessare il lancio di razzi contro Israele? Perché non condannano, senza se e senza ma, quello che Hamas ha fatto ad Israele e contro gli stessi palestinesi?

    Chiedere pace bruciando le bandiere di Israele e non condannando il terrorismo è la strada per ancora più odio e guerra.

    La doppia verità è sempre menzogna e l’arma del terrore deve essere distrutta perché tutti possano aspirare ad un mondo nel quale diritti umani, libertà e sicurezza non siano soltanto parole.

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