L’Italia si conferma primo fornitore della Tunisia nel periodo da gennaio a ottobre 2024, consolidando così un primato che dura da diverso tempo. Stando alle tabelle dall’Istituto nazionale di statistica (Ins) tunisino ottenute da “Agenzia Nova”, l’export del Made in Italy verso il Paese nordafricano è stato pari a 8,2 miliardi di dinari (corrispondenti a circa 2,4 miliardi di euro) nei dieci mesi dell’anno in corso, in calo del 2,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, ma pur sempre davanti agli altri paesi competitor. Le importazioni in Italia dalla Tunisia sono aumentate del 4,2 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, con un bilancio di 1,4 miliardi di dinari (414 milioni di euro) a favore del Paese nordafricano.
Tra i principali prodotti esportati dall’Italia verso la Tunisia vi sono materie prime energetiche (petrolio raffinato), metalli, tessuti, cuoio e pellami, apparecchi di cablaggio, materie plastiche e prodotti in plastica, motori generatori e trasformatori, prodotti chimici e farmaceutici, impianti e macchinari. Tra i principali prodotti che l’Italia invece importa figurano gli articoli di abbigliamento e calzature, parti e accessori per veicoli, oli e grassi, motori generatori e trasformatori, articoli in plastica, prodotti chimici e fertilizzanti, prodotti della siderurgia e petrolio greggio. Risulta evidente, pertanto, un consistente traffico di perfezionamento-trasformazione di materie prime o semilavorati in prodotti dall’Italia alla Tunisia. L’Italia risulta anche la principale destinazione per l’olio d’oliva biologico tunisino con oltre il 50% delle quantità totali esportate dal Paese nordafricano. L’Italia è seguita da altri due paesi europei, ovvero Spagna e Francia, che importano da Tunisi rispettivamente il 28,07% e il 12,10% dell’olio biologico “Made in Tunisia”.
Tornando ai dati sull’interscambio in generale, da gennaio a ottobre 2024, le esportazioni tunisine hanno segnato un leggero aumento del 2,1%, raggiungendo i 51,6 miliardi di dinari equivalenti a 15,44 miliardi di euro, mentre le importazioni crescono dell’1,4 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (-3,3%). Il deficit commerciale della Tunisia si è leggermente ridotto nel 2024, passando da 15,85 miliardi di dinari (4,69 miliardi di euro) nei primi dieci mesi del 2023 a 15,71 miliardi di dinari (4,65 miliardi di euro). Il tasso di copertura ha guadagnato 0,6 punti rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, attestandosi al 76,7%. La bilancia commerciale rimane comunque in deficit, richiedendo un’attenta analisi delle dinamiche in atto alle autorità legislative impegnate in questi giorni nella discussione della Legge di bilancio per il 2025.
A trainare la crescita delle esportazioni tunisine nel 2024 sono stati principalmente i settori agroalimentare (+25,4%) ed energetico (+23,8%). Al contrario, hanno registrato un calo le esportazioni di minerali (-24,8%) e di prodotti tessili (-5,4%). L’aumento delle importazioni tunisine dell’1,4% è invece riconducibile principalmente all’incremento delle importazioni di prodotti energetici (+13,4%), necessari per far fronte alla crescente domanda interna, e di beni strumentali (+4,6%) e di consumo (+5,2%), a testimonianza di una ripresa dell’attività economica. Tuttavia, questa crescita è stata parzialmente compensata dal calo delle importazioni di materie prime (-4,3%) e di prodotti alimentari (-12,5%).
L’Unione europea si conferma il primo partner commerciale del Paese nordafricano, riaffermando un trend che prosegue da qualche anno. Le esportazioni tunisine verso lo spazio europeo, pur registrando una crescita contenuta (+0,2%), hanno mostrato dinamiche differenti nei singoli mercati. In particolare, si evidenziano aumenti per Italia (+4,2%), Spagna (+9,8%) e Germania (+0,5%), mentre si registrano contrazioni per Francia (-2,2%) e Paesi Bassi (-28,6%). Per quanto riguarda i paesi arabofoni, le esportazioni verso l’Algeria sono aumentate del 43,9%, mentre si sono registrati cali per Libia (-12,4%), Marocco (-14,1%) ed Egitto (-6,9%).
Dall’Ue provengono anche il 43,4 per cento delle importazioni totali della Tunisia, registrando nei primi dieci mesi del 2024 una crescita dell’1,8 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Tuttavia, l’analisi per Paese evidenzia una situazione eterogenea con aumenti per Germania (+11,1 %o), Spagna (+7,2%) e Francia (+0,6%), mentre si registrano cali per Italia (-2,8%), Paesi Bassi (-9,9 per cento) e Belgio (-13,9%). Al di fuori dello spazio Schengen, hanno visto un aumento le importazioni da Cina (+4,7 per cento) e India (+2,5%), in calo invece quelle dalla Russia con un dato a doppia cifra (-21%) e Turchia (-9,5%).
Il saldo della bilancia commerciale della Tunisia è negativo principalmente a causa del deficit con Cina (-7,35 miliardi di dinari, pari a 2,17 miliardi di euro), Russia (-4,7 miliardi di dinari, circa 1,4 miliardi di euro), Algeria (-3,5 miliardi di dinari, circa 1,03 miliardi di euro), Turchia (-2,29 miliardi di dinari, quasi 677 milioni di euro), India (-1,2 miliardi di dinari, equivalenti a 355 milioni di euro) e Ucraina (-1,2 miliardi di dinari, circa 355 milioni di euro). Tuttavia, i surplus con Francia (4,34 miliardi di dinari, pari a 1,28 miliardi di euro), Italia (1,4 miliardi di dinari, 414 milioni di euro), Germania (1,9 miliardi di dinari, 562 milioni di euro), Libia (1,8 miliardi di dinari, 532 milioni di euro) e Marocco (176 milioni di dinari, 52 milioni di euro) hanno parzialmente compensato questo deficit. Secondo Ins, nonostante l’aumento del deficit energetico, che è passato da 8,52 miliardi di dinari (2,52 miliardi di euro) nel 2023 a 9,39 miliardi di dinari (2,78 miliardi di euro) nel periodo considerato, il deficit commerciale al netto dell’energia ha registrato una riduzione, attestandosi a 6,32 miliardi di dinari (1,87 miliardi di euro). Nonostante l’Unione europea si confermi il primo partner commerciale della Tunisia, il peso dei paesi extra-Ue, soprattutto Cina e Russia, si fa sentire sempre di più. Il deficit commerciale con questi paesi pesa sulla bilancia tunisina, mettendo in evidenza la fragilità dell’economia nordafricana.