Italia

  • Negli ultimi tre anni un milione di italiani migrati al Nord dal Sud e dalle isole per cure mediche. La Lombardia tra le principali destinazioni

    Migrazione sanitaria, impatto della tecnologia digitale come risorsa per affrontare il fenomeno, efficienza e sostenibilità dei percorsi di assistenza sul territorio: sono stati i temi al centro dell’evento che si è tenuto alla Società Umanitaria di Milano ‘Migranti della salute nell’era digitale: quali prospettive?’ organizzato da CasAmica ODV e Fondazione Roche, con il patrocinato di Rotary distretto 2041 di Milano.Partendo dai risultati della survey ‘Studio sui migranti sanitari’ realizzata da EMG Different per CasAmica su un campione rappresentativo di cittadini di età compresa tra i 35 e i 65 anni residenti in Calabria, Puglia, Campania, Sicilia e Sardegna, da cui è emerso che sono un milione gli italiani residenti al Sud e nelle isole che negli ultimi tre anni sono stati costretti a spostarsi dalla propria regione di residenza per sottoporsi a cure mediche, l’evento è stato una occasione di confronto tra terzo settore e istituzioni focalizzato sul presupposto che la chiave per ridurre l’impatto economico e psicologico di chi si sposta per ricevere cure risiede nelle nuove tecnologie. Occorre, infatti, un cambio di paradigma concreto che partendo dall’implementazione della digitalizzazione, in primis della telemedicina, integrata con servizi di assistenza sanitaria territoriale, permettano di ottimizzare l’equità e l’accesso ai migliori percorsi di diagnosi e cura.

    “Quasi il 70% dei migranti della salute intervistati ha scelto il Lazio e Lombardia1. Le cause di questa ‘migrazione’ sono da ricercare nei motivi legati all’opportunità di ottenere una migliore offerta sanitaria (51%) e medici più preparati (39%) o addirittura nella concreta impossibilità di ricevere cure adeguate alla propria patologia nella regione di provenienza (32%) – ha dichiarato Stefano Gastaldi, Direttore generale CasAmica ODV – Tutto questo ha un impatto economico notevole sulla vita dei malati e delle famiglie. Il 60% denuncia costi alti per gli spostamenti e gli alloggi e il 58% avrebbe avuto bisogno di prezzi calmierati. Oltre all’aspetto puramente economico, i migranti della salute hanno espresso anche altre esigenze come la necessità di un supporto psicologico per sé o per la propria famiglia (49%) e mezzi di trasporto per raggiungere l’ospedale (43%)”.

  • Accordo tra Italia e Islanda sull’energia geotermica

    Italia e Islanda firmano accordo di cooperazione sull’energia geotermica a margine dell’Assemblea annuale dell’Arctic Circle. Il ministro dell’Ambiente, Energia e Clima islandese, Guðlaugur Þór Þórðarson e l’ambasciatore d’Italia in Norvegia e Islanda, Stefano Nicoletti – delegato dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin –, hanno firmato a Reykjavik un memorandum d’Intesa sulla Cooperazione nel Settore dell’Energia Geotermica tra Italia e Islanda. La cerimonia di firma ha avuto luogo presso la sede del ministero dell’Ambiente islandese, a margine dell’Assemblea annuale dell’Arctic Circle, il principale forum di dialogo e cooperazione internazionale sul futuro dell’Artico. Frutto di un lungo negoziato tra i ministeri dell’Ambiente ed Energia dei due Paesi, il MoU mira a stabilire e intensificare la cooperazione tra enti italiani e islandesi attivi nel settore dell’energia geotermica, tra cui istituzioni pubbliche, il settore privato e gli enti di ricerca e sviluppo nel campo dell’energia. Le aree di cooperazione includono, tra gli altri, l’esplorazione e l’utilizzo delle risorse geotermiche per la produzione di elettricità e il trasferimento di calore, il teleriscaldamento e le attività relative allo sviluppo e gestione di centrali geotermiche.

    Secondo l’ambasciatore Nicoletti, “l’Intesa predispone la cornice giuridica affinché Italia e Islanda, i due principali player europei del settore geotermico, possano avviare una collaborazione strutturata che faccia leva sulla lunga tradizione e le altissime competenze maturate dai due Paesi in questo ambito. L’Islanda, da questo punto di vista, rappresenta il partner ideale per un Paese all’avanguardia nel geotermico come l’Italia. Ciò in virtù delle immense risorse che si celano nel sottosuolo islandese, che contribuiscono per il 60 per cento alla produzione destinata al consumo interno di energia primaria e per il 30 per cento alla generazione elettrica a livello nazionale, e alla partecipazione a diverse iniziative di ricerca a livello europeo ed extra europeo. L’elevato know-how islandese, unito alle avanzate competenze industriali e scientifiche italiane sia in ambito geologico che per quanto attiene la conversione dell’energia, possono fornire un importante contributo agli sforzi legati alla transizione energetica tramite la geotermia”. Il capo di Gabinetto del Mur, Marcella Panucci, presente a Reykjavik per partecipare alla Arctic Circle Assembly 2024, ha sottolineato l’importanza di dare seguito a quanto concordato coinvolgendo il nostro settore privato, valorizzando la eccellente collaborazione con il ministro Pichetto Fratin, confermata anche questo frangente.

  • La ricostruzione dell’aeroporto di Tripoli cattivo affare per le aziende italiane?

    Il consorzio italiano Aeneas chiede di fare chiarezza riguardo al mega-progetto per la ricostruzione dell’Aeroporto internazionale di Tripoli, attualmente bloccato “senza preavviso e senza motivo apparente” da parte del Governo di unità nazionale (Gun). Elio Franci, presidente dell’alleanza italiana di imprese che nel 2017 si è aggiudicata il contratto per il ripristino dello scalo aereo tripolino, distrutto da ben due conflitti (2014 e 2019-20), racconta le proprie preoccupazioni in un’intervista a “Agenzia Nova”. Franci denuncia il blocco irregolare di parte dei pagamenti, trattenute non contrattualizzate e la mancata erogazione dei finanziamenti previsti. “Attualmente siamo in una fase di stallo, con la possibilità di subentro da parte di un subappaltatore locale”, ha denunciato Franci, evidenziando le difficoltà che il consorzio sta affrontando nella realizzazione di un progetto considerato “strategico” sia per l’Italia che per la Libia.

    Il contratto, del valore di decine di milioni di euro, per la realizzazione di due terminal – uno nazionale e uno internazionale – era stato firmato ormai sette anni fa dall’allora Governo di accordo nazionale (Gna), guidato da Fayez al Sarraj. I terminal, secondo il progetto, coprono complessivamente circa 30mila metri quadrati e possono gestire circa sei milioni di passeggeri all’anno. Tuttavia, i lavori assegnati al consorzio italiano Aeneas sono stati sospesi più volte a causa del conflitto armato che, dall’aprile 2019 al giugno 2020, ha interessato direttamente lo scalo aereo, oltre che a causa della pandemia di Covid-19 e alle recenti problematiche relative ai subappaltatori. Franci ha sottolineato che sia Paolo Gentiloni che Mario Draghi erano intervenuti attivamente per tutelare gli interessi italiani: “Anche l’attuale governo ha preso iniziative in tal senso, intervenendo meno di sei mesi fa. Ci auguriamo che questa linea di sostegno continui”.

    Il fascicolo sarà probabilmente rivisto durante il Business forum economico libico-italiano, in programma per il 29 ottobre. Fonti libiche segnalano la possibile partecipazione della presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, sebbene la sua presenza non sia ancora stata confermata. Se dovesse partecipare, sarebbe la quarta visita di Meloni in Libia in un anno e mezzo. “Mi aspetto chiarezza”, afferma il presidente del consorzio. “Saremmo lieti di ricevere un ulteriore intervento del governo. Voglio sottolineare che l’ambasciata d’Italia a Tripoli continua a fornirci supporto, un sostegno che non è mai venuto meno”. Franci spiega che il consorzio ha già completato oltre il 50 per cento dei lavori. “Abbiamo quasi completato la sopraelevazione della struttura; ora dobbiamo terminare la parte interna del terminal, che occupa una superficie di 30 mila metri quadrati”, spiega.

    La manodopera è prevalentemente locale, con circa 300-350 operai attivi sul sito, a cui si aggiungono circa sette persone assunte direttamente dal consorzio. Nella seconda fase, si prevede che il personale italiano o europeo arrivi a circa 30 unità extra libiche. “Stiamo realizzando una serie di corsi di formazione per preparare il personale locale. Li accompagneremo nei prossimi due anni per garantire un avvio efficiente del sistema, seguendo un approccio che applichiamo regolarmente in altre divisioni”, aggiunge Franci. Per quanto riguarda le tempistiche, Franci chiarisce che i ritardi non possono essere imputati alla parte italiana: “Avevamo stimato un periodo di realizzazione compreso tra i 15 e i 18 mesi, ma il problema principale è sempre stato di natura finanziaria. Il contratto non ha mai avuto una copertura finanziaria completa. Tuttavia, abbiamo comunque proseguito con i lavori per non interrompere il progetto. Abbiamo mantenuto una presenza attiva anche nei momenti di incertezza tra le diverse amministrazioni governative”.

    Vale la pena sottolineare che l’interscambio commerciale tra Italia e Libia supera i 9 miliardi di euro all’anno, con l’Italia che si posiziona come principale importatore, terzo esportatore verso la Libia e primo partner per interscambio in generale. Grazie alle sue ricchezze petrolifere, il Paese nordafricano rappresenta un mercato promettente per le imprese italiane, già attive in progetti infrastrutturali ed energetici. Un esempio significativo è l’accordo da 8 miliardi di dollari tra la National Oil Corporation (Noc) libica ed Eni relativo alle strutture offshore A&E, un progetto strategico volto ad aumentare la produzione di gas per rifornire il mercato interno libico, oltre a garantire l’esportazione di volumi in Europa. Il settore rappresenta il fulcro della cooperazione tra Libia e Italia, ma la collaborazione si estende a una vasta gamma di ambiti strategici per il futuro di entrambi, a partire delle infrastrutture.

    Il ripristino del volo diretto tra Roma e Tripoli, avviato il 30 settembre 2023 e formalmente regolato a dicembre 2023, ha peraltro fornito un’importante iniezione di fiducia. L’Italia, unica nazione dell’Europa continentale a operare voli diretti verso la Libia, dal momento che Malta è un’isola, ha manifestato l’intenzione di sostenere il Paese nordafricano nel rafforzare la sua proiezione internazionale, facilitando l’avvio di ulteriori collegamenti. Tuttavia, i partner italiani, europei e internazionali potrebbero percepire negativamente l’impossibilità del consorzio italiano Aeneas di concludere lavori previsti dal contratto a causa di problemi finanziari. Al contrario, il completamento del nuovo aeroporto, progettato per essere molto più grande di Mitiga, l’unico scalo aereo a servire attualmente la capitale della Libia, permetterebbe di aumentare significativamente il numero di voli verso altre destinazioni. In questo modo, la Libia potrebbe non solo consolidare i legami con l’Italia, ma anche ampliare la sua rete di collegamenti aerei con il resto del mondo.

  • 2024-1957: è ufficiale, si torna indietro

    Dalle ultime rilevazioni risultano 387.600 auto e furgoni commerciali prodotti nei primi nove mesi nell’anno in corso a differenza dei 567.525 del 2023. Un dato che riporta il Paese al lontano 1957. Contemporaneamente i lavoratori sono passati dai 52.000 del 1989 ai 15.000 attuali.

    La specificità italiana della crisi dell’automotive si inserisce all’interno dell’Unione Europea con un delirio ideologico che vede colpire l’intero settore industriale dell’automobile (che vale circa 12 milioni di posti di lavoro il 12% del PIL e 1.000 di tasse) per l’applicazione di protocolli ambientalistici assolutamente irraggiungibili i quali, per contro, tendono a favorire la sola Cina. Questa, va ricordato, come non solo finanzi le prime cinque case automobilistiche cinesi ma fornisce loro un’energia a basso costo prodotta dalle centrali a carbone, in quanto interpreta l’auto elettrica come un elemento decisivo per conseguire l’obiettivo di allargare all’Europa la propria ingerenza politica ed economica.

    Ammesso, allora, che ci sia ancora la possibilità di invertire questo trend, quali potrebbero essere le prime scelte operative e strategiche da adottare?

    In puro ordine numerico:

    1. Rinvio di cinque anni dell’introduzione delle normative Euro7.
      2. Annullamento immediata del divieto di vendita e produzione di motori endotermici nell’Unione Europea fissata al 2035, anche in considerazione che si è passati dal cavallo al motore a scoppio non certo attraverso un decreto regio
    2. Sostegno fiscale a tutte quelle aziende che diminuiscano, per unità di prodotto, l’energia utilizzata indipendentemente dalla sua natura.
    3. Abbandono dell’utopia di una decarbonizzazione a favore di una riduzione fiscalmente incentivata dell’utilizzo di ogni forma di energia, in quanto anche quella cosiddetta green richiede una quantità di risorse finanziarie pubbliche, e quindi di un costo sociale insostenibile e che drena risorse al bilancio statale riducendo la stessa spesa sociale.
    4. L’adozione di un protocollo sulla base del quale ogni iniziativa economica e strategica in Europa venga giudicata in rapporto ai posti di lavoro creati a tempo indeterminato e con una retribuzione dignitosa, piuttosto che sulla base di deliranti visioni politiche ed ideologiche.
      6. Incentivazione fiscale per ottenere progressivamente nel giro di 5/10 anni un parco macchine circolante di automobili Euro 5 o Euro 6 il quale permetterebbe la riduzione del 50% dell’attuale quantità di CO2 emessa dalle auto, pari al solo 1% delle emissioni complessive del nostro Paese.
      7. La distruzione della filiera del tessile abbigliamento in Italia ed in Europa successivamente alla sospensione dell’accordo Interfibre dovrebbe suggerire lo scenario futuro riservato al settore Automotive europeo esposto ad una totale transizione verso una insensata mobilità elettrica di pura genesi ideologica ed interesse politico.
      8. Considerare la Cina come un partner commerciale ma non certo un alleato e, viceversa, favorire ogni alleanza politiche e strategica con l’India la quale rappresenta l’unico contrappeso politico ed economico all’interno dei Brics.
      9. Riportare il sistema industriale al centro dello sviluppo in quanto, seppur ancora oggi in termini energetici venga considerato energivoro, presenta un fabbisogno energetico decisamente inferiore a quello richiesto dalle sole Major dell’economia digitale.
      10. Colpire l’automobile credendo di diminuire le emissioni offre lo spessore della “ideologica competenza” in quanto in Irlanda i Data System inquinano più delle abitazioni mentre Google e Microsoft inquinano quanto la Croazia.
    5. In termini europei, in più, solo il riconoscimento delle specificità economiche dei diversi paesi che compongono l’Unione può assicurare un supporto decisivo al conseguimento dei traguardi di sviluppo e sostenibilità, e non certo attraverso un’unica ed onnicomprensiva politica economica ma solo attraverso diverse politiche specifiche per ogni realtà economica.

    Ma soprattutto, e siamo al punto 12, riportare il concetto del lavoro, e la dignità che è in grado di assicurare, al centro dell’attenzione della politica come elemento fondamentale per assicurare una vita democratica ad ogni cittadino europeo.

    N.B. si fa notare come il termine “dazi” non si stato usato in quanto, pur rappresentando un legittimo strumento di difesa, certifica troppo spesso il ritardo, da verificare se colposo o peggio doloso, di una intera classe politica e dirigente nella comprensione delle dinamiche di mercato ampiamente prevedibili.

  • Classifica Coldiretti: Campania regione più spendacciona d’Italia per l’alimentazione

    E’ la Campania, “patria” della Dieta mediterranea, la regione dove si spende più per mangiare, davanti a Sicilia e Friuli Venezia Giulia, mentre in fondo alla classifica troviamo la Sardegna. Ad affermarlo è un’analisi Coldiretti su dati Istat relativi ai consumi delle famiglie nelle diverse regioni nel 2023. Complessivamente nelle case italiane si destinano mediamente 526 euro per il cibo, il 19% dell’intera spesa mensile, terza voce del budget dopo casa e bollette e affitti. Una percentuale che è però fortemente differenziata se si scende a livello regionale, tanto che i campani spendono quasi 200 euro in più dei sardi.

    Con una spesa media mensile di 614 euro i cittadini della Campania sono quelli che spendono di più per mangiare, secondo Coldiretti, destinando al cibo il 27% del proprio budget. Al secondo posto si piazza la Sicilia con 586 euro, mentre al terzo c’è il Friuli Venezia Giulia con 576 euro. Al quarto la Calabria (562 euro) che precede il Molise (555 euro), le Marche (547 euro), Basilicata (542 euro), Abruzzo (541 euro), Lazio (538 euro) e Umbria (530 euro). A seguire Valle d’Aosta (529 euro), Veneto (518 euro), Trentino-Alto Adige (518 euro), Piemonte (513 euro), Lombardia (507 euro), Toscana (505 euro), Emilia-Romagna (501 euro), Liguria (477 euro), Puglia (464 euro) e Sardegna, che chiude la graduatoria con 415 euro.

    Una classifica che vede dunque una netta prevalenza delle regioni del Sud nelle posizioni di testa, a conferma di un trend che vede il Meridione leader della spesa alimentare mensile con 551 euro, mentre le Isole si fermano a 542, il Centro a 528, il Nord Est a 518 e il Nord Ovest ad appena 505. Analizzando il dato nazionale, la voce più pesante nel carrello resta quella della carne e salumi – conclude Coldiretti – per i quali si spendono mensilmente 111 euro, davanti a pasta, pizza, pane e cereali (83 euro) e verdura con 69 euro.

  • Dal novembre 2011 all’ottobre 2024

    Nel novembre 2011 il debito pubblico segnava 1987 miliardi.  Successivamente arrivò il governo Monti. Da allora si sono susseguiti diversi governi il cui esito finale della loro opera è sintetizzabile nell’ultima rilevazione del debito pubblico ad ottobre 2024: 2945 miliardi.

    In tredici anni di gestione della macchina pubblica, alla cui giuda si sono susseguiti i più diversi personaggi e con DNA politici ed orientamenti opposti ma uniti dalla medesima certezza di irresponsabilità, sono stati creati quasi mille miliardi di debito pubblico a sostegno della esplosione della spesa pubblica con un conseguente aumento della pressione fiscale, ora ha raggiunto il 42,7 % e con un total tax rate ad oltre il 52%.

    Nel frattempo, dal 2010 al 2023, la ricchezza nazionale del nostro Paese è diminuita del -4%, mentre in Francia è aumentata del +21%, in Germania del +51% ed in Gran Bretagna del +57%.

    Un dato che certifica ancora una volta come l’esplosione della spesa pubblica rappresenti un fattore che diminuisce la ricchezza e la disponibilità economica della popolazione.

    Il reddito disponibile, infatti, è diminuito del -3,4% a fronte di una crescita in Francia del +27% ed in Germania del +34,7% mentre si registra nel più assoluto disinteresse della politica come delle diverse associazioni di categoria (Confindustria e sindacati) la diciannovesima flessione della produzione industriale.

    Questi numeri certificano una volta di più il sostanziale fallimento dell’azione dello Stato attraverso la spesa pubblica la quale nella classifica della efficienza risulta al 123esimo posto, contemporaneamente al suo arbitrario utilizzo a favore di qualche bacino elettorale o gruppi privilegiati.

  • L’effetto paradosso della terapia fiscale

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo del Prof. Francesco Pontelli

    In medicina viene indicato l’effetto paradosso come “il fenomeno per cui un determinato trattamento presenta una soglia, oltrepassata la quale si ottengono risultati di segno opposto”.

    In altre parole, l’eccesso di somministrazione di un farmaco può determinare nel paziente un effetto contrario alla stessa natura del farmaco come alla motivazione della sua scelta.

    In considerazione, ora, delle ipotesi relative alla prossima manovra finanziaria che sembrerebbe vedere un aggiornamento degli estimi catastali per i proprietari delle abitazioni, sulla base  dell’utilizzo dei fondi pubblici destinati ai cappotti ed ai bonus facciate come di una ulteriore tassazione degli “extra  profitti” nel  sistema bancario e forse nell’industria degli armamenti, si viene a creare un doppio effetto paradosso, molto simile a quello definito in medicina.

    Innanzitutto andrebbe preso in considerazione come all’interno di  un contesto economico e politico nel quale – ad ogni finanziaria si modifica l’assetto anche solo parziale delle normative fiscali e nello specifico sulle abitazioni private e su una tassazione aggiuntiva di non meglio definiti extraprofitti di specifici settori economici (*) – risulta stupefacente come ancora oggi non si trovi un rappresentante istituzionale in grado di comprendere il danno per l’intero Paese, in un’ottica di credibilità internazionale, di  questa terapia fiscale.

    Anche se la leva fiscale sia finalizzata, come un farmaco, al mantenimento in vita del paziente tuttavia il suo eccesso di somministrazione può tradursi in un danno permanente (la perdita di attrattività finanziaria) tale da suscitare, quindi,un effetto paradosso.

    In primo luogo, ed ecco il primo effetto paradosso, in quanto il nostro Paese invece di trovare beneficio da questa somministrazione di una continua legislazione con ripetuti adeguamenti fiscali per mantenere in vita il paziente, si trova a pagare un prezzo che potrebbe essere semplicemente identificato, appunto, nella mancata attrattività nei confronti degli investitori esteri, i quali  considerano la stabilità fiscale un parametro di valutazione fondamentale.

    Esiste,  poi, un secondo effetto paradosso che colpisce più da vicino e  nell’immediatezza i singoli cittadini o, mantenendosi nel contesto sanitario, i pazienti.

    Dato per definitivo l’obbligo imposto dall’Unione Europea di adeguamento nei prossimi anni delle abitazioni ai nuovi parametri “green” che, sempre secondo l’ideologia ambientalista, e come parziale giustificazione questi verrebbero “finanziati’ dai risparmi energetici, emerge evidente un pericoloso secondo effetto paradosso, in quanto il risparmio energetico definito come il supporto economico all’adeguamento normativo imposto dal Green Deal se nel nostro Paese dovesse comportare anche un automatico adeguamento degli estimi  catastali, allora verrebbe annullato ogni vantaggio in termini economici, determinando invece un ulteriore aumento della pressione fiscale.

    L’effetto combinato di queste continue somministrazioni di “terapie fiscali”, il cui unico obiettivo rimane quello di mantenere in vita la struttura ospedaliera (lo Stato) più che il paziente risulta disastroso. Basti ricordare come in Italia il reddito disponibile negli ultimi trent’anni risulti diminuito di -3,4% rispetto ad un aumento in Germania del +34,7 ed in Francia di oltre un +27%.

    A questi dati allarmanti relativi all’esito delle cure adottate, si aggiunga come  dal 2010 ad oggi la ricchezza del nostro Paese sia diminuita del -4% a fronte di un aumento in Francia di un +22% e del +51% in Germania ed addirittura del +57% in Gran Bretagna.

    La medicina fiscale adottata da ogni governo di conseguenza sta dimostrando da decenni i propri limiti che possono portare addirittura se non alla morte quantomeno ad un decisivo aggravamento della patologia dei pazienti (reddito disponibile).

    Dimostrando ancora una volta come la crisi italiana, cominciata nel 2008, ancora oggi risulti lontana da una sua risoluzione e rappresenti, più che un problema di terapia economica fiscale o politica, la massima manifestazione  di una crisi culturale senza precedenti.

    (*) Ci provò lo stesso governo Draghi con esiti disastrosi (-9,2 miliardi di gettito fiscale) con la tassazione delle società energetiche.

  • Libia prima sponda dell’Italia per l’approvvigionamento di petrolio

    Nei primi sette mesi del 2024, i dati dell’Unione energie per la mobilità (Unem) sulle importazioni di greggio in Italia delineano un quadro interessante e complesso delle dinamiche commerciali internazionali. In cima alla classifica dei paesi fornitori si trova la Libia, che si conferma il principale esportatore di petrolio verso l’Italia anche nel secondo trimestre dell’anno in corso. Nel periodo tra gennaio e luglio, l’Italia ha importato un totale di 7,39 milioni di tonnellate di greggio libico, pari al 22,3% del totale nazionale. Questo dato rappresenta una crescita significativa del 28,6% rispetto all’anno precedente, sottolineando l’importanza della Libia come partner strategico per le forniture di energia, nonostante la fragile situazione politica interna. Il dato subirà probabilmente una flessione nel trimestre in corso a causa del blocco petrolifero in Libia durato per tutto il mese di settembre.

    Al secondo posto ci sono i paesi dell’ex Unione Sovietica, in particolare Azerbaigian e Kazakhstan, che insieme hanno esportato verso l’Italia 10,63 milioni di tonnellate di greggio, coprendo il 32% delle importazioni totali. Tuttavia, questi paesi mostrano andamenti divergenti: mentre le importazioni dall’Azerbaigian sono diminuite del 13,8%, quelle dal Kazakhstan hanno registrato una crescita significativa del 29,7%, evidenziando un rafforzamento delle relazioni energetiche tra Italia e quest’ultimo. La terza area geografica di rilievo è il Medio Oriente, con l’Iraq che ha esportato 3,03 milioni di tonnellate, rappresentando il 9,1% del totale, nonostante un calo del 30,9% rispetto al 2023. L’Arabia Saudita segue con 2,15 milioni di tonnellate, pari al 6,5% del totale, ma anche qui si nota un calo importante del 23,8%. Complessivamente, le importazioni dall’intera area mediorientale si attestano a 5,48 milioni di tonnellate, rappresentando il 16,5% delle importazioni italiane, ma con una contrazione del 27,1%.

    Un’altra area di rilievo è l’Africa, che ha fornito il 35,9 per cento del greggio importato dall’Italia nel 2024, per un totale di 11,94 milioni di tonnellate. La Nigeria emerge come il principale fornitore africano dopo la Libia, con 2,1 milioni di tonnellate e un incremento del 31,3%. Anche paesi meno tradizionalmente noti per l’export petrolifero, come il Ghana e il Camerun, hanno mostrato un ruolo crescente, con un aumento rispettivamente del 104,3% e del 42,3% nelle loro esportazioni verso l’Italia. Infine, un dato interessante riguarda le importazioni dagli Stati Uniti, che ammontano a 3,21 milioni di tonnellate, coprendo il 9,7% delle importazioni totali italiane. Sebbene ci sia stato un calo del 14,7% rispetto all’anno precedente, gli Usa rimangono un fornitore importante. In generale, il 2024 ha visto una lieve diminuzione complessiva delle importazioni di greggio in Italia rispetto al 2023, con un calo del 3,3%.

  • La Bei eroga 166 milioni per 17 centrali solari

    La Banca europea per gli investimenti (Bei) e il produttore di energia Bnz hanno sottoscritto un prestito da 166 milioni di euro per la realizzazione di 17 centrali solari fotovoltaiche in Spagna, Italia e Portogallo. Si tratta della prima tranche di un prestito complessivo da 500 milioni di euro approvato dalla Bei a favore di Bnz per sostenere la generazione di 1,7 GW di energia solare fotovoltaica in Europa meridionale entro la fine del 2026. Bnz è un produttore indipendente di energia, controllato da Nuveen Infrastructure, che sviluppa, costruisce e gestisce progetti nell’ambito del solare fotovoltaico. Le 17 centrali fotovoltaiche genereranno energia verde in grado di soddisfare il consumo energetico medio annuo di oltre 390mila famiglie. Questi nuovi impianti saranno per lo più ubicati nelle regioni di coesione, dove il reddito pro-capite è inferiore alla media dell’Ue, confermando l’impegno della Bei a favore della crescita economica e della convergenza tra regioni. Il finanziamento contribuisce al raggiungimento degli obiettivi climatici della Bei, rafforzandone la posizione come ‘banca del clima’, una delle principali priorità delineate nella tabella di marcia strategica 2024-2027 del Gruppo Bei.

    “Questo nuovo investimento è un chiaro esempio di come la Bei stia promuovendo la transizione energetica, contribuendo a un modello energetico più sostenibile e sfruttando il grande potenziale offerto dai paesi dell’Europa meridionale in termini di energie rinnovabili, ha affermato Alessandro Izzo, direttore della Bei responsabile per le operazioni di equity, growth and project finance. “Il progetto rafforzerà la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e contribuirà all’autonomia strategica dell’Europa riducendo la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili”. Il progetto sostiene gli obiettivi di decarbonizzazione del green deal europeo ed è anche parte del piano d’azione della Bei a supporto di RePowerEu, il programma dell’Ue per porre fine alla dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili incrementando l’efficienza energetica e la produzione da fonti rinnovabili. Il finanziamento della Bei è sostenuto da InvestEu, il programma di punta con cui l’Ue mira a rendere disponibili oltre 372 miliardi di euro in investimenti aggiuntivi provenienti da fondi pubblici e privati per contribuire al raggiungimento degli obiettivi strategici dell’Unione nel periodo 2021-2027.

    Luis Selva, amministratore delegato di Bnz, ha osservato: “la nuova fase segnata dalla sottoscrizione del finanziamento mostra la solidità della nostra azienda e l’ambizione dei nostri programmi, oltre ad aprire nuovi scenari che ci consentono di sperimentare sul fronte della diversità tecnologica e geografica e di crescere in termini di volume e di team, con l’obiettivo di diventare uno dei maggiori produttori indipendenti di energia sul mercato. Vogliamo continuare a costruire un futuro più pulito e più sostenibile e l’appoggio di istituzioni finanziarie così importanti dimostra che condividiamo la stessa visione di lungo termine per un mondo migliore”. Secondo Francesco Cacciabue, responsabile a livello globale degli investimenti in energie pulite per Nuveen Infrastructure, “questo importante investimento segna un passo fondamentale per il progresso nel settore delle infrastrutture energetiche sostenibili nell’Europa meridionale. L’iniziativa darà un apporto significativo al raggiungimento degli obiettivi della Spagna, dell’Italia e del Portogallo in materia di energia da fonti rinnovabili e, più in generale, degli obiettivi climatici dell’Unione europea”.

  • Italia prima potenza d’Europa nel settore dell’agroalimentare bio

    L’Italia conquista la leadership Ue per il bio grazie alle 84mila aziende agricole attive sul territorio nazionale, più del doppio della Germania e un terzo in più della Francia. E’ quanto emerge da una analisi Coldiretti su dati Sinab, diffusa durante l’expo agricoltura a Siracusa in occasione della Giornata europea del biologico che si celebra oggi 23 settembre.

    Proprio a Ortigia Coldiretti sta raccontando l’agroalimentare italiano con un focus anche sull’agricoltura bio che è arrivata a coprire 2,5 milioni di ettari (+4,5% nel 2023 rispetto all’anno precedente), rappresentando un ettaro su cinque di superficie agricola nazionale, ormai vicinissima al target del 25 per cento di da raggiungere entro il 2030 fissato dalla strategia europea nell’ambito della Strategia Farm to Fork. A minacciare i record del bio italiano c’è però l’aumento delle importazioni di prodotti biologici dall’estero, cresciute del 40% nel 2023, in controtendenza rispetto al dato dell’Unione Europea. Prodotti che non assicurano la stessa qualità e sicurezza di quelli nazionali ma che finiscono spesso per essere venduti come tricolori grazie alla mancanza di un’etichettatura d’origine riconoscibile.

    Gli arrivi di cibo biologico extra Ue in Italia – spiega Coldiretti – sono passati dai 177 milioni di chili del 2022 ai 248 milioni del 2023, secondo l’ultimo rapporto della Commissione Ue, mentre quelle totali nell’Unione Europea sono diminuite del 9%. Il settore dove è stato più evidente l’aumento degli arrivi è quello dei cereali, magari usati per fare pasta, pane e altri prodotti con il logo del biologico. Aumenti record anche per gli ortaggi bio e l’olio d’oliva. Proprio per salvaguardare i consumi di prodotti degli italiani, che nel 2023 hanno raggiunto il valore di 3,8 miliardi di euro nella gdo, Coldiretti Bio ha elaborato un decalogo con i consigli per scegliere la qualità e difendersi dal rischio frodi. La prima regola è verificare sempre la presenza del logo europeo del biologico (la foglia bianca in campo verde) nell’etichetta del prodotto bio, verificando anche le indicazioni obbligatorie per il prodotto venduto sfuso e la certificazione del venditore. Importante anche controllare l’origine Italia che nella confezione deve essere sempre presente sotto il logo. Per assicurarsi prodotto bio 100 per cento Made in Italy meglio acquistare direttamente dalle aziende agricole biologiche nei punti vendita o nei mercati contadini come quelli di Campagna Amica.

    Allo stesso modo è buona pratica preferire prodotti biologici locali, coltivati vicini al luogo di consumo, magari freschi di stagione. Un contributo alla biodiversitù viene anche dallo scegliere specialità bio che recuperano varietà tradizionali e razze di animali autoctone e, soprattutto, che hanno subito trasformazioni minime evitando il bio ultraprocessato. Guardando alla confezione, vanno preferiti packaging essenziali ed ecosostenibili. Ma anche a tavola è importante adottare una dieta differenziata a base di tutti i prodotti biologici della Dieta Mediterranea come ad esempio verdura, pasta, olio evo, carne e pesce. Ma Coldiretti Bio sostiene anche la necessità di affermare in Europa al più presto il principio di reciprocità rispetto alle importazioni, ovvero stesse regole per il bio comunitario e quello dei Paesi terzi, poiché non è possibile accettare che entrino nel nostro Paese cibi coltivati secondo regole non consentite nella Ue. Fermare la concorrenza sleale delle importazioni a basso costo e valorizzare il vero prodotto tricolore sono le condizioni fondamentali per costruire filiere biologiche dal campo alla tavola.

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