jihad

  • La jihad inaugura le sue attività del 2021 con 100 ammazzati in Niger

    Almeno 100 civili sono stati trucidati nelle loro case da uomini armati su un centinaio di moto che, in pieno giorno, si sono divisi in due gruppi circondando e attaccando due villaggi del Niger a ridosso del confine con il Mali. Un attacco pianificato militarmente, avvenuto ieri e non ancora rivendicato, ma che gli osservatori non esitano ad attribuire a terroristi islamici, facenti capo alle ‘famiglie’ dell’Isis o di Al Qaida o ai Boko Haram nigeriani, gruppi che percorrono e colpiscono fra il Sahara e il Sahel in un mondo senza confini.

    Sulla strage non si hanno dettagli, ma si sa che almeno 70 delle vittime abitavano il remoto villaggio di Tchombangou e 30 quello vicino di Zaroumdareye, entrambi situati nella regione nigerina sud-occidentale di Tillabéri, un imbuto di deserto incuneato fra i porosissimi confini con il Mali e il Burkina Faso, due Paesi travagliati non meno del Niger, preda di instabilità politica, di terrorismo jihadista, di traffici di esseri umani, armi e droga e percorsi da violenze interetniche, spesso sottotraccia. Tre Paesi che da soli nel 2019 hanno avuto circa 4.000 morti per terrorismo o comunque per violenza armata, secondo una stima dell’Onu citata dai media locali.

    Nel 2020, venti persone sono state uccise da terroristi in un villaggio della regione e altri 34 lo scorso 12 dicembre nella vicina regione di Diffa. Un’area, quella di Tillabéri, talmente pericolosa che le autorità hanno vietato di usare la motocicletta: un mezzo che permette a terroristi islamici, banditi e trafficanti di muoversi velocemente e agilmente.

    Malgrado il divieto i terroristi, che probabilmente hanno inteso vendicare con questo eccidio l’uccisione di due non meglio precisati ‘militanti’ da parte delle milizie locali di autodifesa, sarebbero arrivati proprio a bordo di un centinaio di moto dal vicino Mali, Paese dove negli ultimi giorni due soldati francesi sono stati uccisi da militanti jihadisti.

    “Per attaccare i due villaggi, distanti fra loro 7 chilometri, i terroristi si sono divisi in due colonne: mentre una attaccava Zaroumadareye, l’altra assaltava Tchomabangou”, ha precisato oggi, dopo una visita sul posto, Almou Hassane, sindaco di Tondikiwindi, che amministra entrambi. Quanto ai 25 feriti, ha detto Hassane, sono stati portati negli ospedali di Ouallam o nella capitale Niamey, distante 120 chilometri.

    La strage, avvenuta verso mezzogiorno, è coincisa con l’annuncio ufficiale dei risultati delle elezioni presidenziali in Niger del 27 dicembre, che molti sperano possano segnare il primo passaggio pacifico del potere e un primo segno di stabilità per un piccolo Paese instabile, poverissimo e violento. La Commissione elettorale ha però constatato che il tutto sarà deciso il 21 febbraio, quando si affronteranno in ballottaggio l’ex premier Mohamed Bazoum, braccio destro del presidente uscente, Mohamadou Issoufou, al potere per due mandati, e il candidato espresso dall’opposizione, l’ex presidente Mahamane Ousmane.

  • Jihadisti a piede libero in Francia

    Djamel Beghal, 52 anni, è a fine pena e il 5 agosto lascerà il carcere di Vezin, a Rennes, Francia. E’ stato uno dei maggiori reclutatori di Al Qaeda in Europa. E, soprattutto, è l’ispiratore dei fratelli Kouachi, gli stragisti del settimanale satirico Charlie Hebdo nel gennaio del 2015. Difficilmente resterà a Parigi dopo la liberazione. Sua moglie e i loro quattro figli vivono in una bella casa a Laicester. E’ là che Beghal, in clandestinità, ha tramato tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000, viaggiando spesso verso l’Afganistan per incontrare l’allora capo di Al Qaeda, Osama Bin Laden. E’ stato uno dei principali reclutatori di Al Qaeda in Europa. Aveva progettato anche, ma senza successo, di far saltare in aria l’ambasciata americana di Parigi. Per aver organizzato un tentativo di fuga dal carcere di un leader del gruppo islamico armato algerino, nel dicembre del 2013, è stato condannato a dieci anni. Durante la sua permanenza al carcere di alta sicurezza a Parigi, Fleury-Megori, ha insegnato i trucchi del mestiere di terrorista a Cherif Kouachi che insieme a suo fratello è stato tra i kamikaze dell’attentato alla redazione di Charlie Hebdo. Il governo britannico ha vietato a Beghal, che ha un passaporto algerino, di entrare nel Paese. Ma i suoi avvocati hanno già ottenuto dalla Corte europea dei diritti umani di non farlo rientrare in Algeria, “perché la sua vita sarebbe in grave pericolo”. E quelle degli altri  che lui metterebbe in pericolo da dove si trova, le considera la Corte? Brutta storia quella dei diritti umani per i terroristi! D’altronde, Beghal è tra i 450 prigionieri estremisti che lasceranno le carceri francesi entro la fine del 2019. Tra loro ci sono ben 50 terroristi islamici acclarati. Il ministro della Giustizia francese ha dichiarato che si dovrà fronteggiare una grave emergenza, anche in virtù del fatto che presto tutti i criminali che durante la loro pena si saranno radicalizzati, acquisteranno la libertà. Il Procuratore francese dell’antiterrorismo considera che il rientro in società di queste persone rappresenta un rischio enorme, poiché fino ad ora nessuno di loro ha dimostrato di essersi pentito. E’ una minaccia interna rappresentata da terroristi pericolosi e potenzialmente recidivi, che sono a piede libero, una minaccia che s’aggiunge a quella dell’accoglienza, nel solo 2017, di 100 mila immigrati dall’Africa sub-sahariana e dal Nord Africa. Il ministro della Giustizia ha promesso un’azione efficace, ma molti ne dubitano e ricordano che il 19enne jihadista che nel 2016 ha tagliato la gola a padre Jacques Hamel a Saint Etienne-du- Rouvray, era sotto sorveglianza ed era monitorato con un braccialetto elettronico alla caviglia. Ciò non gli ha impedito di compiere il delitto che aveva programmato. In che cosa consisterebbe l’azione efficace promessa dal ministro? Concedere permessi carcerari per il reinserimento sociale, come è stato fatto con l’assassino di padre Harmel? Quali sono i criteri per concedere questo reinserimento? Sembra una bomba ad orologeria la politica francese per il reinserimento. Secondo i dati governativi circa 1.700 musulmani francesi di sono uniti all’Isis in Iraq e in Siria dal 2014. Almeno 278 sono morti e 302 sono tornati in Francia, tra cui 66 donne e 58 minori. Degli altri le tracce sono confuse. Ciò che comunque preoccupa seriamente i responsabili francesi è la miscela esplosiva che verrebbe a crearsi tra i musulmani radicalizzati in carcere e presto a piede libero, i jihadisti di ritorno in Francia dalla Siria e dall’Iraq e le bande musulmane che tengono in ostaggio interi quartieri. Sono le “zone vietate” controllate dai salafiti, il cui accesso è vietato soprattutto alle donne bianche. E’ là che verranno concentrate le armi, i Kalashnikov, procurati dagli spacciatori di droga, che finiranno nella mani degli islamici che intendono controllare meglio un territorio che sentono di loro proprietà. Le fonti del 2012 raccontano di circa sette milioni di armi illegali in circolazione. Il censimento delle zone controllate esclusivamente dai musulmani risulta ormai impossibile, ma quel che è certo è che in Francia risiedono oltre cinque milioni di musulmani. Di questi, il 10% circa è legato al mando salafita. Se il 10% in questione, dunque mezzo milione di persone, entrasse in contatto e finisse con l’allearsi con i jihadisti di nuovo liberi in Francia, nessuno sarà più in grado di combattere un pericolo del genere.

    Lo afferma un servizio giornalistico de “La nuova Bussola quotidiana” del 13 luglio scorso, dalla quale ricaviamo la notizia.

  • Il Qatar compra un porto del Sudan e spaventa i suoi vicini arabi

    Il Qatar ha siglato un accordo da 4 miliardi di dollari per il porto di Suakin, sulla costa sudanese del Mar Rosso a pochissima distanza dall’Arabia Saudita. Oggetto di attenzione anche della Turchia (all’epoca dell’impero ottomano era l’hub forse più importante per il mercato degli schiavi), il porto desta le preoccupazioni di Arabia Saudita ed Emirati, che hanno disposto l’embargo nei confronti del Qatar. L’acquisizione potrebbe infatti portare alla creazione di una serie di basi militari visto che Sudan, Turchia e Qatar condividono più di un progetto di sviluppo ed una certa visione dell’islamismo politico che foraggia il jihadismo salafita. L’influenza di Doha sul Sudan è testimoniata da alcune circostanze: alla fine di marzo scorso l’Eritrea ha accusato Qatar e Sudan di aver schierato caccia al confine e di foraggiare un nuovo hub jihadista: il governo eritreo ha accusato apertamente Doha di finanziare i sostenitori del religioso islamista radicale Mohammed Jumma (nella nota del governo eritreo si parla apertamente di ”un’area nascosta per organizzare attività politiche e militari e per addestrare i loro militanti. Il finanziamento delle loro attività è garantito dall’ambasciata del Qatar a Khartoum’’). Il Qatar, dice ancora il governo eritreo, avrebbe inviato tre aerei da combattimento Mig alle forze di difesa sudanesi che sono state dispiegate a Kassala, al confine tra l’Eritrea e il Sudan, alla cui guida c’erano due qatarioti ed un etiope.

  • La ragazza Leah, lo stupro di gruppo, Alfie: tre notizie che non trovate sui giornali o alla tv

    Ci sono tre notizie agghiaccianti che non trovano spazio sui media, in questi giorni di settimana santa. La prima si riferisce a Boko Haram, il terrorista musulmano jihadista che opera in Nigeria. La seconda riguarda l’allucinante situazione che si verifica in Germania con gli stupri di gruppo. La terza concerne il povero Alfie, il bambino inglese di 22 mesi che i medici e i giudici vogliono far morire.
    Partiamo da Boko Haram, che il 19 febbraio ha rapito 110 studentesse del Collegio governativo femminile di scienza e tecnica nella cittadina di Dapchi, in una regione a Nord-Est della Nigeria. Durante il trasporto, cinque di esse hanno trovato la morte, schiacciate dalle compagne sugli automezzi sovraccarichi, o uccise dallo sfinimento e dall’angoscia nei giorni di prigionia. Tutte le altre sono state liberate il 21 marzo, forse a seguito di un riscatto pagato dal governo o, come dicono alcune delle ragazze liberate, perché gli jihadisti credevano di aver rapito delle ragazze cristiane, mentre in realtà la maggioranza era di fede mussulmana. Nelle mani dei rapitori è rimasta soltanto una studentessa cristiana, Leah Sharibu. La tengono prigioniera perché ha rifiutato di abiurare e di convertirsi all’Islam, come le chiedevano gli aguzzini. Il padre della ragazza, intervistato nei giorni successivi, si è detto fiero di lei e del coraggio dimostrato nel rifiutare l’abiura. L’ha incoraggiata ad essere forte e le ha promesso, se un giorno sarà liberata, di farla tornare a scuola nel Collegio di Dapchi, sfidando in questo modo Boko Haram, che invece ha minacciato di rapire chiunque osi ancora frequentare quel Collegio. Non si sa quanti anni abbia Leah, ma l’età delle ragazze rapite va dagli 11 ai 19 anni. Leah si unisce alla schiera dei cristiani perseguitati per la fede e che non accettano di convertirsi all’Islam, disposti ad accettare fino al martirio le conseguenze del loro rifiuto. Boko Haram non è nuovo a questi atti di violenza. Ha già effettuato altri rapimenti di massa, ha bruciato chiese e monasteri, ha ucciso fedeli durante le cerimonie religiose. Le sue vittime si contano a centinaia e nessuno, fino ad ora, è riuscito a fermarlo. Gli danno la caccia anche gruppi armati formati da militari di Paesi vicini, compresi quelli dell’esercito ufficiale della Nigeria. Ma nulla è valso a fermarlo e a fargli pagare i delitti compiuti fino ad ora. Ve l’immaginate una ragazza rapita da qualcuno al liceo Parini? Stampa, radio, TV, politici e buontemponi ne parlerebbero per settimane. Boko Haram ne ha rapito 110. Silenzio totale, tanto non sono italiane!
    La seconda notizia riguarda un caso accaduto due giorni fa in Germania: una donna di ventiquattro anni stuprata da un branco di migranti. E’ uno stupro collettivo perpetrato da uomini di colore su donne bianche. E’ una piaga del multiculturalismo germanico, che nel solo 2017 ha registrato più di 3.000 casi. A riportare l’accaduto è la stampa inglese. Quella tedesca pratica la virtù del silenzio, che non disturba nessuno, se non la vergogna di strumenti di comunicazione di massa che in un Paese in cui vige la libertà, non praticano la loro funzione d’informazione. La donna è stata accoltellata da un diciassettenne accorso in aiuto a due ragazzi profughi minorenni che litigavano. Non si sa nulla di più, oltre al fatto che la donna è in fin di vita. Ormai, in una Germania multiculturale le aggressioni e gli stupri in cui vengono coinvolte donne bianche sono un fatto quotidiano. I media sono subalterni al politicamente corretto e rifiutano di presentare la realtà così com’è, anziché mostrare gli effetti collaterali della nuova islamizzazione. Il “melting pot culturale” va avanti da anni indisturbato e l’identità nazionale, soprattutto se essa è stata permeata dal cristianesimo, rimane evanescente. Che questa insalata di culture diverse ed incompatibili produca danni non viene volutamente percepito e non viene comunicato. La crisi degli stupri non è di oggi. Le statistiche mostrano chiaramente che nel 2017 si sono verificati una dozzina di stupri quotidianamente, cioè un aumento di aggressioni quattro volte superiore al 2014. Il rapporto pubblicato il 16 gennaio dall’Ufficio federale della polizia criminale dimostra che i richiedenti asilo, gli immigrati, i clandestini hanno commesso esattamene 3.466 reati sessuali nei primi mesi del 2017, circa 13 al giorno. Per avere un quadro completo bisognerà aspettare il secondo trimestre del 2018. Nel 2016 i reati sessuali dei migranti sono stati 3.404, nel 2015, 1683; nel 2014, 949 e nel 2013, 599, circa due al giorno. Ciò detto, André Schulz, direttore della Associazione della polizia criminale, ritiene che addirittura fino al 90% dei reati sessuali commessi in Germania non compaiono nelle statistiche ufficiali. Un alto funzionario della polizia di Francoforte ha detto alla Bild (uno dei più grandi quotidiani tedeschi – 5 milioni di copie giornaliere) che “esiste un rigido ordine da parte delle autorità di non denunciare i crimini commessi dai rifugiati”. Solo le denunce specifiche dei media su tali atti vengono corrisposte. Ma il numero delle vittime cresce in continuazione e nello stesso tempo la maggior parte dei crimini vengono minimizzati come incidenti isolati. Si tratta di evitare che vengano alimentati sentimenti anti immigrazione. Atteggiamento virtuoso, si direbbe. E le vittime? Chi le considera? Non abbisognano anch’esse di un sentimento di solidarietà? Non vorremmo invece che lo stupro collettivo, detto in arabo taharrush, un genere di violenza in cui una donna viene circondata da un gruppo di islamici e violentata a turno, diventi il marchio di questa Europa islamizzata, culturalmente nihilista e inetta nel difendere i suoi valori, ammesso che ci creda ancora, e nel tutelare i suoi cittadini.
    Il caso di Alfie sta giungendo al termine. Anche la Corte dei diritti umani ha respinto il ricorso dei genitori contro la decisione dei medici di togliere al piccolo Alfie la ventilazione. “Non abbiamo più vie legali per difendere nostro figlio che vuole vivere, mentre i medici e i giudici non vedono l’ora che muoia – ha dichiarato affranto Thomas Evans, il papà del bambino. “Imploriamo Papa Francesco di intervenire – ha aggiunto. – E’ l’unico che ci può difendere.” La Corte infatti, più che tutelare i diritti umani, tutela in questo caso l’eutanasia e la morte. Incredibile, tanto più che il respingimento del ricorso, in una pagina e mezzo di burocratese, è giustificato dal fatto che la richiesta dei genitori non rispondeva ai criteri d’ammissione. Del lurido burocratese per spegnere una vita. Atteggiamento sconvolgente e orribile, di fronte all’angoscia dei genitori di perdere il piccino. E’ colpa loro, che non hanno rispettato i criteri d’ammissione, se il ricorso viene respinto. Inverosimile, questa decisione della Corte. Il bambino sarà ucciso e loro, i giudici, come i medici, continueranno a fare sentenze e a fare diagnosi, magari sbagliate come con Alfie, come se nulla fosse, come se una vita non fosse stata spenta per loro autonoma decisione, come se l’eutanasia fosse un atto automatico coinvolgente i diritti umani. Orribile!
    E l’informazione? Dov’è l’informazione? Avete letto queste notizie sul vostro quotidiano di riferimento? Avete sentito e visto alla televisione la voce rotta dall’angoscia e il volto angosciato del papà di Alfie che implora aiuto al Papa? Avete osservato gli occhioni di Alfie che emanano dolcezza e chiedono aiuto? Avete letto l’indignazione di quelli che la praticano quotidianamente sui blog? Avete sentito le frasi di circostanza dei soliti politici? No, l’eutanasia non va disturbata da sentimenti di pietà e d’amore. Il nihilismo imperante la considera una felice soluzione, anche quando non ce ne fosse bisogno, come sono stati i casi di Charlie Gard e Isaiah Haastrup, come lo sarà probabilmente quello di Alfie. Ma chi sono questi omuncoli che decidono di far morire i figli senza mai dare ascolto ai genitori? Che futuro dobbiamo attenderci da Paesi che permettono che accada quel che avete appena letto? Se queste cose accadono nell’indifferenza generale, il futuro non potrà essere sereno. Speriamo che quando ce ne accorgiamo non sia troppo tardi!

    Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana del 28 e 29 marzo 2018

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