Laburisti

  • Jeremy Corbyn non ha cambiato idea su niente

    L’Assemblea ha avuto luogo la settimana scorsa e gli osservatori s’aspettavano che Corbyn si pronunciasse finalmente sulla Brexit: è contro, o condivide l’opinione di una larga parte del suo partito che vi è favorevole e che addirittura propone un secondo referendum prima di decidere definitivamente? La risposta è l’ambiguità. Prima bisogna tenere le elezioni politiche interne, poi si vedrà! La sua leadership, nonostante l’ambiguità, rimane indiscussa. Ne è una conferma l’accoglienza calorosa riservata al suo discorso di chiusura dell’Assemblea, discorso applauditissimo a più riprese che ha concluso i lavori in modo entusiastico. Eppure!!!

    Eppure, afferma Andrew Sullivan sul New York Magazine del 6 agosto scorso, Corbyn non ha cambiato idea su niente, rimane “un eccentrico socialista di 69 anni che in vita sua non ha mai creduto di poter guidare un partito politico, figurarsi essere credibilmente menzionato come possibile futuro primo ministro del Regno Unito. Nato in una famiglia dell’alta borghesia, Corbyn era un classico “pannolino rosso”. I suoi erano socialisti e New Tree Manor, la tenuta di campagna seicentesca dove è cresciuto, era una dimora molto bohémien, piena di saloni ricolmi di libri di sinistra. Corbyn si diplomò con voti così tremendi che l’opzione universitaria fu scartata subito, per cui entrò nell’equivalente britannico dei Corpi di pace e fu stanziato in Giamaica per due anni, poi viaggiò in tutta l’America latina. Disgustato dalle enormi disuguaglianze che vide attorno a sé, si radicalizzò ulteriormente e quando tornò in Inghilterra si trasferì nella multirazziale Londra del Nord, dove abitano molti immigrati (gli inglesi bianchi sono una minoranza). Era una periferia da terzo mondo e Corbyn si sentiva a casa” –  dichiara Sullivan. Ma il suo radicalismo sinistrorso si è manifestato in altri settori. Simpatizzò per l’Esercito repubblicano irlandese (Ira), fu ostile alla monarchia e a favore dei movimenti rivoluzionari terzomondisti e si batteva per il disarmo nucleare unilaterale. Si oppose all’appartenenza britannica alla Nato e alla futura Unione europea. Disprezzava l’alleanza americana e la tendenza capitalistica dell’UE. Era un astemio contrario all’alcol e alle droghe. E’ un vegetariano. Non ha cambiato idea su nulla, anche se i suoi obiettivi sono stati tutti battuti dalla storia. E’ stato singolare il suo rapporto con il partito al quale apparteneva ed appartiene. Nei decenni che ha passato in parlamento, ad esempio, ha votato 428 volte contro le indicazioni del suo partito quando era al governo. Come deputato è sempre rimasto ai margini. E’ un convinto difensore dei palestinesi. Per questo, forse, ancora oggi, è antisemita e un convinto avversario di Israele. Ha invitato alla Camera dei Comuni i suoi “amici” di Hamas e Hezbollah, come alcuni membri dell’Ira, una volta persino due settimane dopo che un gruppo dell’Ira aveva quasi assassinato Margaret Thatcher, facendo scoppiare una bomba nel suo hotel nel 1984. Ha disprezzato la modernizzazione del partito attuata da Tony Blair. I corbynisti sono fermi agli anni settanta. Allora il modello socialdemocratico collassò in una mera difesa del potere dei sindacati contro un governo eletto, provocò la stagflazione e paralizzò i servizi pubblici essenziali con scioperi di massa. Le riserve di energia – continua Sullivan – erano talmente ridotte all’osso che, a un certo punto, il Regno Unito aveva elettricità soltanto per tre giorni lavorativi a settimana. Oggi i corbynisti vedono l’eredità neoliberale della Thatcher in uno stato di disastro e con la richiesta di elezioni sperano di approfittare della situazione per tornare al governo. La Brexit passa in secondo piano nelle loro priorità. Ma davvero il Regno unito è pronto a buttarsi nelle braccia di Corbyn, di questo vecchio arnese del socialismo radicale che negli ultimi cinquant’anni ha perso tutte le scommesse con la storia? Un Regno Unito fuori dall’UE sarebbe ancora più debole per poter resistere a questa prospettiva. Quello dei laburisti alla Corbyn sarebbe un sovranismo imperiale. Ci mancava anche questo, da affiancare ai sovranismi populisti, ahinoi!, senza impero, del Continente.

    Dopo l’assemblea dei Laburisti della settimana scorsa, è iniziata quella del Partito Conservatore, la premier May deve far fronte a due difficoltà: da un lato gli oppositori interni e dall’altro, la necessità di trovare una soluzione per l’accordo sull’uscita dall’UE. Il Consiglio di Salisburgo non gli era stato favorevole e l’UE aveva respinto le proposte inglesi. Si arriverà al fatidico 19 marzo 2019, data prevista per l’uscita dall’UE, senza accordo? Sarebbe un ulteriore indebolimento della May, con Corbyn che richiede le elezioni politiche. Ci sarà un ammorbidimento delle richieste inglesi all’Europa? I nemici della May hanno già cominciato a spararle contro in modo forsennato. Avrà una maggioranza per resistere alle pressioni contrarie?

  • Cosa vogliono i laburisti con la Brexit?

    L’accordo per l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea non è ancora stato raggiunto. Anche l’ultimo incontro tra i negoziatori delle due parti non ha raggiunto un’intesa condivisa. Da un lato il RU mira a mantenere determinati vantaggi offerti dall’appartenenza al mercato unico, pur non facendone più parte, e dall’altro l’UE non è disposta a concedere i vantaggi dell’adesione a chi vuole uscire. Il ministro delle Finanze francese, Bruno Le Maire, ha addirittura detto che se si accettasse la posizione del governo di Londra, per la UE sarebbe un suicidio. Anche il presidente Macron, in occasione del vertice informale UE di Salisburgo ha dichiarato che “la Brexit non sarà senza costi o conseguenze per Londra”. Siamo a pochi mesi dalla data fissata per l’uscita e c’è il rischio che ci si arrivi senza nessun accordo. Nel frattempo, tuttavia, la premier inglese Theresa May usa la platea dell’Assemblea generale dell’Onu per promuovere la Gran Bretagna post Brexit, annunciando che il Regno Unito istituirà per le imprese la “tassazione più bassa” tra le nazioni del G20 e offrirà a quelle che investono nel Paese non solo vantaggi fiscali, ma anche un’industria di servizi e un centro finanziario, la City, che sono “invidiati in tutto il mondo”. La posizione della premier conservatrice è chiara. E quella dei laburisti lo è altrettanto? Cosa faranno con la Brexit? Staranno a guardare lo svolgersi degli avvenimenti, o prenderanno posizioni chiare? Per ora il loro atteggiamento è abbastanza ambiguo. Si è conclusa da qualche giorno a Liverpool l’assemblea del partito, si è discusso di molte cose, ma soprattutto della Brexit: un tema su cui i laburisti non sembrano proprio avere le idee chiare, nonostante le trattative con l’Unione europea che dovrebbero concludersi nei prossimi due mesi. Durante il discorso del portavoce laburista per Brexit, Keir Starmer, sono emerse le contraddizioni che caratterizzano il partito in ordine a questo problema. Parlando della possibilità di un nuovo referendum per Brexit, Starmer ha detto che “nessuno vuole escludere la possibilità di rimanere” nell’Unione europea. A questo punto buona parte del pubblico presente, formato dai delegati del partito, ha cominciato ad applaudire vigorosamente e ad alzarsi in piedi. Starmer sembrava stupito da questa reazione ed ha ripreso a fatica il filo del suo discorso. E Corbyn, il segretario del partito, come ha reagito a questa manifestazione di entusiasmo contro la Brexit? Come è noto, egli è un euroscettico e in un’intervista successiva all’intervento di Starmer si è limitato a dire che era a conoscenza del testo del discorso, senza aggiungere altro. Questa ambiguità del segretario potrebbe essere comprensibile, dato che al referendum del 2016 una fetta consistente degli elettori laburisti, circa un terzo, votò per uscire dall’UE, il che vuol dire però che i due terzi degli elettori, insieme a quasi tutti i dirigenti, votarono per rimanere in Europa. L’aumento dei consensi al partito, confermato da diversi sondaggi, è stato costruito grazie al recupero dello storico blocco sociale del partito laburista rappresentato dalla classe bianca medio-bassa, attratta a votare per Brexit dalle promesse di notevoli benefici economici e sociali. Ma quei benefici non si sono materializzati fino ad ora e sembrano anche sempre più remoti se il Regno Unito uscirà dall’UE. D’altro canto, da circa un anno l’opinione comune su Brexit sembra essersi spostata, tanto che un sondaggio di YouGov conferma che il 50% dei britannici sostiene che votare per uscire dalla UE sia stata una cattiva idea. Solo il 40% ha sostenuto l’opzione opposta. All’interno del partito, fra gli attivisti e gli iscritti, l’ostilità a Brexit è ancora più diffusa. Un sondaggio di YouGov indica che addirittura il 91% di loro ritiene che Brexit sia un danno per l’economia britannica e l’86% è favorevole a un nuovo referendum che includa la possibilità di rimanere nell’UE, tanto che tra le mozioni approvate dall’Assemblea una ne parlava, sia pure implicitamente. Perché allora questa persistente reticenza di Corbyn a prendere posizione? Da un lato il suo radicalismo marxista e dall’altro la sua capacità manovriera di muoversi con destrezza nelle indicazioni dell’opinione pubblica e di approfittare di ogni occasione per rafforzare il suo potere, non gli permettono di schierarsi ora apertamente per un’opzione chiara e definita. Per questo i laburisti da alcune settimane spingono per nuove elezioni politiche, fatto che consentirebbe loro di concentrarsi sulla campagna elettorale e quindi di posticipare una presa di posizione netta sulla Brexit. Corbyn, nonostante la volontà della maggioranza del suo partito, non vuole un nuovo referendum e non vuole nemmeno caricarsi della responsabilità che potrebbero derivare da un esito negativo dell’uscita dell’Unione europea. Non è escluso, tra l’altro, che un non accordo sull’uscita veda domani un Corbyn premier costretto a negoziare lui stesso il dopo Brexit.

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