Legge

  • In attesa di Giustizia: Avvocati

    Sapete da cosa si capisce se in un incidente stradale è stato investito un cane o un avvocato? Solo nel caso della bestiola, ci sono tracce di frenata. Così recita una vecchia freddura che, probabilmente, fa ridere solo la redazione del Fatto Quotidiano.

    Vero è che non tutti sono dei luminari del diritto, vero che faccendieri nella categoria ce ne sono, ed anche taluni mascalzoni patentati, ma quella dell’Avvocato (con la A maiuscola) è ancor più che una professione, è  un ministero cui adempiono in tutto il mondo uomini la cui nobiltà d’animo è fuori discussione.

    In questo tempo angoscioso in cui il cannone è tornato a tuonare nel cuore dell’Europa, proprio gli avvocati – quelli di Kiev – sono stati tra i primi a battersi per la libertà: questa volta quella della loro Patria arruolandosi volontari ed imbracciando un fucile invece che un codice.

    La Giunta dell’Unione delle Camere Penali, in nome dei penalisti italiani ha inteso far sentire la propria voce con un documento nel quale vi è una netta presa di posizione “al fianco delle donne e degli uomini della Repubblica dell’Ucraina, e del loro diritto alla vita, alla libertà, all’autodeterminazione”.

    Prosegue affermando che “chi come noi ha dedicato e dedica la propria vita professionale alla difesa dei diritti della persona, oggi non può che essere dalla parte di chi vede negati, con violenza feroce e cinica, i più elementari diritti umani: alla vita, alla integrità dei propri beni, alla libera autodeterminazione di un popolo…al tempo stesso, vogliamo esprimere la nostra fraterna solidarietà e la nostra incondizionata ammirazione nei confronti delle colleghe e dei colleghi russi in queste settimane impegnati, con ben immaginabile rischio personale, in difesa dei propri concittadini, destinatari di arresti ed incriminazioni iperboliche solo per aver manifestato il proprio dissenso da quella scellerata iniziativa del proprio Governo. Ancora una volta, laddove si invoca libertà, dovrà esserci un avvocato libero; dove si minaccia o si nega la libertà del difensore, si minaccia o si nega la libertà e la dignità di un intero popolo”.

    Vale, forse, la pena – per restare ancor più in argomento – ricordare una citazione tratta da un testo di letteratura russa: durante un processo ad ufficiali zaristi, il pubblico ministero apostrofò l’avvocato chiedendogli polemicamente “dove eravate voi avvocati mentre i contadini morivano uccisi dai soldati dello Zar?” e l’avvocato rispose: “eravamo a difendere quei contadini che voi perseguitavate in nome della legge dello Zar”.

    Ecco, c’è da essere orgogliosi di vestire la Toga di avvocato, di essere i difensori delle garanzie dei cittadini e della libertà. E quando qualcuno, con contorsioni concettuali degne del casuismo gesuitico del XVI secolo,  plaude al largo impiego dei ceppi perché inducono al pentimento, sono proprio gli avvocati a saper contrastare tali argomenti richiamandosi al pensiero di Pascal che li ha implacabilmente folgorati superandone la parvenza logica: ma si tratta, appunto di una parvenza, di illusioni verbali.

    Ma non andate a dirlo a Nicola Morra, che pure presiede la Commissione Parlamentare Antimafia, al Professore Conte (professore di che, poi? Forse di diritto e rovescio, istituzioni di uncinetto) e meno che mai al suo prediletto allievo, Alfonso Bonafede: non provate a spiegar loro che si tratta di trucchi epistemiologici rinvenibili nei trattati di Vasquez de la Cruz, Fernandez, Suarez o Squillanti perché penserebbero  che stiate citando calciatori dell’Uruguay campione del Mondo nel 1950.

    Viva la libertà.

  • In attesa di Giustizia: terapia intensiva

    I contagi stanno diminuendo, o forse no, tuttavia lo stato di emergenza dovrebbe terminare a fine mese…quella sanitaria; a parte quella indotta dalla guerra in Ucraina, ve n’è un’altra – per così dire – in servizio permanente effettivo: quella nel settore della Giustizia che i due anni di pandemia hanno portato in prossimità del collasso definitivo soprattutto nel settore penale a causa del rinvio di decine di migliaia di udienze determinate dal lock down o da problemi successivi di contagio equamente distribuiti tra giudici, avvocati, cancellieri, testimoni, parti ed esigenze di sanificazione delle aule e degli uffici infettati.

    Non di rado, l’impossibilità di celebrare un’udienza si scopre solo il giorno stesso in cui si dovrebbe tenere: qualcuno non è stato fatto entrare nel Palazzo perché la temperatura era superiore a 37,5° (oppure non è neppure uscito di casa), qualcun altro ha un famigliare convivente che si è scoperto positivo la sera prima…: le possibilità sono infinite e, talvolta, comportano che non una sola udienza ma tutte quelle iscritte a ruolo vengano differite, come nel caso che la criticità tocchi il magistrato assegnato.

    In qualche caso, disperatamente, si cerca di recuperare con iniziative che si collocano oltre il limite dell’impraticabile, sconfinando nella fantascienza: onore all’impegno ma, senza fare nomi, in più di una sede di Tribunale sono state inserite al ruolo di un unico giudicante ed in un solo giorno oltre una cinquantina di cause che non potranno mai essere portate avanti. Ma, tanto, non si prescrive più quasi nulla e l’onore è salvo.

    Per dare un’idea, se un’udienza deve essere solamente rinviata per mancanza di una o più notifiche  (particolarmente quelle “saltate” durante la prima fase emergenza, quando i cancellieri erano in finto smart working, a casa senza gli strumenti per operare) tra verifica dei presenti, della regolarità o meno degli avvisi agli assenti – a volte più di uno se gli imputati e gli avvocati sono molteplici – e dettatura della verbale al segretario con indicazione di quanto necessario fare per la volta successiva (nella speranza che venga fatto…) servono almeno dieci minuti ed una giornata in tribunale, considerando anche qualche attività più consistente, dovrebbe prevedere una durata superiore alle dieci ore. Il tutto immaginando che non vengano fatte pause neppure per un caffè molto ristretto.

    L’“effetto valanga” determinato dai vecchi processi che non si fanno, cui si aggiungono quelli nuovi, è facilmente immaginabile. Per la verità di nuovi processi se ne vedono pochi perché anche le Procure della Repubblica, che sono il primo motore della giustizia penale sono con il motore ingolfato non solo a causa della pandemia ma anche per altri motivi che hanno toccato soprattutto alcune tra le maggiori, con  la “decapitazione” dei vertici per irregolarità nelle nomine (Roma), pensionamenti (Milano) e anche qualche arresto (Taranto). E questo solo per ricordare esempi noti, a tacere dei problemucci che si sono riversati su altre figure della magistratura ancorchè non apicali.

    Le Procure, però, sono preoccupate di una cosa: la statistica! Dovendo dare prova di produttività  ecco che si vedono – un po’ dovunque – chiusure di indagini e rinvii a giudizio per crimini efferati come la mancata comunicazione alla Questura di tre ospiti in un albergo, lesioni volontarie diagnosticate come guaribili in un giorno, ritardata comunicazione ai vigili del fuoco della installazione di una caldaia nuova in un condominio. Sono casi reali, ancora una volta citati paradigmaticamente e senza pretesa di esaurirne la serie infinita di altri analoghi. Di indagini serie non c’è traccia e non dipende solo dalla mancanza di personale, dal covid,  dalla complessità delle investigazioni: il punto è che con il blocco della prescrizione, a cu si è già accennato, ce la si può prendere molto comoda ed in presenza di altre discutibili giustificazioni il piccolo cabotaggio, tanto per dare un segnale di esistenza in vita, è la soluzione.

    Anche per questo sarà ricordato l’ispiratore di una delle più miopi e scellerate riforme che si siano prodotte da sempre. E tu ridi pagliaccio, vesti la giubba (della Polizia Penitenziaria) e la tua faccia infarina: tanto, la Giustizia può attendere anche se ormai  è in terapia intensiva.

  • In attesa di Giustizia: parole, parole, parole

    Nei giorni scorsi il Presidente MATTARELLA si è nuovamente insediato al QUIRINALE, prestando giuramento alle Camere e pronunciando il tradizionale discorso che, altrettanto tradizionalmente, è di alto contenuto istituzionale ma dai contenuti prudentemente generici nel rispetto del ruolo di garanzia che gli è affidato cui corrispondono l’autonomia del Parlamento e del Governo.

    Questa volta, diversamente dal passato, qualcosa di nuovo e di buon auspicio – rispetto ai soliti richiami alla nobiltà della politica, ai principi costituzionali, la solidarietà verso i più deboli… –  si è colto nelle parole del Presidente: una forte sollecitazione alla necessità di riformare la giustizia.

    E’ un tema sul quale MATTARELLA, nei sette anni precedenti, ha mantenuto un atteggiamento che eufemisticamente si potrebbe definire cauto: sette anni di disgrazie, tra l’altro, caratterizzati dall’“affaire” Palamara, dall’occultamento di prove a favore di imputati da parte della Procura di Milano e dai molti altri scandali che hanno assestato colpi formidabili alla autorevolezza della magistratura (m, rigorosamente minuscola).

    Sette anni nei quali il garante della Costituzione ha firmato leggi di evidente incostituzionalità: da quella sulla legittima difesa (in questo caso, invece di opporre il veto, ha tiepidamente suggerito – restando inascoltato – di rivedere alcuni punti non del tutto allineati con la Carta Fondamentale dello Stato) a quella sulla prescrizione, a tacere di quella sul congelamento della prescrizione per i processi precedenti alla riforma da celebrare al Tribunale di Bari, crollato perché, in sostanza, edificio abusivo e privo di manutenzione. Ma gli esempi potrebbero essere anche altri, partitamente nel ruolo di Presidente del C.S.M..

    Colpisce, allora, l’inedita forza degli argomenti, le sollecitazioni affinché la magistratura recuperi credibilità da parte dei cittadini che “neppure devono avvertire il timore per il rischio di decisioni arbitrarie ed imprevedibili che, in contrasto con la certezza del diritto, incidono sulla vita delle persone”.

    Non bastasse, il Presidente ha auspicato che la le riforme siano frutto di un costruttivo confronto tra magistratura (m sempre minuscola, per ora) ed Avvocatura con un richiamo esplicito al ruolo cruciale che quest’ultima riveste in un serio percorso riformatore.

    E ancora: il sovraffollamento carcerario è visto come intollerabile offesa alla dignità umana. Bravo Presidente, bravo anche chi gli ha scritto e/o suggerito il discorso ma la impennata di orgoglio non può che essere applaudita.

    Non da tutti, ovviamente: il Fango (con la g, certo) Quotidiano, commentando il discorso di Mattarella, ha titolato “applausi soprattutto contro i giudici” e l’editoriale di Travaglio trabocca di bile con commenti astiosi.

    In questi giorni si celebra – si fa per dire – il trentennale di “Mani Pulite” che, probabilmente, sarebbe meglio definire “Indagini opache”, l’inizio della fine del giusto processo, e c’è da sperare che la vigorosa sollecitazione del Presidente della Repubblica, con attenzioni rivolte sul versante non solo di chi amministra la amministrazione della giustizia ma di chi ne subisce la preponderante forza, non resti un sussulto isolato.

    C’è da sperare, più che nel Parlamento attuale – infestato da Cinque Stelle cadenti – in quello che verrà, che queste, come in una celebre canzone di Mina, non restino parole, parole, parole, soltanto parole…

  • In attesa di Giustizia: sezione doppio zero

    L’epilogo dell’ultimo film in cui Daniel Craig ha interpretato l’agente 007 ha lasciato sgomenti gli appassionati perché muore il leggendario personaggio dei romanzi di Ian Fleming.

    Tuttavia, come di consueto, in fondo ai titoli di coda è apparsa la scritta “James Bond ritornerà” e si è iniziato ad ipotizzare chi potrebbe indossarne i panni nella prossima puntata della saga: sarà un britannico per forza, una donna, di colore? La Produzione non si sbilancia, un po’- forse – per esigenze di marketing facendo crescere l’attesa, ma è verosimile che una rosa di nomi vi sia già.

    Grazie allo straordinario lavoro della redazione del Fatto Quotidiano – sempre siano lodati Peter Gomez e Marco Travaglio – abbiamo già una ghiotta anticipazione: non sarà britannico ma italiano, non sarà neppure un ex ufficiale di Marina Militare e come copertura del suo ruolo di agente del Military Intelligence Six con licenza di uccidere non avrà più la società fantasma Universal Export ma un elegante ufficio con la targa “Studio legale” sulla porta.

    Avete indovinato? Sarà un avvocato italiano, si dice “del Sud” ma nessuno deve sentirsi ingiustamente escluso nella fase che è ancora di casting.

    Ma come hanno fatto questi equilibrati e operosi giornalisti a scoprire tutto ciò? E’ presto detto: grazie ad una sentenza della Corte Costituzionale che ha ritenuto illegittima la norma che prevede la censura sulla corrispondenza tra gli avvocati e i detenuti al 41 bis, il regime di carcere duro riservato ai mafiosi. Decisione ineccepibile che rileva come il diritto di difesa ricomprenda quello di comunicare in modo riservato tra difensori e assistiti.

    Al Fatto, però, la pensano in maniera diversa e scrivono: “geniale! così i boss potranno ordinare omicidi e stragi per lettera”; evidentemente ne sanno di più dei Giudici della Consulta che hanno osservato che una tesi contraria rappresenterebbe una generale ed insostenibile presunzione di collusione tra il patrocinatore e l’imputato.

    Bene ma non benissimo: una vera e propria licenza di uccidere sarebbe stata rilasciata, in questo modo, dal massimo organo giurisdizionale della Repubblica agli avvocati ed ai loro clienti.

    L’insinuazione è infamante ed alimenta indiscriminatamente discredito: la Presidente del Consiglio Nazionale Forense se ne è lamentata in nome di tutta la categoria con una lettera al Direttore, ricordando – tra le altre cose – la funzione essenziale del difensore nel processo.

    La risposta, dai toni garbati e i contenuti di elevato spessore argomentativo esordisce con “Poco gentile Presidente” e prosegue considerando che l’invettiva non era certamente rivolta a tutti gli avvocati ma che “molte mele marce ci sono anche fra gli avvocati”, cosa ben nota a chi si intende di criminalità organizzata. Conclude dicendo che continuerà a scrivere ciò che pensa senza chiedere il permesso a nessuno, definisce “comiche diffide” quelle ricevute e invita la Presidente a lamentarsi, piuttosto, con Mario Draghi che imponendo l’obbligo di green pass per accedere nei tribunali ha leso, lui sì, il diritto di difesa.

    Finita la lettura di questo sproloquio si avverte proprio l’esigenza di un agente della sezione Doppio Zero: inteso il richiamo a quella che – un tempo – era la sigla che indicava i “locali di decenza” (oggi meglio noti come toilette) per rivolgere a Travaglio più che una diffida un perentorio invito: “Ma vai a ******”.  E i lettori mi perdoneranno la licenza poetica.

  • In attesa di Giustizia: niente di nuovo sul fronte occidentale

    Le settimane passano, progetti di riforma e disegni di legge si susseguono ma nonostante i buoni propositi,  il settore della Giustizia non sembra risentirne in meglio.

    Siano sufficienti, come al solito, un paio di esempi scelti  tra gli ultimi che si potrebbero fare.

    Accade innanzitutto – o, forse, sarebbe meglio dire “accadde qualche tempo fa” – a Potenza, in un processo per omicidio ed altri gravi reati, che prima ancora di prendere la parola il difensore si sentisse raccomandare dal Presidente della Corte di Assise di Appello  di non superare la mezz’ora per illustrare le sue ragioni.

    Ebbene: la legge prevede che il Presidente diriga la discussione, impedisca ogni divagazione, ripetizione o interruzione ed è prevista a pena di nullità l’osservanza delle disposizioni concernenti l’intervento dell’imputato ed il diritto di difesa.

    L’ammonimento, però, in questo caso è stato preventivo e viene, allora, da domandarsi: quale divagazione o quale ripetizione può esservi stata se il difensore non ha neppure aperto bocca? Per non parlare delle interruzioni: queste sì vi sono state ma da parte del Giudice che ad un certo punto ha fatto rilevare che si era già sforato il termine di oltre cinque minuti, anzi quasi dieci e, fatto partire il cronometro, ha intimato di arrivare alle conclusioni in sessanta secondi.

    Sentenza poi confermata, ed impugnata con ricorso per Cassazione eccependo – tra gli altri motivi – anche  la violazione del diritto di difesa per l’arbitraria limitazione temporale del suo esercizio. Risultato: rigetto del ricorso ed anche di ciò non vi è da stupirsi se i lettori ricordano quanto trattato su queste colonne poche settimane fa circa il funzionamento della Corte. Siamo ai giorni nostri: è stata da poco depositata la motivazione e l’avvocato zittito sta passando la parola alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

    Nel frattempo, proprio la Suprema Corte di Cassazione, garante ultimo del rispetto delle regole processuali e della interpretazione della legge, è stata “decapitata” dal Consiglio di Stato che ha annullato le nomine del Primo Presidente e del Presidente Aggiunto perché il C.S.M. non aveva rispettato parametri di valutazione dei candidati previsti da sue stesse circolari interne; per addivenire a questa decisione ci sono voluti un paio d’anni durante i quali abbiamo avuto ai vertici della Magistratura due giudici che probabilmente sono ottime persone ma non avevano i titoli per occupare quei posti.

    Ci sarebbero anche altre questioncelle: da quelle legate allo stipendio di circa 8.000€ netti al mese percepito per un ruolo che non poteva essere ricoperto, alla necessità di ricominciare le procedure di valutazione da parte del Consiglio Superiore lasciando – nel frattempo – la Cassazione senza vertici.  Tanto per non farsi mancare nulla, proprio il relatore ed estensore della sentenza era stato promosso alle funzioni di Giudice del Consiglio di Stato da una commissione di cui faceva parte il magistrato oggi vincitore del ricorso. Anche se non obbligatoria, la scelta di astenersi sarebbe stata più prudente e di buon gusto.

    Intanto, tra due settimane si inaugurerà l’Anno Giudiziario e siccome è il Primo Presidente della Cassazione a tenere il discorso di apertura, chi andrà al suo posto? Qualcuno che non lo è: un Facente Funzioni o un Presidente delegittimato? E questo in fin dei conti è il minore del problemi; viene, piuttosto, da chiedersi   cosa ci aspetta nel 2022: sarà due volte Natale e festa tutto l’anno come cantava Lucio Dalla?

    Difficile a credersi se questi sono gli auspici dei primi di gennaio e piuttosto che a Lucio Dalla sembra più ragionevole richiamarsi a Remarque: nulla di nuovo sul fronte occidentale con l’aggravante della pandemia.   L’attesa di Giustizia è destinata a durare ancora a lungo.

  • In attesa di Giustizia: senza speranza

    L’impegno è la competenza della Ministra Cartabia sono fuori discussione, tuttavia un riassetto del “sistema giustizia” risolutivo appare ancora come una chimera e le ragioni sono molteplici.

    Una è la permanente e molesta presenza dei Cinque Stelle tanto nelle Aule Parlamentari che nella compagine di Governo: solo la mediazione ha consentito di varare dei progetti di riforma che, sfortunatamente, soffrono di prese di posizione ideologiche ed autentiche idiozie provenienti  non del tutto espunte da precedenti  iniziative a firma del Guardasigilli Ridens e dei suoi accoliti.

    L’Ufficio del Processo valga come esempio, senza entrare nell’analisi di aspetti tecnici delle innovazioni adatta solo ad operatori del settore. Parliamo di 16.000 addetti, dignitosamente pagati e divisi in due cicli con contratti a termine della durata di due anni e mezzo ciascuno: si tratta di semplici laureati in giurisprudenza che dovranno affiancare i giudici nella redazione dei provvedimenti ed allo studio delle controversie. Già, ma essendo privi di qualsiasi esperienza, quale sarà il livello qualitativo del loro contributo? Aspetto non secondario, nei Tribunali non vi sono spazi fisici dove sistemarli e come supporto operativo – forse e a malapena –  saranno forniti con una biro e un blocco per gli appunti.

    Come si è visto in un articolo precedente, neppure il reclutamento di magistrati ordinari offre motivi di sollievo, anzi: il numero elevatissimo di non ammessi all’orale del concorso per scarsa conoscenza della lingua italiana impedisce la copertura dei posti disponibili (già, di suo, inferiore alle reali necessità) e c’è da temere che tra coloro che si sono guadagnati il diritto di sostenere la prova orale non vi siano esattamente dei luminari del diritto. Forse, solo candidati che si destreggiano nell’uso dell’imperfetto e del passato remoto (per quello dei congiuntivi c’è ancora tolleranza): come dire “beati gli orbi nel regno dei ciechi”.

    Nel frattempo, torna ad impazzare la pandemia con le immaginabili conseguenze: magistrati e cancellieri contagiati, udienze rinviate, notifiche omesse, uffici e sportelli di relazione con il pubblico a mezzo servizio e – perché no? – richieste di differimento da parte di avvocati per “legittimo impedimento” qualora positivi al tampone. Ma è sufficiente la temperatura a 37,5 per impedire loro l’ingresso a Palazzo di Giustizia; magari non se n’erano neppure accorti e la sorpresa avviene al punto di controllo. In questo caso, che fare, come si può documentare all’ultimo momento la impossibilità a comparire?

    Ci si renderà conto della reale situazione dopo il 10 gennaio: già, perché fino ad allora nei Tribunali quasi nessuno lavora, né in presenza né in smart working.

    Un contentino anche all’Associazione Nazionale Magistrati viene dalla proroga per tutto il 2022 della modalità di decisione “a distanza”: vale a dire, camere di consiglio in teleconferenza con magistrati che discutono “a domicilio” delicate questioni mentre i bambini scorrazzano per casa, la moglie li rimprovera mentre cuoce il minestrone e la radio, ad alto volume, è sintonizzata dal primogenito su un canale di musica rap.

    Tra infiniti problemi c’è chi, con creatività degna di miglior destino, riesce ad alleggerire il carico di segreterie ormai allo stremo…come è capitato di recente in un Tribunale della Repubblica Italiana di cui – per immeritato decoro – non verrà fatto il nome.

    In un processo con più imputati accade che uno di essi muoia (forse di vecchiaia, in attesa di giudizio) e il difensore chiede, come è previsto dalla legge, che venga emessa sentenza di non doversi procedere per morte del presunto reo.

    Tutto ciò, a causa dei bizantinismi ancora presenti nel nostro sistema, comporta la separazione della posizione (c.d. “stralcio”) con la formazione di un distinto fascicolo destinato, in sostanza, solo alla dichiarazione di “estinzione” del processo insieme a quella del supposto autore. Faticoso: mancano cancellieri, carta, toner delle fotocopiatrici, anzi sono rotte pure le fotocopiatrici e il call center che da contattare per la manutenzione è in Uzbekistan e gli operatori destreggiano l’italiano come gli aspiranti giudici di cui sopra, manca anche il tempo…e allora ecco che non si procede allo stralcio e sui verbali, accanto a nome, cognome e nominativo dell’avvocato (che deve continuare a partecipare alle udienze…) viene apposta la dicitura: “libero, deceduto, assente”. E non c’è da ridere, siamo senza speranza: anche questa è attesa di Giustizia.

  • In attesa di Giustizia: Sporting theory of trial

    Con questa definizione, negli Stati Uniti, ci si riferisce al processo penale visto come un agone sportivo nel quale “vince il migliore”. Non necessariamente la giustizia: del resto la giustizia degli uomini è per sua natura fallace, motivo per cui – nonostante l’avversione di molti  – il nostro ordinamento prevede tre gradi di giudizio come la maggior parte dei sistemi democratici.

    La terminologia usata dagli americani appare forse eccessiva, peraltro, non si deve dimenticare che il modello processuale adottato negli U.S.A. è un “accusatorio puro”, cioè a dire un processo di parti nel quale Pubblico Ministero e Difesa sono effettivamente sullo stesso piano e un giudice terzo ed imparziale funge solo da arbitro del dibattimento garantendo il rispetto delle regole, il giudizio finale è affidato alla giuria che deve valutare, molto laicamente ed oltre ogni ragionevole dubbio, la consistenza delle prove dell’accusa e non affermare l’innocenza o la colpevolezza dell’imputato: tanto è vero che la formula di proscioglimento è “not guilty”, non colpevole, a significare semplicemente che il Public Prosecutor non è riuscito a dimostrare la fondatezza della propria tesi, non necessariamente che l’accusato sia innocente.

    Tra le parti, accusa e difesa, a regola – oltretutto – c’è molto fair play: vinca il migliore (o giù di lì) è quindi una terminologia che, ben interpretata, ci può stare.

    Da noi non è così: a parte il fatto di avere un sistema processuale dove vengono impiegati termini come “giusto processo” e “giudice terzo” “ragionevole dubbio”, nella prassi si tratta di enunciazioni prive di contenuto effettivo e l’amministrazione della giustizia penale soffre, in larga misura, delle nostalgie di un ordine giudiziario che si sente orfano dell’inquisitorio e di Procure che mal digeriscono le sconfitte.

    Qualche esempio? Torino, già capitale del Regno, ne offre un paio veramente inquietanti e recentissimi, a margine del giudizio di appello sulla cosiddetta “Rimborsopoli del Consiglio Regionale” che si sta nuovamente celebrando dopo un massiccio annullamento delle precedenti condanne da parte della Cassazione.

    Uno degli imputati, l’ex Consigliere Regionale Angelo Burzi, nel frattempo e pur assolto, si è suicidato non reggendo più la tensione generata da dieci anni di processo che gli hanno rovinato la vita ed, a fronte delle manifestazioni di solidarietà e cordoglio pervenute da più parti, il Procuratore Generale di Torino, Saluzzo, respingendo le accuse di persecuzione giudiziaria e disparità di trattamento ha invitato a moderare i toni perché si rasentava il “vilipendio della magistratura”. Fuori luogo è dir poco.

    Gli Intoccabili…ma ci sono ancora? Sembrerebbe di no, ma dipende da che parte arrivano le critiche: nel corso della requisitoria nel medesimo processo il Sostituto Procuratore Generale, Avenati Bassi, nel criticare la sentenza della Cassazione di annullamento delle condanne ha sostenuto che chi l’ha decisa e chi l’ha scritta non capisce niente di diritto e non avrebbe neppure dovuto superare il concorso in Magistratura.

    Avenati Bassi, invece, sembra che abbia superato il concorso in Magistratura Democratica: infatti, dopo aver chiesto – sempre nella stessa  indagine – la condanna degli esponenti di centrodestra e l’assoluzione di quelli di centrosinistra non ha ritenuto inopportuno accettare la designazione del PD come consulente per la Commissione Parlamentare di inchiesta sulle banche.

    Una vita fa c’era almeno un buon gusto maggiore: un Presidente di Sezione della Corte d’Appello di Milano, a metà anni ’90, scrisse – ma con toni garbati e riservatamente – al Primo Presidente della Cassazione lamentando il numero, secondo lui eccessivo, di annullamenti di sentenze della sua Sezione…e il Primo Presidente, sempre educatamente, rispose: “Dica ai suoi giudici di scriverle meglio”.

  • In attesa di Giustizia: ricchi premi e cotillons

    Alzi la mano chi se, banalmente, ha una carie si rivolge ad un ortopedico invece che ad un medico specializzato in odontostomatologia e chi si sentirebbe rassicurato di essere operato di menisco da un urologo…tanto per fare un paio di esempi: fortunatamente, in medicina, esistono le specializzazioni e la gran parte dei medici ne ha conseguita almeno una per quanto obbligatorie siano solo quelle per radiologi ed anestesisti rianimatori.

    Se è vero che – seppure entro certi limiti – gli avvocati non salvano vite umane, tuttavia la specializzazione per questa categoria di professionisti è qualcosa che ancora è legato ad una comprovata esperienza più che ad un certificato percorso di approfondimento di studi: gli avvocati, con una variegata serie di obiezioni, hanno sempre opposto resistenza ad una normativa che da qualche anno si tenta di varare ricalcando quella del settore sanitario ed è stata maldigerita anche la frequenza obbligatoria a corsi di aggiornamento con le eccezioni di chi svolga attività di ricerca e/o insegnamento e di coloro che abbiano superato il sessantesimo anno di età ovvero dopo venticinque anni di attività professionale.

    La scelta del legale, diversamente da quella del medico è frutto, quindi, del passaparola ovvero di una notorietà nel comparto di interesse; il che è abbastanza agevole qualora il difensore di cui si ha bisogno sia un penalista: basta seguire la cronaca, infatti, si occupa largamente di grandi inchieste e processi penali in cui i nomi degli avvocati risaltano sempre e sono molto spesso sempre gli stessi.

    Più complicato, viceversa e sempre per fare esempi, è individuare un professionista affidabile in materia di locazioni, per non parlare – senza addentrarsi nella competenza del Tribunale delle Acque – dell’area vastissima e diversificata del diritto amministrativo.

    La qualifica di specialista sarebbe, quindi, un’eccellente strumento per orientarsi ma bisognerà ancora attendere; nel frattempo gli avvocati che, per par condicio con i magistrati non possono andare immuni da critiche in questa rubrica, prediligono altri (opinabili) criteri di qualificazione e promozione personale.

    A parte le ambitissime comparsate in trasmissioni televisive nelle quali non è infrequente assistere a penose dimostrazioni di inconsistenza tecnica (il grande pubblico, però, è difficile che se ne avveda) ed anche a qualche inciampo nell’uso del congiuntivo, la nuova terra di conquista sono i premi assegnati da misteriose entità, testate giornalistiche di settore, magazines che non si troveranno mai in un’edicola ed è difficile trovare, anche dimenticati, su aerei, treni o nei locali di decenza (come si chiamavano una volta) degli autogrill. Abbondano, invece, nelle sale d’aspetto di alcuni studi con il faccione austero del titolare, vestito dell’immancabile gessato, in copertina.

    I riconoscimenti hanno definizioni altisonanti e sono quasi sempre abbinati a paginate di intervista del premiato: Studio Innovativo dell’Anno, Miglior Studio Legale Boutique, Eccellenza Giuridica Regionale, Cicerone d’Oro e chi più ne ha più ne metta, preferibilmente con l’impiego di anglicismi ed il richiamo a rigorosi criteri di selezione da parte di autorevolissimi Comitati Scientifici.

    E per partecipare a cotanti agoni e puntare se non alla vittoria almeno al podio cosa bisogna fare? Generalmente tutto si risolve nell’invio della candidatura e, più che altro, nell’acquisto di biglietti per la partecipazione alla Cena di Gala in occasione della quale verranno rivelati i vincitori selezionati dal Comitato Scientifico…in base al numero di posti prenotati e regolarmente saldati unitamente al prezzo per la pubblicazione di intervista con gigantografia in copertina su una delle prestigiose riviste dell’editore.

    Diffidate, gente, diffidate…e Buon Natale a tutti!

  • In attesa di Giustizia: silenzio stampa

    Il Consiglio dei Ministri nei giorni scorsi ha approvato il decreto legislativo che recepisce la Direttiva Europea sulla presunzione di innocenza che, tra le altre cose, impone notevoli restrizioni alle modalità di comunicazione delle autorità giudiziarie con lo scopo di impedire la formazione nell’opinione pubblica di pregiudizi nei confronti di chi sia sottoposto ad un processo senza che vi sia ancora stata una sentenza.  La notizia ha avuto un’eco modesta, sebbene faccia con un’altra – altrettanto recente – che conferma la bontà del provvedimento normativo: il proscioglimento di numerosi giornalisti querelati per diffamazione avendo osato commentare in termini negativi un singolare accadimento del 2015.

    Qualcuno ricorderà la vicenda legata al video del furgone del muratore accusato dell’omicidio di Yara Gambirasio che risultò essere una ricostruzione confezionata dai Carabinieri concordata con la Procura e realizzata per “esigenze di comunicazione”, come ammesso dal Comandante del Raggruppamento di Parma, Giampiero Lago, nel corso dell’interrogatorio da parte dei difensori di Massimo Bossetti.

    In due parole, un falso marchiano che – soprattutto sui giudici popolari, poteva avere influenza; e questa vicenda ha anche almeno un’altra sorta di “parente lontano” in quella del bazooka piazzato nel 2010 davanti alla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria per minacciare l’allora Capo dell’Ufficio, Giuseppe Pignatone. Ai giornalisti, in conferenza stampa, ne fu mostrato uno salvo poi ammettere che non era quello effettivamente trovato (che nessuno ha pubblicamente mai visto).

    In due parole: la nuova legge proibisce i processi mediatici, poiché creati con prove non vagliate da nessuno e di origine incerta se non decisamente opaca ed attraverso i quali si tende a prefigurare l’esito di un processo vero e proprio. Parliamo di un’informazione giudiziaria ridotta ad acritico cagnolino da riporto di chi, per dirla con Leonardo Sciascia, amorevolmente accompagna le notizie fin sulla porta del proprio ufficio facendovi meritare bassissima considerazione.

    Considerazione che in certi casi, se possibile,  è ancor più bassa: sul giornale di Travaglio – tanto per fare un esempio che non stupirà – è di recente stato pubblicato, movimento per movimento, l’estratto conto di Matteo Renzi tratto da una informativa della Guardia di Finanza…per il primo che commenta che è giusto così e che Renzi se lo merita “perché va in Arabia” è in palio un cartonato a grandezza naturale dell’indimenticabile Ministro Danilo Toninelli e per i primi dieci che farfuglieranno qualcosa dell’affossamento del d.d.l. Zan il cartonato sarà pure autografato.

    Poco spazio, invece ha avuto la notizia che un creativo P.M. lodigiano aveva trovato il tempo di indagare Mattia Maestri – meglio noto come Paziente Uno – per epidemia colposa, anche se non era certamente il primo contagiato dal Covid 19, anche se non aveva violato nessun protocollo di prevenzione ma era stato dimesso dal pronto soccorso e rimandato a casa prima di un definitivo ricovero. Anche se del Coronavirus fino al 21 febbraio 2020 nessuno al di fuori di Palazzo Chigi sapeva niente sebbene – anche questo nel silenzio stampa – già da fine gennaio fosse stato proclamato lo stato di emergenza; così come nulla più si sa della inchiesta della Procura di Bergamo che lambiva molto da vicino Giuseppe Conte & C. per identiche possibili, e forse più sostenibili, imputazioni.

    Informazione troppo spesso ad corrente alternata a seconda di chi indaghi, e chi sia indagato e perché.

    Per Maestri, all’incubo del contagio e della sottoposizione a terapie totalmente sperimentali (fortunatamente andate a buon fine) si è aggiunto, sino alla recente archiviazione, il tormento di essere inquisito da qualcuno che ha ritenuto negligenza penalmente rilevante tornare a casa perché così deciso dai sanitari a fronte di sintomi di una malattia sconosciuta ma equivocabili con quelli di altre patologie note. Fantasia al potere (giudiziario), e così è se vi pare.

  • In attesa di Giustizia: Carramba che sorpresa!

    Sono giorni in cui impazza la polemica per l’estensione del green pass e i controlli necessari al rispetto dei protocolli di prevenzione del contagio, le critiche alla Ministra Lamorgese per talune colpevoli inerzie nel disporne l’intervento si appaiano ai rilievi sulle obiettive difficoltà per le Forze dell’Ordine di assommare questi nuovi compiti di controllo a quelli istituzionali.

    Eppure, durante i lunghi mesi della pandemia, Carabinieri e Polizia di Stato si sono impegnati con dedizione alle verifiche sul rispetto delle misure di contrasto al diffondersi del virus: come, per esempio, è accaduto nei pressi di Modena nel febbraio di quest’anno in occasione di un controllo presso una macelleria equina di Scandiano, che avrebbe dovuto essere già chiusa, si intrattenevano amabilmente tre persone sorseggiando un calice di vino.

    Il particolare curioso, che ci porta a commentare questa vicenda, non è il mancato impiego delle mascherine o la temperatura corporea fuori norma dei presenti quanto la bizzarra composizione del terzetto: il titolare del negozio e…carramba che sorpresa! un magistrato donna della Procura di Modena ed un ergastolano in semilibertà.

    Cosa ci facesse un Pubblico Ministero a brindare, sotto sera, con questo garbato signore, condannato per omicidio, associazione mafiosa ed altre simili bagatelle, non è dato sapere con certezza perché Claudia Ferretti (questo il nome del Sostituto Procuratore della Repubblica) non ha fornito spiegazioni convincenti, riferendo di un’occasione per scambiarsi dei cordialissimi saluti. E dove meglio che in un retrobottega in orario di coprifuoco?

    Una ipotesi di reato non era configurabile, ma la segnalazione al Consiglio Superiore della Magistratura è stata inevitabile e dovuta: nel corso del procedimento disciplinare la Dottoressa Ferretti sembra che si sia difesa sostenendo che si è trattata di “una sciocchezza”.

    Incompatibilità ambientale e trasferimento ad altro ufficio: questo il destino che la Sezione Disciplinare del C.S.M., con il tradizionale rigore, avrebbe riservato alla P.M. sebbene per il pregiudizio arrecato all’immagine ed al prestigio della magistratura. Ammesso che ve ne sia ancora da pregiudicare.

    Ma tutto è bene ciò che finisce bene, particolarmente se ci si deve occupare di schiocchezzuole: la Dottoressa Ferretti ha anticipato la decisione dell’organo di autogoverno chiedendo di sua iniziativa di essere mandata a Firenze con funzioni di giudice civile: trasferimento disposto opportunamente a metà giugno, in prossimità del periodo feriale e procedimento disciplinare archiviato garantendo serenità alle meritate vacanze.

    La donna, poi, a dicembre andrà in pensione e – con una giustizia civile che ha il lustro come unità di misura della durata dei processi – non è ben chiaro di cosa si potrà occupare nell’arco di poco più di un paio di mesi nella nuova sede oltre che far apporre la targa con il nome sulla porta della sua stanza, la macchinetta Nespresso all’interno e verificare scrupolosamente l’accredito dello stipendio ogni 27 del mese.

    Procedimento disciplinare, quindi, interrotto per la scelta volontaria della incolpata di trasferirsi altrove; l’imminenza del pensionamento avrebbe, peraltro, condotto al medesimo risultato perché non può infliggersi sanzione a chi non fa più parte dell’Ordine Giudiziario.

    Alleluja! Non sapremo mai i motivi della composizione di quella allegra brigata che può ben essere stata frutto una casualità: del resto a chi non è mai successo di bere un bicchiere di quello buono, del tutto casualmente nel retrobottega di una macelleria equina, insieme ad un simpatico ergastolano? Da noi, si sa, accadono molte cose ad insaputa degli interessati…

    In attesa di Giustizia, da Modena per oggi è tutto, a voi studio centrale.

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