Libertà

  • World’s longest detained journalist wins rights prize

    A journalist detained in Eritrean prison without trial for 23 years has won a Swedish human rights prize for his commitment to freedom of expression.

    Dawit Isaak, who holds dual Eritrean-Swedish citizenship, was given the Edelstam Prize “for his… exceptional courage”, the foundation behind the award said in a statement.

    Dawit was one of the founders of Setit, Eritrea’s first independent newspaper.

    He was detained in 2001 after his paper published letters demanding democratic reforms.

    Dawit was among a group of about two dozen individuals, including senior cabinet ministers, members of parliament and independent journalists, arrested in a government purge.

    Over the years, the Eritrean government has provided no information on his whereabouts or health, and many who were jailed alongside him are presumed dead.

    The Edelstam Prize, awarded for exceptional courage in defending human rights, will be presented on 19 November in Stockholm.

    Dawit’s daughter, Betlehem Isaak, will accept the prize on his behalf as he remains imprisoned in Eritrea.

    His work with the Setit included criticism of the government and calls for democratic reform and free expression, actions that led to his arrest in a crackdown on dissent.

    The Edelstam Foundation has called for Dawit’s release, urging the Eritrean authorities to disclose his location and allow him legal representation.

    “Dawit Isaak is the longest detained journalist in the world. We are very concerned about his health and his whereabouts are unknown, he is not charged with a crime, and he has been denied access to his family, consular assistance, and the right to legal counsel – effectively, it is an enforced disappearance,” said Caroline Edelstam, the chair of the Edelstam Prize jury.

    His “indefatigable courage stands as a testament to the principle of freedom of expression.”

    The Edelstam Foundation also urged the international community to pressure Eritrea for Dawit’s release and to advocate for human rights reforms.

    The Edelstam Prize honours individuals who show exceptional bravery in defending human rights, in memory of Swedish diplomat Harald Edelstam.

    Eritrea is the only African country without privately owned media, having shut down its private press in 2001 under the pretext of “national security”.

    Dawit, who fled to Sweden in 1987 during Eritrea’s war for independence, returned after the country gained independence in 1993 after becoming a Swedish citizen.

    There have been no elections in Eritrea since its independence, and President Isaias Afwerki has held power for nearly 31 years.

  • Minacce ai giornalisti europei che denunciano una grave realtà

    Il codardo minaccia quando è al sicuro.

    Wolfgang Goethe

    “L’Albania è l’esempio principale di un Paese caotico, nelle mani dei gangster”. Si tratta di una frase riportata in un articolo pubblicato il 13 maggio 2019 da Bild, un noto quotidiano tedesco. L’autore dell’articolo, riferendosi alla clamorosa manipolazione dei risultati del voto in un comune nel nord est del Paese, specificava che “…in Albania governa un’alleanza della politica con la criminalità organizzata”. Lui si basava anche su molte intercettazioni telefoniche in possesso alla redazione di Bild, la trascrizione delle quali era stata inserita nell’articolo. Dalle intercettazioni risultava che alcuni rappresentanti di spicco della criminalità organizzata, insieme con ministri, deputati della maggioranza, dirigenti locali dell’amministrazione pubblica ed alti funzionari della polizia di Stato, gestivano il controllo, il condizionamento e la compravendita dei voti durante le ultime elezioni politiche ed in altre gare locali, comprese quelle sopracitate. L’autore dell’articolo evidenziava che “…Adesso sta diventando chiaro per l’altra parte del continente che c’è qualcosa di seriamente sbagliato nel Paese che era totalmente isolato sotto il comunismo dell’epoca della pietra”. Chi scrive queste righe ha analizzato il contenuto dell’articolo pubblicato il 13 maggio 2019 dal noto quotidiano tedesco Bild ed ha informato a tempo debito il nostro lettore (Proteste come unica speranza, 20 maggio 2019; L’importanza dei prossimi giorni per evitare il peggio, 24 giugno 2019; Riflessioni dopo le votazioni moniste, 1 luglio 2019).

    Mediapart è una nota rivista francese indipendente pubblicata online e creata nel 2008 dall’ex redattore capo di Le Monde. Questo media si compone di due sezioni: una è la rivista, nota come Le Journal, dove scrivono giornalisti professionisti, mentre l’altra sezione è Le Club, strutturata come un forum collaborativo a cura della comunità di abbonati. I dirigenti di Mediapart hanno scelto di non accettare nessuna pubblicità e tutte le spese vengono finanziate soltanto dagli abbonamenti dei cittadini. Ed è stata proprio Mediapart che ha denunciato gli abusi fatti da due presidenti della Repubblica francese, Sarcozy e Hollande. Ma anche il caso ormai noto come l’affare Bettencourt. E questi sono soltanto alcuni dei molti altri casi seguiti e resi pubblici dai giornalisti investigativi di Mediapart. Ebbene, il 28 febbraio scorso Mediapart pubblicava un articolo intitolato “Albanie: comment l’autocrate Edi Rama est devenu le meilleur allié des Occidentaux” (Albania; come l’autocrate Edi Rama [il primo ministro] è diventato il miglior alleato degli occidentali; n.d.a.). Un articolo investigativo scritto da tre noti giornalisti del Mediapart, che trattavano ed analizzavano la preoccupante e problematica realtà albanese. Riferendosi al primo ministro albanese, gli autori dell’articolo sottolineavano che lui “…guida l’Albania in un modo sempre più aspro, sapendo [però] come diventare utile per i suoi partner stranieri ed evitare ogni critica riguardo alla caduta verso l’autoritarismo”. In seguito loro ponevano la domanda: “Come mai il regime del primo ministro Edi Rama è diventato il partner privilegiato degli occidentali nella penisola balcanica, mentre le libertà fondamentali continuano a peggiorare in Albania?”. Chi scrive queste righe analizzava ed informava il nostro lettore anche dei contenuti di quest’articolo (Autocrati disponibili a tutto in cambio di favori; 11 marzo 2024).

    Il 21 aprile scorso il programma investigativo Report, trasmesso in prima serata su Rai3, trattava la realtà albanese ed evidenziava gli abusi di potere, riferendosi a fatti accaduti, pubblicamente noti ed ufficialmente denuciati. Il programma trattava l’Accordo firmato il 6 novembre 2023 a Roma tra l’Italia e l’Albania sui migranti. È stato evidenziato anche la stretta collaborazione del potere politico con la criminalità organizzata. Il giornalista riportava nel programma Report del 21 aprile scorso anche le affermazioni di due noti procuratori italiani, da lui intervistati: Nicola Gratteri e Francesco Mandoi. “…La mafia albanese è forte, perché è attiva in uno Stato dova la corruzione e ampiamente diffusa”. Così ha detto Gratteri al giornalista, mentre Mandoi ha affermato che “…la mafia albanese ha i suoi rappresentanti nel governo ed orienta molte scelte dello stesso governo”. Durante il programma Report è stato trattato anche il coinvolgimento attivo del fratello del primo ministro con un’organizzazione che trafficava cocaina. Un fatto quello noto ormai da anni in Albania, nonostante le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia, da anni ormai, non agiscono. Chi scrive queste righe ha informato di tutto ciò il nostro lettore (Clamorosi abusi rivelati da un programma televisivo investigativo, 23 aprile 2024; Altre verità rivelate da un programma televisivo investigativo, 7 maggio 2024; Nuove verità inquietanti da un programma televisivo investigativo, 3 giugno 2024).

    Il 13 settembre scorso un altro media tedesco, Der Spiegel (Lo specchio, n,d,a,), ha pubblicato un lungo e dettagliato articolo investigativo in cui veniva analizzata la grave realtà vissuta e sofferta in Albania. Bisogna sottolineare che Der Spiegel è un media settimanale molto influente a livello internazionale. L’autore dell’articolo, un noto giornalista, trattava, fatti pubblicamente denunciati alla mano, ma anche riferendosi ad interviste fatte da lui o da altri media internazionali, tra cui anche da Rai 3, la drammatica e grave realtà albanese e la galoppante corruzione che coinvolge tutti. Anche i più alti rappresentanti governativi, primo ministro compreso. L’autore dell’articolo affermava, tra l’altro, che il primo ministro albanese “…ha portato tutto il Paese alla criminalità. Adesso l’Albania è adatta ad un caso di studio sulla corruzione”. Chi scrive queste righe ha informato il nostro lettore dei contenuti di quest’articolo (Riflessioni durante la Giornata internazionale della democrazia; 16 settembre 2024).

    Di fronte a simili articoli, ma anche ad altri, pubblicati da diversi noti giornali europei e statunitensi, il primo ministro albanese si trova in vistose difficoltà. Difficoltà che lo costringono a reagire, a modo suo. Prima cerca di “convincere” giornalisti e loro dirigenti con delle “ricompense”. Ma poi, se non acconsentono, comincia subito con le minacce. Lo confermano anche alcuni dei giornalisti e redattori di giornali. Così ha fatto il primo ministro con il giornalista ed il direttore del programma Report di Rai3. Lo aveva fatto prima anche con il giornalista del quotidiano tedesco Bild. E non solo lo aveva minacciato, ma lo aveva anche ufficialmente denunciato. Una denuncia che poi dopo è stata ritirata proprio dal primo ministro. Chissà perché?! Le cattive lingue hanno detto allora che i fatti gli erano tutti contro. Lo ha fatto anche dopo la pubblicazione del sopracitato articolo di Der Spiegel. Il giornalista dell’articolo ha dichiarato che il primo ministro albanese è “…amato dall’Europa, nonostante la corruzione a casa”. E si riferiva ad alcuni alti rappresentanti dell’Unione europea. In seguito lui scriveva che dopo aver letto l’articolo di Der Spiegel “…ha telefonato una notte tardi ed ha tentato di influenzare il nostro articolo”. Mentre un noto giornalista del quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, sempre riferendosi alle minacce fatte dal primo ministro albanese al suo collega di Der Spiegel, sciveva: “Questo è un caso tipico di Edi Rama, come lo hanno vissuto molti giornalisti. Lui telefona direttamente ai giornalisti e cerca di affogarli sotto un’onda di minacce. Se lui non può comprarvi, almeno lui desidera offendervi”.

    Chi scrive queste righe trova vergognose e vili le minacce fatte dal primo ministro albanese ai giornalisti che denunciano la grave realtà che lui stesso ha generato e permesso. Ma, nonostante le apparenze, chi lo conosce bene, afferma che lui da bambino è stato un codardo. Ed il codardo minaccia quando è al sicuro. Era convinto Wolfgang Goethe, che di esperienze ne aveva tante!

  • Libertà, democrazia e armi

    Come tutti siamo preoccupati per l’escalation della violenza in genere e di quella, in particolare, che colpisce rappresentanti politici: l’attentato a Trump dimostra, una volta di più, come dalla violenza verbale sia brevissimo il passo per arrivare alla violenza fisica.

    Tutti dovrebbero abbassare i toni e comprendere l’urgenza di ritornare a confronti politici corretti cosi come è necessario un maggior controllo sui social quando i loro utenti si scatenano in ingiurie e minacce.

    Dopo avere condannato l’attentato a Trump dobbiamo anche fare una riflessione sull’eccessiva e pericolosa libertà, che c’è negli Stati Uniti, per l’acquisto di armi.

    Il Presidente Biden si è più volte espresso sulla necessità di modificare l’attuale sistema per rendere più difficile l’acquisto di armi, armi che sono vendute liberamente anche quando sono praticamente armi d’assalto.

    Ovviamente i produttori di armi sono sempre stati contrari osteggiando in tutti i modi la proposta di Biden e Trump è sempre stato favorevole alla libera vendita delle armi, non per nulla una possibile candidata ad essere sua vice, se sarà eletto alla presidenza, è una governatrice che in un suo libro si vanta di aver sparato al proprio cane, perché disubbidiente, ed ad una sua capra, perché brutta.

    Oggi forse Trump, sulla sua pelle, potrebbe aver imparato una dura lezione, la libertà di tutti non va d’accordo con la libertà di chiunque di acquistare strumenti per ferire ed uccidere.

    In questi anni gli Stati Uniti hanno pianto decine di morti, ragazzi, studenti, cittadini presi di mira da altri ragazzi e cittadini che, legalmente in possesso di armi da fuoco, hanno sparato per uccidere, per commettere delle autentiche stragi.

    Speriamo che questa riflessione la facciano anche gli americani, Trump in testa, e comprendano tutti che la libertà e la democrazia del proprio Paese si tutela anche regolamentando in modo più severo la vendita di armi da fuoco.

  • Democrazia come concetto e come vissuta realtà quotidiana

    Soltanto sotto una dittatura riesco a credere nella democrazia.

    Leo Longanesi

    Come molte altre parole di uso quotidiano anche la parola democrazia fa parte del vocabolario della lingua greca antica. Si tratta di una parola composta che, tradotta letteralmente, significa potere del popolo. Il popolo dovrebbe esercitare la sua sovranità direttamente o indirettamente, tramite diverse forme di consultazioni di massa, per stabilire la forma dell’organizzazione dello Stato. Si tratta di una parola però che, nel corso dei secoli, ha espresso concetti diversi. Riferendosi a documenti della Grecia antica, gli studiosi hanno evidenziato che il significato della parola era tutt’altro che positivo. Platone ed Aristotele, due noti filosofi della Grecia antica, davano al concetto della democrazia un significato negativo. Per Platone dovrebbero essere i filosofi e non il popolo ad avere il potere e governare. Mentre per Aristotele la democrazia non era la forma dovuta dell’organizzazione dello Stato, perché si poteva trasformare in una tirannide. In seguito, durante il periodo dell’illuminismo europeo, il concetto della democrazia è stato trattato da molti noti filosofi come John Locke, Jean-Jacques Rousseau e Charles-Louis de Secondat, barone di Montesquieu, comunemente noto come Montesquieu. Era il 1863 quando Abraham Linkoln definì la democrazia come “il governo del popolo, da parte del popolo, per il popolo”. Una definizione quella che, nel 1958, è stata introdotta anche nella Costituzione francese.

    Montesquieu, trattando il concetto della democrazia, ha ripreso dall’antichità un altro concetto, quello della separazione dei poteri. In seguito ad un lungo lavoro, durato per ben quattordici anni, lui pubblicò nel 1748 un insieme di trentuno libri, raccolti in due volumi ed intitolato De l’esprit des lois (Spirito delle leggi; n.d.a.). Un’opera che rappresenta un trattato del pensiero politico e giudiziario del Settecento che è attuale anche adesso. Un trattato in cui Montesquieu evidenziava e definiva i tre poteri che dovevano essere divisi ed indipendenti; il potere legislativo, il potere esecutivo ed il potere giudiziario. Ovviamente Montesquieu si riferiva all’organizzazione dello Stato dell’epoca in cui viveva. Per lui il potere legislativo “…verrà affidato e al corpo dei nobili e al corpo che sarà scelto per rappresentare il popolo”. Invece il potere esecutivo “…deve essere nelle mani d’un monarca, perché questa parte del governo, che ha bisogno quasi sempre d’una azione istantanea, è amministrata meglio da uno che da parecchi”. Mentre il potere giudiziario doveva essere “la bouche de la lois” (la bocca della legge; n.d.a.).

    Il concetto della democrazia, intesa come democrazia liberale, si è evoluto e ha assunto un significato positivo. La forma dell’organizzazione dello Stato liberale prende vita in Inghilterra nel ‘600. Due sono i documenti su cui si basa: la Magna Carta libertatum (Grande Carta delle libertà, 1215; n.d.a.) e il Bill of Rights (Carta dei diritti, 1689; n.d.a.). Con la democrazia liberale si intende una forma di governo che si basa sul coordinamento e la connivenza del principio liberale dei diritti individuali dell’essere umano con il principio democratico della sovranità del popolo. La storia ci insegna però che il diritto di voto non era riconosciuto da sempre alle donne ed ad alcune altre comunità. Un diritto acquisito ormai e non sempre facilmente. In uno Stato democratico la Costituzione rappresenta il limite oltre il quale il governo non può esercitare la sua autorità. Ma rappresenta anche la garanzia del funzionamento dello Stato di diritto. E cioè di quella forma del funzionamento dello Stato che garantisce il rispetto dei diritti e delle libertà dell’essere umano.

    Era il 1907 quando Giuseppe Toniolo, un economista e sociologo italiano ed uno dei protagonisti del movimento cattolico, proclamato Beato nel 2012, diede avvio a quella che ormai è nota come la Settimana Sociale dei cattolici. La scorsa settimana, dal 3 al 7 luglio, è stata celebrata la 50a Settimana Sociale dei Cattolici in Italia. Sono state organizzate diverse attività con il tema “Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro”.  Mercoledì scorso, 3 luglio, a Trieste per dare inizio alla Settimana Sociale era presente anche il Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella. Durante il suo intervento egli ha trattato il tema della democrazia, sottolineando che “Una democrazia ‘della maggioranza’ sarebbe, per definizione, una insanabile contraddizione, per la confusione tra strumenti di governo e tutela della effettiva condizione di diritti e di libertà”. Sempre riferendosi alla democrazia il Presidente ha affermato: “Le dittature del Novecento l’hanno identificata come un nemico da battere. Gli uomini liberi ne hanno fatto una bandiera. Insieme una conquista e una speranza che, a volte, si cerca, in modo spregiudicato, di mortificare ponendone il nome a sostegno di tesi di parte. Non vi è dibattito in cui non venga invocata a conforto della posizione propria. Un tessuto che gli avversari della democrazia pretenderebbero logoro”. Il Presidente ha altresì detto che “…Non è democrazia senza la tutela dei diritti fondamentali di libertà, che rappresentano quel che dà senso allo Stato di diritto e alla democrazia stessa”.

    La 50a Settimana Sociale dei Cattolici in Italia si è conclusa, sempre a Trieste, con la presenza di Papa Francesco. Durante il suo intervento il Santo Padre ha trattato ampiamente il concetto della democrazia. Per lui “…La parola stessa ‘democrazia’ non coincide semplicemente con il voto del popolo; nel frattempo a me preoccupa il numero ridotto della gente che è andata a votare. Cosa significa quello? Non è il voto del popolo solamente, ma esige che si creino le condizioni perché tutti si possano esprimere e possano partecipare. E la partecipazione non si improvvisa: si impara da ragazzi, da giovani, e va ‘allenata’, anche al senso critico rispetto alle tentazioni ideologiche e populistiche”. Papa Francesco, tra l’altro, ha ribadito che “…Ci spetta il compito di non manipolare la parola democrazia, né di deformarla con titoli vuoti di contenuto, capaci di giustificare qualsiasi azione. La democrazia non è una scatola vuota, ma è legata ai valori della persona, della fraternità e anche dell’ecologia integrale”.

    Nel suo piccolo l’autore di queste righe si è riferito spesso alla democrazia, sia come concetto, sia come vissuta realtà quotidiana. Egli ha trattato per il nostro lettore anche le diverse deformazioni fatte alla democrazia (Stabilocrazia e democratura, 25 febbraio 2019; Bisogna reagire, 17 maggio 2021; Predicano i principi della democrazia ma poi, 28 giugno 2021; Interessi, indifferenza, irresponsabilità, ipocrisia e gravi conseguenze, 15 novembre 2021; Inconfutabili testimonianze di una dittatura in azione, 23 ottobre 2023 ecc..). Più  di cinque anni fa l’autore di queste righe scriveva: “…Stabilocrazia e democratura sono due neologismi coniati ultimamente e usati, quasi sempre, in una connotazione non positiva […]. La prima è un incrocio tra le parole stabilità e democrazia. Mentre la seconda tra le parole democrazia e dittatura. […]. Fatti alla mano però, quasi sempre la scelta della stabilità, giustificata da “ragioni geopolitiche”, per un paese/una regione ha compromesso i principi basilari della democrazia. Almeno analizzando quanto è realmente accaduto in diversi Paesi e in diverse parti del mondo. Quando un Paese si trova in uno stato di democratura, l’instaurazione anche di una stabilocrazia, per motivi di mutuale convenienza diventa più facile” (Stabilocrazia e democratura, 25 febbraio 2019).

    Chi scrive queste righe, seguendo quanto ha detto Papa Francesco domenica scorsa a Trieste, ha trovato molto significativa la sua affermazione che “La crisi della democrazia è come un cuore ferito”. Egli condivide pienamente anche le sagge parole di Leo Longanesi. Si, soltanto sotto una dittatura ci si riesce a credere nella democrazia. In quella democrazia però che garantisce il rispetto dei diritti individuali dell’essere umano e la reale sovranità dei cittadini.

  • Pacifici non pacifisti

    Se Giano era bifronte la verità sembra avere molte più sfaccettature, infatti mentre la Russia può continuare a colpire uno stato sovrano e indipendente, massacrando civili inermi con i suoi bombardamenti, e ritiene di poterlo fare se gli ucraini rispondono, distruggendo qualche postazione militare in territorio russo, per altro vicino al confine, diventa per Putin una dichiarazione di guerra della Nato.

    La Cina parla di pace ma si ritira dal vertice organizzato in Svizzera e parla di altri, più o meno misteriosi, piani, sembra condivisi anche dalla Turchia, e che hanno sempre il presupposto che l’Ucraina ceda molti suoi territori ai russi.

    Il diritto internazionale possiamo scordarcelo possa tutelare tutti, ormai sembra debba essere rispettato solo dai deboli mentre  i forti, gli arroganti, i dittatori possono fare come vogliono perciò, con buona pace di tutti i pacifisti del mondo noi, che siamo pacifici, che siamo quelli che rispettano le leggi, ci siamo veramente stancati e alziamo cuori e bandiere contro gli aggressori, i terroristi, i potenti che parlano di pace, come il presidente cinese che fa affari e vende armi al dittatore russo.

    Non è di oggi né di ieri la innegabile realtà: se vuoi la pace devi avere la forza di impedire che ti aggrediscano, perciò uno stato che non ha le armi per difendersi prima o poi sarà preda di chi ha deciso di conquistarlo.

    Oggi ai russi fanno gola le ricchezze ucraine, forse un domani non lontano vorranno conquistare anche il Campidoglio e San Pietro.

  • La vita degli esseri umani

    La vita degli esseri umani dipende dalla capacità di saper coniugare le leggi di natura con le modifiche che l’uomo stesso apporta  sia con le scoperte tecnologiche che con le modifiche sociali e culturali che, via via negli anni, si definiscono.

    Credenti, di qualunque fede, o laici sappiamo tutti che l’ecosistema, nel suo complesso, non può essere stravolto, dalla formica al lupo, dall’ape all’uomo per vivere abbiamo necessità di rispettare le regole che la natura ci ha dato anche attribuendo ad ogni nostro organo specifiche funzioni.

    Non possiamo usare il cuore per defecare o il fegato per masticare il cibo, ogni organo deve svolgere uno specifico ruolo non per moralità ma per funzionalità dell’intero organismo così come ogni organismo è, per il suo piccolo, funzionale al complesso equilibrio del pianeta, dello stesso universo per come è conosciuto.

    Questa è la normalità, attenersi alle reciproche funzioni, anche se accade , come in tutti gli apparati complessi, che vi siano situazioni che escono dalla normalità .

    Nella società, umana ed animale, vi possono essere situazioni che portano degli individui a scelte per le quali alcuni organi sono in parte utilizzati per funzioni diverse rispetto a quelle per le quali sono stati predisposti

    Per gli animali si tratta di manifestazioni che simboleggiano, come gli etologi ci possono confermare, volontà di predominanza o confusione di istinti.

    Per gli esseri umani si tratta di scelte dovute a fattori diversi e che lasciamo alla scienza identificare, quando invece non si tratti di moda, opportunismo, paura, insicurezza.

    L’identità sessuale sembra oggi diventato uno dei problemi principali sui quali interrogarsi e spesso l’eccessiva attenzione mediatica ha portato, specie nei più giovani, a nuova pericolosa confusione.

    Una società che non ha saputo coltivare la paritetica collaborazione tra sessi diversi, che, surrettiziamente, ha creato la paura di confrontarsi con il sesso opposto, ha generato, da ultimo, il cosiddetto sesso fluido.

    Siamo assolutamente certi che ad ogni individuo devono essere garantiti dignità, diritti civili, rispetto per le sue scelte personali e sessuali.

    Siamo altrettanto convinti che il proselitismo, ormai palese, che spinge, fin dall’adolescenza, a trovare soluzione alle proprie insicurezze facendo scelte che portano ad un difforme utilizzo dei propri organi, rispetto alla funzionalità originaria, non sia da condannare sul piano morale ma da contrastare dal punto di vista sociale e naturale.

    Potrà anche accadere che nel futuro gli essere umani potranno avere figli senza utilizzare i loro organi sessuali e riproduttivi, ciò non toglie che comunque vi sono organi che servono a funzioni diverse da quelle sessuali tour court e se è possibile anche usarli sessualmente la loro funzione resta di  ben altro tipo.
    Ognuno perciò faccia nella sua vita privata come meglio ritiene e la società tuteli e rispetti ogni individuo ma è anche arrivato il momento di ricordare che quanto va bene per alcuni non può diventare la norma per tutti gli altri stravolgendo le leggi di natura.

  • Hong Kong bans protest anthem after court case win

    Hong Kong’s government will be able to proceed with making a protest song illegal under the city’s national security laws after winning a court challenge.

    The High Court had last year rejected the government’s request for Glory to Hong Kong to be banned, saying it would have “chilling effects” on free speech.

    But on Wednesday an appeal court overturned that ruling.

    The move is likely to deepen concerns about freedoms being further eroded in the city.

    Amnesty International said the government’s ban was “as ludicrous as it is dangerous”.

    In the court’s ruling on Wednesday, it said that the song can still be used for “academic” or “news” activities.

    But its melodies and lyrics can not be broadcast, performed, shared or reproduced in any setting where the user intends to “incite others to commit secession” or is used “with seditious intention” against the Hong Kong government. Those convicted of breaching the ban on the anthem could face up to life imprisonment.

    It is also illegal for people to use the song to advocate for Hong Kong’s separation from China, and to present it as the anthem of the territory.

    A Chinese foreign ministry spokesman on Wednesday said banning the song was a “necessary measure by (Hong Kong) to fulfil its responsibility of safeguarding national security”.

    Amnesty’s China Director, Sarah Brooks said: “Banning ‘Glory to Hong Kong’ not only represents a senseless attack on Hong Kongers’ freedom of expression; it also violates international human rights law.

    “Singing a protest song should never be a crime, nor is it a threat to ‘national security’.”

    Hong Kong is part of China, but has had some autonomy since the end of British rule in 1997. Campaigners say that democratic freedoms have been gradually eroded since then.

    The song Glory to Hong Kong – sung in the territory’s native dialect Cantonese – emerged during pro-democracy protests in 2019 against a controversial extradition law and later became the unofficial anthem of the movement.

    Its lyrics include lines such as “Liberate Hong Kong” and “Revolution of our times. May people reign, proud and free, now and evermore. Glory be to thee Hong Kong”.

    While the new ban will specifically codify when the song’s use is illegal, people in Hong Kong had already been punished under national security laws for playing it.

    In 2022, a harmonica player was arrested for playing the song outside the British consulate in Hong Kong to mourn the death of Queen Elizabeth II.

    The song has been banned in schools since 2020.

    Officials had also petitioned internet giants like Google to remove the protest song from their search results and video platforms – something the sites refused to do.

    The song has also at times been mistakenly played as the city’s anthem at official events like international sporting matches, something that has angered authorities.

    On Thursday, the appeal court said pursuing a ban on the song’s use in political contexts fell within the remit of current national security laws.

    It said that because it was hard to prosecute individual criminal acts, “a more effective way to safeguard national security was to ask” would be to ask internet platforms to “stop facilitating the acts being carried out on their platforms”.

  • Giornata mondiale della libertà di stampa: l’UE chiede maggiori azioni in sostegno della libertà e indipendenza dei media

    In occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa, che si celebra il 3 maggio, la Commissione ribadisce il suo impegno a sostenere e difendere la libertà e il pluralismo dei media, nell’UE e nel resto del mondo. I giornalisti devono essere in grado di lavorare liberamente e in modo indipendente: questo diritto è al centro del sistema di valori e della democrazia nell’UE.

    Negli ultimi anni si sono registrati sempre più attacchi nei confronti di giornalisti. Per questo la Commissione europea ha adottato una serie di misure concrete e ha fatto della protezione dei giornalisti uno degli elementi chiave della nostra legislazione in materia di media, con alcune norme che entreranno in vigore sin dalla prossima settimana.

    Lunedì 6 maggio, infatti, entrano in vigore le nuove norme contro le azioni legali abusive contro i giornalisti e i difensori dei diritti umani (“azioni bavaglio” o SLAPP), che forniranno ai giornalisti e ai difensori dei diritti umani strumenti per contrastare i procedimenti giudiziari abusivi.

    Martedì 7 maggio entra in vigore anche il regolamento europeo sulla libertà dei media, che introdurrà ulteriori garanzie in materia di indipendenza editoriale, pluralismo dei media, trasparenza ed equità e consentirà una migliore cooperazione tra le autorità competenti per i media grazie a un nuovo comitato europeo per i media.

    La Commissione ha inoltre pubblicato uno studio dal quale emergono i tangibili progressi compiuti negli Stati membri dell’UE verso l’attuazione della raccomandazione della Commissione sulla protezione, la sicurezza e l’emancipazione dei giornalisti.

  • Ogni giorno il Tricolore

    La bandiera della libertà, la bandiera della democrazia e della Repubblica italiana, per me è esposta tutto  l’anno, la bandiera tricolore sull’ingresso di casa mia e nel mio ufficio, un tricolore contro tutte le dittature, di qualunque genere, anche se camuffate con elezioni farsa.

    La bandiera italiana contro i soprusi, le prevaricazioni, le doppie verità, i compromessi per interessi di parte, le violenze verbali e fisiche, i tradimenti e gli attacchi alle spalle, i falsi appelli alla pace, la giustizia a comando o l’indifferenza di alcuni rappresentanti delle varie istituzioni.

    La bandiera per riparare alle ingiustizie, ai proclami  politici non seguiti dai fatti, alle povertà che non hanno risposta, per ridare a tutti non solo speranze ma anche certezze di operare insieme per una società a misura d’uomo dove nessuno si senta abbandonato.

    Una bandiera, il Tricolore della Repubblica italiana, che sventoli tutto l’anno nelle nostre azioni e non solo in qualche ricorrenza ufficiale, una bandiera che unisca e non divida.

  • Chi vota ha sempre ragione se il suo voto è libero

    Chi vota ha sempre ragione se vota in un Paese democratico nel quale la libertà è un diritto fondamentale ed inalienabile.

    Se vive in un Paese dove la minoranza è rispettata ed ha il suo spazio, un Paese con regole certe ed un’informazione libera a tutto campo, un Paese, uno Stato, una Nazione il cui governo non imprigiona gli avversari e li suicida o uccide, una nazione che rispetta il diritto internazionale e la vita dei suoi cittadini.
    Se le elezioni si svolgono in un paese libero e democratico ognuno ha il diritto di esprimere la sua scelta ed il risultato elettorale va rispettato, in caso contrario si tratta di elezioni farsa, guidate dalla forza di chi detiene in modo assoluto il potere e nessun risultato può essere riconosciuto come attendibile.
    Lo diciamo con calma a Salvini e ai tanti o pochi amici di Putin che vivono in Italia ricordando che se hanno tanta ammirazione per il nuovo zar niente vieta a loro di andare a vivere in Russia, quello che certamente non consentiremo a nessuno è di tentare di portare in Italia, in Europa, l’autocrazia e qualunque altro regime che privi i cittadini della libertà e dei diritti fondamentali che regolano le democrazie.

Pulsante per tornare all'inizio