Libertà

  • Giornata mondiale della libertà di stampa: la Commissione agisce per difendere il pluralismo dei media

    “La libertà e il pluralismo dei media sono pilastri essenziali della nostra democrazia europea. Ma durante gli ultimi anni abbiamo assistito a una preoccupante tendenza all’intimidazione e alla violenza nei confronti dei giornalisti, nonché a pressioni politiche e commerciali nei confronti dei media”. A dichiaralo è la commissaria europea Věra Jourová, vicepresidente per i Valori e la trasparenza, in occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa che si celebra il 3 maggio. E aggiunge: “Abbiamo proposto una normativa per contrastare le azioni legali abusive e un regolamento sulla libertà dei media, nell’intento di preservare l’indipendenza editoriale, anche per i media pubblici. Oggi, come ogni giorno, sosteniamo con forza la libertà dei media e continueremo a lavorare per garantire che nessun giornalista corra pericoli mentre svolge il proprio lavoro”.

    Nel settembre 2022 la Commissione ha proposto la legge europea per la libertà dei media, che prevede, tra l’altro, garanzie contro le ingerenze politiche nelle decisioni editoriali e contro la sorveglianza. La proposta pone l’accento sull’indipendenza e sul finanziamento stabile dei media del servizio pubblico come pure sulla trasparenza della proprietà dei media e sulla distribuzione della pubblicità statale.

    La legge europea per la libertà dei media fa parte di un approccio europeo globale per i media, basato sul piano d’azione per la democrazia europea e sul piano d’azione per i settori dei media e degli audiovisivi (MAAP).

    Lo scorso anno la Commissione ha inoltre adottato una proposta per contrastare le azioni legali strategiche tese a bloccare la partecipazione pubblica (dette anche “SLAPP” o “azioni bavaglio”), fornendo ai giornalisti e ai difensori dei diritti umani strumenti per contrastare i procedimenti giudiziari abusivi. L’iniziativa integra la raccomandazione della Commissione sulla sicurezza dei giornalisti.

    Nel frattempo la Commissione prosegue la fornitura di sostegno finanziario per promuovere la libertà e il pluralismo dei media.

    “Difendere e promuovere la libertà di stampa è una missione universale che non conosce frontiere. L’UE manterrà il suo impegno a dialogare con i governi, i media e la società civile, sia nei consessi internazionali che a livello locale, per prendere iniziative e rafforzare la libertà di stampa in tutto il mondo. Sancita dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo 75 anni fa, la tutela della libertà di espressione rimane una priorità fondamentale per l’azione dell’UE in materia di diritti umani”, ha detto il 2 maggio l’alto rappresentante/vicepresidente Josep Borrell in una dichiarazione a nome dell’UE..

  • Non dimenticare, per non rivivere più le atrocità del passato

    Si può perdonare, ma dimenticare è impossibile.

    Honoré de Balzac

    La scorsa settimana, il 18 aprile, ad Oswiecim, in Polonia, è stata organizzata e svolta la 35a Marcia dei Vivi. Si tratta di un’annuale celebrazione che si svolge sempre lì. Una celebrazione alla quale partecipano migliaia di studenti, ma non solo, da tutto il mondo. I partecipanti marciano silenziosi per ricordare le atrocità subite da milioni di ebrei e di altre nazioni, portati nei famigerati campi di concentramento e di sterminio nazisti durante la seconda guerra mondiale. Un’iniziativa, quella avviata nel 1988, il cui obiettivo è di ricordare quanto è accaduto in quei campi e di non dimenticare tutte le crudeltà messe in atto consapevolmente dai nazisti. Di non dimenticare per non essere poi costretti a riviverle. Si tratta di un’attività, quella della Marcia dei Vivi, che accade ogni anno tra aprile e maggio, subito dopo il Pesach, la Pasqua ebraica. E non a caso è stata scelta quella ricorrenza, essendo il Pesach strettamente legato con l’Esodo: la liberazione degli ebrei e la loro partenza verso la Terra promessa. Le Sacre Scritture testimoniano, con il libro dell’Esodo, come gli ebrei, schiavi in Egitto, sono stati liberati da Dio, che aveva scelto Mosè per guidarli. Dopo aver attraversato, prima il mar Rosso e poi il deserto di Sinai, sono finalmente arrivati vicino alla Terra promessa dal tempo di Abramo, a Canaan, ossia la Palestina, divisa in tre regioni: la Galilea, la Samaria e la Giudea. Una volta arrivati di fronte a Canaan, Mosè chiese a suo fratello Aronne di curarsi degli ebrei mentre lui saliva sul monte Sinai per parlare con Dio e scrivere i dieci Comandamenti. Ma nel frattempo gli ebrei convinsero Aronne a fondere tutti i gioielli d’oro e di forgiare una statua raffigurante un vitello. Un vitello d’oro per essere adorato. “Ecco il tuo Dio o Israele, colui che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto” (Esodo; 32;4). Allora Dio disse a Mosè: “non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicata! Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li distrugga. Di te invece farò una grande nazione” (Esodo; 32; 9-10). E solo dopo l’implorazione di Mosè, “Il Signore abbandonò il proposito di nuocere al Suo popolo” (Esodo, 32; 14). Ma gli ebrei non sono potuti entrare nella terra promessa di Canaan e secondo le Sacre Scritture hanno trascorso altri quarant’anni nel deserto prima di entrarci.

    Trentacinque anni fa, nel 1988, è stata attuata la prima Marcia dei Vivi, come parte integrale di un programma educativo delle giovani generazioni degli ebrei, ma non solo. Da allora ogni anno la marcia si svolge in Polonia. Si tratta di diverse attività che durano per alcuni giorni, incluse le visite nei diversi campi nazisti di concentramento, nel ghetto di Varsavia, nonché in altri luoghi legati alla storia e alla cultura ebraica. Tutto per non dimenticare. Non si devono mai e poi mai dimenticare le atrocità subite nel passato. Non dimenticare mai per non essere costretti a rivivere e subire di nuovo le stesse o simili crudeltà. E per non dimenticare mai, la Marcia dei Vivi è stata concepita anche per ricordare altre marce, quelle che i nazisti chiamarono le marce della morte. Ossia quei lunghi percorsi fatti a piedi, oppure stipati in vagoni di treno, da migliaia di detenuti partiti dai campi di concentramento verso la parte dei territori controllati dai nazisti. Le marce della morte erano degli spostamenti forzati, soprattutto degli ebrei, ma anche di altri prigionieri, tutti malnutriti e sofferenti, nei primi mesi del 1945, quando le truppe degli alleati stavano avanzando verso Berlino. Sono stati molti i prigionieri che persero la vita durante le marce della morte. E la Marcia dei Vivi, ogni anno, nel periodo immediatamente dopo il Pesach, la Pasqua ebraica, ricorda anche le vittime delle marce della morte. Per non dimenticare mai i crimini, le crudeltà e le atrocità commesse dai nazisti prima e soprattutto durante la seconda guerra mondiale,

    E per non dimenticare mai le vittime della barbarie e della crudeltà nazista, diverse nazioni del mondo celebrano “le Giornate/i Giorni della Memoria”. Sono delle ricorrenze che ricordano tutte le atrocità subite soprattutto dagli ebrei ed attuate dai nazisti fino al 1945. Per indicare lo sterminio ed il genocidio degli ebrei perpetrato dai nazisti, dal 1933 si usano le parole shoah ed olocausto. Dal punto di vista etimologico il termine ebraico shoah significa catastrofe, distruzione e, riferendosi alle Sacre Scritture, tempesta devastante. Con questa parola si definisce anche lo sterminio degli ebrei dovuto al genocidio nazista. Mentre la parola olocausto, che deriva dal greco antico e significa “bruciato interamente”, definisce un atto di sacrificio religioso usato dai greci antichi e dagli ebrei, durante i quali degli animali venivano uccisi e poi bruciati completamente sugli altari dei templi, in modo che poi nessuna parte commestibile dell’animale sacrificato poteva essere mangiata. Da qualche decennio però, viene sempre più usata la parola shoah invece della parola olocausto. Questo soprattutto perché, riferendosi al genocidio nazista, non necessariamente è legato ad un sacrificio inevitabile come l’olocausto.

    Sempre per non dimenticare le crudeltà dei nazisti, ma non solo, prima e durante la seconda guerra mondiale, il 24 gennaio del 2005 si svolse una sessione speciale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Il motivo era quello di celebrare il sessantesimo anniversario della liberazione dei campi nazisti di sterminio e la fine di quell’orribile periodo storico. Circa nove mesi dopo, e proprio il 1° novembre 2005, si è svolta la 42a sessione plenaria dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Durante quella sessione è stata approvata la Risoluzione 60/7 con la quale si stabilì che ogni 27 gennaio si celebrasse il “Giorno della Memoria”, una ricorrenza internazionale per ricordare ed onorare tutte le vittime della Shoah. E non a caso fu scelta quella data. Era proprio il 27 gennaio 1945 quando sono stati liberati tutti i detenuti rimasti nel famigerato campo di Auschwitz (il nome nella lingua tedesca riferita alla città polacca di Oświęcim nel sud della Polonia; n.d.a.). Un campo costituito nell’aprile del 1940, sfruttando le strutture di una vecchia caserma ad Auschwitz che si estendeva in un’area di circa 200 ettari. In quel campo furono portati i primi prigionieri politici polacchi nel giugno dello stesso anno. Ma siccome la superficie del campo non bastava più per i sempre crescenti flussi di prigionieri, soprattutto ebrei, allora fu deciso di allargarlo. Si costruì quello che è noto come il campo di Birkenau, costituendo quello conosciuto come il campo Auschwitz-Birkenau, il più grande campo di sterminio nazista del Terzo Reich. All’entrata del campo, sulla porta di ferro, era stata scritta in tedesco la frase “Arbeit macht frei” (il lavoro rende liberi; n.d.a.). Una cinica e diabolica idea quella di riferirsi alla “libertà” mentre si entrava in un luogo di crudeli torture e di morte. Una scritta, quella sull’ingresso del famigerato campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, che offende la memoria delle vittime e la capacità di intendere, pensare e giudicare delle persone normali.

    Riferendosi ai dati, risulterebbe che nel campo di sterminio di Auschwitz siano stati sterminati, uccisi, bruciati vivi e morti per altre cause oltre un milione di persone. Sempre riferendosi ai dati, circa il 90% delle vittime erano degli ebrei arrivati nel campo dalla Polonia e da diversi altri Paesi europei. Ragion per cui il campo di Auschwitz-Birkenau è stato considerato come una “fabbrica della morte”. Una “fabbrica della morte” per mettere in atto quella che cinicamente e crudelmente veniva chiamata la “soluzione finale”. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel 1947, sul territorio della “fabbrica della morte” è stato costituito un museo memoriale, mentre nel 1979 il campo di Auschwitz-Birkenau è stato iscritto come “luogo di memoria” nell’elenco dei siti tutelati come Patrimonio mondiale dell’Unesco.

    E proprio lì, ad Oświęcim (Auschwitz), la scorsa settimana, il 18 aprile, si è svolta la 35a Marcia dei Vivi. Una Marcia di alcune migliaia di studenti arrivati da molti paesi del mondo, Italia compresa, nonché dei sopravvissuti della Shoah, per ricordare e commemorare tutte le vittime dello sterminio nazista degli ebrei, ma anche delle vittime di altre nazionalità. Il tragitto che hanno percorso tutti i partecipanti alla Marcia dei Vivi era quello noto come la “strada della morte” che dal campo di sterminio nazista di Auschwitz I arriva a quello di Auschwitz II-Birkenau. Il 18 aprile scorso tra i partecipanti della Marcia dei Vivi c’erano anche gli studenti di tre scuole superiori italiane. Era presente anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, accompagnato dalle due sorelle, Tatiana e Andra Bucci, che sono tra le ultime sopravvissute del campo di sterminio nazista di Auschwitz- Birkenau e che possono ancora testimoniare, per loro sofferte esperienze personali, l’orrore, le atrocità e tutto quello che accadeva nel famigerato campo. Il presidente Mattarella, dopo aver visitato il campo, ha dichiarato ai giornalisti: “Già studiarlo, e l’ho fatto molto a lungo, è impressionante ma vederlo è un’altra cosa, è già straziante leggere e vedere nei video le testimonianze, ma vederlo è un’altra cosa, che dà la misura dell’inimmaginabile”. E poi, riferendosi a quella parte dove erano esposte ammassate le scarpe delle vittime, bambini compresi, ha detto; “Vedere quelle scarpe, vedere quelle scarpette dei bambini, dei neonati sono cose inimmaginabili e bisogna continuare a ricordare e bisogna ricordare che quello che vediamo è una piccola parte”. Il presidente Mattarella, rivolgendosi ad un gruppo di studenti di tre scuole superiori italiane lì presenti, ha detto: “Dovete trasmettere anche voi a vostra volta la memoria. Dovete trasmetterla anche voi a chi verrà dopo”. Ed infine ha dichiarato: “Siamo qui oggi a rendere omaggio e fare memoria dei milioni di cittadini assassinati da un regime sanguinario come quello nazista che, con la complicità dei regimi fascisti europei che consegnarono propri concittadini ai carnefici, si macchiò di un crimine atroce contro l’umanità. Un crimine che non può conoscere né oblio né perdono”.

    L’autore di queste righe ha trattato anche prima l’importanza di non dimenticare per non rivivere quanto è accaduto nel passato. Nel febbraio 2020 scriveva: “Il 27 gennaio scorso è stato ricordato e onorato il “Giorno della Memoria”. Un giorno prima, durante l’Angelus, Papa Francesco, riferendosi alle barbarie nei lager nazisti ammoniva dicendo che “Davanti a questa immane tragedia, a questa atrocità, non è ammissibile l’indifferenza ed è doverosa la memoria” (Drammatiche conseguenze dell’indifferenza; 3 febbraio 2020). Oppure ricordava la frase “Tutti coloro che dimenticano il loro passato sono condannati a riviverlo!”, scritta da Primo Levi nel suo libro “Se questo è un uomo” (Deliri e irresponsabilità di un autocrate; 22 febbraio 2021).

    Chi scrive queste righe è convinto, come tanti altri, che bisogna non dimenticare per non rivivere più le atrocità del passato. Egli pensa che nessuno che ha ed esercita poteri, nessun autocrate debba aggredire i diritti innati e acquisiti e le libertà del genere umano, ma anche delle singole persone innocenti. E men che meno, nessuno possa mettere in atto delle atrocità come quelle commesse dalle diverse dittature in ogni parte del mondo. E soprattutto quelle simili alle orribili atrocità, le crudeltà commesse consapevolmente nei campi di concentramento dai nazisti. Ragion per cui si deve evitare a dare qualsiasi appoggio, anche “formalmente protocollare”, alle persone che abusano del potere conferito, agli autocrati. Come per anni e per degli “interessi di Stato” è accaduto con il dittatore russo. Ma anche con altri autocrati in America Latina, in Africa ed in Medio oriente. La storia, anche quella recente, ci insegna. Perciò non si potranno offendere i tanti sacrifici umani, le tantissime vittime crudelmente uccise dai nazisti ma anche da altri dittatori. Perché così si potrà rispettare anche quanto è stato sancito il 1° novembre 2005 dalla Risoluzione 60/7 dell’Assemblea delle Nazioni Unite. Chi scrive queste righe, riferendosi agli insegnamenti della storia e alle vissute esperienze umane, parafrasando il pensiero di Balzac, pensa che si può perdonare, ma si dovrebbe far di tutto, per quanto possa essere difficile, per non dimenticare. Si, non dimenticare, per non rivivere più le atrocità del passato.

  • Consapevole e pericolosa violazione della libertà dei media

    La stampa libera può, naturalmente, essere buona o cattiva,

    ma è certo che senza libertà non potrà essere altro che cattiva.

    Albert Camus

    Era il 16 settembre 2022 quando la Commissione europea adottò un regolamento, un Atto per la libertà dei media europei (European Media Freedom Act). Un Atto “per proteggere il pluralismo e l’indipendenza dei media nell’Unione”. L’intenzione era, tra l’altro, quella della salvaguardia contro le ingerenze politiche nelle decisioni editoriali e, allo stesso tempo, di stabilire misure per proteggere l’indipendenza degli editori e rivelare i conflitti di interesse. Si tratta di un Atto con il quale si cerca di regolamentare l’indipendenza dei media di servizio pubblico, nonché la trasparenza sulla proprietà dei media e sull’allocazione della pubblicità. Si fa altresì sapere da documenti ufficiali resi pubblici che “…la legge per la libertà dei media stabilirà nuovi requisiti per la distribuzione della pubblicità statale ai media affinché la distribuzione sia trasparente e non discriminatoria”. La vicepresidente della commissione per i Valori e la Trasparenza, riferendosi al nuovo Atto ha dichiarato: Negli ultimi anni abbiamo assistito a varie forme di pressione sui media: è giunto il momento di agire. Dobbiamo stabilire principi chiari: nessun giornalista dovrebbe essere spiato a causa del suo lavoro e nessun mezzo di comunicazione pubblico dovrebbe diventare un mezzo di propaganda.”. Mentre il Commissario europeo per il Mercato interno, ha dichiarato che i media, tra l’altro, devono far fronte “…a minacce alla libertà e al pluralismo”.

    Durante la prima settimana dello scorso mese è stato reso pubblico il testo di una risoluzione del Parlamento europeo sull’Albania. Una risoluzione che deve essere discussa adesso in Parlamento, prima di essere definitivamente approvata. Una risoluzione che è molto critica e tratta diversi argomenti della realtà albanese durante l’anno 2022. Tratta con preoccupazione anche la continua violazione della libertà dei media. Nel testo della risoluzione si afferma che il Parlamento europeo “…esprime la sua preoccupazione per la mancanza del progresso al raggiungimento della trasparenza istituzionale e della libertà dei media”. In più si accentua “…il ruolo che hanno i dirigenti politici alla creazione di un ambiente che possa rendere possibile simili libertà”. Nel testo della risoluzione si evidenzia anche che il Parlamento europeo “…condanna gli sforzi per discreditare i giornalisti” per poi condizionare l’informazione pubblica. Si evidenzia anche “…il fallimento a garantire la sicurezza dei giornalisti”. Si afferma che l’Albania ha avuto “un mancato progresso” durante gli ultimi due anni per quanto riguarda la libertà dei media. Tutto ciò dovuto alle “…pressioni politiche contro i giornalisti, soprattutto da parte del governo, mentre il primo ministro ha assunto il ruolo del disciplinatore”. Nel testo della risoluzione si evidenziano anche “…i finanziamenti diretti dei media da parte di diverse agenzie governative, senza trasparenza”. In più si chiede al governo di “…garantire l’indipendenza dei media sulle trasmissioni pubbliche”, di regolamentare i media e di fare “…la trasparenza della proprietà, dei finanziamenti e della pubblicità pubblica dei media”. Bisogna sottolineare però che il testo di questa risoluzione è stato scritto dalla relatrice del Parlamento europeo per l’Albania, che è dello stesso schieramento politico di cui fa parte anche il partito socialista, capeggiato dal primo ministro albanese.

    Nella terza settimana del mese appena passato la violazione della libertà dei media in Albania è stata evidenziata anche dall’ultimo rapporto del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America. Si tratta di un rapporto molto critico che analizza ed evidenzia la corruzione a tutti i livelli delle istituzioni governative ed altre serie problematiche. Il rapporto tratta anche la preoccupante realtà in cui si trovano i media in Albania. Si evidenzia che purtroppo “…ci sono pochi media indipendenti, perché la maggior parte dei media sono di proprietà di noti imprenditori con molteplici interessi, i quali usano i media per far progredire [proprio] quegli interessi”. Il rapporto evidenzia, anche che ci sono prove credibili che “… alti rappresentanti dei media usano i media per ricattare le imprese, minacciandoli con dei rapporti negativi”. Tutto con il tacito, ma ben noto appoggio del governo e soprattutto del primo ministro. Si perché in Albania il primo ministro, colui che fa di tutto per controllare i media, ha degli ottimi rapporti di “collaborazione reciproca” con i proprietari dei media. E se qualcuno, per motivi puramente di interessi imprenditoriali in altri settori, quello delle infrastrutture per primo, cerca di “minacciare” e sgarra nelle politiche editoriali e della copertura mediatica delle attività del primo ministro, allora arriva subito la punizione del primo ministro onnipotente. Il nostro lettore è stato informato anche di queste punizioni (Inevitabili conseguenze dell’irresponsabilità di un autocrate; 6 dicembre 2022).

    La violazione della libertà dei media in Albania, non di rado, è stata trattata anche da noti giornali ed agenzie mediatiche internazionali. Critiche molto dure sono state fatte ufficialmente alcuni mesi fa anche dai rappresentanti della nota organizzazione Reporters Sans Frontières (Reporter senza frontiere; n.d.a.). Il 29 settembre 2022 il noto quotidiano tedesco di orientamento conservatore Die Welt (Il mondo; n.d.a.) ha dedicato un articolo alla preoccupante realtà albanese. Una realtà con molte gravi problematiche legate alla corruzione diffusa, al sistema “riformato” della giustizia e alla violazione della libertà dei media. L’autrice dell’articolo evidenzia, tra l’altro, che infatti “…la corruzione è una piaga per l’Albania che è molto difficile da far guarire. Il Paese si schiera alla 110a posizione tra i 180 dell’Indice della Percezione della Corruzione [attuato] da Transparency Internazional (Trasparenza internazionale; n.d.a.)”. E poi, basandosi su delle verifiche fatte da lei personalmente in Albania, l’autrice evidenzia che la corruzione “…non è presente soltanto negli alti livelli, ma anche nella vita quotidiana di ogni cittadino, dalla visita dal medico alla scelta della scuola elementare”. Sempre in base alle verifiche fatte personalmente sul posto dall’autrice dell’articolo, lei scrive “…l’Albania non è ancora in grado di esercitare un controllo giuridico, costituzionale e parlamentare sul governo”. Perciò il primo ministro ha “le mani libere” per fare quello che lui ha deciso. L’articolo tratta anche la violazione della libertà dei media in Albania. Riferendosi a quello che le ha conferito la rappresentante dell’Unione Europea in Albania, l’autrice scrive che “La concezione della stampa come un correttore ha bisogno di svilupparsi in Albania”, ribadendo che il Paese si schiera alla 103a posizione tra i complessivi 180, secondo la graduatoria pubblicata dai Reporters Sans Frontières. L’autrice dell’articolo scrive che i media, soprattutto quelli televisivi, “sono principalmente nelle mani di alcuni ricchi imprenditori e con dei legami politici”. Aggiungendo che il primo ministro “ha suscitato ultimamente scalpore dopo aver minacciato una giornalista con la ‘rieducazione’”, dopo alcune domande imbarazzanti per lui. In seguito il primo ministro ha escluso la giornalista dalle prossime conferenze stampa.

    Il 18 novembre 2022 sono venuti in Albania un gruppo di giornalisti che rappresentavano i Partner della Piattaforma del Consiglio d’Europa per la Sicurezza dei giornalisti e Reporters Sans Frontières. Hanno avuto un difficile incontro con il primo ministro albanese. In una conferenza stampa, dove era presente anche il primo ministro, i giornalisti hanno affermato, tra l’altro, che il primo ministro gli aveva mentito, riferendosi alla sopracitata “condanna” della giornalista con la “rieducazione”. In più i rappresentanti di Reporters Sans Frontières hanno accusato il primo ministro albanese di averli attaccato durante l’incontro che hanno avuto con lui prima della conferenza stampa, in presenza anche di altri rappresentanti istituzionali internazionali. Hanno, altresì, dichiarato però che nonostante quegli attacchi, loro non indietreggeranno. Uno dei rappresentanti di Reporters Sans Frontières ha dichiarato durante la conferenza stampa che l’Albania è l’ultima nei Balcani occidentali per quanto riguarda la libertà dei media, schierandosi solo prima della Turchia. E si sa qual è la realtà dei media in Turchia! In più lui ha dichiarato che il primo ministro albanese non è trasparente e che non possono essere tollerabili le conferenze stampa con delle domande accordate prima. Alcuni rappresentanti di Reporters Sans Frontières presenti all’incontro con il primo ministro hanno confermato, ad una fonte mediatica non controllata dal primo ministro, che durante l’incontro lui “…ha reagito male quando uno di noi ha detto che in Europa solo la Turchia che ha dei giornalisti incarcerati e media chiusi è peggio dell’Albania”. Loro hanno confermato che il primo ministro “…si è scontrato personalmente con gli interlocutori, a volte aggredendoli, a volte cercando di sedurre”. Loro hanno confermato che il primo ministro, durante quell’incontro “…aveva un comportamento tipico di un dirigente non democratico”. Mentre il segretario della Piattaforma del Consiglio d’Europa per la Sicurezza dei giornalisti ha chiesto al governo albanese di aumentare gli sforzi e di non trascurare i giornalisti. In più ha chiesto al governo di “riconoscere il ruolo dei giornalisti come critici nell’interesse  degli cittadini e di applicare le raccomandazioni della Commissione europea e del Consiglio d’Europa sulla sicurezza dei giornalisti”. Lui ha sottolineato: “…siamo stati qui [anche] tre anni fa ed abbiamo constatato il basso livello della libertà dei media. Adesso vediamo che la situazione non è migliorata e, anzi, siamo preoccupati perchè non abbiamo più a che fare con la cattura dei media, ma constatiamo la cattura dei giornalisti per servire gli stretti interessi privati. Ma in una democrazia i media servono per proteggere gli interessi del pubblico”. I rappresentanti dei Partner della Piattaforma del Consiglio d’Europa per la Sicurezza dei giornalisti e di Reporters Sans Frontières hanno evidenziato tutto in un rapporto scritto e reso pubblico il 18 novembre 2022. Loro affermano che “…Per molte delle minacce contro il giornalismo indipendente in Albania, la causa continua ad essere la “cattura” delle parti importanti dell’ambiente mediatico da interessi imprenditoriali”. Riferendosi ai proprietari dei media nel rapporto si afferma che “…usano sistematicamente i loro asset mediatici per servire le loro agende private o politiche, invece che l’interesse pubblico”. I rappresentanti dei Partner della Piattaforma del Consiglio d’Europa per la Sicurezza dei giornalisti e di Reporters Sans Frontières scrivono nel loro sopracitato rapporto, dopo l’incontro con il primo ministro albanese, che “…l’ingerenza diretta dei proprietari dei media sull’indipendenza editoriale è alta”. Secondo loro tutto ciò “…ha minato da tempo la fiducia del pubblico sull’integrità dei media ed ha portato ad una cronica autocensura nell’ambito della comunità dei giornalisti, nonché alla mancanza di un qualitativo rapporto investigativo”. I rappresentanti dei Partner della Piattaforma del Consiglio d’Europa per la Sicurezza dei giornalisti e di Reporters Sans Frontières, dopo l’incontro il 18 novembre scorso con il primo ministro albanese, non sono stati convinti da lui e dalle sue giustificazioni. Essi sono convinti però, riferendosi alla libertà dei media, che “la situazione in Albania sta peggiorando”. E questa conclusione la hanno dichiarata anche durante la sopracitata conferenza stampa con il primo ministro albanese.

    Chi scrive queste righe è convinto che in una dittatura gli spazi per i media indipendenti sono, se non inesistenti, veramente molto, ma molto, limitati. Egli, da anni ormai, è convinto che in Albania è stata restaurata e si sta sempre più consolidando una nuova e pericolosa dittatura. Il nostro lettore è stato molto spesso informato, sempre fatti alla mano, di una simile realtà. Ragion per cui c’era da aspettarsi anche la consapevole e pericolosa violazione della libertà dei media. Chi scrive queste righe condivide il pensiero di Albert Camus secondo il quale “La stampa libera può, naturalmente, essere buona o cattiva, ma è certo che senza libertà non potrà essere altro che cattiva”.

  • Tanto per la cronaca

    La sottosegretaria Frassinetti è stata contesta, da pochi irriducibili nostalgici dell’odio a tutti i costi, mentre deponeva una corona in ricordo di Sergio Ramelli vilmente assassinato da estremisti di sinistra nel 1975, un’epoca che ha gravemente insanguinato non solo le strade di Milano.

    Paola Frassinetti, che era accompagnata dal fratello di Fausto Tinelli, ucciso dall’estremismo di destra, ha voluto, nel ricordo di due giovani vite stroncate, riaffermare come sia sempre necessario dire no all’odio ed alla violenza.

    La contestazione al suo gesto dimostra non solo che sono ancora vivi i reduci della stagione dell’odio ma anche che certi linguaggi ed atteggiamenti di esponenti, anche autorevoli, della sinistra rischiano di nuocere gravemente al civile confronto ed al futuro di una corretta vita democratica.

    Piaccia non piaccia alla giunta del Sindaco Sala i cittadini, non solo di Milano, sono stanchi delle tante quotidiane violenze che devono subire in una città che da un lato è polo attrattivo economico e turistico e dall’altro è sempre più invivibile per i furti sui mezzi pubblici e nelle strade, per i lavori in corso che non finiscono mai, per la sporcizia ed il dissesto dei marciapiedi.

    Se ne faccia una ragione la consigliera del Pd Monica Romano: la pagina Instagram Milano bella da Dio, e qualunque altra pacifica iniziativa per smascherare ladri, truffatori ed anche eventualmente amministratori poco responsabili del loro ruolo, è utile e condivisa da molti.

  • ALMA a Milano – Arte Libera Musei Aperti

    Inaugurata a Milano Painting Academy, l’iniziativa ALMA- Arte Libera Musei Aperti che dal prossimo 21 marzo porterà l’arte nei luoghi dell’isolamento e del disagio, a cominciare dal Carcere di Opera, con l’esposizione di opere di Enrico Baj.

    Lo scopo del progetto dell’Associazione Culturale ‘Corte Sconta’, realizzato con il contributo di Fondazione di Comunità Milano, è rendere accessibili le opere d’arte, dopo i limiti imposti dalla pandemia e da altre costrizioni, ma anche avvicinare all’interesse artistico individui esclusi da eventi pubblici per motivazioni sanitarie, fisico-psichiche o penali rendendoli partecipi dell’arte come via per la Libertà.

    ALMA, da un lato vuole rivalutare luoghi costretti ai margini della vita sociale, dall’altro riportare alla vita pubblica importanti e significative opere, altrimenti riservate a pochi o dimenticate in depositi.

    Riduzione delle disuguaglianze, parità di genere, accessibilità e sostenibilità sociale, sono le parole chiave che guidano il progetto per creare la consuetudine alla diffusione dell’arte e all’avvicinamento ai pubblici fragili.

    La casa di reclusione di Opera, l’RSA Golgi Redaelli, l’Associazione Olinda ex ospedale psichiatrico Paolo Pini, vedranno, nelle parole dei responsabili del progetto Maddalena d’Alfonso e Andrea Vento, “l’esposizione e la condivisione partecipata di opere d’arte provenienti da collezioni private, tutte espressione e veicolo di declinazione del concetto di LIBERTA’, così importante da recuperare e rivivere”.

    L’iniziativa si concluderà in autunno, con la riunione di tutte le opere esposte alla Fabbrica del Vapore, presso la sede di Corte Sconta, per raccogliere i risultati del progetto.

    Libertà e immaginazione, libertà e memoria, libertà e comunicazione, libertà e viaggio i temi espressi e affrontati. A seguito di ogni evento si terrà un Talk in presenza o digitale animato da personalità dell’arte, della cultura e dell’iniziativa sociale. Ogni opera verrà digitalizzata e monitorata con le più avanzate tecniche oggi a disposizione.

    Il Progetto gode del patrocinio di ICAMT International Committee for Architecture and Museum Techniques -ICOM International Council of Museum.

    L’avvio dell’iniziativa è avvenuto con un primo evento presso Milano Painting Accademy, dove si è parlato di “Libertà e corpo umano”, attraverso l’emozionante arte di Patrizia Comand.

    “C’è un nesso profondo tra Libertà e Corpo umano, inteso quest’ultimo come spazio, relazioni. – afferma Gianni Maimeri, Presidente di Fondazione Maimeri patrocinante Milano Painting Academy – È in effetti proprio l’arte a interpretare il collegamento, essendo espressione di un gesto fisico, ma originata dal bisogno interiore di esprimere, trasmettere. Fondazione Maimeri interviene nella promozione dell’arte e della cultura

    attraverso iniziative a impatto sociale. ALMA sposa nel suo spirito le aree di intervento della Fondazione, dando visibilità all’arte e a luoghi di disagio o con delle complessità“.

    “Colori, forme e spazi escono dal corpo fisico per liberarsi. Partendo da una realtà se ne esplora un’altra in una sorta di lotta per la libertà. Si superano i limiti per conoscere e vivere altro”, così Patrizia Comand parla di “La Scalata” l’opera esposta al pubblico presso Milano Painting Academy, nell’appuntamento inaugurale.

    “Rappresenta una scalata alla luna, che è essenzialmente il simbolo di qualcosa che si vuole raggiungere: un’idea, un sogno, un’ideale, qualcosa che ci porti in una dimensione “altra”. In basso c’è la lotta per potersi arrampicare ed è per questo che c’è una variazione di colori dal basso verso l’alto: alla base dove, appunto, c’è lo scontro i colori sono forti, contrastanti, “terrestri” nel senso che sono ancora legati alla realtà, poi, via via che si staccano dalla terra si attenuano e pian piano prendono i colori delle luna, cioè del sogno cui si arriverà e con cui ci si fonderà”.

  • Un autocrate corrotto e che corrompe, ormai in preda al panico

    Tutto ciò che è incerto è in balia delle congetture e dell’arbitrio di un animo terrorizzato.

    Perciò niente è così dannoso, così irrefrenabile come il panico.

    Lucio Anneo Seneca

    L’autocrate è una persona che esercita potere assoluto. Ѐ colui che agisce da padrone onnipotente e che impone con modi duri e anche disumani, la propria volontà. Una definizione che si trova nei dizionari e/o nelle enciclopedie. Etimologicamente la parola autocrate deriva dal greco antico ed è composta da due parole “se stesso” e “dominio/potere”. Perciò si tratta di una persona che ha concentrato su se stesso il potere. La storia ci insegna che ci sono stati tanti autocrati, dall’antichià e fino ai giorni nostri. Nomi noti e meno noti. Ognuno con le sue proprie caratteristiche, con le impronte delle rispettive epoche storiche, ma che tutti, comunque, hanno avuto in comune il multidimensionale potere esercitato. La storia però ci insegna che anche gli autocrati, i dittatori, da esseri umani, hanno dimostrato di essere stati preda delle proprie paure, angosce, attacchi di panico ed altre “debolezze” umane. Una dimostrazione e testimonianza molto significativa ci è stata trasmessa maestosamente da William Shakespeare nella sua ben nota tragedia “Macbeth”. Il personaggio principale della tragedia, un nobile scozzese, Macbeth, dopo aver ucciso il re della Scozia, diventa un tiranno onnipotente. Diventa un re senza scrupoli e convinto di aver fatto la cosa giusta uccidendo il re Duncan. Complice anche sua moglie, lady Macbeth. Ma, con il passare del tempo, diventa preda degli incubi e degli attacchi di panico che lo assalgono. Lui vede ovunque dei nemici, suoi oppositori e non si fida di nessuno. Alla fine, durante una battaglia, invoca l’oracolo delle streghe dal quale viene assicurato che nessun essere umano partorito da donna potrà ucciderlo. Ma il suo avversario sul campo, Macduff, che era nato con un parto cesareo, lo uccide decapitandolo. Finalmente la monarchia in Scozia viene restaurata e uno dei figli di Duncan prende il trono del padre.

    Purtroppo anche negli ultimi decenni gli autocrati, i dittatori, sono stati tanti e in diverse parti del mondo. Basta riferirsi a quelli che hanno costituito e guidato alcune dittature della prima metà del secolo passato in Europa. E anche a coloro che hanno gestito le dittature comuniste dopo la seconda guerra mondiale. Ma anche attualmente gli autocrati, i dittatori, sono non pochi e gestiscono il loro potere assoluto a seconda delle “caratteristiche locali”. Non di rado cercando di camuffarsi anche dietro delle fasulle “apparenze democratiche” dando vita così a delle forme di Stato che si presentano come combinazioni ibride tra i regimi totalitari con degli elementi di Stati democratici, comprese le elezioni e le facciate pluripartitiche. Elezioni che però vengono sempre controllate e condizionate dal potere dell’autocrate, il quale risulta sempre vincitore. Potere che cerca e spesso ci riesce a mettere sotto controllo tutto e tutti, compresi anche i sacrosanti diritti umani, innati e/o acquisiti. Tutto ciò mentre e nonostante gli Stati controllati dagli autocrati possano aver sottoscritto formalmente diverse Convenzioni internazionali che sanciscono proprio la difesa ed il rispetto di quei diritti. Basta riferirsi, purtroppo, a delle ben note realtà e solo in Europa in questi ultimi anni, come quelle in Russia, in Bielorussia, in Turchia o in qualche altro Paese, Balcani compresi. E nel suo piccolo, anche in Albania.

    Il nostro lettore da molti anni ormai, è stato spesso informato della drammatica, pericolosa e molto preoccupante realtà albanese. Tutto dovuto ad una ben ideata, programmata ed altrettanto ben attuata restaurazione di un nuovo regime autocratico, di una nuova dittatura sui generis camuffata da una fasulla facciata di pluripartitismo. Si tratta, in realtà, di un’alleanza pericolosa in azione tra il potere politico, istituzionalmente rappresentato dal primo ministro, la criminalità organizzata non solo locale, anzi, e determinati raggruppamenti occulti locali ed internazionali. Soprattutto uno di quei raggruppamenti, da oltreoceano, è da tanti anni molto presente e molto attivo in Albania con dei “progetti” e delle “strategie” locali e regionali che, con dei finanziamenti continui e milionari, appoggia la costituzione di una “società aperta”. Ma che, fatti documentati alla mano, ha come obiettivo strategico ben altro: la costituzione di “porti franchi”, dove poi si possano gestire delle attività che non hanno niente a che vedere con la “società aperta”. Quanto sta accadendo nei Balcani occidentali ne è una eloquente dimostrazione. Così come, quanto sta accadendo in alcuni Paesi africani e in Sri Lanka ne è una inconfutabile testimonianza. Ma anche quanto sta accadendo con i flussi migratori che partono da paesi in guerra, in Nord Africa, in Medio Oriente, nonché da altri Paesi con delle grosse problematiche sociali e con una diffusa povertà molto preoccupante testimonia la falsità e l’ipocrisia della “facciata benefica ed umanitaria” di quel raggruppamento che fa capo ad un multimiliardario e speculatore di borsa statunitense. Proprio colui, o chi per lui, che da molti anni ormai ha selezionato ed ha appoggiato la “scalata politica” dell’attuale primo ministro albanese. Proprio colui che “finanzia” anche alcune ONG (organizzazioni non governative; n.d.a.) che sono presenti nelle acque del Mediterraneo e che hanno come obiettivo dichiarato quello di soccorrere, aiutare ed assistere i flussi continui dei profughi che scappano dai propri paesi e attraversano il Mare Nostrum in cerca di migliori condizioni di vita. Quanto è purtroppo accaduto nelle primissime ore della mattina di domenica scorsa, 26 febbraio, ad alcune decine di metri dalla costa crotonese, nei pressi della spiaggia della frazione Steccato di Cutro, sul mar Ionio, rappresenta una tragica testimonianza di quella “strategia” abusiva ed occulta che mira ad organizzare, controllare e gestire i flussi migratori che cercano di arrivare in Europa.

    Ebbene, se in Albania, dal 2013, quando ha avuto il suo primo mandato, l’attuale primo ministro, fatti accaduti, documentati, testimoniati e denunciati ufficialmente alla mano, è diventato a tutti gli effetti un autocrate qual è, questo è merito anche e soprattutto dell’attivo e sempre presente appoggio del multimiliardario e speculatore di borsa statunitense. Un fatto ben noto ormai in Albania. Un fatto confermato anche dalle cattive lingue che molto difficilmente sbagliano nelle loro affermazioni per tutto ciò che accade lì. E per facilitare il compito dell’autocrate albanese, il suo “protettore” di oltreoceano ha pensato bene anche ad ideare, programmare ed attuare la riforma del sistema della giustizia in Albania. Una “riforma” che invece di garantire una giusta giustizia per i cittadini,  invece di garantire la meritata condanna per chiunque violasse la legge, partendo dalle più alte autorità dello Stato, ha garantito proprio il controllo di tutte le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia personalmente dal primo ministro, il “prescelto”. Il nostro lettore anche di questa realtà è stato continuamente e oggettivamente informato da anni ormai. Così come, da anni, è stato informato anche della pericolosa connivenza del potere politico con la criminalità organizzata, locale ed internazionale. Compresa quella italiana, soprattutto la “Ndrangheta”, molto attiva con dei finanziamenti miliardari in diversi settori in Albania. Ma anche per riciclare ingenti somme di denaro sporco in Albania, essendo diventato un Paese dove questa attività risulterebbe abbia l’appoggio del potere politico. Fatto confermato da alcuni anni anche dai rapporti ufficiali di Moneyval (Comitato di Esperti per la valutazione delle misure anti riciclaggio e il finanziamento del terrorismo, struttura del Consiglio d’Europa; n.d.a.). Così come dai rapporti di un’altra struttura specializzata, la FATF (Financial Action Task Force on Money Laundering, nota anche come il Gruppo di Azione Finanziaria (GAFI); n.d.a.). Il nostro lettore è stato spesso informato anche di questa grave, preoccupante e pericolosa realtà.

    Attualmente un altro scandalo vede direttamente coinvolto il primo ministro albanese. Uno scandalo scoperto negli Stati Uniti d’America. Uno scandalo indagato per mesi e poi reso pubblico il 23 gennaio scorso. Uno scandalo che ha come principale protagonista un ex alto funzionario dell’Ufficio Federale di Investigazione degli Stati Uniti d’America (Federal Bureau of Investigation – FBI; n.d.a.). Uno scandalo che dal 23 gennaio scorso ad oggi sta avendo un vasto e molto dettagliato trattamento dai massimi giornali e media negli Stati Uniti. Uno scandalo che, nonostante i vari tentativi della propaganda governativa e degli “analisti ed opinionisti a pagamento” in Albania di “relativizzare” il caso e, cioè, di minimizzarlo e possibilmente di metterlo nel dimenticatoio, è diventato da più di un mese ormai’ una “patata bollente”. Si tratta di uno scandalo su cui stanno indagando da mesi negli Stati Uniti d’America. Sono due le procure; quella della capitale e quella di New York. E in tutte e due le indagini si fa un diretto e chiaro riferimento al primo ministro albanese, ad un ex agente dei servizi segreti albanesi e ad un “consigliere esterno” del primo ministro che, sempre da quanto è stato reso pubblico, ha goduto di un suo continuo supporto, nonché di un rapporto con lui che va ben oltre quello “istituzionale”. Ma, oltre alle due procure, sono anche due commissioni parlamentari, una del Congresso e l’altra del Senato, costituite in queste settimane che stanno altresì indagando sullo stesso scandalo. Il nostro lettore è stato informato, come sempre, con la dovuta oggettività di questo scandalo, tuttora in corso, in queste ultime settimane (Collaborazioni occulte, accuse pesanti e attese conseguenze, 30 gennaio 2023; Un regime corrotto e che corrompe, 13 febbraio 2023; Angosce di un autocrate corrotto e che corrompe, 20 febbraio 2023).

    L’evoluzione delle indagini sullo scandalo, condotte dalle due procure, quella di Washington D.C. e quella di New York, nonché quelle condotte dalle due commissioni parlamentari, questa volta è fuori dal controllo personale del primo ministro albanese. Controllo che, invece, è ben evidente, documentato, testimoniato e ufficialmente denunciato riferendosi al sistema “riformato” della giustizia in Albania. Ragion per cui lui adesso, preso dal panico, sta facendo di tutto, costi quel che costi, per mantenere e rafforzare il suo pericoloso potere dittatoriale. Perché è l’unica sua speranza, approfittando della sua immunità istituzionale, di non essere condotto ed indagato, anche lui, negli Stati Uniti d’America. Ragion per cui, adesso più che mai e costi quel che costi, il primo ministro e i suoi strateghi cercheranno di “vincere”, cioè di condizionare e manipolare il risultato delle prossime elezioni amministrative locali, previste per il 14 maggio prossimo. In più il primo ministro ed i suoi strateghi cercheranno di “annebbiare” e possibilmente di annientare tutte le accuse dei dirigenti dell’opposizione, legate allo scandalo in corso. Attualmente gli strateghi del primo ministro stanno cercando di attuare due obiettivi posti contemporaneamente. Il primo dei quali è il fermo rifiuto della costituzione di una commissione d’indagine per il primo ministro sullo scandalo in corso, come prevede e sancisce in modo chiaro ed indiscusso, l’articolo 77 della Costituzione della Repubblica albanese. Il secondo obiettivo è l’espulsione di sempre più deputati dell’opposizione dai lavori parlamentari. Fino al 23 febbraio scorso erano ventitré i deputati dell’opposizione espulsi in palese violazione del Regolamento del Parlamento albanese.

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto bisogno di molto più spazio per trattare questo scandalo in corso. E lo farà in seguito. Anche perché ogni giorno che passa si arricchisce di nuovi e scottanti dettagli. E ogni giorno che passa in Albania si tenterà di rafforzare, costi quel che costi, il potere assoluto del primo ministro, di quell’autocrate corrotto e che corrompe, ma che ormai è in preda al panico. Ragion per cui anche lui, come Macbeth, vede nemici dappertutto e non si fida più di nessuno, tranne alcuni pochissimi suoi fedelissimi. Per lui tutto è incerto ormai. Aveva ragione Seneca quando affermava che “Tutto ciò che è incerto è in balia delle congetture e dell’arbitrio di un animo terrorizzato. Perciò niente è così dannoso, così irrefrenabile come il panico”.

  • In attesa di Giustizia: mani pulite in salsa belga

    Non è vero che mettiamo in carcere gli indagati per farli confessare, è vero – però – che li scarceriamo quando confessano”. Così parlò, ai tempi di Mani Pulite, il Procuratore della Repubblica di Milano Francesco Saverio Borrelli.

    Ebbene, gli obbrobri e le forzature della legge nella gestione di quella indagine (che, forse, sarebbe più corretto denominare “mani ammanettate”), di cui scontiamo tutt’ora le conseguenze, sembrano aver trovato degli emulatori esteri.

    O, forse, sarà  in ossequio ai principi che regolano i rapporti tra le diverse Autorità Giudiziarie dell’UE, basati sul principio del mutuo riconoscimento delle decisioni che trova il suo fondamento nella reciproca fiducia che ogni Stato dell’Unione può riporre nella legislazione degli altri partner: fatto sta che Pubblici Ministeri e Giudici Istruttori belgi stanno dimostrando di avere imparato la lezione di Davigo e Di Pietro;  ovvero, se preferite, di Alberto Sordi nei panni del magistrato Annibale Salvemini nel predittivo film “Tutti dentro” del 1984, che oggi  fa amaramente sorridere.

    Stiamo parlando, ovviamente, dell’inchiesta soprannominata “Qatargate” della quale molto si parla e molto altro si ignora o – comunque – è blandamente evidenziato dalle cronache.

    Sappiamo, per esempio, che l’ex europarlamentare Antonio Panzeri ha scelto di confessare (anche, presunte, altrui malefatte: altrimenti la confessione vale poco…) e ciò gli vale un liberatorio patteggiamento alla pena di un anno, che nemmeno sconterà, per reati che in Italia ne valgono una decina malcontati e – questo sì –  la confisca di una considerevole somma di denaro…magari una quota sacrificabile del totale.

    Sembrerebbe, dunque, che la lectio magistralis impartita dal Procuratore di Milano negli anni ’90, richiamata all’inizio, sia stata seguita con la dovuta attenzione, soprattutto per quello che andremo subito ad illustrare.

    Tra le cose di cui si tratta meno, infatti, c’è che alla ex vice presidente dell’Europarlamento Eva Kaili dopo ben ventotto giorni di detenzione è stato consentito di trascorrere un paio d’ore con la figlioletta di soli venti mesi (il cui padre, pure, è detenuto), rigorosamente in carcere neanche fosse una madre che debba rispondere di avere trucidato il fratellino o che vi sia il fondato sospetto che la bimba sia una pericolosa complice da istruire per inquinare le prove.

    La netta sensazione è che – insieme alla privazione della libertà – sia questo un metodo per effettuare pressioni e conquistare l’agognata ammissione di responsabilità…possibilmente condita da qualche accusa nei confronti di altri compartecipi.

    Il termine da utilizzare, di fronte a ciò è uno solo: vergogna. Allora, tanto valeva rinchiudere questa indagata in una vergine Norimberga o strapparle le unghie per vedere se confessava invece di paludarsi da Stato di diritto quando dello Stato di diritto vengono ignorate o infrante regole fondamentali; allora è fuor di luogo puntare l’indice proprio contro il Qatar perché laggiù non vi sarebbe rispetto dei diritti umani.

    Ebbene, sì: par proprio che una identità culturale ed una tradizione giuridica comune tra Italia e Belgio si possano riconoscere traendo spunto da un caso come questo.

    Questa è l’Europa dalle comuni radici cristiane, dell’agognato ravvicinamento dei sistemi penali dei Paesi Membri, la Mani Pulite in salsa belga.

  • Non solo il velo

    A muovere le proteste in Iran, rese ogni giorno più difficili dalla sanguinosa e crudele repressione del regime, non c’è soltanto la ribellione al velo e l’ira ed il dolore per le tante donne ed uomini, specialmente giovanissimi, che sono stati trucidati in questi mesi ma anche una tragica situazione del Paese dove le caste di chi governa e dei pasdaran, che hanno in mano l’amministrazione, vivono nel privilegio.

    La popolazione, ormai da tempo, è in condizioni di gravi difficoltà economiche oltre che in inaccettabili costrizioni delle libertà individuali.

    La realtà del Paese è una inflazione che arriva a più del 50% con aumenti dei prezzi di frutta, verdura, carne che impediscono alla maggior parte delle famiglie un’alimentazione minimamente corretta.

    Secondo il Fondo Monetario Internazionale quasi un terzo della popolazione è sotto la soglia della povertà estrema mentre non demorde la crisi energetica dovuta alle scelte sbagliate del governo, nonostante l’Iran sia ricco di gas.

    Le proteste dilagano in ogni parte del Paese, giovani e meno giovani si trovano insieme a reclamare libertà e condizioni di vita degne ma ricevano in cambio morte e continua violenza mentre troppa parte del mondo occidentale dimostra la propria impotenza.

    La gran parte della popolazione iraniana dovrà presto decidere tra un salto di qualità delle proteste o il lasciar soccombere la propria gioventù. Il salto di qualità della lotta contro il regime può essere deciso solo dagli iraniani ma, se lo decideranno, dovranno trovare aiuti concreti da parte di coloro che oggi trovano difficoltà anche ad organizzare manifestazioni di solidarietà nei paesi liberi.

  • I principi costituzionali

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo del P. Francesco Pontelli

    La nostra Costituzione ha trovato la propria sintesi attraverso una Assemblea Costituente la quale ha redatto un documento istituzionale che era soggetto a possibili adeguamenti in relazione all’evolversi del contesto storico e del concetto stesso di democrazia, sempre più complesso ed articolato.

    Pur essendo, quindi, sostanzialmente approvata in una propria forma rigida, nel senso che ogni modifica della Carta Costituzionale necessita di una procedura particolare, il testo costituzionale ed ogni possibile adeguamento rappresentavano tuttavia una possibilità ampiamente considerata dai padri costituenti.

    Viceversa, i principi democratici ispiratori, anche se contestualizzati nel complesso evolversi della storia contemporanea, rappresentano ancora oggi un insieme di postulati assolutamente immodificabili rispetto alla Carta stessa.

    La vicenda iraniana dimostra come uno stato totalitario sia in grado, per mantenere inalterato il proprio potere a discapito delle proteste legittime della popolazione, di utilizzare ogni forma di controllo e sopraffazione anche digitale. Ecco quindi come a tutte le donne che non indossino regolarmente il velo lo stato teocratico ha disposto di bloccare i conti correnti e, di conseguenza, ogni accesso alle proprie risorse economiche necessarie nella quotidianità.

    Di per sé la repressione iraniana dimostra essenzialmente due aspetti importanti.

    Innanzitutto il clamoroso errore della amministrazione Biden la quale, sciogliendo l’accordo con l’Arabia Saudita sunnita e riaprendo le relazioni con l’Iran sciita, è stata ripagata con l’appoggio iraniano alla Russia di Putin e riavviando il processo di riarmamento nucleare.

    In secondo luogo emerge evidente come ogni Stato totalitario, operando all’interno di un contesto storico contemporaneo, sia in grado di utilizzare tutti gli strumenti a disposizione, nello specifico quello digitale, con l’obiettivo di reprimere e soffocare le legittime proteste della popolazione attraverso il blocco dei conti correnti e dell’utilizzo della moneta elettronica.

    Al di là della lezione iraniana in ambito strategico, che rappresenta il suicidio politico dell’amministrazione Biden e dell’Unione Europea, la vicenda iraniana dimostra come il controllo di uno Stato totalitario possa essere reso possibile anche attraverso strumenti tecnologici e digitali.

    Tornando ora alla Costituzione Italiana, mentre il suo testo risulta soggetto ad adeguamenti successivi, i principi ispiratori dovrebbero restare tali in quanto espressione della stessa democrazia, quindi validi in ogni contesto storico. Per questo motivo, se anche il bicameralismo perfetto in questo momento risulti una forma di istituzionale probabilmente superata, il principio democratico ispiratore, declinabile nella creazione di due Camere con uguali poteri per evitare che si potessero ricreare le condizioni per il sopravvento dello Stato sulla popolazione, rappresenta un concetto quanto mai attuale.

    Attualizzando questo principio quindi, anche un eventuale obbligo o semplice favoreggiamento per tutte le transazioni commerciali attraverso la sola moneta elettronica rappresenterebbe, secondo i principi ispiratori della Costituzione stessa, un pericolo nel caso in cui uno Stato intendesse esercitare un potere di sopraffazione nei confronti dei legittimi diritti dei singoli cittadini.

    In altre parole, la Carta Costituzionale tende a limitare il margine operativo di ingerenza di un eventuale stato, anche se democraticamente eletto, il quale intendesse limitare la libertà dei singoli cittadini anche attraverso dei processi decisionali, come la sua stessa modifica, articolati e complessi, quindi a sola conferma della tutela di un legittimo diritto democratico.

    Invece, il tentativo di un sempre maggiore controllo dello Stato relativo alle attività dei propri cittadini, come l’utilizzo di una sola forma di pagamento o di accesso ai servizi della pubblica amministrazione, rappresenta la negazione stessa dei principi fondativi della Carta Costituzionale, ponendo le basi per l’istituzione di uno stato etico non così dissimile da una teocrazia come quella iraniana.

  • Autocrati che usano gli stessi metodi non a caso si somigliano

    Io credo che le sole cose sicure in questo mondo siano le coincidenze.

    Leonardo Sciascia

    Tutto si è svolto e finito come era stato previsto. I lavori del XX Congresso nazionale del partito comunista cinese, iniziato il 16 ottobre, si sono conclusi una settimana dopo, il 22 ottobre scorso. Alla fine dei lavori circa 2300 delegati del congresso, presenti nella Grande Sala del Popolo, su piazza Tiananmen nel pieno centro di Pechino, hanno votato all’unanimità le modifiche della Costituzione, il documento base del partito. Costituito nel 1921 a Shanghai, città che allora era nota come la Concessione francese di Shanghai, il partito svolse in seguito il suo primo congresso nazionale che durò nove giorni, dal 23 al 31 luglio 1921. Durante quel congresso è stata approvata anche la prima Costituzione del partito comunista cinese. Un anno dopo, nel luglio 1922 e di nuovo a Shanghai si svolse il secondo congresso del partito, durante il quale si approvò anche l’iscrizione del partito all’Internazionale comunista. Basandosi sull’ideologia marxista e leninista, come anche il partito comunista dell’Unione sovietica, gli obiettivi del partito comunista cinese erano quelli tipici dei partiti di simile orientamento ideologico, costituiti in seguito in diversi Paesi del mondo. Tra quegli obiettivi, i più importanti erano il rovesciamento della borghesia e l’eliminazione delle distinzioni di classe. Obiettivi quelli per l’esercito rivoluzionario del proletariato che si doveva formare. In seguito, si doveva istituire la dittatura del proletariato che, a sua volta, doveva attuare la continua lotta di classe; un importante obiettivo permanente per il partito comunista che doveva guidare anche la nazionalizzazione dei mezzi di produzione.

    Durante il XX congresso nazionale del partito comunista cinese i delegati all’unanimità hanno approvato l’emendamento alla Costituzione del partito sul numero dei mandati, che non erano più di due, per il segretario generale. È stato proprio quell’emendamento che ha permesso all’attuale segretario generale di avere il suo tanto ambito terzo mandato. Il che ha ulteriormente rafforzato i suoi poteri che già erano grandi. Lo stesso emendamento stabiliva anche i cosiddetti “due stabili” e le “due salvaguardie”. Un modo tipicamente cinese per definire determinate cose. Il primo tra i “due stabili” sancisce che il segretario generale è il “nucleo” del partito. Il secondo stabilisce che le idee del segretario generale diventano anche i principi guida del partito. Mentre le “due salvaguardie” sanciscono lo status centrale del segretario generale all’interno del partito e l’autorità centralizzata del partito a livello nazionale. Misure quelle volute dal segretario generale, per consolidare ulteriormente il suo potere istituzionale, il ruolo guida del suo pensiero e della sua volontà all’interno del partito comunista cinese che in realtà è un partito – Stato.

    I delegati del XX congresso nazionale del partito comunista cinese hanno approvato all’unanimità anche una risoluzione finale. In quella risoluzione si ribadisce, tra l’altro, la ferma opposizione all’indipendenza di Taiwan. Tutto questo anche dopo la visita della presidente della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti d’America nei primi giorni dell’agosto scorso. Una visita che ha suscitato subito delle reazioni ufficiali e delle “esercitazioni militari” nei pressi dell’isola da parte della Cina. In quella risoluzione si conferma che la Cina farà “un’opposizione risoluta per scoraggiare i separatisti che cercano ‘l’indipendenza di Taiwan'”.

    Alla fine dei lavori del XX congresso nazionale del partito comunista cinese il segretario generale, durante il suo intervento conclusivo, sempre con il tipico modo cinese d’espressione, ha dichiarato: “Non saremo spaventati da pericolose tempeste, perché la gente ci darà sempre fiducia. Cavalcheremo sempre la tempesta con la nostra gente prendendo le loro priorità come nostre e agendo secondo i loro desideri, continueremo il duro lavoro per trasformare la loro aspirazione a una vita migliore in realtà”. Lui ha affermato, altresì, che “Di fronte a nuove sfide e test nel viaggio che ci attende, dobbiamo rimanere in allerta e rimanere sobri e prudenti come uno studente che affronta un esame senza fine. Non dobbiamo fermare i nostri passi nell’esercizio di una piena e rigorosa governance all’interno del partito. Dobbiamo assicurarci che il nostro partito secolare, il più grande del mondo, diventi sempre più vigoroso attraverso l’autoriforma e continui ad essere la solida spina dorsale su cui il popolo cinese può contare in ogni momento”. Il segretario generale del partito poi ha aggiunto: “Proprio come la Cina non può svilupparsi isolata dal mondo, il mondo ha bisogno della Cina per il suo sviluppo […] Attraverso oltre 40 anni di incessanti riforme e aperture, abbiamo creato i due miracoli di una rapida crescita economica e di una stabilità sociale di lungo termine”. Alla fine del suo discorso, fiducioso, dopo aver ottenuto il tanto ambito terzo mandato, il segretario generale del partito comunista cinese ha dichiarato che la Cina “creerà molte più opportunità per il mondo”. I lavori del del XX congresso nazionale del partito comunista cinese si sono conclusi con le note dell’Internazionale, suonata dalla banda militare. Un tipico e molto significativo messaggio di basilare appartenenza ideologica.

    Ma non è solo il segretario generale del partito comunista cinese, un partito – Stato, che ha rafforzato i suoi poteri istituzionali e personali in seguito a degli emendamenti costituzionali. Lo hanno fatto anche altri autocrati. Uno dei quali è il presidente della Turchia. Lo ha fatto con il referendum del 16 aprile 2017. Lui, fondatore nel 2001, del partito della Giustizia e dello Sviluppo (nella lingua turca Adalet ve Kalkınma Partisi – AKP; n.d.a.), dopo essere stato sindaco di Istanbul (1994 – 1998) e primo ministro dal 2003 fino al 2014, è stato eletto presidente della Turchia nell’agosto del 2014. In seguito, dopo il fallito colpo di Stato del 15 luglio 2016, il presidente turco ha deciso di rafforzare i propri poteri. Allora lui ha indicato e denunciato il mandante di quel colpo di Stato: Fethullah Gülen, suo amico fino a qualche anno fa.  L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore di quel golpe. Egli scriveva tra l’altro che “Il fallito golpe del 15 luglio 2016 rappresenta un momento cruciale della recentissima storia della Turchia in cui è stato coinvolto direttamente e personalmente Erdogan”. Sottolineando che il presidente turco dopo il fallimento del golpe aveva soprattutto “…ideato e avviato un periodo di rappresaglie e di purghe”. Aggiungendo che lui “Vedeva e considerava nemici dappertutto, chiunque poteva essere e/o diventare un pericoloso avversario per lui. Perciò dichiarò guerra a tutto e tutti. Obiettivi e vittime, uccisi o condannati, decine di migliaia, tra alti ufficiali dell’esercito, giornalisti, docenti universitari e insegnanti, artisti e altri ancora. E se questo non rappresenta un inizio di dittatura, allora cos’è?” (Erdogan come espressione di totalitarismo; 28 marzo 2017). L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore anche della cosiddetta Dottrina Davutoglu. Egli, tra l’altro, scriveva nel gennaio dello scorso anno anche di quella dottrina sottolineando che “…da più di dieci anni ormai, è diventata parte integrante ed attiva della politica estera della Turchia”. Chi scrive queste righe informava il nostro lettore che “…La Dottrina Davutoglu, fortemente sostenuta anche dall’attuale presidente turco, si basa sul principio dell’istituzione di una specie di Commonwealth degli Stati ex ottomani, dal nord Africa fino ai Balcani. Secondo questa dottrina, la Turchia dovrebbe diventare un ‘catalizzatore e motore dell’integrazione regionale’. La Turchia deve non essere ‘un’area di anonimo passaggio’ ma diventare ‘l’artefice principale del cambiamento’. Mentre Erdogan, prima da primo ministro e poi da presidente, continua deciso all’attuazione di questa dottrina”. Ma da alcuni anni l’autore di queste righe ha trattato ed informato il nostro lettore, sempre basandosi sui fatti accaduti e documentati, anche dei rapporti di “amicizia e di fratellanza” tra il presidente turco ed il primo ministro albanese. Un rapporto quello che egli ha sempre considerato, basandosi soltanto sui fatti accaduti, pubblicamente noti e documentati, come occulto e fondato su delle sudditanze pericolose da parte del primo ministro albanese (Erdogan come espressione di totalitarismo, 28 marzo 2017; Relazioni occulte e accordi peccaminosi, 11 gennaio 2021; Diabolici demagoghi, disposti a tutto per il potere, 18 gennaio 2021; Amicizie occulte e sudditanze pericolose, 24 gennaio 2022).

    Espressione di quel rapporto di “amicizia e di fratellanza” ma anche di “sudditanza occulta” sono state anche le chiusure nella capitale dell’Albania, il 23 settembre scorso, di un collegio e di un‘asilo per bambini. Tutte e due parte di una fondazione turca finanziata dalla stessa persona accusata dal presidente turco come ideatore e organizzatore del sopracitato golpe del 15 luglio 2016 in Turchia. Quelle due chiusure, considerate del tutto ingiustificate e illecite secondo i dirigenti del collegio e dell’asilo, ma anche da noti professionisti di giurisprudenza e avvocati, sono state attuate solo poco dopo l’inizio di quest’anno scolastico. Non sono servite a niente le giustificazioni date dalla ministra dell’istruzione e da altri rappresentanti governativi. Anzi, hanno soltanto aumentato la diffusa convinzione che quelle chiusure sono state richieste espressamente dal presidente turco al primo ministro albanese e da quest’ultimo eseguite con ubbidienza. Come sempre. E come sempre in cambio di qualche “supporto” da parte del presidente turco, suo “caro amico e fratello”. Che le chiusure, il 23 settembre scorso, del collegio e dell’asilo sono state eseguite in seguito ad una richiesta del presidente turco, o da chi per lui, lo hanno in seguito affermato anche alcune fonti mediatiche in Turchia. Ma quello della chiusura del collegio e dell’asilo non sono stati un caso isolato. Perché due anni fa sono state chiuse tre altre scuole in altrettante città albanesi, sempre parte della rete di scuole ed asili della sopracitata fondazione finanziata dal nemico personale del presidente turco. Durante questi ultimi anni l’opinione pubblica in Albania è stata spesso informata delle ripetute richieste di diversi alti rappresentanti del governo turco, compreso anche lo stesso presidente turco, per delle drastiche misure restrittive nei confronti di tutte le scuole ed altre strutture di quella Fondazione. Ma altre richieste, ormai pubblicamente note, sono state ripetutamente fatte al primo ministro albanese ed altri alti rappresentanti istituzionali, in diverse occasioni, per intervenire e cambiare i vertici della Comunità musulmana albanese, sempre perché considerati come sostenitori del nemico personale del presidente turco.

    Due settimane fa è stata resa nota una notizia molto preoccupante. Un diplomatico turco è stato presentato al ministero degli Affari Esteri in Albania come parte attiva dei dirigenti ed alti funzionari dello stesso ministero. La notizia non è stata mai negata da chi di dovere. Il che ne è la diretta conferma della veridicità della stessa. E guarda caso, nello stesso periodo, all’inizio di questo mese, il primo ministro albanese è andato in Turchia per una visita ufficiale e si è incontrato con il suo caro “amico e fratello”, il presidente turco. Lo hanno reso noto le agenzie di stampa turche. Niente di anormale si potrebbe subito pensare. Ma solo il fatto che quella visita non è stata resa nota né dallo stesso primo ministro albanese, come fa sempre tramite i suoi “cinguettii” quotidiani e neanche dal suo ufficio stampa, crea molti sospetti sulla stessa visita. Chissà di cosa hanno discusso e si sono accordati questa volta i due “amici e fratelli”?!

    Chi scrive queste righe è convinto che non sono solo il segretario generale del partito comunista cinese e il presidente turco che hanno rafforzato i propri poteri istituzionali e personali con degli emendamenti costituzionali. Lo hanno fatto diversi autocrati e dittatori come quello russo ed altri. E, nel suo piccolo, lo ha fatto a più riprese anche il primo ministro albanese. Sono sempre degli autocrati che usano gli stessi metodi. Perciò non a caso si somigliano. Aveva ragione Leonardo Sciascia, il quale credeva che le sole cose sicure in questo mondo siano le coincidenze.

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