Libertà

  • I diritti umani nel cuore dell’Europa – La mostra fotografica sul Premio Sacharov organizzata dall’Ufficio di Milano del Parlamento europeo

    L’Ufficio del Parlamento europeo a Milano ha organizzato un evento ibrido e una mostra fotografica sul Premio Sacharov 2021 per la libertà di pensiero, in onore della vita e dell’eredità che ci ha lasciato Andrei Sacharov. L’evento di lancio ha avuto luogo mercoledì 2 marzo alle ore 12 presso il Milano LUISS Hub. La mostra SACHAROV – I Diritti Umani nel cuore dell’Europa, sotto l’alto patrocinio del Parlamento europeo, sarà visitabile fino al 16 marzo, sempre presso l’hub in Via Massimo D’Azeglio, 3 a Milano.

    L’iniziativa si svolge in collaborazione con Memorial Italia, la sede italiana della nota associazione Memorial creata a Mosca negli anni ’80 con lo scopo di promuovere lo sviluppo della società civile, della coscienza giuridica dei cittadini e di uno stato di diritto democratico al fine di prevenire il ritorno al totalitarismo. L’incontro inaugurale, moderato da Cristina Giuliano, giornalista di Askanews, è stato l’occasione per discutere di diritti umani insieme alle diverse sedi internazionali di Memorial e con Vladimir Milov, consigliere per la politica estera ed economia di Alexei Navalny.

    La mostra esplora la dimensione europea di Sacharov, il cui destino personificò la coscienza illuminata del mondo e trasmise il senso di un impegno politico che sarebbe rimasto attuale fino ad oggi. La prima parte della mostra è dedicata alla figura di Andrej Sacharov, protagonista indiscusso della nostra storia: la sua attività scientifica, il dissenso, la lotta per i diritti umani, l’esilio, il premio Nobel, l’impegno politico per la democratizzazione del sistema sovietico. La seconda parte è dedicata alle personalità che sono state insignite del “Premio Sacharov per la libertà di pensiero”.

    Istituito dal Parlamento europeo nel 1988 è un riconoscimento dedicato ad Andrej Sacharov allo scopo di premiare personalità od organizzazioni che abbiano dedicato la loro vita alla difesa dei diritti umani e delle libertà di pensiero. Presentando diverse personalità e organizzazioni insignite da questo premio la mostra si rivolge ad un ampio pubblico con lo scopo di far conoscere meglio questo grande protagonista del Novecento, la sua storia e la sua opera e sensibilizzare gli spettatori alla causa dei diritti umani.

    Il Premio Sacharov per l’edizione 2021 è stato assegnato al dissidente politico russo Alexei Navalny. Attivista dell’opposizione russa e prigioniero politico, Navalny ha condotto una campagna contro la corruzione del regime di Putin e ha, attraverso i suoi account social e le campagne politiche, contribuito a denunciare gli abusi interni al sistema riuscendo a mobilitare milioni di persone in Russia in sostegno della sua protesta.

  • Uso scandaloso di dati personali

    Mentire fa parte del mestiere del politico.
    Perciò, nel senso morale della parola, un politico non può mentire.

    Richard Nixon

    Era l’estate del 1972. Negli Stati Uniti d’America era in pieno svolgimento la campagna elettorale per le elezioni presidenziali del 7 novembre. Di fronte al candidato repubblicano, il presidente uscente Richard Nixon, c’era il candidato democratico George McGovern. Ma proprio in quell’estate negli Stati Uniti d’America scoppiò quello che diventò uno dei più grandi scandali politici: lo scandalo Watergate. Si chiamò così perché tutto cominciò nell’albergo Watergate di Washington D.C.. In quell’albergo si trovavano gli uffici del Comitato nazionale democratico per il candidato MvGovern. Tutto si scoprì per puro caso, proprio quando una guardia della sicurezza dell’albergo notò qualcosa di sospetto in una porta che collegava il parcheggio sotterraneo con il pozzo delle scale e avvertì la polizia. Gli agenti, arrivati subito, trovarono cinque uomini entrati negli ambienti del quartier generale del Comitato nazionale democratico. Dalle indagini in seguito risultò che quelle persone erano ritornate in quelle stanze per riparare delle microspie, da loro installate, per fare delle intercettazioni telefoniche. Lo scandalo è stato seguito giornalisticamente da due giornalisti del Washington Post. Grazie al loro lavoro e alla collaborazione, di uno di  loro, con una persona allora denominata “Gola profonda – deep throat” – e rimasta sconosciuta fino al 2005, si scoprirono molti dettagli dello scandalo Watergate. Nonostante alcuni dei più stretti collaboratori del presidente uscente Nixon sapessero tutto, a scandalo scoppiato tentarono di sdrammatizzare il caso. Durante una conferenza stampa, il 19 giugno 1972, il portavoce della Casa Bianca dichiarò che si trattava semplicemente di “un tentativo di scasso di terza categoria” e che non aveva niente a che fare con il presidente e i suoi collaboratori. Ma quanto si scoprì in seguito, grazie anche ai due giornalisti del Washington Post, che nel 1973 sono stati insigniti del premio Pulitzer proprio per le loro incessanti indagini sullo scandalo Watergate, portò ad una approfondita inchiesta da parte di una commissione del Senato e di altre istituzioni specializzate statunitensi. Da quelle indagini risultò che si trattava proprio di un piano ben ideato e attuato, tramite delle intercettazioni, di spionaggio ed altro, dai collaboratori del presidente Nixon per facilitare la sua rielezione il 7 novembre 1972. Elezioni vinte proprio da lui con il 60.7% dei voti. Ma il presidente rieletto non riuscì a finire il suo secondo mandato, nonostante avesse cercato di incolpare gli altri di quello scandalo. In seguito alle dichiarazioni di alcuni collaboratori del presidente, che avevano “vuotato il sacco” davanti ai giudici, il 27 luglio 1974 la Commissione Giudicante per la Camera dei Rappresentanti ha votato a favore del impeachment per il presidente (messa in stato di accusa; n.d.a.) per “aver ostacolato il corso delle indagini”. Nei giorni successivi sono state aggiunte due altre accuse contro il presidente: quella di “abuso di potere” e quella di “ostacolo al Congresso”. Era proprio la pubblicazione, ai primi giorni di agosto 1974, di una registrazione segreta, nota da allora come la “Pistola fumante – Smoking gun”, che tolse ogni dubbio; il presidente era stato informato ed aveva permesso tutte le attività illecite, ormai note come lo scandalo Watergate. Di fronte a quegli imbarazzanti e accusatori sviluppi, Nixon diede le sue dimissioni come presidente degli Stati Uniti d’America l’8 agosto 1974.

    Era la primavera del 2021. In Albania era in pieno svolgimento la campagna elettorale per le elezioni politiche del 25 aprile 2021. L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore di tutti i clamorosi abusi fatti, del diretto e determinante coinvolgimento della criminalità organizzata per condizionare e controllare il voto, dell’uso illegale delle risorse umane, coinvolgendo e spesso obbligando i dipendenti dell’amministrazione pubblica e i loro familiari a votare per il partito del primo ministro e di tanto altro (Scenari orwelliani in attesa del 25 aprile, 19 aprile 2021; Il regime che si sta riconfermando dopo il 25 aprile, 27 aprile 2021; Dopo il 25 aprile chi si giustifica si autoaccusa, 3 maggio 2021).

    Era l’11 aprile 2021 quando un media albanese pubblicò la notizia di un grande scandalo che coinvolgeva direttamente il partito del primo ministro ed alcune istituzioni governative. Si trattava di un sistema ben organizzato di 9027 persone, tutte con nomi e cognomi evidenziati e facilmente verificabili, chiamate anche  “patrocinatori”, intendendo come tali delle persone che dovevano “stare vicine” ad altre persone, molte più persone, non tanto per proteggerle, quanto per sapere tutto di loro, promettendo “vantaggi’ se avessero votato per il primo ministro, oppure minacciando loro se il voto a favore non fosse stato dimostrato e verificato. “Patrocinatori” si chiamavano anche i collaboratori del famigerato servizio segreto durante gli anni bui della dittatura comunista. E per contattare tutte quelle persone i “patrocinatori” hanno avuto a disposizione tutti i dati personali, dei dati confidenziali e protetti dalla legge in vigore in Albania. Dai dati ormai di dominio pubblico da quell’11 aprile 2021 risulta che sono state 910.061 le persone ad essere contattate e/o sulle quali i “patrocinatori” dovevano raccogliere ed elaborare tutte le necessarie informazioni. Dati alla mano ormai, la persona più giovane dell’elenco aveva circa 18 anni, mentre quella più anziana circa 99 anni! Ma quello che rende lo scandalo ancora più clamoroso e preoccupante è che la maggior parte dei “patrocinatori” erano dei dipendenti dell’amministrazione pubblica, sia centrale che locale. Ed erano anche dei dipendenti delle istituzioni, per i quali la legge impedisce categoricamente il diretto coinvolgimento in simili attività politiche, come tutti i dipendenti della polizia di Stato, delle strutture dell’esercito e della Guardia repubblicana. Ma in Albania le leggi, quando serve al potere politico, soprattutto quello del primo ministro, valgono quanto una carta straccia. Per il primo ministro, i suoi stretti collaboratori e la propaganda governativa i “patrocinatori” erano soltanto dei “membri del partito che fanno un valoroso lavoro” (Sic!).

    Guarda caso però, dopo essere stato reso pubblico lo scandalo dei “patrocinatori”, le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia hanno “sbagliato obiettivo”. Invece di indagare come e perché sono stati messi a disposizione per scopi elettorali e come e perché sono stati usati tutti quei dati sensibili e personali, protetti dalle leggi e dalle convenzioni internazionali, riconosciute anche dall’Albania, quelle istituzioni hanno subito cominciato le indagini contro i due giornalisti e fondatori del media che ha reso pubblico lo scandalo. I procuratori della Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata, una delle nuove istituzioni del “riformato” sistema della giustizia in Albania, che si sono occupati del caso, hanno chiesto ed ottenuto il permesso dal tribunale ed hanno subito sequestrato anche tutti i sistemi computeristici e i dati del media incriminato, nonché i telefonini personali dei due giornalisti. Una palese ed inconfutabile dimostrazione e testimonianza del totale controllo del sistema da parte del primo ministro e/o da chi per lui. Subito dopo i due giornalisti si sono rivolti alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Con una sua immediata delibera del 22 aprile 2021, quella Corte ha considerato la decisione presa dal tribunale albanese non valida ed ha deciso che “Le autorità (del Sistema di giustizia albanese; n.d.a.) devono impedire l’attuazione della delibera […] per il sequestro della strumentazione che serve per la conservazione dei dati e delle informazioni, dei computer o altre strumentazioni elettroniche appartenenti al ricorrente (il media danneggiato; n.d.a.)”. L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore di questo scandalo subito dopo essere stato reso pubblico (Scenari orwelliani in attesa del 25 aprile; 19 aprile 2021).

    Ma quella era solo una parte di uno scandalo ben più grande e clamoroso. Scandalo che diventò pubblico il 21 dicembre scorso. E si trattava sempre dell’uso abusivo, illegale e scandaloso dei dati personali dei cittadini albanesi, con tutte le preoccupanti e pericolose conseguenze derivanti. Si trattava di dati che riguardavano i codici delle carte d’identità, i nomi e cognomi di circa 630.000 cittadini, albanesi e non, il posto di lavoro, il loro compito lavorativo e i rispettivi stipendi, sia nell’amministrazione pubblica e statale, che nel settore privato. Alcuni giorni dopo sono state rese pubbliche anche le targhe delle macchine e chi le possiede. Da quei dati, sempre protetti dalla legge in vigore in Albania, che sono in possesso soltanto delle poche e ben evidenziate istituzioni governative, sono emerse altre inconfutabili testimonianze dell’abuso di potere conferito per uso elettorale. Sono state evidenziate delle “assunzioni elettorali” tra il gennaio e l’aprile 2021, proprio prima e durante la campagna elettorale per le elezioni politiche del 25 aprile 2021, con le quali il primo ministro ha “vinto” il suo ambito terzo mandato. Ma, allo stesso tempo, sono stati evidenziati, palesemente documentati e testimoniati anche dei casi eclatanti di “stipendi d’oro” e di “doppi ed ingenti stipendi” non giustificati e non giustificabili, sia nel settore pubblico che quello privato. Stipendi esorbitanti per molti analisti ed opinionisti che da anni hanno venduto l’anima e si sono messi a disposizione della propaganda governativa. E tutto ciò in uno dei Paesi più poveri dell’Europa. Anche di fronte a questo nuovo scandalo il primo ministro e i suoi più stretti collaboratori, nonché i media da lui controllati, hanno cercato di spostare l’attenzione pubblica su degli aspetti minori ed insignificanti dello scandalo stesso. Ed in qualche modo ci sono riusciti. Anche perché gli scandali si susseguono in Albania. Mentre il sistema “riformato” della giustizia, guarda caso, non riesce mai a trovare i veri colpevoli. Nel frattempo però, proprio mentre il 21 dicembre scorso era stato reso pubblico “lo scandalo degli stipendi”, scandalo che ha attirato anche l’attenzione mediatica internazionale, l’ambasciatrice statunitense continuava e continua ad elogiare i “successi” del Sistema di giustizia in Albania. Quello “riformato”, anche e soprattutto con centinaia di milioni di dollari dei contribuenti statunitensi, mai giustificati. Chissà perché?! Ma anche con altre centinaia di milioni di euro dei contribuenti dei Paesi dell’Unione europea, come ha evidenziato la settimana scorsa il rapporto annuale della Corte dei Conti europea. Bisogna però sottolineare che tra lo scandalo Watergate e i due sopracitati casi dell’uso scandaloso, preoccupante e pericoloso dei dati personali in Albania, c’è un elemento in comune: quello di fare di tutto per mantenere il potere. E quando poi lo scandalo diventa pubblico si cerca di insabbiare la verità e di minimizzare e sdrammatizzare tutto.

    Chi scrive queste righe, riferendosi all’uso scandaloso dei dati personali in Albania, ma non solo, è convinto che il sistema “riformato” della giustizia è tutt’altro che indipendente. Ragion per cui ha indagato i due giornalisti, che hanno pubblicato lo scandalo, invece dei veri responsabili. Chi scrive queste righe si chiede cosa sarebbe successo negli Stati Uniti d’America se invece di indagare i collaboratori del presidente Nixon per lo scandalo Watergate le istituzioni specializzate avessero indagato i due giornalisti del Washington Post come colpevoli? Ma negli Stati Uniti, dove funziona il sistema della giustizia, sono state condannate tutte le persone coinvolte e il presidente si è dimesso. Mentre i due giornalisti sono stati insigniti del premio Pulitzer. Invece in Albania il primo ministro, godendo il suo terzo mandato, si vanta addirittura del contributo dei “valorosi patrocinatori” e cerca di minimizzare, mentendo, tutto il resto. Aveva ragione perciò il presidente Nixon, secondo il quale “Mentire fa parte del mestiere del politico. Perciò, nel senso morale della parola, un politico non può mentire”. Ne è testimonianza il primo ministro albanese.

  • Clamoroso scandalo edilizio e preoccupanti connivenze pericolose

    Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali,

    ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!

    Vangelo secondo Matteo; 18/7

    Così rispose Gesù ai suoi discepoli che volevano sapere da lui “Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?”. Prima di rispondere Gesù prese accanto a se un bambino e disse ai discepoli: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli […]. Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me”. E poi continuò, dicendo loro che “Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino e fosse gettato negli abissi del mare”. Era talmente convinto Gesù della pericolosità e delle gravose conseguenze dello scandalo, di qualsiasi scandalo, che disse perentorio ai suoi discepoli: “Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo, taglialo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita monco o zoppo che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno”. E per rendere ancora più chiaro e comprensibile il significato dello scandalo, Gesù aggiunse: “E se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita con un occhio solo, che avere due occhi ed essere gettato nella Geenna del fuoco”. Sì, proprio nella Geenna, riconosciuta dagli ebrei come la valle dell’Hinnom. Geenna era un luogo macabre, ai piedi del monte Sion vicino a Gerusalemme, dove si svolgevano dei riti lugubri di sacrificio, voluti e stabiliti da dio Moloch. Riti nei quagli si usavano i bambini, che prima venivano sgozzati e poi bruciati, offerti in olocausto proprio a Moloch. Quello ci racconta e ci insegna l’evangelista Matteo nel capitolo 18/1-9 del suo Vangelo. L’etimologia stessa della parola scandalo, parola che deriva dalla lingua greca antica (skàndalon – ostacolo, inciampo), significa, secondo i dizionari, “il turbamento della coscienza collettiva provocato da una vicenda, da un atteggiamento o da un discorso che offende i principi morali correnti”. Lo scandalo rappresenta un fatto, una vicenda, una situazione “in cui emergono immoralità, corruzione e che coinvolge personaggi importanti”. Purtroppo gli scandali sono stati presenti nella vita quotidiana delle civiltà umane, dall’antichità ai giorni nostri. In tutto il mondo e con tutte le gravose, dannose, sofferte e pericolose conseguenze.

    La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato sullo svolgimento di una massiccia protesta a Tirana, convocata dal Movimento per la ricostituzione del partito democratico, costituito il 12 dicembre 1990 in Albania, come il primo partito d’opposizione. Attualmente è un partito di opposizione dal 2013 e che purtroppo, dal 2013, è stato usurpato da colui che, fatti accaduti e che si stanno rivelando anche durante la settimana appena passata alla mano, lo ha usato come una rimunerativa impresa familiare per se stesso e per pochissimi suoi fedeli. Questo dimostrano e testimoniano tutti i dati ed i fatti resi pubblici e mai contestati dai diretti interessati, se non che con delle misere dichiarazioni “politiche” che sfuggono alle accuse, si contraddicono e fanno ridere anche i polli. Il nostro lettore è stato informato, a tempo debito, di tutti questi fatti ormai appurati, nonché di tutti gli altri sviluppi legati al Movimento per la ricostituzione del partito democratico albanese (Il doppio gioco di due usurpatori di potere, 14 giugno 2021; Usurpatori che consolidano i propri poteri, 19 Luglio 2021; Meglio perderli che trovarli, 13 settembre 2021; Agli imbroglioni quello che si meritano, 1 novembre 2021; Un misero e solitario perdente ed un crescente movimento in corso, 22 novembre 2021; Il vizio esce con l’ultimo respiro, 13 dicembre 2021; Importanti decisioni, vergognose manipolazioni e una protesta, 20 dicembre 2021; Una protesta pacifica che ha fatto cadere delle maschere, 10 gennaio 2022).

    Ebbene, la protesta svoltasi sabato 8 gennaio di fronte alla sede del partito democratico albanese aveva come obiettivo quello di far rendere libera l’entrata in quell’edificio per tutti i legittimi e legalmente iscritti membri del partito. Iscritti che, sempre in base ad ormai disponibili dati ufficiali, verificati e verificabili da tutti alla mano, rappresentano la grandissima maggioranza della base del partito. Iscritti ai quali, però, l’usurpatore del partito, in una evidente crisi esistenziale ed in grandissima difficoltà a nascondere la realtà, aveva vietato l’ingresso nella sede. E per riuscire, in preda ai suoi incubi, aveva ordinato di blindare tutti gli ingressi della sede. Si, di blindare tutto con una serie di porte di ferro, messe una dietro l’altra. Ma bugiardo e ingannatore viscerale qual è, l’usurpatore del partito e/o alcuni suoi pochissimi fedeli che fanno da “portavoce” dichiaravano che “l’ingresso era stato vietato agli iscritti semplicemente perché erano in corso dei lavori di pittura e di ordinaria manutenzione”. Misere bugie e vergognosi inganni che sono stati smentiti durante una diretta televisiva, la sera del 6 gennaio scorso, da un coraggioso giornalista il quale, insieme con un operatore televisivo, è riuscito ad entrare dentro l’edificio dalla finestra del bagno a piano terra, lasciata aperta. Ebbene una volta all’interno si è potuto vedere, soltanto in quella parte dell’edificio, una porta blindata per terra! Da quel momento tutto diventò chiaro ed incontestabile. E da allora l’usurpatore e i suoi pochissimi fedeli non parlavano più di “lavori di pittura e di ordinaria manutenzione”. Ma nel frattempo, però, l’usurpatore della dirigenza del partito aveva assoldato alcune decine di criminali, di mercenari pericolosi che si erano sistemati nella sede del partito democratico. E guarda caso, la polizia di Stato, nonostante fosse stata avvisata con una denuncia di quelle presenze all’interno della sede del partito, non ha fatto nessun controllo, come se niente fosse! Chissà perché?! Si sapeva però, e ormai è stato appurato, grazie anche a quanto è accaduto durante la protesta dell’8 gennaio scorso, che l’usurpatore della dirigenza del partito democratico ha avuto sempre il pieno appoggio ed il sostegno del suo “protettore”, il primo ministro albanese, che ha messo a sua disposizione, durante la protesta, le truppe scelte della polizia di Stato. Ormai sono disponibili molte registrazioni video e/o audio, fatte durante quella protesta nella sede del partito democratico, che dimostrano e testimoniano in modo inconfutabile chi ha esercitato violenza contro chi. Così come dimostrano e testimoniano l’uso sproporzionato e legalmente vietato dei gas nocivi, molto pericolosi per la salute, da parte delle truppe scelte della polizia di Stato. Truppe che invece di entrare dentro l’edificio blindato hanno caricato e maltrattato i manifestanti pacifici, gli iscritti del partito, come se fossero dei pericolosi criminali. Ed erano proprio dentro l’edificio blindato, come ormai testimoniano palesemente le tante registrazioni video e/o audio, i veri criminali, i mercenari assoldati dall’usurpatore della dirigenza del partito. Proprio quelli che subito dopo l’inizio della protesta massiccia e pacifica hanno cominciato ad aggredire i manifestanti, lanciando dalle finestre del secondo piano una grande quantità di vetri rotti delle finestre, delle sedie, nonchè hanno fatto uso, vietato dalla legge, dei gas nocivi, gli stessi usati dalla polizia di Stato (sic!). Ma le truppe scelte della polizia di Stato, lasciando liberi di agire i criminali dentro la sede del partito, continuavano ad aggredire barbaramente spietati con gas nocivi ed acqua i manifestanti pacifici, prendendo ordini dai loro superiori. Anche questo è stato ormai registrato e reso pubblico. Di tutto ciò l’autore di queste righe ha informato il nostro lettore la scorsa settimana (Una protesta pacifica che ha fatto cadere delle maschere, 10 gennaio 2022).

    Sono stati miseri, inutili, incredibili e ridicoli i commenti fatti dai media controllati dal primo ministro e/o da chi per lui, nonché dagli analisti ed opinionisti pagati profumatamente come parte integrante della potente propaganda governativa. Hanno cercato, soprattutto nelle prime ore dopo la dispersione della protesta, di far credere che i manifestanti violenti avessero cercato di distruggere tutto e di mettere in serio pericolo la vita dell’usurpatore e dei suoi pochissimi fedeli che erano dentro la sede. Ma guarda caso, non hanno mai parlato e/o fatto riferimento a quelle decine di criminali che stavano dentro la sede, insieme all’usurpatore. Criminali che sono stati filmati da diverse riprese televisive e/o ripresi dai telefonini mentre aggredivano spietatamente con mezzi diversi i manifestanti pacifici. Manifestanti che volevano semplicemente entrare nella loro casa comune, ma che, invece, avevano trovato le porte di casa chiuse, con le serrature cambiate e blindate da dentro. Chissà perché?! Purtroppo però che queste misere e ridicole informazioni diffuse dalla propaganda governativa, prive di qualsiasi veridicità, sono state riprese e trasmesse da alcuni media internazionali, senza nessuna verifica preventiva, professionalmente richiesta e dovuta.

    Durante tutta la scorsa settimana sono state pubblicate ulteriori testimonianze che dimostrerebbero l’appoggio ed il sostegno del primo ministro all’usurpatore della dirigenza del partito democratico albanese. Da anni ormai si sta parlando, discutendo e si sta diffondendo sempre più la convinzione che tra loro due si sia un accordo occulto. Un accordo stabilito, almeno per il pubblico, il 18 maggio 2017. Anche di questo il nostro lettore è stato spesso informato. Ma durante la scorsa settimana è stata diffusa la notizia di un nuovo e clamoroso scandalo edilizio. Si tratterebbe di un progetto che lo sta elaborando uno studio architettonico straniero. Un progetto che, se finalizzato, permetterà la costruzione di tre grattacieli in pieno centro della capitale. Ma è proprio un piccolo “dettaglio” che rende questo progetto particolare. Ed il piccolo “dettaglio” è che quei tre grattacieli saranno costruiti proprio lì dove attualmente si trova la sede del partito democratico albanese. Proprio lì! Le cattive lingue per tutta la scorsa settimana hanno parlato di interessi comuni tra il primo ministro e l’usurpatore della dirigenza del partito democratico. Interessi che, inevitabilmente, sono legati anche alla criminalità organizzata locale ed internazionale che da anni in Albania, soprattutto nel campo dell’edilizia, sta riciclando i miliardi provenienti da attività illecite, dai traffici di droga, dalla corruzione e da tanto altro. Ma non sono soltanto le cattive lingue. Durante questa settimana appena passata si stanno accumulando dati e documenti facilmente verificabili, che testimoniano questa connivenza pericolosa tra il potere politico e la criminalità organizzata. Usurpatore del partito democratico compreso che, personalmente e con alcuni suoi “portavoce”, compresi quelli molto vicini al governo, all’inizio della settimana e appena la notizia era stata diffusa, hanno cercato di smentire tutto. Ma in seguito, fallendo clamorosamente in quella impossibile impresa, hanno vigliaccamente “scelto” di tacere. E così facendo si autoaccusano. Come hanno fatto anche di fronte ad altri fatti legati ad altrettanto clamorosi scandali di appalti “governativi” milionari che vedono coinvolto direttamente l’usurpatore e/o i suoi diretti e più stretti familiari. Ma si sa, e lo confermano anche i dizionari, che lo scandalo rappresenta un fatto, una vicenda, una situazione “in cui emergono immoralità, corruzione e che coinvolge personaggi importanti”.

    Chi scrive queste righe seguirà ed informerà in nostro lettore di questo nuovo scandalo. Egli però è convinto della pericolosità di questa “alleanza” occulta tra il primo ministro e l’usurpatore della dirigenza del partito democratico albanese. Perché una simile “alleanza”, se non affrontata con la dovuta responsabilità civile e patriottica, potrebbe diventare una pietra tombale per la sofferente e traballante democrazia albanese. Non bisogna mai dimenticare che, come diceva Gesù, guai al mondo per gli scandali! Guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo! Perché tutti loro saranno poi gettati nella Geenna del fuoco.

  • Importanti decisioni, vergognose manipolazioni e una protesta

    Spesso le aspettative falliscono, e più spesso dove più sono promettenti;

    e spesso soddisfano dove la speranza è più fredda e la disperazione più consona.

    William Shakespeare

    Come era già stato annunciato la scorsa settimana, lunedì 20 dicembre, alle ore 16.00, moltissimi sostenitori del partito democratico albanese erano radunati di fronte alla sede del partito. Erano veramente in tanti e tutti ben motivati. Si trattava dei sostenitori del nuovo Movimento per la ricostituzione del partito democratico. Bisogna anche sottolineare che si tratta del primo partito oppositore della dittatura comunista, costituito trentuno anni fa, il 12 dicembre 1990. Si tratta proprio di quel partito che, nonostante il periodo buio nel quale vivevano terrorizzati gli albanesi, ha organizzato e ha guidato tutte le massicce proteste che hanno portato, in seguito, alla caduta della dittatura comunista. Una delle più sanguinose e spietate dittature dell’Europa. Ma che, purtroppo, quel partito democratico, il maggiore partito dell’opposizione dal 2013, durante questi ultimi anni, mentre in Albania si stava restaurando una nuova e camuffata dittatura sui generis, ha continuamente mancato e deluso nel compimento dei suoi obblighi politici ed istituzionali. Ma ha anche offeso la fiducia dei suoi iscritti e sostenitori, nonché di molti cittadini albanesi, che vedevano nell’opposizione politica la sola speranza per arginare, fare fronte e combattere la pericolosa alleanza del potere politico, rappresentato dal primo ministro, con la sempre più attiva criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti locali ed internazionali, soprattutto da oltreoceano e con obiettivi concreti in Albania e nei Balcani. Il nostro lettore, durante queste ultime settimane, sempre dati e fatti accaduti alla mano, è stato informato degli sviluppi in corso in Albania che riguardano il partito democratico albanese. La ragione è stata proprio la nascita del nuovo Movimento per la ricostituzione del partito democratico albanese (Il doppio gioco di due usurpatori di potere, 14 giugno 2021; Usurpatori che consolidano i propri poteri, 19 Luglio 2021; Meglio perderli che trovarli, 13 settembre 2021; Agli imbroglioni quello che si meritano, 1 novembre 2021; Un misero e solitario perdente ed un crescente movimento in corso, 22 novembre 2021; Il vizio esce con l’ultimo respiro, 13 dicembre 2021). Un Movimento capeggiato dal capo storico del partito, allo stesso tempo presidente della Repubblica (1992-1997) e primo ministro (2005-2013), che sta diventando sempre più ampio, attirando tutta l’attenzione pubblica. Un Movimento che ha scombussolato, da alcuni mesi, anche la “quiete” politica in Albania.

    I rappresentanti del Movimento, compreso il capo storico del partito, dalla scorsa settimana avevano annunciato ed invitato non solo i sostenitori del partito democratico e dell’opposizione, ma anche i cittadini a protestare, lunedì 20 dicembre, davanti alla sede del Consiglio dei ministri. Si tratta della prima protesta chiamata da un partito politico, dopo circa venti mesi. I motivi erano due. Il primo riguardava un accordo, che va contro gli interessi dell’Albania ed altri Paesi balcanici, anzi, che favoreggia senza ombra di dubbio e dati economici alla mano, gli interessi economici e regionali della Serbia. Un accordo convenuto e sottoscritto dal presidente della Serbia, dal primo ministro della Macedonia del Nord e dal primo ministro dell’Albania. Un accordo che nell’arco di due anni ha cambiato nome, dal “Mini-Schengen balcanico” all’accordo dei “Balcani Aperti” (Open Balcan). Il nostro lettore è stato informato, a tempo debito, di questi sviluppi regionali, nell’ambito dell’accordo Open Balcan, fortemente voluto e sostenuto, già dal 1999, soprattutto dal suo vero ideatore; un multimiliardario speculatore di borsa statunitense. Ma l’accordo Open Balcan, sempre fatti, dati e obiettivi geopolitici ed economici ormai noti e dichiarati alla mano, è anche un accordo che permette, sia alla Russia, che alla Cina di essere attivamente presenti nella regione balcanica (Accordo ingannevole e pericoloso, 13 gennaio 2020; Bugie scandalose elevate a livello statale; 24 febbraio 2020; Preoccupanti avvisaglie dai Balcani, 8 novembre 2021 ecc…). E proprio nell’ambito dell’accordo Open Balcan, lunedì 20 dicembre si è organizzata e svolta in Albania l’ennesima riunione tra il presidente della Serbia, il primo ministro della Macedonia del Nord ed il primo ministro dell’Albania. Proprio per denunciare e contestare quell’accordo è stata convocata e svolta anche la prima protesta chiamata da un partito politico dopo quasi venti mesi.

    Il secondo motivo della protesta riguardava gli accordi concessionari e palesemente corruttivi del governo albanese, mentre le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia “stanno a guardare”. Avendo però i massimi riconoscimenti ed elogi da parte dei soliti “rappresentanti internazionali” in Albania. Chissà perché?! Si sa però che i rappresentanti del sempre più vasto Movimento per la ricostituzione del partito democratico albanese, hanno pubblicamente dichiarato, dallo scorso settembre e durante queste ultime settimane, che non permetteranno mai che accordi simili siano attuati e che combatteranno la corruzione e l’abuso del potere, nonché si impegneranno perché il sistema della giustizia diventi finalmente un giusto, imparziale ed indipendente sistema. Cosa che non ha fatto, volutamente e/o perché costretto, colui che, fino alla settimana scorsa, aveva usurpato la dirigenza del partito democratico albanese.

    Durante la settimana appena passata sono state prese importanti decisioni in Albania. Ma durante la settimana appena passata si sono fatte anche delle misere, vergognose e disperate manipolazioni. Tutta l’attenzione pubblica era, però, focalizzata su quanto si attendeva accadesse sabato scorso, 18 dicembre. Per quel giorno erano stati annunciati due avvenimenti politici importanti. Il primo riguardava il referendum per confermare, da parte di tutti gli iscritti del partito democratico albanese, l’espulsione dell’usurpatore del partito democratico albanese. Un’espulsione decisa l’11 dicembre scorso, durante il congresso straordinario del partito, convocato, per la prima volta in assoluto, con la richiesta di più di un quarto dei delegati del congresso (Il vizio esce con l’ultimo respiro, 13 dicembre 2021). Mentre il secondo avvenimento politico riguardava un congresso, convocato dall’usurpatore, sempre il 18 dicembre, come una sfida a quello svolto una settimana fa.

    Ebbene, sabato scorso, tutti gli iscritti del partito democratico sono stati invitati a confermare o a rifiutare l’espulsione di colui che dirigeva il partito fino ad una settimana fa. Una decisione presa, quella del referendum, non perché quanto hanno deciso l’11 dicembre 4446 delegati dei 4935 presenti al congresso avesse bisogno di un’ulteriore conferma. Lo prevede anche lo Statuto del partito. Ma l’11 dicembre il congresso straordinario del partito democratico, convocato da molto più di un quarto dei delegati, ha deciso di confermare quella decisione per togliere ogni dubbio, rendendo l’ultima parola agli iscritti, alla base del partito. Ebbene, sabato scorso, sul tutto il territorio, con il loro voto, gli aventi diritto hanno confermato la decisione presa dal congresso straordinario dell’11 dicembre 2021. E cioè l’espulsione dell’usurpatore della dirigenza del partito democratico albanese. Perciò, da domenica scorsa, quando la commissione del referendum ha comunicato ufficialmente il risultato finale, il partito verrà diretto da una Commissione transitoria per la ricostituzione del partito democratico albanese fino al 22 marzo 2022, quando si svolgerà il congresso ricostitutivo del partito e saranno eletti anche i suoi nuovi dirigenti. Una decisione quella presa durante il sopracitato congresso dell’11 dicembre scorso.

    Ma sabato scorso l’ormai espulso usurpatore del partito democratico albanese con pochissimi suoi “fedeli” avevano convocato un altro congresso. Che, infatti, più che un vero congresso era una specie di “anticongresso”, per “annebbiare” quanto era stato deciso una settimana fa. Ma anche per “sfumare” quanto si attendeva essere confermato dal referendum che si stava svolgendo lo stesso giorno, il 18 dicembre. Un compito veramente difficile, ma che in realtà era impossibile. Sì, perché la maggior parte dei delegati del congresso, ufficialmente noti come tali, avevano ormai espresso la loro convinzione e decisione una settimana fa. Ragion per cui loro non potevano essere presenti nel congresso del 18 dicembre. Questo semplice ma testardo fatto lo sapevano benissimo anche l’ormai ex dirigente del partito democratico e quei pochissimi suoi “fedeli”. Ma per portare il loro “progetto” fino in fondo, avevano preso le loro misure. Misure misere e vergognose, che in realtà, fotografie, riprese video e denunce fatte alla mano, sono state smascherate subito e senza ombra di dubbio. Sono suonate ridicole ed inverosimili le dichiarazioni della persona incaricata per la gestione della votazione quando ha dichiarato la partecipazione al congresso di 5004 delegati! Una misera bugia quella sua, perché la sala dove si svolgeva il congresso non poteva contenere quel giorno più di 1958 persone sedute. Ha contato le sedie in diretta un giornalista, a congresso finito. Ma lo confermava facilmente anche una ricerca su internet. E guarda caso, subito dopo essere stata resa nota quella misera bugia, i gestori dell’apposito sito hanno “corretto” la capienza della sala, da 2100 che era, a 5600. Ma avevano dimenticato di “correggere” anche il numero dei posti seduti in sala, lasciando quello reale, e cioè 2100! E si sa, i gestori del sito internet sono dipendenti dell’amministrazione governativa. Mentre l’ex dirigente/usurpatore del partito democratico è stato per tutti questi anni, fatti realmente accaduti, documentati e pubblicamente noti alla mano, una “stampella” del primo ministro. Con tutte le derivanti e drammatiche conseguenze. Ma non bastava solo quella misera bugia. Perché è risultato e documentato che in sala sono stati portati anche dei minori, degli alluni delle scuole medie superiori, studenti di un’università privata, proprietà di un deputato del gruppo parlamentare del primo ministro e di altre persone, che non solo non erano delegati del congresso, ma che non avevano niente a che fare con il partito democratico. Sono stati portati semplicemente per riempire la sala. In più e se per un momento si possa anche presumere che tutti i presenti al congresso del 18 dicembre scorso erano dei delegati, il congresso non poteva prendere nessuna decisione, non essendo raggiunto il quorum necessario. Un’impresa fallita vergognosamente quella degli organizzatori del “anticongresso” di sabato scorso. Ma anche un’ulteriore occasione per gli albanesi di rendersi conto e di conoscere colui che, per otto lunghi anni, aveva usurpato la direzione del partito democratico albanese.

    Chi scrive queste righe, cercando, come sempre, di informare oggettivamente il nostro lettore su quello che accade in Albania, nella regione balcanica e altrove, ha rapportato anche questi ultimi sviluppi. Egli però è convinto che la persona che si trova realmente in grande difficoltà non è solo l’ex dirigente del partito democratico, ormai ufficialmente espulso, ma anche è soprattutto il primo ministro. La protesta svolta lunedì pomeriggio davanti ai suoi uffici ne era un chiaro e significativo messaggio. Mentre sono sempre molto attuali le parole scritte da William Shakespeare. E cioè che “Spesso le aspettative falliscono, e più spesso dove più sono promettenti; e spesso soddisfano dove la speranza è più fredda e la disperazione più consona”. Sia per il primo ministro albanese, la sua “stampella” ed altri loro “compari” e sostenitori, sia per i tantissimi onesti e sofferenti cittadini albanesi, che non hanno niente in comune con loro.

  • Schiaffo dell’Alta Corte di Budapest a Orban: in Ungheria prevale il diritto Ue

    Questa volta lo schiaffo a Viktor Orban arriva proprio dai giudici ungheresi: la Corte costituzionale di Budapest ha respinto un ricorso del premier di Fidesz contro il primato del diritto europeo. Orban si era infatti rivolto agli alti togati ungheresi, un anno fa, nel dicembre 2020, per mettere in discussione una sentenza della Corte di giustizia europea, secondo la quale l’Ungheria aveva violato la legge Ue, permettendo di respingere fisicamente e far arrestare i richiedenti asilo al confine con la Serbia.

    “Il caso non può essere oggetto di un riesame del giudizio della Corte di Giustizia europea”, secondo la pronuncia di oggi, né può portare ad un “esame del primato della legge Ue”, ha deciso la Corte costituzionale di Budapest. Una decisione arrivata a sorpresa: il premier infatti, proprio qualche ora prima, alla radio pubblica, aveva affermato di attendere una sentenza a suo favore. Del resto i 15 giudici della Corte sono tutti nominati dalla maggioranza governativa del parlamento ungherese, ma questo stavolta non ha aiutato il premier.

    L’esecutivo di Fidesz ha interpretato comunque la pronuncia a suo favore; con la ministra della giustizia Judit Varga che su Twitter ha rimarcato come la sentenza rafforzi le posizioni di Budapest, “costruendo una forte barriera legale oltre alla chiusura fisica delle nostre frontiere”.

    Sulla decisione ha espresso soddisfazione, sia pur con cautela, il commissario europeo alla Giustizia, Didier Raynders, che ha commentato a margine del consiglio europeo Giustizia: “Sono piuttosto soddisfatto che la Corte costituzionale ungherese sembra accordarsi al nostro parere, dico sembra perché ancora non ho letto il testo”. “La Corte costituzionale non ha voluto opporsi ad una sentenza della Corte di giustizia europea – ha aggiunto – e questo riguardava la questione della primazia del diritto europeo. L’obiettivo è fare in modo che il governo ungherese attui la decisione della Corte di giustizia europea”. Reynders ha poi ricordato come “sin dall’inizio” di questa vicenda avesse “segnalato che non eravamo assolutamente soddisfatti della posizione assunta dal governo” di Budapest, cioè di “adire alla Corte costituzionale per andare contro una decisione della Corte di giustizia” europea.

    Orban si era mosso motivato anche dalla pronuncia dell’Alta Corte polacca, che si era espressa andando nella direzione opposta, affermando il primato del diritto polacco su quello europeo.

    La sentenza di oggi ha fatto esultare Amnesty International Ungheria, che ha salutato l’esito con soddisfazione. Mentre il giornale on line HGV.HU ha messo nero su bianco che il giudizio della Corte abbia disatteso le aspettative di Orban, dal momento che non ne ha sostenuto le politiche governative sui rifugiati.

  • Il vizio esce con l’ultimo respiro

    Niente è più forte di un’idea il cui tempo è arrivato.

    Victor Hugo

    Ogni nazione/popolo ha il governo che si merita. Nel bene e nel male. È una frase molto nota ed usata da tempi remoti. Un’affermazione attribuita a Socrate, uno dei più rinomati filosofi della Grecia antica, vissuto venticinque secoli fa. Ma la frase usata da Socrate sarebbe stata espressa non proprio così. Secondo molti studiosi, la frase usata da Socrate era “Ogni nazione/popolo merita il suo sovrano”. Anche perché in quel periodo, più che di governo, si trattava di una persona che gestiva il potere, come despota, come sovrano assoluto. L’incertezza sulle vere parole usate dal noto filosofo è dovuta al fatto che tutti i pensieri di Socrate ci sono pervenuti tramite quanto hanno lasciato scritto altri suoi coetanei e/o discepoli. Ma in tempi molto più recenti, la frase, che ormai si usa comunemente, è quella formulata dal filosofo e diplomatico Joseph De Maistre. Lui era l’inviato del re Vittorio Emanuele I presso la corte dello Zar Alessandro I a San Pietroburgo tra il 1803 e 1817. In una sua lettera, pubblicata su un giornale russo nel 1811 egli scriveva: “Ogni popolo ha il governo che si merita”. E si riferiva a quanto accadeva nella Russia zarista in termini critici.

    “Ogni popolo ha il governo che si merita” è un’affermazione che, purtroppo, lo sta testimoniando anche la realtà albanese; almeno quella vissuta e sofferta dal 2013 in poi. Ma in male però. Analizzando quanto è accaduto durante questi ultimi otto anni, sempre facendo riferimento a dei dati verificabili e ai fatti accaduti, documentati, testimoniati e denunciati, risulta che gli albanesi sono diventati sempre più permissivi, indifferenti e, addirittura apatici. Ma anche “pragmatici”. Le ragioni potrebbero essere diverse e specifiche per diversi gruppi sociali e/o per dei singoli individui. Ovviamente la sempre più crescente delusione dai rappresentanti politici dei vari partiti ha fatto la sua. Ma anche la crescente povertà, quella realmente vissuta e non mascherata dai tanti “abili giochetti statistici” delle istituzioni governative, ha indotto gli albanesi a “scendere a patti”, vendendo il loro voto in cambio di soldi e/o di generi alimentari. Un fenomeno questo sempre più presente e sempre più diffuso, soprattutto nelle aree rurali. Ma anche nelle città, compresa la capitale. Un fenomeno che è stato evidenziato e sottolineato nei rapporti ufficiali degli osservatori internazionali durante le ultime elezioni, quelle del 25 aprile scorso, che hanno permesso all’attuale primo ministro di ottenere il suo terzo mandato. Ma ci sono anche altre ragioni che hanno permesso agli albanesi di “tollerare” e di avere il “governo che si meritano”. Lo hanno fatto per degli interessi diversi. Lo hanno fatto la maggior parte degli impiegati nell’amministrazione pubblica, per paura di perdere il lavoro e/o perché erano stati costretti a dimostrare il voto, fotografando le schede elettorali, in piena violazione delle leggi in vigore. Lo hanno fatto non pochi imprenditori che sono in “buoni rapporti” con il governo. E loro stessi, come datori di lavoro, hanno obbligato coloro che sono stipendiati in quelle imprese. Lo hanno fatto anche non pochi “rappresentanti” della società civile che beneficiano della “generosità” del governo e/o di tutti quelli che finanziano i loro progetti, comprese anche alcune ambasciate e/o organizzazioni internazionali. E coloro che sono ormai “rappresentanti’ della società civile in Albania non sono pochi.  Ma, ovviamente, in tutto ciò hanno contribuito anche alcuni raggruppamenti occulti locali ed internazionali. Così come hanno contribuito, perché direttamente interessati, diversi clan della criminalità organizzata, non solo quella locale, che da anni ormai, contenuti dei rapporti ufficiali delle istituzioni specializzate internazionali alla mano, ma non solo, collaborano strettamente con i rappresentanti politici. Si tratta di quell’alleanza che, da anni ormai, l’autore di queste righe sta informando il nostro lettore. E cioè dell’alleanza del potere politico, istituzionalmente rappresentata dal primo ministro, con la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti locali e internazionali. Ragion per cui, nolens volens, anche il popolo albanese, durante questi ultimi anni merita il governo che ha. Che diventa sempre peggiore. Ma purtroppo, parafrasando la sopracitata frase formulata da Joseph De Maistre, sembrerebbe che il popolo albanese meriti anche l’opposizione che ha.

    L’autore di queste righe, da anni, ma soprattutto dal 2017, ha spesso trattato per il nostro lettore questa drammatica situazione in cui si trovava l’opposizione albanese, riferendosi, prima di tutto, ai dirigenti dell’opposizione, quelli del partito democratico in primis, essendo quel partito il maggiore partito dell’opposizione. Si tratta del primo partito oppositore della dittatura comunista, costituito il 12 dicembre 1990. Si tratta proprio di quel partito che ha organizzato e ha guidato tutte le massicce proteste che hanno portato alla caduta della dittatura comunista. Da tutti i fatti accaduti alla mano, soprattutto dal 2017 in poi, risulta che il dirigente del partito democratico, allo stesso tempo anche il capo dell’opposizione, in carica dal 2013, solo due mesi prima che il primo ministro cominciasse il suo primo mandato, ha deluso tutte, veramente tutte le aspettative. Aspettative che diventano un obbligo istituzionale, ma anche personale e riguardano le responsabilità politiche da onorare. Il capo del partito democratico, durante tutto il suo operato come tale, con le sue decisioni prese, con le sue scelte fatte, ha palesemente dimostrato che più di un dirigente del partito, è stato un usurpatore di quell’incarico istituzionale. Ragion per cui anche l’autore di queste righe, da tempo ormai, quando si riferisce a lui lo considera proprio come l’usurpatore del partito democratico. Un individuo che si ricorderà come una persona che ha promesso pubblicamente e mai ha mantenuto e rispettato una sola sua promessa fatta. Un individuo che ha mentito ripetutamente e costantemente non solo agli elettori del partito democratico, ma anche ai cittadini albanesi. Un individuo che ha cercato in seguito, dopo ogni sua promessa non mantenuta, dopo ogni sua bugia pubblica, di ingannare di nuovo, facendo altre promesse e pronunciando pubblicamente altre bugie. Un individuo che con il suo operato non ha fatto altro che facilitare l’operato disastroso del suo “avversario politico”, il primo ministro, diventando così una sua misera “stampella”.

    L’autore di queste righe e, come lui, anche tanti altri, da innumerevoli fatti accaduti alla mano, non può non pensare che l’usurpatore del partito democratico ha avuto almeno due compiti prestabiliti da attuare, nonostante possano sembrare alquanto strani ed inverosimili. Il primo è stato la continua disgregazione delle strutture del partito democratico. Il secondo è stato quello di corrodere e di corrompere lo spirito della sacrosanta ribellione dei cittadini di fronte alla violazione dei loro diritti. Purtroppo, da tutto quello che è accaduto e pubblicamente noto in questi ultimi anni, risulterebbe che tutti e due questi compiti sono stati esauditi dall’usurpatore del partito democratico, allo stesso tempo capo dell’opposizione albanese. Di tutto ciò, da anni, l’autore di queste righe ha informato il nostro lettore. Compresi anche gli articoli degli ultimi mesi (Il doppio gioco di due usurpatori di potere, 14 giugno 2021; Usurpatori che consolidano i propri poteri, 19 Luglio 2021; Meglio perderli che trovarli, 13 settembre 2021; Agli imbroglioni quello che si meritano, 1 novembre 2021; Un misero e solitario perdente ed un crescente movimento in corso, 22 novembre 2021). Così come ha informato il nostro lettore della nascita, dal settembre scorso, di un nuovo Movimento che ha, come obiettivo primario, la ricostituzione del partito democratico albanese con i principi del conservatorismo occidentale. Un Movimento il quale, da quando è stato avviato, sta avendo sempre più appoggio dalla base del partito ma che sta attirando anche l’attenzione di tutta l’opinione pubblica, avendo così lo sviluppo che, da più di tre mesi ormai, sta offuscando tutti gli altri. Un Movimento che, in rispetto dello Statuto del partito democratico albanese, in seguito alla richiesta di almeno un quarto dei delegati del congresso del partito, ha convocato l’11 dicembre scorso il congresso straordinario del partito. E proprio quel congresso si è svolto sabato scorso, alla presenza di circa 65% dei delegati. Durante quel congresso i legittimi partecipanti hanno preso diverse decisioni importanti che si riferivano a diversi e necessari emendamenti dello Statuto del partito. Durante il congresso dell’11 dicembre scorso i delegati hanno votato anche l’espulsione dell’usurpatore del partito democratico come dirigente del partito. E per rendere quella decisione più democratica possibile, sempre durante il congresso del sabato scorso, i delegati hanno deciso anche la votazione di tutti gli iscritti del partito democratico sabato prossimo, 18 dicembre, tramite un referendum, per la conferma di quella decisione. In più, i delegati del congresso hanno votato anche la costituzione di una Commissione transitoria per la ricostituzione del partito democratico. Una Commissione che coordinerà tutte le attività del partito democratico fino alla ristrutturazione degli organi dirigenti del partito, in centro e sul tutto il territorio. In più, questa Commissione avrà il compito di organizzare la convocazione del congresso ricostituivo del partito democratico, il 22 marzo 2022.

    Nel frattempo, l’usurpatore del partito democratico, non più dirigente dall’11 dicembre scorso, ma soltanto un semplice deputato, trovandosi in vistosa difficoltà, con alcuni suoi “fedelissimi”, sta cercando di fare “diversione”. Stanno cercando di ingannare di nuovo. E come sempre, si stanno contraddicendo vistosamente, vergognosamente e miseramente. Ma a loro non importa che stanno diventando ridicoli pubblicamente. Per loro si tratta di una “reazione” di sopravvivenza. Ragion per cui tutto è permesso. Bugie, promesse, inganni e “minacce” comprese. Ma come la saggezza popolare ci insegna, in diverse lingue, il vizio esce con l’ultimo respiro. Saggezza, che si sta dimostrando anche adesso, in queste ultime settimane e in questi ultimi giorni, con quanto sta facendo l’ormai ex dirigente/usurpatore del partito democratico albanese. Ma la sua corsa è agli ultimi metri. E la fine di quella corsa, con ogni probabilità, sarà quella che lui e i suoi pochi, pochissimi “fedeli” non avrebbero mai voluto accadesse. E insieme con l’ormai ex dirigente e usurpatore del partito, neanche il suo “protettore”, il primo ministro, avrebbe voluto accadesse.

    Chi scrive queste righe, visti gli sviluppi prodotti dal Movimento per la ricostituzione del partito democratico albanese, continuerà a seguirli e poi informare il nostro lettore. E sempre con la massima oggettività possibile. Egli però e convinto che se non ci fosse questo Movimento, la situazione in Albania sarebbe stata peggiore di quella del settembre scorso, quando il Movimento prese via. Perché l’ormai costituita dittatura sui generis in Albania non avrebbe avuto, come in questi ultimi anni, nessun vero ostacolo oppositivo. Adesso potrebbe rinascere la speranza per gli albanesi che la frase “Ogni nazione ha il governo che si merita” possa avere una connotazione positiva in futuro. Anche perché, come era convinto Victor Hugo, niente è più forte di un’idea il cui tempo è arrivato. E quell’idea potrebbe essere rappresentata dal nuovo Movimento. Spetta però agli albanesi vegliare e fare di tutto perché quell’idea possa essere realizzata senza alterazioni. Agli albanesi la scelta.

  • Imperatore della Cina libera

    Zhang Zhan è una cittadina cinese che ha avuto il coraggio di denunciare da subito i tentativi del governo cinese di mettere la museruola ed obbligare al silenzio i giornali indipendenti che pubblicavano le vere notizie sulla pandemia. E’ la cittadina che ha cercato di far sapere, ai cinesi ed al mondo, con parole ed immagini, come erano trattate le famiglie dei pazienti ammalati di covid 19. Per questo è stata incriminata e condannata a quattro anni di carcere senza neppur poter ricevere visite dai famigliari. Dal maggio 2020 ha più volte fatto lo sciopero della fame ed ora è allo stremo delle forze. Altre persone, medici, giornalisti, cittadini comuni hanno subito e continuano a subire l’intollerante Potere dell’“imperatore cinese” Xi Jinping mentre il dragone allunga sempre più le mani in ogni area del mondo, Italia compresa, non solo con la Via della Seta ma specialmente con l’istituto Confucio che apparentemente promuove lo studio della lingua cinese ma, nella realtà, si incunea nella cultura e nelle abitudini degli altri paesi creando dipendenze e sottraendo informazioni.

    Certo nessuno di noi, singolarmente, avrà la forza di far liberare Zhang Zhan né altre persone ingiustamente incarcerate in Cina, in Turchia e in tanti altri paesi dove la parola giustizia e democrazia non compaiono nel vocabolario del Potere. Ma le nostre voci insieme possono aiutare molto chi sta soffrendo ingiustamente e ciascuno di noi può, anche attraverso le azioni quotidiane, dimostrare che non accettiamo più di comperare ed usare i prodotti, non solo cinesi, fatti da veri e propri schiavi. Ciascuno di noi può, ogni giorno, ricordare a se stesso e a chi ha intorno che la democrazia nella quale viviamo, per quanto imperfetta, è un bene inestimabile che dobbiamo saper difendere da chi, anche oggi, in casa nostra, con parole e fatti di odio mina il vivere civile.

  • Consapevolmente dalla parte del male, appoggiando una dittatura

    La tolleranza diventa un crimine quando applicata al male.

    Thomas Mann

    Durante i secoli ogni popolo, a seconda dell’appartenenza religiosa, della tradizione e della storia vissuta, ha stabilito le sue festività che devono essere rispettate e celebrate. Comprese quelle che si riferiscono all’indipendenza e alla liberazione del proprio Paese. Sì, perché durante la loro lunga storia, ogni popolo ha dovuto combattere il male dell’oppressione e dell’occupazione.

    In Italia, per esempio, si celebra ogni anno dal 1946, la festa della Repubblica, per ricordare ed onorare la nascita della Repubblica italiana. Una scelta che fecero gli italiani, tra la monarchia e la repubblica, tramite il referendum istituzionale tenuto il 2 ed il 3 giugno 1946. Una scelta che è stata determinata anche dal fatto che la famiglia reale dei Savoia diede il suo appoggio al regime fascista. Da quel giugno del 1946, gli italiani festeggiano il 2 giugno la festa della loro Repubblica. Così come festeggiano, dal 1945, ogni 25 aprile anche la festa della Liberazione, per commemorare la liberazione dell’Italia, alla fine della seconda guerra mondiale, sia da una dura, spietata e sofferta occupazione nazista, che dal regime fascista che lo ha preceduto.

    In Francia si celebra, ogni 14 luglio dal 1880, la Festa Nazionale francese per eccellenza, le 14 juillet. Una ricorrenza proposta e decisa per ricordare ed onorare non la presa della Bastiglia (14 luglio 1789; n.d.a.), ma la festa della Federazione, ossia il giuramento federativo del 14 luglio 1790. Giorno in cui, a Parigi, si radunarono in tantissimi per salutare la grande armata dei federati, guardie nazionali e volontari, provenienti da tutti i dipartimenti della Francia per dare appoggio alla rivoluzione. Quel giorno loro prestarono giuramento “alla Nazione, alla Legge e al Re”. In Francia si celebra, dal 1944, anche il 25 agosto. Era il giorno della liberazione di Parigi dai nazisti da parte delle forze armate francesi ed americane, dopo lo sbarco degli alleati in Normandia, il 6 giugno 1944. Ma era dal 19 agosto che i parigini erano stati ribellati contro le forze naziste presenti nella capitale, sapendo anche dell’arrivo delle truppe alleate. Era però la 2a divisione blindata francese, e non altre truppe che, dietro la ferma insistenza del generale Charles de Gaulle già dalla notte del 24 agosto entrò a Parigi. Si è trattato, soprattutto, di un atto con una grande valenza simbolica che i dirigenti militari francesi, de Gaulle in testa, volevano a tutti i costi. Perché volevano ridare alla Francia tutto il suo prestigio perso con l’occupazione nazista nel giugno 1940 e la costituzione del governo collaborazionista, la cosiddetta repubblica di Vichy. Così facendo, i dirigenti francesi affermavano la rinascita della Francia e la sua parità con le altre grandi potenze alleate. Un’altra ricorrenza che si celebra in Francia è l’8 maggio, la festa della Vittoria (la Fête de la Victoire; n.d.a.). Una festa che ricorda la vittoria delle truppe alleate contro i nazisti e la fine, nel territorio europeo, della seconda guerra mondiale. L’8 maggio 1945 è stato scelto proprio per ricordare la resa definitiva e senza condizioni della Germania nazista, dopo i negoziati della capitolazione tra il 7 ed il 9 maggio 1945. E come in Italia ed in Francia, le festività e le ricorrenze legate all’indipendenza e alla liberazione si commemorano in tutti i Paesi europei e in tutte le altre parti del mondo. Anche in Albania.

    Il 28 novembre 1912 l’Albania, con l’appoggio anche delle grandi potenze europee, divenne un Paese libero e sovrano, staccandosi definitivamente dall’allora traballante Impero ottomano. Quel giorno non era scelto a caso, ma aveva un forte significato storico. Perché il 28 novembre 1443 l’eroe nazionale dell’Albania, Georgio Castriota, detto Scanderbeg (dalla lingua turca Iscander significa Alessandro e si riferisce ad Alessandro Magno di Macedonia; n.d.a.), tornato nella sua terra natale, dopo aver disertato dall’esercito ottomano, ha cacciato le truppe d’occupazione dal castello della propria famiglia, alzando la sua bandiera. L’indipendenza dell’Albania dall’Impero ottomano è stata riconosciuta internazionalmente, con la firma del Trattato di Londra, il 30 maggio 1913. Da quel tempo, il 28 novembre viene celebrata come la festa Nazionale dell’Albania. Ed era proprio il 28 novembre 1944, quando l’ex dittatore comunista proclamò questa data anche come la festa della Liberazione dell’Albania dall’occupazione fascista e nazista, durante la seconda guerra mondiale. Una proclamazione ufficializzata dal Bollettino n.51 del 28 novembre 1944, che veniva pubblicato allora quotidianamente dal partito comunista. In quel Bollettino, riferendosi alla festa dell’Indipendenza, si scriveva: “I festeggiamenti del grande giorno del 28 novembre che ricorda la vittoria dell’Indipendenza nazionale nel 1912 e che quest’anno coincide con la festa della liberazione di Tirana e di tutta l’Albania continueranno per tre giorni…”. Attenzione! Si ribadiva senza equivoci che “coincide con la festa della liberazione di Tirana e di tutta l’Albania”. Ma in poco meno di un anno, il 9 novembre 1945, il partito comunista albanese al potere, durante una riunione della dirigenza del Consiglio Antifascista di Liberazione Nazionale, organo supremo allora, decise diversamente sulla data della Liberazione. La cambiò di solo un giorno, proclamando come tale da allora il 29 novembre. E non a caso. Tutto è dovuto alla totale dipendenza dal partito comunista jugoslavo del partito comunista albanese, già dalla sua costituzione nel novembre 1941. Come “giustificazione” si diede allora un “fatto storico”, inventato a proposito, ma mai documentato e/o testimoniato. Si dichiarò ufficialmente che era proprio il 29 novembre il giorno in cui “…l’ultimo soldato nazista lasciò il territorio albanese” (Sic!). Mentre gli scontri armati, secondo diverse testimonianze, continuarono ancora. La vera ragione era un’altra ed era legata alla Jugoslavia. Il 29 novembre rappresentava una data importante per il partito comunista di Tito. Il 29 novembre 1943, il Consiglio Antifascista di Liberazione Nazionale jugoslavo (imitato come denominazione anche dal partito comunista albanese, come sopracitato) si autoproclamò come l’unico potere legale in Jugoslavia. In più Tito è stato nominato presidente del Consiglio. Ma il 29 novembre in Jugoslavia aveva anche un’altra valenza storica. Il 29 novembre 1945 è stata proclamata la Repubblica popolare federativa della Jugoslavia. Perciò i “vassalli” del partito comunista albanese decisero di cambiare la data della festa di Liberazione dal 28 al 29 novembre, come espressione di devozione e di sudditanza ai cari “compagni” jugoslavi. Bisogna sottolineare che era così forte quella sudditanza, che nel 1946 i dirigenti del partito comunista albanese avevano sottoscritto un Trattato di Amicizia e di Collaborazione, concordato per far diventare più solido il legame tra i due Paesi, che mirava a fare dell’Albania la settima repubblica jugoslava. Per fortuna che in seguito i rapporti peggiorarono e, nel 1948, l’Albania si staccò dall’influenza jugoslava per entrare sotto quella dell’Unione sovietica.

    Da allora, comunque, in Albania continuano ad essere celebrate separate le due feste: quella dell’indipendenza il 28 novembre e quella della Liberazione il 29 novembre.  E continuano, dopo il crollo della dittatura comunista, anche i dibattiti e le discussioni, a vari livelli, tra gli specialisti storici e i rappresentanti politici, sulla vera data della liberazione dell’Albania dall’occupazione nazista. Ma, ad oggi, non c’è un comune accordo. Il partito socialista albanese, diretto discendente del partito comunista, riconosce il 29 novembre come festa della Liberazione. Mentre i partiti della parte opposta festeggiano sia la festa dell’Indipendenza che quella della Liberazione ogni 28 novembre. Ed è proprio il 28 novembre che, dal punto di vista protocollare, arrivano anche tutti i messaggi d’auguri dalle presidenze e dalle cancellerie degli altri Paesi. Anche quelli dagli Stati Uniti d’America, dopo il crollo della dittatura comunista nel 1991, quando si ristabilirono i rapporti diplomatici. All’occasione, oltre al presidente statunitense, che manda un messaggio d’auguri al suo omologo albanese, il Dipartimento di Stato diffonde pubblicamente una dichiarazione con la quale augura in occasione della festa dell’Indipendenza, il 28 novembre. Così è stato anche la scorsa settimana. Ma guarda caso, l’ambasciatrice statunitense in Albania, diversamente dai suoi dirigenti istituzionali del Dipartimento, ha inviato i suoi auguri agli albanesi con un suo “cinguettio” in rete per il 77esimo anniversario della liberazione. “Auguri per il Giorno della Liberazione, Albania!”. Così scriveva l’ambasciatrice. Mettendosi inutilmente, inspiegabilmente e ingiustificabilmente al centro dei dibattiti e delle meritate critiche ed accuse per schierarsi apertamente ed ufficialmente, al contrario del Dipartimento di Stato, in un modo del tutto non diplomatico, con il partito del primo ministro. Cosa che infatti sta facendo pubblicamente da poche settimane, dopo che è stata accreditata. Lei sa anche il perché, ma dovrebbe essere stato un buon motivo che l’ha spinta ad una simile scelta. Dovrebbe però conoscere quel minimo necessario della storia albanese della seconda metà del secolo passato almeno e di quella di questi due ultimi decenni prima di scrivere un simile “messaggio d’auguri”. Perché da quella data, il 29 novembre 1944, considerandola per un momento come giustificata storicamente, l’Albania è stata liberata sì dall’occupazione nazista, ma è entrata in un periodo molto drammatico, durato per più di 46 lunghissimi e soffertissimi anni sotto la più spietata e sanguinosa dittatura comunista dell’Europa dell’Est. Ma così facendo però, l’ambasciatrice statunitense in Albania si schiera apertamente e consapevolmente dalla parte del male, appoggiando una dittatura. Appoggiando proprio la dittatura sui generis restaurata e ormai consolidata, come espressione diretta dell’alleanza tra il potere politico, rappresentato dal primo ministro istituzionalmente, la criminalità organizzata locale ed internazionale e alcuni clan occulti, anche quelli locali ed internazionali. Ed uno di quei raggruppamenti occulti, il più potente dal punto di vista finanziario e decisionale in Albania, secondo le cattive lingue, ha la sua sede proprio oltreoceano. Sempre secondo le cattive lingue, l’ambasciatrice statunitense in Albania, così come alcuni suoi superiori nel Dipartimento di Stato statunitense, sono sotto le dirette influenze e al servizio di quel raggruppamento occulto di oltreoceano. E, guarda caso, le cattive lingue raramente hanno sbagliato su quello che, da anni, sta accadendo e tuttora accade in Albania.

    Chi scrive queste righe da anni sta denunciando quanto stanno facendo alcuni ambasciatori, quelli statunitensi in primis e certi “rappresentanti internazionali” in Albania. Quanto è stato ormai reso pubblico, dal 15 agosto scorso, su quello che era accaduto per venti anni in Afghanistan, potrebbe rendere meglio l’idea. Chi scrive queste righe ricorda di nuovo al nostro lettore che l’ambasciatrice, come altri suoi predecessori, non ha mai detto una parola per condannare la corruzione galoppante dei massimi rappresentanti politici in Albania. Anche quando i rapporti ufficiali del Dipartimento di Stato statunitense riferivano di una preoccupante realtà. La stessa ambasciatrice era tra le primissime persone che si sono congratulate ufficialmente e pubblicamente, con il primo ministro per la sua “vittoria” elettorale del 25 aprile scorso, prima ancora del risultato finale delle elezioni! E si potrebbe continuare con molti altri fatti, ormai pubblicamente noti, che dimostrerebbero la violazione, da parte dell’ambasciatrice statunitense dell’articolo 41 della Convezione di Vienna sulle relazioni diplomatiche. Chi scrive queste righe, visti anche gli sviluppi di questi ultimi mesi in Albania, pensa che tutti gli albanesi onesti e patrioti devono prendere in mano le loro sorti e anche quelle del Paese ed agire di conseguenza, ribellandosi contro il Male. Perché, come era convinto anche Thomas Mann, la tolleranza diventa un crimine quando applicata al male,

  • In attesa di Giustizia: tabù

    Fino alla fine degli anni ’80 del secolo scorso ogni volta che si registrava un sovraccarico di lavoro nel settore penale degli uffici giudiziari il rimedio era nel ricorso all’amnistia: nulla che, allora, sconvolgesse la coscienza dei cittadini; il provvedimento decongestionava efficacemente l’arretrato cancellando fascicoli per “reati nani” tipo l’ingiuria, la guida senza patente, i furtarelli in supermercato.

    Storicamente, a parte l’amnistia “Togliatti” che accompagnò un momento storico di pacificazione sociale,  si è sempre trattato di forme di “perdono” contenute di solito accompagnate dall’indulto e cioè a dire da uno “sconto” di pena (generalmente ricompreso tra i sei mesi e i due anni) per coloro che erano stati condannati definitivamente, ma non per tutti ed esclusi alcuni reati molto gravi come la rapina o grossi traffici di droga, che contribuiva a dare un po’di sollievo a carceri sempre alle prese con il sovraffollamento.

    Tutt’ad un tratto, in conseguenza di una modifica della Costituzione che ha previsto una maggioranza parlamentare di problematico raggiungimento (2/3 sul testo complessivo e 2/3 su ogni singolo articolo della legge) per l’approvazione di un’amnistia, e non casualmente dai tempi di Mani Pulite che hanno segnato l’inizio dell’epopea giustizialista, parlare di provvedimenti di clemenza è diventato un tabù e solo sollecitarli (tranne quando a farlo è stato il Pontefice) è diventata una manifestazione di pensiero politicamente scorretto, il sintomo di una manovra volta a soccorrere – neanche a dirlo – amici e compagni di partito corrotti e corruttori sebbene, per la verità, un’amnistia per tali reati non vi sia mai stata.

    L’arretrato di milioni di processi penali non celebrati si è – ovviamente – ancor più appesantito a causa del fermo quasi totale dei Tribunali in tempi di pandemia: ma guai a parlare di soluzioni che consistano nella estinzione dei reati, anche di piccolo cabotaggio, per dare respiro ad un sistema allo stremo.

    I tabù, peraltro, possono essere astutamente sfatati: ecco allora, tra le pieghe della riforma che dovrebbe farci guadagnare i fondi del PNRR, spuntare la panacea di tutti i mali. Nella legge delega, infatti, è previsto che gli uffici del pubblico ministero, per garantire l’efficace ed uniforme esercizio dell’azione penale, nell’ambito dei criteri indicati dal Parlamento con legge, individuino criteri di priorità trasparenti e predeterminati di indicare nei progetti organizzativi delle Procure al fine di selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre, tenendo anche conto del numero degli affari da trattare e delle risorse disponibili il tutto allineandosi con le capacità di assorbimento del carico da parte degli uffici giudicanti.

    Tradotto: un’operazione di eugenetica giudiziaria mediante selezione delle indagini che si possono accantonare e dei processi che non si faranno mai perché non ci sono uomini, aule, risorse, denari.

    Un’amnistia strisciante approvata per legge che rafforza quanto già previsto in termini analoghi da una circolare del Consiglio Superiore della Magistratura di qualche anno fa: la parolaccia “clemenza”, però non viene pronunciata in nome, piuttosto, della positiva visione prospettica di una ottimizzazione del funzionamento degli Uffici. Anche il popolo pentastellato, che con quei paroloni ha una rarefatta dimestichezza, plaude all’iniziativa che se non altro ha il merito di sfilare la foglia di fico che da lustri ricopre le pudenda di un’amministrazione della Giustizia in perenne debito di ossigeno che si arrangia come può.

    A prescindere da alcuni profili di dubbia costituzionalità di una disciplina che sembra violare, primo tra tutti, il principio di obbligatorietà della azione penale sarebbe stato forse preferibile mettere mano ad una consistente depenalizzazione: soprattutto nelle leggi speciali più che nel codice esistono migliaia di reati semplicemente ridicoli che, prima della destinazione all’oblio intasano e rallentano le Procure con adempimenti iniziali indispensabili quali la iscrizione della notizia di reato, la convalida di un sequestro, la formazione di un fascicolo che verrà poi dimenticato. Qualche esempio? L’utilizzo di stalloni non autorizzati dal veterinario provinciale nella monta equina o l’impiego di vernici non omologate per dipingere le linee di galleggiamento delle navi, tanto per citarne un paio e, chi ne ha voglia, può ritrovare un vecchio articolo di questa rubrica (La parabola dei pappagallini) che tratta l’argomento.

    Sfortunatamente, anche la depenalizzazione è un tabù, la sola parola è impronunciabile da un legislatore per il quale il ricorso al diritto punitivo, invece che essere visto come dovrebbe e cioè uno strumento sussidiario di controllo sociale, è fonte inesauribile di soddisfacimento della pancia dell’elettorato con quanto ne deriva in termini di consenso.

    Per la Giustizia, probabilmente, l’attesa è ancora lunga.

  • Il sovranismo mediatico ed il dubbio socratico

    Esiste una corrente di pensiero estremamente pericolosa e detestabile che avrebbe l’intenzione, ergendosi a censore in virtù di una non meglio identificata superiorità morale ed ideologica, di porre un limite alla divulgazione di notizie “false” specialmente in questo periodo di ennesima pandemia di covid.

    Andrebbe ricordato a lorsignori come la democrazia non può prevedere alcun limite all’espressione del pensiero del singolo cittadino, il quale ovviamente se ne assume, in relazione ai contenuti, tutte le responsabilità penali e civili.

    Si cerca, invece, di imporre una sorta ‘Pensiero Unico’ come espressione di una forma   di totalitarismo mediatico la cui prima apparizione e, peggio ancora, di certificazione istituzionale si potrebbe individuare nella istituzione di una commissione parlamentare nel luglio 2020 relativa alle fake news.

    Il desiderio di porre un filtro, quindi un vincolo, e conseguentemente un istituto censore dotato di questo potere, alla libera circolazione delle notizie risulta talmente evidente in quanto, sempre in relazione al carosello mediatico, questa commissione ed il Parlamento non si sono mai preoccupati della posizione del nostro Paese all’interno della classifica mondiale della libertà di stampa.

    Il tutto si delinea come quanto di più indegno all’interno di uno stato democratico nel quale gli organi istituzionali, invece di attivarsi per il mantenimento di una pur sempre migliorabile libertà di pensiero ed espressione, si preoccupano degli effetti, spesso risibili, delle teorie ridicole dei no Green pass, come dei terrapiattisiti, e contemporaneamente di verità “scientifiche” considerate assolute poi spesso smentite dallo stessa comunità.

    Andrebbe ricordato a questi dotti signori assieme agli esponenti delle istituzioni parlamentari, che oggi come allora si ergono a  tutori della verità assoluta in nome di una superiorità intellettuale ed etica e, di conseguenza, come gli unici “distributori” della verità, nel momento in cui si ponga un limite alla diffusione delle notizie, fermo restando le responsabilità penali quanto  civili, verrebbe meno la stessa democrazia la quale prevede appunto la libertà indipendentemente dai contenuti o dai divulgatori.

    In verità questo tentativo rappresenta semplicemente una pessima “riesumazione di obsoleti contenuti politici ed ora mediatici” di un’ideologia post-comunista la quale ritrova nella gestione mediatica la possibilità di imporre i medesimi paradigmi espressione di una propria superiorità intellettuale etica e morale.

    Un totalitarismo che si estende ovviamente nel non prevedere ogni possibilità, anche solo del dubbio in relazione alla continua evoluzione del mondo scientifico, come è normale vista l’eccezionalità della situazione. A questa normale difficoltà e tourbillon comunicativo, tuttavia, la cittadinanza dovrebbe dimostrare un’assoluta fiducia priva di ogni dubbio quasi in segno di una propria sottomissione al mondo della scienza e di una parte del ceto politico. In questo contesto andrebbe ricordato come il trenta  giugno  del 2021 all’interno de Il Messaggero venne pubblicato il risultato di una ricerca della Washington University School of Medicine nella quale si affermava come la seconda dose del vaccino assicurasse una immunizzazione   per almeno  3-5 anni (https://www.ilmessaggero.it/salute/ricerca/pfizer_moderna_vaccini_durata_immunita_studio_varianti_ultime_notizie_news-6053222.html). La dinamica della pandemia delle ultime settimane di fatto ridicolizza le conclusioni a soli pochi mesi da questa ricerca espressione di un’altra “certezza scientifica” ma proprio grazie alla sublimazione del Dubbio Socratico applicato, allora come oggi, questa notizia risulta passata nell’oblio senza che abbia determinato alcuna reazione antiscientifica e tantomeno ispiratrice di un passaggio verso le teorie no-vax.

    Purtroppo la complessa gestione pandemica viene utilizzata dai promotori della supremazia del Pensiero Unico ancora una volta come un’occasione finalizzata all’imposizione della propria supremazia ideologica etica la quale utilizza i fallibili risultati scientifici in continua evoluzione con l’obiettivo di imporre i propri dogmi morali, etici ed ideologici.

    Questa miserabile declinazione di un nuovo “socialismo mediatico” trova la propria massima espressione nella gestione di molti programmi televisivi sia pro vax che no vax: in quanto il confronto tra opinioni diverse, se non addirittura opposte, presuppone la dimostrazione di competenze minime non necessarie nelle trasmissioni ad indirizzo unico.

    Anche la elementare libertà di espressione di incompetenze più assolute rappresenta una garanzia democratica e si può porre come base per l’evoluzione del progresso ed un termine di riferimento dal quale sottrarsi. Contemporaneamente a questa strategia mediatica umiliante per un paese democratico per comoda convenienza politica si omette di commentare come l’Italia nella classifica della Libertà di Stampa risulti al settantasettesimo (77°) posto. Un risultato vergognoso e non perché non esistano giornali a sufficienza o format televisivi ma perché giornalisti ed editori hanno scelto di divulgare semplicemente la propria ideologia di appartenenza o dell’area politica di appartenenza.

    Socrate diede il valore e i connotati di una forma di intelligenza al Dubbio verso chi proponeva certezze: egli sapeva di non sapere. Un sano bagno di umiltà sarebbe certamente rigeneratore per la nostra democrazia anche solo per comprendere come dimostrare di avere un dubbio nei confronti di granitiche certezze non comporti automaticamente appartenere alla fazione avversa come gli “illuminati del pensiero unico” credono e vorrebbero imporre.

    Il dubbio si manifesta, invece, come una limpida espressione di quel processo di crescita complessiva il quale per fortuna di ideologico non ha proprio nulla.

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