Libia

  • Al via la conferenza di Parigi sulla Libia, grandi assenti Putin ed Erdogan

    Venerdì 12 novembre si aprirà a Parigi una nuova Conferenza internazionale sulla Libia. L’incontro, annunciato dal ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian, in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite lo scorso settembre, potrebbe svolgersi in un clima di grande sfiducia visto che sebbene le elezioni siano state programmate il 24 dicembre non è certo che la data possa essere rispettata. Parigi ha offerto a Germania e Italia la co-presidenza dell’evento per lanciare un segnale forte all’Unione Europa affinché giochi un ruolo chiave nella partita con la Libia per evitare che siano altri attori ad intervenire con modalità poco trasparenti. “Le elezioni sono alle porte – ha osservato il presidente francese Emmanuel Macron – ma le forze che vogliono far deragliare il processo sono in agguato. Bisogna tenere la barra dritta. È in gioco la stabilità del paese”.

    All’incontro partecipano una ventina tra capi di stato regionali e internazionali, tra cui la vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris e il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. Saranno presenti anche Tunisia, Niger e Ciad, i tre paesi confinanti che stanno subendo i maggiori contraccolpi della crisi libica, in termini di instabilità, traffico di armi e mercenari. L’Algeria, dopo la crisi diplomatica con Parigi, non ha ancora confermato la sua partecipazione. Grandi assenti i presidenti di Turchia e Russia, i due paesi maggiormente coinvolti nel conflitto. Per Mosca andrà il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, mentre da Ankara hanno fatto sapere che non intendono partecipare a causa della presenza della Grecia, di Israele e dell’amministrazione greco-cipriota, con cui la Turchia è ai ferri corti per il gasdotto East-Med. Un’assenza pesante visto che in Libia sono tuttora presenti diverse migliaia di militari turchi o siriani filo-turchi intervenuti a sostegno del governo di Tripoli quando era sotto assedio, oltre a mercenari russi del gruppo privato Wagner, accorsi in aiuto delle forze della Cirenaica guidate dal generale Khalifa Haftar. Entrambe le milizie straniere non hanno mai smobilitato né si sono ritirate dal paese, come era previsto dopo la firma del cessate-il-fuoco e l’approvazione di una road-map mediata dall’Onu per la fine delle ostilità e il ripristino di istituzioni democratiche.

  • L’Onu vuole schierare gli osservatori in Libia

    Una missione internazionale di osservatori in Libia per spingere al rispetto di un cessate il fuoco ad alto rischio di essere spazzato via da nuovi venti di una guerra. E’ l’iniziativa senza precedenti che ha preso il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, inviando una lettera ai Paesi membri dell’organizzazione mondiale per chiedere di nominare loro osservatori da inviare, ma senza armi, nel Paese nordafricano in preda a un caos intermittente ormai da un decennio.

    Secondo informazioni rilanciate da media internazionali, tra cui il Guardian, la missione dovrebbe controllare il rispetto sia della tregua concordata a ottobre, sia del quasi ignorato embargo sulle armi. La presenza degli osservatori punta anche a spingere i leader politici del Paese a mettere a punto un meccanismo per eleggere un nuovo governo.

    E’ la prima volta che l’Onu intraprende la via di iniziative ‘sul terreno’ per garantire il rispetto della tregua concordata dopo il fallito assalto del generale Khalifa Haftar a Tripoli, la capitale libica dove è insediato il premier dimissionario ma sempre in sella Fayez al-Sarraj. Attualmente in Libia le Nazioni Unite hanno solo una piccola missione ‘politica’ con 230 rappresentanti, l’Unsmil.

    Tenendo conto degli appoggi soprattutto di Emirati Arabi Uniti e dell’Egitto ad Haftar, e di quelli della Turchia e del Qatar a Sarraj, l’invito di Guterres a nominare osservatori disarmati è rivolto a “blocchi regionali” oltre che ad altre organizzazioni internazionali come Unione africana, Ue e Lega araba.

    Il tempo in Libia, come sempre, stringe: il cessate il fuoco del 23 ottobre include una clausola che impone a tutte le forze straniere di lasciare il Paese entro tre mesi, quindi già non oltre il 23 gennaio, ma finora non vi è alcun segnale che ciò stia avvenendo.

    L’Onu stima infatti che attualmente sono sul terreno circa 20.000 militari o mercenari, fra l’altro ufficiali turchi e professionisti russi del gruppo privato “Wagner”. E ancora a fine dicembre, ad esempio, Tripoli ha rifiutato di aprire la strada costiera che va da Sirte a Misurata, come invece previsto dagli accordi, perché Haftar sta ammassando truppe nell’area.

    Il fronte che dopo la ritirata del generale spacca in due la Libia corre da Sirte verso sud. Ed è proprio da questa città sull’omonimo golfo che cominciano i tre settori – per un totale di 564 km quadrati di terreno – da affidare alla missione di monitoraggio.

  • La Libia cerca una tregua e pensa a elezioni a marzo ma Haftar non accetta

    La cautela è d’obbligo dopo nove anni di guerra civile alternati da periodi di tregua più o meno
    lunghi. Ma nel cammino accidentato della Libia post-Gheddafi torna ad affacciarsi la possibilità di una svolta: le autorità rivali del governo di Tripoli e del parlamento di Tobruk hanno annunciato un cessate il fuoco duraturo e, soprattutto, la convocazione di elezioni a marzo. Con il plauso della comunità internazionale. Anche se per il momento l’uomo forte dell’Est, il generale Khalifa Haftar, tace.

    La notizia di una cessazione delle ostilità è arrivata dopo settimane di intensi negoziati tra le parti, sotto la regia dell’Onu. Favoriti dallo stallo prolungato sulla linea del fronte Sirte-Jufra, dove a giugno la controffensiva delle truppe fedeli al premier Fayez al Sarraj si era fermata per la
    resistenza delle milizie di Haftar.  A rompere gli indugi è stata Tripoli in una nota in cui Sarraj “ha ordinato a tutte le forze militari di osservare un cessate il fuoco immediato in tutti i territori libici”. Come atto di “responsabilità politica e nazionale”, ma anche in considerazione “dell’emergenza coronavirus”. Sarraj ha inoltre formalizzato la “richiesta di elezioni presidenziali e parlamentari a marzo sulla base di un’adeguata base costituzionale su cui – ha affermato – le parti concordano”. In un comunicato distinto anche le autorità della Cirenaica hanno dichiarato il cessate il fuoco e previsto elezioni “prossimamente”. “Cerchiamo di voltare pagina”, ha detto Aguila Saleh, il leader del parlamento di Tobruk che ha costituito il braccio politico di Haftar nella sua lunga e infruttuosa campagna per prendere il controllo di Tripoli.  L’accordo, se dovesse essere finalizzato, porterebbe finalmente alla piena ripresa dell’attività petrolifera, vitale per l’economia libica. Ripresa già in qualche modo avviata nei giorni scorsi da Haftar, che ha riaperto i pozzi della Mezzaluna dopo 7 mesi. Nel frattempo i ricavi dell’export di greggio saranno congelati nella banca dell’ente nazionale, la Noc.

    La possibile svolta nel conflitto libico è stata accolta con unanime sollievo. Dall’Onu alla Lega Araba, dagli Stati Uniti all’Italia.  I nodi nel percorso di pace, tuttavia, restano. Almeno a leggere per esteso le dichiarazioni dei due schieramenti. Tobruk, ad esempio, non ha esplicitato una data delle elezioni, al contrario di Tripoli. C’è poi la questione Sirte, che Sarraj vorrebbe “smilitarizzata”. Mentre Saleh a questo non ha fatto accenno, anzi ha rilanciato proponendo che la città natale di Muammar Gheddafi, a metà strada fra Tripoli e Bengasi, diventi la capitale di un nuovo governo. Entrambi hanno fatto riferimento alla necessità dell’uscita dal paese di “forze straniere e mercenari”, ma Tobruk ha insistito anche sullo “smantellamento delle milizie”. Che di fatto sono state la rete protettiva di Sarraj. Dopo 48 ore di silenzio, però lo stato maggiore di Khalifa Haftar ha messo in chiaro che i giochi in Libia sono tutt’altro che chiusi. Il suo portavoce ha liquidato l’annuncio del cessate il fuoco proclamato da Tripoli come “marketing mediatico” per nascondere un attacco a Sirte con il sostegno turco.

    Il portavoce di Haftar, Ahmed al Mismari, ha affermato che “la Turchia con le sue navi e fregate si prepara ad attaccare Sirte e Jufra”, dove le milizie dell’est sono asserragliate dopo aver arrestato la controffensiva dei governativi. Mismari ha aggiunto che “delle forze sono state trasferite da Misurata alle zone di Al Hicha, a sud est della città, dopo una riunione tra il capo di stato maggiore turco e un numero di ufficiali e capi milizia di Misurata”. Ossia il gruppo di combattenti più preziosi per Tripoli, che grazie al decisivo sostegno di mezzi militari turchi e dei combattenti siriano filo-Ankara sono riusciti a riconquistare il nord-ovest del Paese. Secondo Mismari, “è prevedibile che le forze e le milizie che avanzano ora si preparino ad attaccare le nostre unità a Sirte e Jufra, per avanzare poi verso la zona della Mezzaluna petrolifera, a Brega e Ras Lanuf”. E se ciò avvenisse, ha avvertito, “le nostre forze armate sono pronte a fronteggiare il nemico”.

    Haftar attraverso i suoi ha fatto sapere di respingere una “iniziativa” di pace “scritta da un’altra capitale”. Un’iniziativa che rischia di far tramontare definitivamente la sua stella, tanto più se lo stesso Saleh dovesse scaricarlo, prendendo atto che la sua campagna per cacciare Sarraj da Tripoli debba essere archiviata una volta per tutte. Sarraj, del resto, ha più volte ripetuto che nel futuro della Libia “non c’è posto per chi ha le mani sporche di sangue”. Ossia Haftar.

    Gli sponsor dei vari contendenti, nel frattempo, restano alla finestra. E non è detto che, bizze di Haftar a parte, Paesi come Turchia, Egitto o Russia siano pronti a rinunciare alla loro influenza sulla Libia. Nonostante gli auspici di Tripoli e Tobruk “sull’uscita delle forze straniere e dei mercenari”.

  • Turkey accuses France of exacerbating Libya crisis

    Turkish Foreign Ministry on Tuesday accused France of deepening the crisis in Libya by supporting the General Khalifa Haftar against the internationally-recognised Government of National Accord (GNA).

    “France has fueled the Libyan crisis by extending its support to putschist and pirate Haftar, who attempts to create an authoritarian regime in the country by overthrowing the legitimate government and who is not shy about publicly denouncing a political solution in Libya,” the Turkish MFA said in a statement on Tuesday.

    Ankara’s announcement came after France on Monday called for talks among NATO allies on what it described as Turkey’s increasingly “aggressive” role in Libya, which was thwarting efforts to secure a cease-fire.

    France has reiterated its position that the country is not taking sides in Libya, but said that Turkey endangered European security by sending Syrian fighters to Libya.

    Turkey backs the Tripoli-based GNA led by Prime Minister Fayez al-Sarraj, with whom the country signed in 2019 two agreements on security and military cooperation and restriction of marine jurisdictions.

    “While our country is with the legitimate government, France stands by a coup and an illegitimate person to the UN and NATO decisions,” the statement reads.

     

  • L’UE chiede un cessate il fuoco immediato in Libia

    I ministri degli Esteri di Francia, Germania e Italia con l’Alto rappresentante diplomatico dell’UE Josep Borrell hanno chiamato tutte le parti in conflitto in Libia per un immediato cessate il fuoco.

    In una dichiarazione congiunta rilasciata martedì, Jean-Yves Le Drian, Heiko Maas e Luigi Di Maio hanno esortato “tutte le parti libiche e internazionali a fermare in modo efficace e immediato tutte le operazioni militari e ad impegnarsi costruttivamente nei negoziati 5 + 5, sulla base del progetto di accordo del 23 febbraio”. Nel documento si legge inoltre che le parti in conflitto dovrebbero “impegnarsi in modo costruttivo” nel dialogo intra-libico guidato dalle Nazioni Unite al fine di raggiungere un accordo politico.

    La dichiarazione congiunta ha fatto seguito alla telefonata tra Angela Merkel e Abdel Fattah el-Sisi in cui la cancelliera tedesca ha fatto sapere al presidente egiziano che i negoziati sostenuti dall’ONU devono rimanere la chiave per raggiungere una tregua in Libia. Preoccupazione per l’escalation di violenze nel Paese è stata espressa dalla Merkel anche nella telefonata che è seguita con il presidente russo Vladimir Putin.

    Il governo di accordo nazionale (GNA), riconosciuto a livello internazionale, guidato da Fayez al-Sarraj, si oppone alle forze dell’esercito nazionale libico (LNA) sotto il comando del generale Khalifa Haftar. Il 6 giugno el-Sisi con la “Dichiarazione e l’Iniziativa del Cairo” ha chiesto una serie di misure, tra cui un cessate il fuoco l’8 giugno, le elezioni per un consiglio presidenziale del popolo libico sotto l’egida delle Nazioni Unite, la partenza di tutti i mercenari dalla Libia e la ripresa dei colloqui militari 5 + 5

  • La Germania chiede sanzioni per chi infrange l’embargo in Libia

    Il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas ha affermato che le Nazioni Unite dovrebbero approvare una risoluzione che sanzioni qualsiasi paese che contravvenga all’embargo sulle armi in Libia.

    All’inizio del mese, i ministri degli esteri hanno deciso di rilanciare la missione di controllo dell’UE lungo la costa del Mediterraneo libico, chiamata Operazione Sophia, con l’obiettivo di far rispettare un potenziale cessate il fuoco e un embargo sulle armi delle Nazioni Unite nel paese. Tuttavia, l’embargo concordato sta già fallendo. Secondo Maas il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe ribadire che la violazione dell’embargo non può rimanere senza conseguenze.

    La Libia è divisa in due governi rivali: il governo di accordo nazionale, riconosciuto dalle Nazioni Unite, che è sostenuto dalla Turchia, è in conflitto con l’Esercito nazionale libico di Haftar, sostenuto da Russia, Egitto, Giordania ed Emirati Arabi Uniti. Haftar ha respinto il cessate il fuoco. Le sue forze di recente sono avanzate fino a 120 chilometri a est della città di Misurata e hanno conquistato la città di Abugrein, che era sotto il controllo del Governo di accordo nazionale la cui sede si trova nella capitale, Tripoli.

    Di recente, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha avvertito che la guerra civile in Libia è diventata un parco giochi per le forze straniere in Nord Africa e rischia di estendersi alle regioni del Sahel e del Lago Ciad.

  • La crisi libica è la prova del Fallimento del Sovranismo e del Populismo

    Il Sovranismo e il populismo di cui sembra intrisa la politica in questi anni, per quanti sforzi dialettici facciano i loro sostenitori, non riescono a farsi carico con equilibrio ed efficienza del governo di una società complessa come quella attuale, a causa di evidenti carenze di analisi dei problemi economici e sociali, oltre che del contesto internazionale, nei cui confronti infatti difettano chiaramente sia di idee che di proposte.

    In tutto questo mix di pulsioni e aspettative liberatorie, si fa una gran confusione tra patriottismo e sovranismo, tra tutela effettiva del popolo e populismo e si insiste molto sulla sovranità popolare, senza chiarire in cosa realmente consista e senza capire che nei fatti si opera contro di essa.

    La gestione di maggioranza e opposizione della crisi Libica, con tutte le conseguenze ed i pericoli che comporta, di cui l’aumento dei flussi migratori è certamente il minore, ne costituisce la prova più lampante.

    Infatti l’assenza di una strategia unitaria dell’UE è la causa principale della presenza in Libia di Turchia e Russia, venuti a colmare un vuoto politico e a spartirsi l’ex colonia Italiana, in una dinamica che rischia di emarginare non solo l’Italia, ma tutta l’Europa violata nel suo cortile di casa, quale è il mediterraneo, non più “mare nostrum”, inteso in senso Europeo.

    Se il sovranismo e il populismo fossero davvero soluzioni, quale migliore occasione per dimostrarlo? Se l’Italia, stanca delle imposizioni e delle incertezze dell’UE, voleva dimostrare le proprie capacità per difendere i suoi interessi e favorire una soluzione alla crisi della nostra ex “quarta sponda”, sarebbe stato questo il caso offerto dalla storia.

    E anche se si potrebbe convenire che l’attuale governo presenta limiti oggettivi di capacità e autorevolezza, che certamente riducono le possibilità di rivestire con successo ruoli delicati specie in politica internazionale, quali sono state le proposte dei sovranisti di casa nostra in merito al ruolo dell’Italia?  Il silenzio più assordante! A parte gli attacchi alle ripetute gaffe di Conte e Di Maio sulla questione degli incontri con i due contendenti libici, quali sarebbero le proposte sovraniste che hanno avanzato? Lo zero più assoluto. Salvini e Meloni, portatori dell’immaginifico mondo senza UE, capace di servire i veri interessi del popolo in quanto finalmente sovrano a casa propria, mentre i turchi si posizionavano in Tripolitania, ed i Russi in Cirenaica, di cosa parlavano? A si, di elezioni in Emilia e Romagna, leggi elettorali e referendum di “Tarzan” però senza Cita, la sua inseparabile scimmia.

    E Di Maio, con il suo appello alla “UE che parli con una voce sola”, cos’altro voleva dire, se non evidenziare una inconsistenza assoluta del nostro Paese e la necessità di un recupero del ruolo del vecchio continente?

    Ed è questa la prova del fallimento di sovranismo e populismo, nel silenzio indecente di chi scopre di non avere soluzioni, o nell’invocare nel momento del pericolo l’intervento dell’UE, dopo averla demonizzata per anni e incolpata di tutti i mali che invece erano il frutto delle “male politiche” dei governi nazionali che, senza UE, ci avrebbero già da tempo portato al definitivo default.

    Peccato che “la voce sola dell’UE” non c’è e non ci potrà essere semplicemente perché, contrariamente alle presunte prepotenze di cui blaterano i sovranisti, l’UE è né più né meno che una associazione culturale, non certo una entità statuale o federale, che si caratterizza appunto per una gestione unitaria della politica estera, che può essere credibilmente supportata da un esercito unico e da un governo unico che decide nell’interesse di tutto il continente.

    I sovranisti e populisti non possono continuare a ignorare che in un mondo che si avvia alla gestione tripolare di USA, Russia e Cina, oltre che della possibile aggiunta dell’India, l’unico modo per garantire la sovranità degli europei è l’urgente e non più rinviabile battaglia per la costituzione degli Stati Uniti d’Europa, perché nessun stato europeo, Germania compresa, rimanendo da solo potrà godere di una sola sovranità e cioè quella di scegliersi l’impero di cui diventare colonia.

    Si può e si deve evitare questo destino a partire dalla presa di coscienza che l’unico sovranismo che può garantire i popoli europei è quello che esce dalle logiche piccole e misere delle dimensioni nazionali e si rivolge all’intera Europa dei popoli uniti e ai loro valori che hanno plasmato l’umanità intera grazie alla storia del nostro vecchio continente che, pur con i tanti errori commessi, è stato e continua ad essere fucina di civiltà, progresso, democrazia e libertà.

    * già sottosegretario per i Beni e le attività culturali

  • Allarme dell’Onu per le condizioni dei migranti in Libia

    Un rapporto dell’Onu denuncia che i migranti in Libia sono sottoposti a «privazione della libertà e detenzione arbitrarie in centri ufficiali e non ufficiali; tortura, compresa la violenza sessuale; rapimento per riscatto; estorsione; lavoro forzato; uccisioni illegali» a dispetto delle ingenti quantità di euro che l’Europa fornisce a governo e milizie locali perché fermino le partenze verso l’Italia. Il dossier, inviato al Consiglio di sicurezza dell’Onu e acquisito dagli investigatori della Corte penale internazionale dell’Aja, sottolinea che «i colpevoli sono funzionari statali, gruppi armati, contrabbandieri, trafficanti e bande criminali» ed invita il governo di concordia di Tripoli a «raggiungere il controllo di tutti i centri di detenzione presenti in Libia, scongiurando l’influenza o l’interferenza di milizie e gruppi armati»

    «Durante il periodo in esame c’erano oltre 669.000 migranti in Libia, tra cui donne (12% dei migranti identificati) e bambini (9%)», precisa il segretario generale dell’Onu, Guterres, e di questi «3.700 hanno bisogno di protezione internazionale» (meriterebbero cioé di venire trasferiti in Europa).

  • La visita di Moavero Milanesi al generale Haftar a Bengasi

    Il recente viaggio in Libia del ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, si inserisce in una situazione divenuta nuovamente esplosiva, dopo un periodo relativamente statico, senza attentati e senza attacchi armati tra una fazione e l’altra. Il governo Gentiloni si era dato molto da fare, senza riuscirci del tutto, per stabilizzare la situazione e non era stato in grado di conciliare le due fazioni più influenti: quella del Primo ministro Fayez al Sarraj, di stanza a Tripoli con il suo governo e con il Parlamento, riconosciuto dalla comunità internazionale e sostenuto dal governo italiano, e quella del generale Khalifa Haftar, di stanza a Bengasi in Cirenaica, sostenuto dal governo di Parigi. Ora il caos sembra ritornato e una nuova milizia, il Movimento giovani di Tripoli, ha attaccato con razzi l’aeroporto della capitale, che è stato chiuso e spostato in quello di Misurata, distante 187 chilometri.

    L’inviato dell’ONU in Libia, Ghassan Salamè, ha auspicato la revisione degli accordi di sicurezza per Tripoli, riducendo l’influenza dei gruppi che usano le armi per i loro interessi particolari e che si sono abbandonati al saccheggio dello Stato, dei privati cittadini e delle istituzioni sovrane. Oltre all’aeroporto, un altro attacco è stato portato alla sede della “Noc”, la compagnia petrolifera nazionale libica, a Tripoli, minacciando di colpire anche i pozzi di petrolio. Lo Stato islamico ha rivendicato l’attacco il 10 settembre scorso, confermando che “i giacimenti di petrolio che sostengono i crociati e i loro progetti in Libia sono un obiettivo legittimo dei mujaheddin e i giorni a venire ne saranno testimoni”.

    In questo contesto burrascoso la visita di Moavero a Khalifa Haftar conferma la volontà dell’Italia di tenere aperto il dialogo con tutti, per evitare la caduta definitiva del Paese nelle mani delle milizie jihadiste. I buoni rapporti stabiliti con Il Cairo e quelli ormai consolidati con gli Emirati Arabi Uniti, entrambi sponsor di Haftar, hanno contribuito a vedere in Haftar un possibile interlocutore per garantire il ritorno della pace in Libia ed il raggiungimento di un equilibrio tra i due maggiori leader anti jihadisti, al Sarraj e Haftar, appunto. Moavero ha avuto a Bengasi un lungo e cordiale colloquio con Haftar. In un clima di consolidata fiducia “in cui vi è stata ampia convergenza per un’intensa cooperazione e sul comune impegno per una Libia unita e stabile”. Moavero ha auspicato che “ i cittadini libici devono essere messi in grado di esercitare la propria sovranità e di poter decidere liberamente il proprio destino”. Il riferimento è chiaramente rivolto alla Francia che vorrebbe le elezioni nel prossimo dicembre, mentre l’Italia considera che attualmente non vi sono le condizioni di sicurezza e di intesa nazionale necessarie. Haftar, tuttavia, ha espresso a Moavero il suo apprezzamento per l’impegno di politica estera dell’Italia, impegno ritenuto imprescindibile per la Libia, grazie anche alle svariate e articolate iniziative e proposte che lo caratterizzano. Il generale inoltre ha aggiunto di “essere pronto a dare il suo contributo per supportare attivamente la sicurezza, la stabilizzazione e il dialogo del Paese, per il bene di tutti i libici”. Un netto passo avanti, quello di Haftar, rispetto ad una recente intervista in cui definiva l’Italia come “il nemico”, minacciando un golpe militare contro “i terroristi” di Tripoli. Riavvicinamento concreto o solo di facciata? Una risposta l’avremo in novembre alla Conferenza internazionale sulla Libia ospitata in Italia. Se Haftar non vi partecipasse la conferenza perderebbe ogni significato, ma l’Italia, ciò nonostante, è costretta dai suoi interessi a perseguire un doppio obiettivo: da un lato coinvolgere Haftar per trovare un’intesa con Tripoli che favorisca la nostra ex colonia, ma dall’altro mantenere un saldo appoggio al governo di Al Serraj, perché in Tripolitania abbiamo i nostri interessi energetici ed è da quelle coste che si configurano le continue minacce dei flussi di immigrati illegali. Ma non si possono fare i conti senza la Francia che ha dimostrato di volersi interessare della Libia addirittura con una guerra disastrosa. Macron non mollerà la presa, ma dovrà rendersi conto che non potrà aspirare ad una leadership in Europa se nello stesso tempo vorrà perseguire una politica coloniale a suo uso e consumo in Africa, aggiungendo anche la Libia ai 14 Stati ex colonie, che già controlla accuratamente.

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