Nel 1990 ha avuto inizio presso un centro di Ricerca Californiano (UCSC) il famoso Progetto genoma umano (HGP, acronimo di Human Genome Project) per determinare la sequenza dei geni del DNA. Progetto terminato nel 2003 (con la scoperta di circa 25 mila sequenze) e costato decine di milioni di dollari. È iniziato, invece, circa 2 milioni di anni fa presso il Pianeta Terra, il famoso Progetto Buon Senso Umano (HCSP, acronimo di Human Common Sense Project) per determinare la sequenza dei comportamenti umani che ne avrebbero favorito la sopravvivenza o meno. Ad oggi, e soprattutto negli ultimi due secoli, è costato centinaia di milioni di morti a causa della perdita del buon senso umano.
Tra tutti gli Ominidi pare che quello che abbia avuto la meglio sia stato quello meno specializzato e flessibile (denominato forse per questo Homo sapiens). Non un eccellente raccoglitore e, allo stesso tempo, non un eccellente cacciatore e con una dieta più ampia; non solo carnivoro (come, ad esempio, l’Homo neanderthalensis, che si è estinto) o non solo fruttariano. Tra tutti i cuccioli di mammiferi, quello umano, è certamente fra i meno autonomi alla nascita. La sua capacità di adattamento, infatti, dipende fortemente dalla sua educazione. È l’animale senza un habitat specifico e, per questo, quello che può adattarsi alla maggior parte dei contesti ambientali di questo Pianeta ma, ad una sola condizione. Ovvero che sia ben educato al rispetto di quelle regole di sopravvivenza a quello specifico habitat (stili di vita ed alimentari che sono “corretti” o meno se ne favoriscono o meno la sopravvivenza in quel determinato contesto). Per migliaia di anni, quindi, come per tutti gli altri animali, la più importante di tutte le attività dei propri simili adulti (non solo dei genitori ma di tutta la comunità) era quella educare i cuccioli d’uomo a conoscere e a rispettare, in ogni fase della loro vita, l’ambiente che li circonda. Perché rispettare l’ambiente significa rispettare se stessi e l’intera comunità (vegetali ed animali compresi). Lo sciamano, il curandero, il böge, lo yayan, l’elčï o l’ilčï o il capo villaggio o il consiglio degli anziani sono stati per secoli i custodi della memoria di queste regole. “Donna incinta mi chiedi… e io rispondo: per te, di questo clan, ora, qui, in questa stagione, etc. è bene fare questo e mangiare questo. Tu ragazzo cacciatore mi chiedi… etc.”. L’educazione, dicevamo. L’opera di accompagnamento alla vita autonoma (dal lat. e-ducĕre “condurre da, verso”) che prende forma grazie a tutti gli stimoli che raggiungono ogni essere umano nell’arco della sua vita. Tutti gli stimoli. Stimoli organizzati da istituti sociali naturali (come la famiglia, la tribù, etc.) o da istituti appositamente creati ad hoc (scuole, collegi, seminari, etc.). Stimoli intelligenti o stupidi, utili o inutili. Tutti in egual modo concorrono all’educazione di un essere umano. Anche i cuccioli d’uomo, come quelli di altre specie animali, crescono più per imitazione (per i fatti) che non per quello che sentono dire (le parole). A cosa sono serviti milioni di anni di storia e milioni di esperienze umane (sequenze di fatti) se non se ne mantiene la memoria? Se non si educa le future generazioni a partire dal nostro/loro passato? Per secoli i nonni hanno rappresentato le nostre risposte, il nostro rimedio (chiamiamolo qui anche “vaccino”, per quanto non ami questa parola) ai problemi e ai quesiti sul nostro presente e futuro. Gli Etnologi e gli Antropologi di tutto il mondo hanno studiato per decenni le sequenze del genoma culturale umano scoprendo (e meravigliandosi del fatto) che ad ogni latitudine e longitudine, le culture native selvatiche ed anche quelle delle comunità contadine addomesticate ma libere (perché non sotto padrone!) sono sopravvissute in armonia con il loro contesto ambientale perché consapevoli dell’importanza di educare i propri cuccioli a quelle poche, ma fondamentali, sequenze di gesti e parole quotidiane che ne hanno garantito da sempre la pacifica sopravvivenza. Espressione di quanto l’essere umano possa essere intelligente perché capace di adattarsi al contesto e non il contrario (ovvero stupido perché ostinato a cercare di piegare l’Ambiente e gli altri alle proprie limitate esigenze).
Quanto è importante educare al buon senso e coltivare il buon senso? Per la prima volta nella storia dobbiamo dire ai nostri figli che non siamo capaci di educarli a sopravvivere. E ammetterlo sarebbe un vero atto di intelligenza (e di amore) se poi a questo aggiungessimo che noi non rappresentiamo l’unica società o cultura esistente, ma che ce ne sono molte altre e molto più intelligenti e forti di noi.
Un’antica leggenda Cherokee o Lenope racconta che un giorno il capo di un grande villaggio decise di lasciare al nipote l’insegnamento più importante: “Nella mente e nel cuore di ogni essere umano si combatte una lotta incessante. Anche se io sono un vecchio capo, una guida per il nostro popolo che mi considera saggio, quella lotta avviene anche dentro di me. Se non ne conosci l’esistenza, ti spaventerai e non saprai mai quale direzione prendere. Magari, qualche volta nella vita vincerai, ma poi, senza capire perché, all’improvviso ti ritroverai perso, confuso e in preda alla paura, e rischierai di perdere tutto quello che hai faticato tanto a conquistare. Crederai di fare le scelte giuste per poi scoprire che erano sbagliate. Se non capisci le forze del bene e del male, la vita individuale e quella collettiva, il vero sé e il falso sé, vivrai sempre in grande tumulto. È come se ci fossero due grandi lupi che vivono dentro di ognuno: uno bianco, l’altro nero. Il lupo bianco è buono, gentile e innocuo. Vive in armonia con tutto ciò che lo circonda e non arreca offesa quando non lo si offende. Il lupo buono, ben ancorato e forte nella comprensione di chi è e di cosa è capace, combatte solo quando è necessario, e quando deve proteggere sé stesso e la sua famiglia. Anche in questo caso lo fa nel modo giusto. Sta molto attento a tutti gli altri lupi del suo branco e non devia mai dalla propria natura.
Ma c’è anche un lupo nero che vive in ognuno, ed è molto diverso. E rumoroso, arrabbiato, scontento, geloso e pauroso. Le più piccole cose gli provocano eccessi di rabbia. Litiga con chiunque, continuamente, senza ragione. Non riesce a pensare con chiarezza poiché avidità, rabbia e odio in lui sono troppo grandi. Ma la sua è rabbia impotente, figlio mio, poiché non riesce a cambiare niente. Quel lupo cerca guai ovunque vada, e li trova facilmente. Non si fida di nessuno, quindi non ha veri amici. A volte è difficile vivere con questi due lupi dentro di sé, perché entrambi lottano strenuamente per dominare la nostra anima”.
“Quale dei due lupi vince nonno? Chiese il ragazzo.
“Tutti e due” Rispose il nonno. “Se scelgo di nutrire solo il lupo bianco, quello nero mi aspetta al varco per approfittare di qualche momento di squilibrio, o in cui sono troppo impegnato e non riesco ad avere il controllo di tutte le responsabilità. Il lupo nero allora attaccherà il lupo bianco. Sarà sempre arrabbiato e in lotta per ottenere l’attenzione che pretende. Ma se gli presto un po’ di attenzione perché capisco la sua natura, se ne riconosco la potente forza e gli faccio sapere che lo rispetto per il suo carattere, e gli chiederò aiuto se la nostra tribù si trovasse mai in gravi problemi, lui sarà felice. Anche il lupo bianco sarà felice. Così entrambi vincono. E tutti noi vinciamo.
Confuso, il ragazzo chiese: “Non capisco, nonno, come possono vincere entrambi?”
E il capo indiano: “Il lupo nero ha molte importanti qualità di cui posso aver bisogno in certe circostanze. E’ temerario, determinato e non cede mai. E’ intelligente, astuto e capace di pensieri e strategie tortuose. Sono caratteristiche importanti in tempo di guerra. Ha sensi molto acuti e affinati che soltanto chi guarda con gli occhi delle tenebre può valorizzare. Nel caso di un attacco, può essere il nostro miglior alleato”.
Il capo Cherokee allora tirò fuori due pezzi di carne dalla sacca e li gettò a terra: uno a sinistra e uno a destra. Li indicò, poi disse: “Qui alla mia sinistra c’è il cibo per il lupo bianco, e alla mia destra il cibo per il lupo nero. Se scelgo di nutrirli entrambi, non lotteranno mai per attirare la mia attenzione e potrò usare ognuno dei due nel modo che mi è necessario. E, dal momento che non ci sarà guerra tra i due, potrò ascoltare la voce della mia coscienza più profonda, scegliendo quale dei due potrà aiutarmi meglio in ogni circostanza. Se capisci che ci sono due grandi forze dentro di te e le consideri con uguale rispetto, saranno entrambi vincenti e convivranno in pace. La pace, nipote mio, è la missione della nostra gente, il fine ultimo della vita. Un uomo che ottiene la pace interiore ha tutto. Un uomo che è lacerato dalla guerra che si combatte dentro di lui, non è niente. Il modo in cui sceglierai di interagire con le forze opposte dentro di te determinerà la tua vita. Far morire di fame l’uno o l’altro o guidarli entrambi”
Poche parole sincere, semplici e disinteressate e che aiutano la parte sinistra e destra del cervello a comprendersi a vicenda e a comprendere la storia della nostra vita, della nostra comunità, del nostro popolo e dell’intera umanità. E forse pillola di saggezza (vaccino culturale) tra i più potenti per educare/salvare le future generazioni da ogni nostro ipocrita, prevenuto e ignorante tentativo di difendere ormai l’indifendibile.