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  • In attesa di Giustizia: ICAM

    ICAM…che sarà mai, forse parliamo di un talento calcistico proveniente da qualche terra esotica? Nossignore, è  l’ acronimo che sta per Istituto a Custodia Attenuata per Madri detenute: in due parole un segnale di civiltà nei riguardi della popolazione delle carceri che ricomprende le gestanti o le madri detenute, appunto, per le quali è previsto che tengano con sé – in cella, o camera di detenzione come viene eufemisticamente definita – la prole di età inferiore a tre anni.

    Non è difficile immaginare quali siano le condizioni in cui un bambino possa vivere e crescere nei primi anni della sua esistenza se ciò avviene rigorosamente dietro le sbarre di un carcere.

    Ecco, allora che, già nel 2006, a Milano, il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria nella persona dell’illuminato Dott. Luigi Pagano, d’intesa con la Magistratura di Sorveglianza, istituì un tavolo di concertazione cui parteciparono il Ministro della Giustizia Castelli, il Ministro dell’Istruzione Moratti, il Presidente della Regione Formigoni, il Presidente della Provincia Penati ed il Sindaco di Milano Albertini; all’esito dei lavori vi fu la firma di un protocollo d’intesa per la creazione dell’ICAM: per esternalizzare dal carcere l’asilo nido esistente a San Vittore.

    L’immobile fu messo a disposizione dalla Provincia, con l’interessamento dell’assessore Francesca Corso, e colà vennero alloggiate le donne detenute con i loro bambini.

    Una realtà diversa rispetto al carcere, non l’ideale ma un segnale anche simbolico per dimostrare che le cose se si vuole, si possono fare, rispettando la legge.

    Una battaglia di civiltà, come la definì il giornalista ed ex atleta Candido Cannavò che fu uno strenuo difensore del progetto.

    La Milano delle innovazioni e della cultura liberale precedette di qualche anno una legge che era in lenta gestazione (senza che vi venisse riconosciuto particolare interesse) e nella quale, comunque, veniva riposto grande affidamento.

    Passarono gli anni, l’ICAM di Milano funzionava perfettamente e rappresentava un’eccellenza ed un esempio nel settore della Amministrazione Penitenziaria. Infine, la normativa che avrebbe dovuto offrire respiro nazionale all’iniziativa fu varata nel 2011 ma con grave approssimazione, stravolgendo in negativo il progetto “milanese” (niente di nuovo sotto il sole) e ripristinando gli asili nido all’interno delle carceri.

    All’ICAM ci si sarebbe andati “eventualmente”…

    Che la disciplina fosse un pateracchio che nulla di buono aveva ereditato dalla esperienza lombarda fu subito chiaro – chissà perché subito dopo e non subito prima di approvare il testo – e da allora diversi Governi si sono alternanti e ogni Ministro ha promesso “mai più bambini in carcere”.

    Si è giunti così fino ai giorni nostri e nelle settimane scorse si è assistito ad uno scontro durissimo in Commissione Giustizia sull’ennesimo tentativo di regolamentare adeguatamente la materia delle madri detenute con i figli: il disegno di legge portava la firma di parlamentari del PD ma è stato ritirato sostenendo che il centrodestra lo voleva stravolgere.

    Sembra che le forze di maggioranza, tra le altre cose, volessero mettere dei paletti di accesso agli Istituti di Custodia Attenuata per le detenute recidive: in fondo nient’altro che una riproposizione di quanto previsto nell’Antico Testamento riguardo alle colpe degli ascendenti ricadenti sui figli.

    23 marzo 2023: Governi e Ministri sono passati ed i bambini sono rimasti in carcere. Anche loro, che sono sicuramente innocenti – checchè ne possa pensare Piercamillo Davigo – restano in attesa di Giustizia.

  • Madri e mamme

    C’è una donna, una madre, e purtroppo non è la prima e non sarà l’ultima, che andando contro qualunque legge di natura, contro ogni istinto materno, ha condannato a morte sua figlia. Al di là di chi abbia in ultimo fatto sparire Saman la verità è che la donna di 48 anni che l’ha partorita, segregata, in connivenza con il resto della famiglia e poi accompagnata al definitivo appuntamento, è la prima colpevole. Non parliamo, come molti hanno detto e scritto in queste settimane, di culture diverse perché non vi è cultura là dove sono violati i più elementari diritti umani, non parliamo di rispetto di famiglia o di clan perché dove non c’è rispetto per la vita e per la libertà c’è solo il vuoto. La giustizia, se potrà e vorrà, farà il suo corso, auguriamo alla prima carnefice di Saman, a quella donna che l’ha data alla luce, e consegnata alle tenebre anche in vita, di passare ogni momento della sua esistenza nel rimpianto, nel rimorso, nella solitudine estrema. E auguro ad ogni donna di essere sempre capace di difendere i propri figli, di difendere anche i figli degli altri.

    C’è una madre di 47 anni, Sonia, che ha allevato da sola e con estremo amore e sacrificio, come molte madri fanno, la propria bambina fino a portarla a diventare una giovane donna di 21 anni che studia giurisprudenza. Sonia e sua figlia Lisa hanno affrontato insieme tante difficoltà con forza, amore e coraggio anche quando due anni fa un male estremo ha distrutto programmi e speranze. Sonia ha combattuto fino alla fine e prima di morire ha lasciato scritto di non mandare fiori al suo funerale ma di tramutare il costo di quei fiori in una offerta per il futuro di Lisa. Nel ricordo di questa mamma, pensando a tante mamme che avrebbero bisogno di maggior aiuto perché troppi padri trascurano i figli, riportiamo l’Iban pubblicato dal Corriere della Sera per sostenere un po’ anche noi Lisa Campagnolo. Lisa sa che la sua mamma le sarà sempre accanto, proviamo a dirle che anche noi le siamo vicino IT96 E 0103062470000001807112.

    C’è una mamma che da 17 anni cerca la sua bambina scomparsa, nonostante indagini confuse, piste sbagliate o non seguite a sufficienza, nonostante le troppe lentezze e gli incomprensibili errori ed omissioni, nonostante tutto e tutti la mamma continua a cercare Denise. Il nostro augurio e che si trovino finalmente, che la politica, i media, le varie strutture dell’apparato giudiziario, di polizia e sicurezza realizzino che sono troppi i bambini che ogni anno spariscono, che è necessario fare di più e meglio se si vuole sconfiggere la violenza più abbietta, quella che colpisce le persone più inermi, che strappa i bambini dall’infanzia per trasportarli nel dolore, nell’orrore.

     

  • I padri violenti e le madri folli dello Jugendamt

    Era iniziato tutto, come sempre, nel più banale dei modi. Dopo oltre vent’anni di matrimonio, tre figlie (una maggiorenne, una adolescente e l’ultima di otto anni), incomprensioni durate tanti anni e di fatto una convivenza che non è più tale. Lui ha un buon lavoro che lo costringe spesso lontano da casa; per questo vive in un altro appartamento per tutta la settimana. Lei è insegnante, in forza alla scuola (frequentata da entrambe le figlie) che si trova quasi di fronte a casa. Quando lei chiede il divorzio pensa di non fare altro che regolarizzare in tribunale la realtà di fatto: madre e figlie vivono nella casa familiare di fronte alla scuola e il padre è ormai in un altro appartamento, vicino al suo lavoro e alle sue nuove relazioni sociali. Ma non ha tenuto conto dell’unica variabile determinante in questa vicenda: lei è straniera in terra teutonica e come tale non potrà mai vivere da divorziata con le sue figlie. Il divorzio binazionale viene pronunciato in Germania solo quando l’affido esclusivo della prole è passato al genitore tedesco. Come? Le varianti sono poche e sempre uguali e si possono pertanto riassumere brevemente. Prima variante: se lo straniero, cioè non-tedesco, è il padre, verrà accusato (ovviamente senza la necessità di nessuna prova) di violenza domestica. Tutti i padri italiani, dei quali le madri tedesche si vogliono sbarazzare, sono dei violenti. Seconda variante: se è la madre ad essere straniera e pensa di ritornare al suo paese con la prole, l’intenzione di voler traslocare (e non il fatto) è sufficiente a fare di lei una madre snaturata che intende portare i figli fuori da quel paradiso terrestre, soprattutto per i bambini, che è la Germania. In altre parole, indipendentemente dalle situazioni, il “bene del bambino” coincide sempre e comunque con la permanenza in Germania. Se un genitore vuole andarsene e l’altro, quello tedesco, non desidera il collocamento del figlio, anche un istituto o una famiglia affidataria verranno ritenute la migliore alternativa al trasferimento. In sostanza, meglio perdere i genitori, ma restare in Germania. Terza variante: questa variante è quella speculare della prima, se i padri stranieri sono sempre violenti, le madri straniere sono sempre pazze. A costruire questa pazzia collaborano tutti, non solo lo Jugendamt, il Controllore del procedimento (Verfahrensbeistand) e la controparte, ma anche il giudice stesso e l’avvocato della signora che per primo penserà, “sinceramente” preoccupato per lei, di farla visitare da chi di dovere. Questi cosiddetti “esperti” che visitano, colloquiano e redigono perizie o semplici “prese di posizione” (Stellungnahme) vengono infatti scelti in base al risultato che si vuole ottenere, cercare gli indizi di probabili e segreti impulsi violenti nei padri, oppure stravolgere qualsiasi affermazione della madre straniera per dichiararne l’instabilità mentale. Nel caso in questione si è mosso per primo il giudice. In presenza di tensione per le incomprensioni sempre più profonde tra i genitori, il giudice ha pensato, ovviamente per il bene delle figlie, di buttar fuori di casa la madre. Ma non lo ha decretato in modo così lineare, perché altrimenti avrebbe esternato la sua esterofobia (peraltro comune a tutto il sistema familiare tedesco), ha utilizzato uno dei classici escamotage: con l’aiuto dell’avvocato della signora, ha convinto quest’ultima a lasciare la casa per due mesi. A partire da questo momento, mentre il genitore non-tedesco ancora non ha capito con chi ha a che fare, si mette in moto l’ingranaggio che le toglierà definitivamente la casa, poi le figlie e poi persino il diritto ad avvicinarle. Il tutto è “ricoperto” da un teutonico “bene del bambino”, dove il bene è percepito solo dalle casse tedesche poiché questa madre, come tutti, dovrà versare un lauto mantenimento, il cui importo viene deciso senza neppure tenere in considerazione i suoi introiti. E se le figlie scappassero? Ormai sono grandi, potrebbero pensarci. In questo caso la madre verrebbe accusata di aver complottato e organizzato la fuga, di aver infranto il divieto di avvicinamento e/o contatto, di essere insomma davvero pericolosa e dunque a maggior ragione da annientare.

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