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  • In attesa di Giustizia: oggi le comiche

    Roberto Spanò è un magistrato del Tribunale di Brescia di grande esperienza ma – probabilmente – non avrebbe mai immaginato che nel corso della sua carriera avrebbe dovuto presiedere ad udienze in cui, da imputati, sfilassero alcuni suoi colleghi (o ex tali), uno per l’altro, originari della Repubblica della Procura di Milano, assistendo a sceneggiate come quella postuma alla condanna di un livoroso Piercamillo Davigo e, da ultimo, quella – di insuperabile dabbenaggine – di Fabio De Pasquale.

    Per chi non lo ricordasse De Pasquale è il Procuratore Aggiunto di Milano che, usando un garbato eufemismo, ha truccato le carte (occultando prove a discarico degli imputati) per vincere il processo cosiddetto ENI-Nigeria con oggetto quella che, secondo lui, sarebbe stata la più colossale tangente della storia dell’umanità e che – invece – si è rivelata una gigantesca montatura: opera sua come, per ora, solo sembra nel rispetto del principio di innocenza.

    De Pasquale è uno che è più facile vederlo uscire dal tribunale con la sacca da ginnastica a tracolla per andare in palestra piuttosto che nel suo ufficio, animato da diuturna applicazione al suo studio e furore intellettuale, a studiare fascicoli e codici; a Brescia, sedendo invece sul banco degli imputati, ha offerto uno squallido siparietto che, se non avesse un retrogusto che fa accapponare la pelle, sarebbe persino comico.

    Un avvocato di grande esperienza un giorno disse che nei processi, spesso, non servono testimoni, periti, documenti: bastano gli imputati con le loro dichiarazioni a scrivere una sentenza di condanna e De Pasquale, novello Tafazzi (per chi ricorda la macchietta di Mai dire Gol), ne è stato un esempio da considerare alla stregua di archè socratica.

    “Solo un polverone” ha sostenuto attribuendo la colpa di tutto ad accuse false ed infamanti da parte del collega Storari: ostile nei suoi confronti perché nel 2018 il garantista De Pasquale (lo stesso che promise la libertà a Gabriele Cagliari salvo poi dimenticarlo in galera per andare in ferie e l’Ingegnere chiuse la partita soffocandosi con un sacchetto di cellophane sulla testa) non gli approvò una richiesta di arresto ritenuta eccessiva.

    Il Giudice Spanò strabilia quando dalle parole dell’interrogato traspare un quadro inquietante di una delle Procure più importanti d’Italia: sostanzialmente acefala perché il Capo nemmeno si accorge che non la governa lui ma una rete di odi personali per futili motivi e rivalità da asilo Mariuccia che scatenano guerre tra bande a discapito della regolare conduzione delle indagini. Roberto Spanò chiede “Qual è il problema se un P.M. ha elementi che possono portare alla verità nel processo? Che la Procura debba marciare compatta?”. Decisamente non è una giornata facile per De Pasquale e la risposta gira intorno al quesito senza risolverlo parlando di violazione del principio di lealtà tra colleghi ed ingiustificata ingerenza in un processo in corso, gridando ad un inconcepibile complotto per salvare i vertici dell’ENI: insomma, una ritorsione per rancori personali.

    Dibattendosi in un estremo tentativo di dare sostanza alla propria difesa, De Pasquale afferma che l’architrave di quel processo falsato non era indebolita dalle prove a discarico che si presume abbia occultato consistendo in documenti e rilievi contabili. Come dire: se anche ho fatto l’imbroglioncello avevo ragione lo stesso; peccato che la cosiddetta architrave non fosse poi così solida visto che tutti gli imputati sono stati assolti ugualmente e che il giudice di quel processo, Marco Tremolada, ascoltato poche udienze prima, avesse deposto sotto giuramento affermando che se quelle carte fossero state depositate assolvere sarebbe solo stato più facile.

    Al cittadino tremano i polsi pensando di poter essere destinatario di una amministrazione della giustizia le cui regole sono (anche) queste: nel frattempo, De Pasquale è stato promosso a referente milanese di Eurojust, l’organo investigativo della UE per “specifiche esperienze professionali in procedimenti di competenza di Eurojust, segnatamente corruzioni, riciclaggio e frodi fiscali”. E’ morto il re, viva il re.

  • In attesa di Giustizia: la saga dell’esaurito

    E’ diventata una saga quella del Tribunale piemontese che infligge 11 anni di reclusione ad un imputato di violenza sessuale dimenticandosi banalmente di far discutere il difensore: quasi fosse un inutile, anzi, un fastidioso orpello del processo.

    E’ una vicenda di cui ci siamo già occupati ma che ora “mette in onda” una nuova ed inquietante puntata di cui non si può trascurare la cronaca.

    Dopo che il C.S.M. e la Cassazione si sono occupati del procedimento disciplinare, della vicenda ha dovuto interessarsi anche la Procura di Milano, competente per i reati attribuiti a Magistrati del Piemonte: come i lettori, forse, ricorderanno il Presidente del Collegio, resosi conto del pasticcio che aveva combinato, ha pensato bene di provi rimedio con la classica pezza peggiore del buco  strappando il foglio su cui era stato scritto il dispositivo della decisione presa invitando solo a quel punto la difesa a discutere!

    Non è stato solo un gesto incomprensibile ed ingiustificabile: in questo modo – essendo il dispositivo un atto pubblico di cui si era anche data lettura – si commette un reato che si chiama falso per soppressione. Dettaglio che ad un magistrato del settore penale (e non solo) non sarebbe dovuto sfuggire.

    Atti, allora, giustamente inviati a Milano per procedere ma quella Procura, nota per l’inflessibile rigore, ha velocemente richiesto l’archiviazione che il GIP ha disposto con altrettanta ed inusuale velocità.

    Come giustificare tutto ciò? Si trattò di un erroruccio e mancò l’intento doloso: insomma, roba da Paperissima Show. Non è disponibile (probabilmente lo sarà mai) la motivazione di questa singolare – e generosa – decisione ma, un po‘ per gioco e per alleggerire l’argomento, proviamo ad indovinare mettendoci un pizzico di fantasia. Sua Eccellenza il Presidente avrà strappato la sentenza da lui stesso scritta poco prima perché in quel momento era stato distratto dalle urla del difensore? Un gesto non voluto, un muscolo involontario messo in moto dallo spavento. Potrebbe essere.

    Oppure…oppure… si è reso conto di averla tra le mani e si è spaventato immaginandola scritta da una entità sovrannaturale che in quei drammatici momenti lo aveva posseduto. Eventualità metafisica ma non impossibile.

    Magari ha confuso la sentenza con il Kleenex appena usato per soffiarsi il naso: questa è la più proponibile da immaginare se si conosce bene la rigida giurisprudenza sul dolo del falso per soppressione.

    Ma no, ecco la spiegazione! Incapacità di intendere e di volere temporanea: non si po’ dimenticare che il procedimento disciplinare sta procedendo a carico del solo Presidente (le due donne giudici a latere sono state subito prosciolte adottando il famoso schema argomentativo sviluppato da Totò: “e che so’ Pasquale io?!”) e la sanzione minima inflitta dal  C.S.M., una blanda censura, è stata annullata dalle Sezioni Unite Civili della Cassazione, raccomandando che in un nuovo giudizio si offra maggiore considerazione al fatto, documentato in una perizia,  che il Signor Presidente era stressato dal troppo lavoro.

    L’intera comunità degli avvocati penalisti applaude a questi autorevoli precedenti di cui potranno far uso nella quotidianità professionale, spalancando le porte a successi fino ad ora insperati successi. L’amministratore di società fallita ha bruciato i libri contabili? Fu un fatale errore. Il funzionario delle agenzie delle entrate ha omesso di segnalare l’evasore? Era stressato per il troppo lavoro. E nessuno ci aveva mai pensato!

    A questo punto è doveroso congratularsi con chi ha così brillantemente il povero esaurito: chi mai e chi meglio dell’ex Procuratore Capo di Torino, Marcello Maddalena?

    Applausi a scena aperta mentre viene in mente quello slogan pubblicitario che diceva: “ti piace vincere facile eh?”.

    Senza offesa, ben s’intende.

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