malattia

  • Buonsenso a Natale e sempre

    Il Natale dovrebbe indurci ad una rapida riflessione e considerazione: piaccia o non piaccia il covid, come altre drammatiche malattie, esiste, di covid ci sia ammala, spesso in forma grave, e la guarigione è accompagnata da lunghi periodi nei quali le conseguenze dell’infezione continuano a farsi sentire in modo pesante, come testimoniano purtroppo tante persone. Di covid si muore e si muore male. Il covid colpisce specialmente chi non è vaccinato, chi fa l’indifferente e non usa la mascherina, chi è distratto e non si lava le mani, chi è presuntuoso e si infila negli assembramenti senza cautela e protezione. Tutti coloro che si infettano infettano a loro volta altre persone in una catena infinita. Perciò a Natale facciamoci un regalo di buon senso: vacciniamoci, indossiamo la mascherina, quella regolare anti covid e non quelle fantasia intonate all’abito o già usate da giorni e perciò inutili, torniamo a disinfettarci le mani, stiamo lontani dai posti affollati e manteniamo le distanze perchè se non lo facciamo è veramente poi inutile e ridicolo prendersela col governo che dovrà porre limitazioni e indicare paletti. Diciamo la verità abbiamo tutti abbassato la guardia e il virus ne ha tratto vantaggio, se vogliamo veramente aspirare ad un domani migliore cominciamo oggi ad avere maggiore buon senso.

    Auguri a tutti!

  • Il Covid ha portato al più grande calo dell’aspettativa di vita dal ’45

    Non solo in Italia, anche nel resto d’Europa e negli Stati Uniti, l’effetto Covid è stato dirompente come una guerra e ha tagliato l’aspettativa di vita delle persone. La pandemia, infatti, certifica l’Università di Oxford, ha ridotto la speranza di vita alla nascita in una misura che non si vedeva dalla seconda guerra mondiale in Europa occidentale e “in modo tale da spazzare via anni di progressi sulla mortalità”.

    I ricercatori del Centro di Leverhulme per la scienza demografica hanno assemblato un set di dati relativo a 29 paesi per i quali erano state pubblicate i dati ufficiali dei decessi per il 2020 e che abbracciano la maggior parte dell’Europa, oltre a Stati Uniti e Cile. I dati, pubblicati sulla rivista scientifica International Journal of Epidemiology, hanno dimostrato che 27 dei 29 Paesi hanno visto riduzioni dell’aspettativa di vita nell’annus horribils della pandemia. Nel 2020 le donne in 15 Paesi e gli uomini in 10 paesi, avevano un’aspettativa di vita alla nascita inferiore anche rispetto al 2015, anno che era già stato penalizzato da una stagione influenzale molto severa. “Per i Paesi come Spagna, Inghilterra e Galles, Italia, Belgio, l’ultima volta che sono stati osservati cali così grandi dell’aspettativa di vita alla nascita in un solo anno è stato durante la seconda guerra mondiale”, ha detto il co-autore dello studio, José Manuel Aburto. La diminuzione maggiore è stata osservata tra gli uomini negli Stati Uniti, con 2,2 anni rispetto ai livelli del 2019, seguiti dagli uomini in Lituania (1,7 anni). A confermare, per l’Italia, una riduzione di 1,2 anni di vita nel 2020 a causa della pandemia, è stata pochi giorni fa anche l’Istat: fino al 2019 questo indicatore era stato sempre in crescita e ora si attesta a 82 anni.

    I dati ufficiali parlano di circa 4,7 milioni di persone nel mondo fino ad oggi decedute per Covid ma, sottolinea il coautore principale dello studio Ridhi Kashyap, “ci sono diversi problemi legati al conteggio dei decessi e il fatto che i nostri risultati evidenzino un impatto così grande attribuibile alla pandemia, mostra come questa sia stata uno shock devastante per molti Paesi”. I ricercatori chiedono quindi “con urgenza” la pubblicazione “di più dati disaggregati, anche da Paesi a basso e medio reddito, per comprendere meglio gli impatti della pandemia a livello globale”.

    Intanto, l’obiettivo è far restare bassi i contagi nonostante la ripresa delle attività e delle scuole. Per farlo, gli studi continuano a confermare la necessità di far indossare la mascherina a scuola anche ai più piccoli. I Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) statunitensi hanno esaminato i dati delle contee degli Stati Uniti, scoprendo che, in media, i casi pediatrici sono aumentati dopo la riapertura delle scuole. Ma le contee senza requisiti di mascherina hanno visto gli aumenti maggiori: circa 18 casi ogni 100.000 in più. Inoltre, nelle contee in cui non c’è obbligo, le scuole avevano circa tre volte più probabilità di avere un focolaio rispetto alle altre.

  • Lavorare più di 55 ore a settimana alza il rischio morire per ictus

    Lavorare più di 55 ore a settimana aumenta il rischio di morte per malattie cardiache e ictus. Tanto che solo in un anno, sono stati 745.000 decessi per questo motivo, con un aumento del 29% rispetto al 2000. E la pandemia Covid-19 sta rafforzando in modo preoccupante la tendenza a lavorare troppe ore. A quantificare il danno è uno studio dell’Organizzazione mondiale della sanità e dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), appena pubblicato sulla rivista Environment International.

    Gli autori hanno sintetizzato i dati di dozzine di studi precedenti all’emergenza Covid, che hanno coinvolto centinaia di migliaia di partecipanti. I risultati mostrano che lavorare 55 ore o più a settimana è associato a un aumento del 35% del rischio di ictus e del 17% del rischio di morte per cardiopatia ischemica rispetto al lavorare per le normali 35-40 ore settimanali. Nello specifico, solo nel 2016, ad esempio, Oms e Ilo stimano che 398.000 persone siano morte per ictus e 347.000 per malattie cardiache dopo aver lavorato almeno 55 ore a settimana. Un trend in peggioramento negli ultimi anni, tanto che tra il 2000 e il 2016 il numero di decessi per malattie cardiache legate a orari di lavoro prolungati è aumentato del 42%, mentre la percentuale si attesta al 19% per gli ictus. Questo carico di malattie legate al lavoro è particolarmente significativo negli uomini (il 72% dei decessi si è verificato tra i maschi), nelle persone che vivono nelle regioni del Pacifico occidentale e del Sud-est asiatico, mentre l’impatto è minore in Europa Occidentale. La maggior parte dei decessi hanno riguardato persone morte tra 60 e 79 anni, che avevano lavorato per 55 ore o più a settimana quando avevano tra 45 e 74 anni.

    Angola, Libano, Corea ed Egitto sono tra i paesi più colpiti. I motivi per cui ciò accade, suggeriscono le evidenze scientifiche, sono due: il primo è che lavorare a lungo attiva continuamente gli ormoni di risposta allo stress e ciò innesca reazioni nel sistema cardiovascolare, portando a ipertensione e arteriosclerosi. Il secondo sono le risposte comportamentali allo stress, che includono un maggior uso di tabacco, alcol, dieta malsana e inattività fisica, tutti fattori di rischio stabiliti per la cardiopatia ischemica e l’ictus.

    E la pandemia ha peggiorato la situazione. Uno studio del National Bureau of Economic Research in 15 paesi ha mostrato, infatti, che il numero di ore di lavoro è aumentato di circa il 10% durante i lockdown. Il telelavoro, infatti, rende più difficile disconnettere i lavoratori. Inoltre la pandemia ha aumentato la precarietà del lavoro, che, in tempi di crisi, tende a spingere chi ha mantenuto il proprio a lavorare di più. “La pandemia Covid19 ha cambiato in modo significativo il modo in cui molte persone lavorano”, ha affermato Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms. “Il telelavoro – prosegue – è diventato la norma in molti settori, spesso offuscando i confini tra casa e lavoro. Inoltre, molte aziende sono state costrette a ridimensionare il personale per risparmiare denaro e le persone che sono ancora sul libro paga finiscono per lavorare più a lungo”. Per ridurre questi rischi, concludono Oms e Ilo, i governi possono introdurre leggi e politiche che vietano lo straordinario obbligatorio e garantiscono limiti massimi all’orario di lavoro.

  • La pandemia porta ad un’impennata del 30% dei disturbi

    Sono responsabili di circa 4mila decessi all’anno in Italia, tra i giovani, persone under 30. I disturbi del comportamento alimentare, come anoressia, bulimia, disturbo da alimentazione incontrollata, colpiscono circa 3 milioni di italiani e sono in aumento con la pandemia, di circa il 30%. Lo confermano alcuni dati di una survey nell’ambito del Progetto CCM dedicato ai Disturbi del Comportamento Alimentare del Ministero della Salute. Secondo i dati della Survey nel primo semestre del 2020 sono stati rilevati nei 230.458 nuovi casi, nel primo semestre 2019 erano 163.547.

    A marzo, il 15, si tiene la giornata del fiocchetto lilla, dedicata a questi disturbi, ideata nel 2012 dall’Associazione “Mi Nutro di Vita”. L’iniziativa parte da un padre, Stefano Tavilla, che ha perso la figlia Giulia a soli 17 anni per bulimia e ricorre il 15 marzo, proprio nel giorno della sua scomparsa. “La pandemia – aggiunge Tavilla – ha mostrato che questi che non sono disturbi ma vere e proprie malattie non sono solo appannaggio dell’età adolescenziale: c’è una forbice allargata, che ricomprende molto con l’isolamento anche la fascia pediatrica, con anche tanti maschi. La forbice si estende poi anche verso l’alto, con persone di 40-45 50 anni, in cui le ristrettezze hanno fatto da detonatore di una malattia con cui già convivevano magari da 30 anni”. “Nella lotta per il riconoscimento di queste malattie-specifica- abbiamo individuato uno strumento legislativo nei Lea, i livelli essenziali di assistenza. Se queste patologie venissero inserite nei Lea le Regioni sarebbero obbligate a un percorso e reti di cura. In Italia non si muore perché malati anoressia e bulimia, ma per il non accesso alle cure, un problema acuito dalla pandemia”.

    Di “blackout terapeutico con la pandemia” e una ripresa delle visite a settembre dopo il primo lockdown, vedendo in pieno gli effetti con nuove diagnosi, parla anche Laura Dalla Ragione, direttore della rete USSL 1 dell’Umbria e referente del Ministero della Salute per i disturbi del comportamento alimentare. “È un’epidemia – conclude – adesso bisognerà mettere insieme un sistema di cure diffuso. Serve una rete completa di assistenza, e metà delle Regioni non ce l’ha. Il messaggio però è che da queste malattie si può guarire. Con una diagnosi precoce le probabilità di guarigione sono di circa l’80%”.

  • Un italiano su tre rischia il trauma da pandemia

    La pandemia da Covid-19 sta mettendo a rischio, sempre di più, anche il benessere mentale delle persone facendo sentire i suoi pesanti effetti a livello psicologico. Insonnia, depressione ma pure disturbi psichici più gravi sono le manifestazioni di quello che gli psichiatri definiscono il nuovo e dilagante ‘trauma da pandemia’, che può lasciare segni fino a 30 mesi e mette a rischio 1 italiano su 3, con le donne che sono le più esposte. È questo il quadro che emerge da una revisione sistematica della Società Italiana di Psichiatria (SIP) degli studi pubblicati sul tema Covid e salute mentale, a un anno dall’inizio della pandemia a livello mondiale.

    Questa situazione, avvertono gli esperti, lascia i suoi segni profondi sulla psiche, rischiando di compromettere anche a lungo termine benessere e salute mentale non solo dei pazienti guariti dal virus, degli operatori sanitari e delle famiglie delle vittime, ma di tutte le persone che anche solo indirettamente stanno subendo i colpi di un anno di Coronavirus. Il rischio più diffuso è vivere l’esperienza pandemica in modo traumatico, manifestando il cosiddetto disturbo post-traumatico da stress (PTSD), con sintomi cronici o persistenti che vanno da insonnia a incubi ed ansia: fino a un individuo su tre potrebbe soffrirne. Nella popolazione generale sono le donne la categoria più a rischio, probabilmente perché il lockdown ha pesato più che mai su di loro, sia come madri sia come lavoratrici.

    “Il disturbo da stress post-traumatico è un disturbo psichiatrico che può svilupparsi in seguito all’esposizione ad eventi traumatici così eccessivi da determinare uno sconvolgimento psichico – spiegano Massimo di Giannantonio ed Enrico Zanalda, co-presidenti della Sip -. Gli effetti sulle persone sono a lungo termine e talvolta cronici”. In particolare, l’analisi mostra che a infierire sull’equilibrio psichico sono state soprattutto le condizioni di isolamento, la perdita di libertà, le preoccupazioni per l’impatto del virus sulla gravidanza. Mentre il più grande fattore protettivo sembra essere una condizione di benessere spirituale. La maggior parte degli studi presi in esame indica che i sopravvissuti al contagio hanno una maggiore probabilità di disturbi a lungo termine, seguiti dalle famiglie delle vittime e dagli operatori sanitari. Il 96% dei sopravvissuti al virus sperimenta infatti i sintomi della Sindrome Post Traumatica da Stress, fino anche ad arrivare in casi estremi al rischio di suicidio. A rischiare di più sono coloro che hanno vissuto l’incubo della ventilazione meccanica: fino a uno su due di questi pazienti è a rischio di sviluppare disturbi psichiatrici come la PTSD con allucinazioni, ricordi di panico e ansia che potrebbero persistere anche fino a cinque anni di distanza. La situazione è risultata particolarmente gravosa anche tra gli operatori sanitari. Grazie a una metanalisi su un totale di 69.499 lavoratori, è emersa un’incidenza del PTSD dal 7,4% al 37,4% con sintomi da uno a tre anni di distanza. Particolarmente esposti allo stress sono anche coloro che rivestono un ruolo di cura (caregivers), in particolare delle persone anziane.

    “Il malessere psichico dilagante legato alla pandemia, le incertezze socioeconomiche e anche la consapevolezza di dover convivere a lungo con il virus – sottolinea Zanalda – vanno prese in carico subito, con tutti i mezzi a nostra disposizione, compresa la telemedicina, pena il rischio di trovarci a breve di fronte a un boom di nuove diagnosi di disturbo post-traumatico, che a sua volta può compromettere anche la salute fisica delle persone”. Dunque, se ansia, insonnia, frustrazione e irascibilità si protraggono per più di tre settimane “è necessario rivolgersi allo specialista. La telemedicina, in particolare, permette oggi di fornire un’alternativa efficace di supporto psicoterapico – conclude di Giannatonio – con la possibilità di intervenire tempestivamente ed adeguatamente, permettendo di elaborare l’esperienza traumatica da Covid-19”.

  • Aumentano tumori tra le donne, ma crescono le guarigioni

    Nel 2020 in Italia sono stimati 377mila nuovi casi di tumore, circa 6mila in più rispetto allo scorso anno. Ma ad aumentare sono solo le diagnosi tra le donne – soprattutto per l’aumento dei casi di cancro al polmone legato al fumo di sigaretta sempre più diffuso al femminile – mentre diminuiscono quelle tra gli uomini. La bella notizia è che crescono le guarigioni e cala la mortalità per varie neoplasie, grazie alle nuove terapie e agli screening, e sono 3,6 milioni gli italiani vivi dopo la diagnosi di cancro (+37% rispetto a 10 anni fa).

    E’ a luci ed ombre il quadro che emerge dal censimento ‘I numeri del cancro in Italia 2020′, presentato all’Istituto superiore di sanità (Iss) nella sua decima edizione, frutto del lavoro dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) con l’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM), la Società Italiana di Anatomia Patologica (SIAPEC-IAP), Fondazione AIOM,  PASSI (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia). Nel 2020 si stimano dunque 195.000 nuovi casi negli uomini e 182.000 nelle donne (nel 2019 erano 196.000 e 175.000). Si stimano, quindi, circa 6.000 casi in più, a carico delle donne. Il tumore più diagnosticato, nel 2020, è quello della mammella (54.976), seguito dal colon-retto (43.702), polmone (40.882), prostata (36.074). In particolare, nel sesso femminile, continua la preoccupante crescita del carcinoma del polmone (+3,4% annuo), legata proprio all’abitudine al fumo. Si impone, rileva il rapporto, il “caso” del colon-retto, in netto calo in entrambi i sessi, grazie all’efficacia dei programmi di screening. Nel 2020, i tassi di incidenza di questa neoplasia sono in diminuzione del 20% rispetto al picco del 2013. In generale, l’efficacia delle campagne di prevenzione e delle terapie innovative determina un complessivo aumento del numero delle persone vive dopo la diagnosi. Almeno un paziente su 4 (quasi un milione di persone) è tornato ad avere la stessa aspettativa di vita della popolazione generale e può considerarsi guarito. Un altro dato importante è quello relativo alla riduzione complessiva dei tassi di mortalità stimati nel 2020 rispetto al 2015: sono in diminuzione sia negli uomini (-6%) che nelle donne (-4,2%), grazie ai progressi nella diagnosi e nei trattamenti.

    E’ questa la “conferma della qualità del nostro Servizio Sanitario Nazionale – commenta il ministro della Salute Roberto Speranza nella prefazione al volume -. C’è ancora molto da fare, ma rispetto a 10 anni fa cresce notevolmente il numero di donne e uomini che sopravvivono alla diagnosi di tumore, aumenta il tasso di guarigioni e sempre più persone tornano ad avere la stessa aspettativa di vita della popolazione generale”.

    Ma se le donne si ammalano di più, tra loro la sopravvivenza ai tumori a 5 anni raggiunge il 63%, migliore rispetto a quella degli uomini (54%). Ciò perché nel sesso femminile il tumore più frequente è quello della mammella, caratterizzato da una prognosi migliore. Il dito puntato resta contro gli scorretti stila di vita: “circa il 40% dei nuovi casi di tumore è potenzialmente evitabile”, ha sottolineato Stefania Gori, presidente Fondazione Aiom. Ma a fare la differenza è anche la prevenzione, da qui la necessità di rafforzare gli screening, avverte il presidente Iss Silvio Brusaferro, ricordando che ancora meno di 5 persone su 10 tra gli ultra 50enni si sottopongono al test colorettale.  E la pandemia ha peggiorato la situazione con lo stop degli esami. Ora gli screening “non sono ancora ripresi dappertutto e persiste una situazione a macchia di leopardo tra le Regioni. Il fatto – spiega il presidente Aiom Giordano Beretta – è che in varie realtà i nuovi inviti ad effettuare gli screening non sono ancora ripartiti, perché il personale delle Asl è impegnato a convocare le persone per i tamponi e non riesce a convocare i cittadini per gli screening”. Ma Covid-19, ammonisce, “non può diventare un alibi e una giustificazione per la mancata ripresa degli esami oncologici”.

  • Congresso a Bologna sugli studi del Metodo Di Bella

    Si svolgerà sabato 14 novembre al Royal Hotel Carlton di Bologna, dalle ore 9 alle 18, il congresso della Fondazione Di Bella Sinergismo fattoriale antiproliferativo, differenziante, immunomodulante del MDB in cui saranno documentati i risultati di tre progetti di ricerca della Fondazione Di Bella in collaborazione con il CNR, la Cattedra di Oncologia sperimentale dell’Università di Ferrara, la Cattedra di biologia molecolare dell’Università di Bologna. Saranno presentate statistiche di varie patologie oncologiche che con il Metodo Di Bella hanno ottenuto un miglioramento del performance status, mediane di sopravvivenza, risposte obiettive e percentuali di guarigione rispetto ai dati riportati dal National Cancer Institute (https://www.cancer.gov/about-cancer/diagnosis-staging) nelle stesse patologie e stadi. Gli studi clinici e sperimentali del Metodo Di Bella sono già pubblicati sulle banche dati biomediche (www.pubmed.govhttps://www.researchgate.net).

    Il congresso sarà introdotto dal Dr. Michele Tondo, moderatori Mauro Todisco, Gianluca Ghisolfi, Michele Tondo. Previsti crediti formativi ministeriali per i partecipanti.

    Di seguito il programma completo:

    09.15 Lectio Magistralis: Razionale, evidenze scientifiche, riscontri clinici del MDB Giuseppe Di Bella

    10.00 Dalla Meccanobiologia alla Riprogrammazione in Situ di Cellule staminali – Carlo Ventura

    10.30 Lipidomica e suggerimenti nutrizionali per il paziente oncologico – Carla Ferreri

    11.00 Progetti di sperimentazione animale ed umana per la ricerca di nuove formulazioni farmacologiche trasportate in nanoemulsione – Luca Neri

    11.30 Dal consenso informato al diritto del paziente ad autodeterminarsi alla cura – Domenico Vasapollo

    12.00 Rapporti tra malattia da Covid-19 e neoplasie – Giulio Tarro, “Fondazione “Giuseppe Di Bella O.N.L.U.S”

    Sinergismo fattoriale antiproliferativo, differenziante, immunomodulante del MDB

    12.30 Cosa sono le nanopatologie – Stefano Montanari

    13.50 Nanopatologie: il cancro è sempre una patologia multifattoriale? – Antonietta Gatti

    13.10 Melatonina e COVID-19 – Paolo Veronesi

    13.30 La melatonina nelle pistrinopenie – Mauro Todisco

    14.00 Discussione e pranzo libero

    Moderatori: Sebastiano Turnaturi, Giustino De Rosa, Francesco Calogero

    15.00 Case report: “risposta obiettiva completa e stabile col metodo Di Bella di colite ulcerosa resistente alle cure mediche e candidata alla colectomia totale” – Gianluca Ghisolfi

    15.15 La trasmissione colinergica come bersaglio terapeutico nel Metodo Di Bella: un caso di carcinomatosi meningea – Francesco Di Lorenzo

    13.50 Risposta obiettiva completa di k prostatico metastatico con MDB di prima linea Rilevante risposta obiettiva di carcinosi peritoneale da Ca ovarico con MDB adiuvante di prima linea – Rita Brandi

    15.45 Case report – Achille Norsa

    16.00 Case report – Luigi Cossutta

    16.15 Case report – Michele Cosentino

    16.30 Studio osservazionale retrospettivo a 5 anni sul trattamento dei tumori maligni cerebrali con MDB.

    Sopravvivenza, risposta obiettiva, qualità di vita, confronto con i dati della letteratura – Giuseppe Di Bella

    17.00 Discussione

    Compilazione dei questionari ECM e chiusura del congresso

  • Lo stato del coronavirus in Europa

    Dopo aver provocato un milione di vittime in tutto il mondo e contagiato più di 33 milioni di persone al mondo, il nuovo coronavirus non si ferma. E proprio l’Europa è uno dei nuovi epicentri della seconda ondata della pandemia: dopo Spagna, Francia e Gran Bretagna, ora anche in Germania la situazione viene valutata come “molto preoccupante”. E sono molte le capitali e le grandi città europee dove restrizioni e nuove chiusure sono entrate in vigore, in un tentativo dei vari governi di arginare il numero di contagi.

    In Belgio bar e locali devono chiudere entro le ore 23 mentre i negozi che vendono cibo e alcool non possono rimanere aperti oltre le 22.

    In Francia per i prossimi 15 giorni, a Parigi e in 11 città, classificate rosse e in situazione di massima allerta sanitaria, tutti i bar saranno chiusi dalle 22 alle 6 di mattina, e durante la stessa fascia oraria sono vietati concerti di musica e vendita di alcool. I ristoranti continueranno ad essere regolarmente aperti, ma devono essere osservate le regole di distanziamento. Entra in vigore anche il divieto di organizzare ricevimenti di nozze, feste studentesche mentre da domenica i grandi eventi culturali e sportivi non possono superare i mille partecipanti e in pubblico (parchi, spiaggia, boschi) le persone non possono essere più di dieci. Possono rimanere aperte solo le palestre e i centri sportivi con spazi esterni mentre le piscine devono osservare regole igienico-sanitarie molto restrittive. L’efficacia delle nuove norme sarà valutata dalle autorità nel tempo e le direttive potranno essere prorogate fin quando ritenute necessarie.

    In Germania il portavoce della cancelliera Angela Merkel, Steffen Seibert, ha avvertito che l’evoluzione della pandemia è “molto inquietante” e ha chiesto ai tedeschi di indossare mascherine, di rispettare le regole igieniche e i periodi di quarantena oltre a utilizzare l’app di tracciamento in caso di eventuale positività.

    In Gran Bretagna sono complessivamente 16,6 milioni le persone sottoposte a restrizioni, divaria natura ed entità: 12,4 milioni di persone in Inghilterra, il 22% della popolazione; 1,9 milioni in Galles (il 60%), 1,8 in Scozia (il 32%). Si va dalla chiusura di pub e ristoranti alle 22 al divieto di mescolarsi a persone che non siano membri della propria famiglia in case o giardini. E’ entrata in vigore la norma che prevede il pagamento di una multa fino a 11 mila euro in caso di mancato rispetto dell’isolamento per chi è risultato positivo al Sars-Cov-2. Possibili misure in arrivo anche per le regioni del Nord-Nord-ovest e centro della Gran Bretagna oltre che per Londra. Secondo alcune anticipazioni del Times, che cita un esponente di governo, tutti i pub, bar e ristoranti saranno chiusi inizialmente per due settimane; saranno anche vietati per una durata indeterminata le riunioni di famiglia nei luoghi chiusi.

    In Olanda potrebbero entrare in vigore restrizioni negli spostamenti sul territorio nazionale, limitando l’accesso da e per le principali città quali Amsterdam, Rotterdam e l’Aia. Le autorità stanno valutando la chiusura di bar e ristoranti alle 22, il divieto di partecipare ad eventi sportivi e ulteriori limitazioni agli assembramenti sia pubblici che tra parenti ed amici. Al momento non viene presa in considerazione la possibilità di un nuovo lockdown nazionale.

    In Spagna a Madrid e nella sua area metropolitana le restrizioni sono sempre più severe e riguardano un milione di cittadini: per la seconda settimana consecutiva, la popolazione di 45 aree nella città possono lasciare la propria zona di residenza solo per andare a scuola, al lavoro o per cure mediche. I parchi pubblici sono chiusi e gli orari di apertura di attività commerciali sono stati ridotti. Il governo centrale, in aperto scontro con la Comunidad di Madrid, avrebbe voluto che le misure riguardassero un numero maggiore di cittadini.

  • Covid-19 è sessista

    Quello che si era osservato in questi mesi di pandemia, ora sembra avere una spiegazione: se il Covid-19 tende a essere più grave negli uomini che nelle donne, è per una diversa risposta del sistema immunitario. Le pazienti femminili hanno mostrato infatti di avere una più forte e sostenuta risposta delle cellule T (o linfociti T), una parte essenziale del sistema di difesa dell’organismo, che tra i loro compiti hanno anche quello di uccidere le cellule infettate.

    Già ad aprile il primo studio sulle differenze di genere nella risposta all’infezione, condotto all’ospedale Tongren a Pechino, aveva rilevato come la mortalità da coronavirus negli uomini fosse più che doppia di quella delle donne: 2,5 volte in più. Una tendenza riscontrata anche in Italia. Secondo i dati pubblicati a luglio da Istat e Istituto superiore di sanità l’epidemia di Covid-19 in Italia ha colpito di più le donne, mentre la mortalità è stata alta tra gli uomini. I casi femminili erano il 54,2% mentre tra i decessi prevalgono quelli maschili (52%). Gli esperti avevano puntato il dito inizialmente sul maggior numero negli uomini di recettori ACE2, cui il virus si attacca per spiegare la maggiore mortalità maschile. Questo nuovo studio, pubblicato sulla rivista Nature dai ricercatori dell’università di Yale, guidati da Akiko Iwasaki, sembra chiarire la questione, dopo aver studiato 98 pazienti dai 18 anni in su, con un’età media di 61-64 anni, ricoverati allo Yale New Haven Hospital con sintomi da lievi a moderati a positivi al coronavirus. In questo modo hanno potuto vedere che una cattiva risposta delle cellule T è collegata ad una malattia più grave negli uomini. Già nei mesi scorsi si era infatti osservato che i malati di Covid-19 avevano elevati livelli di citochine e chemochine (molecole fondamentali nel regolare e attivare i meccanismi difensivi e processi infiammatori) rispetto a chi non aveva contratto il virus. Tuttavia, alcuni di questi fattori e molecole sono risultati maggiori negli uomini, mentre nelle donne livelli più alti di risposta immunitaria innata data dalle citochine sono risultati collegati ad una malattia più forte. Secondo lo studio i pazienti maschili potrebbero trarre beneficio da terapie che aumentano la risposta delle cellule T mentre le donne da farmaci che mitighino la prima risposta immunitaria innata. Tuttavia, concludono i ricercatori, non è possibile scartare altri possibili fattori che incidano sul rischio di avere una forma più forte di malattia nei due sessi.

     

  • Dalle suole delle scarpe ai disinfettanti: come difendere la casa da Covid-19

    Scarpe e giacche in balcone; sì a saponi, alcol e candeggina (senza esagerare). Areare con intelligenza. Una mini guida (da Oms, ministero della Sanità e Health of China 2020) per igienizzare l’abitazione in modo efficace

    Sono passati più di due mesi da quando si è diffuso il contagio da Covid-19 e ancora adesso scienziati e specialisti non sembrano d’accordo su quali precauzioni ci possano efficacemente difendere quando si è in casa. Ma su due di questi fattori si sono finalmente dichiarati d’accordo: la pulizia quotidiana e l’igiene profonda, che impedendo o limitando la proliferazione di batteri, muffe e virus, offrono un ambiente sano per tutti e in particolare per chi è anziano, malato o immunodepresso.

    Si tratta dell’Oms, Organizzazione Mondiale della Sanità, del Directorate General for health and food safety della Ue, dell’Health of China 2020 e infine del Ministero della Salute.

    In questi mesi purtroppo sono girati consigli e guide contraddittori, dove si consigliava di tutto e il contrario di tutto. In realtà, sono necessari l’igiene e la pulizia perché, impedendo o limitando la proliferazione di batteri, muffe e virus, offrono un ambiente sano per tutti e in particolare per chi è anziano, malato o immunodepresso. Aiutano cioè a rafforzare le nostre difese naturali contro i “nemici” e contro il COVID-19.

    Un secondo importante consiglio viene raccomandato: è inutile, anzi dannoso, esagerare nell’uso di prodotti disinfettanti che intasano l’ambiente di sostanze volatili allergizzanti e dannose e rendono meno forti le nostre difese.

    In base all’esperienza acquisita in diversi Paesi nella lotta contro il Covid-19, ecco una mini-guida per una casa più salutare possibile.

    15 aprile 2020

    Cosa fare al rientro in casa?
    Occorre lasciare le scarpe all’esterno senza nessun contatto con i pavimenti dell’interno e mettere sul balcone cappotti, giacche e calzoni per evitare di far entrare in casa smog, microrganismi e virus.

    Non toccate quelle maniglie!
    Mai toccare le maniglie esterne (e anche la porta esterna naturalmente) senza guanti e senza averle disinfettate con alcool denaturato o candeggina, due potenti disinfettanti consigliati unanimemente dagli enti sopracitati. Le maniglie infatti sembrano essere un concentrato di microrganismi di tutte le specie.

    Per quanto tempo occorre ventilare?
    La ventilazione degli ambienti è essenziale e per accelerare il ricambio occorre tenere aperte tutte le finestre in modo da creare un movimento veloce dell’aria. Chi ha problemi respiratori e rischia di raffreddarsi troppo deve coprirsi molto bene ma non restare al chiuso con l’aria viziata.

    Contrariamente a quanto è stato scritto, non è vero che occorra ventilare molto spesso e anzi, se si abita in una città o in una zona inquinata (anche se l’inquinamento è nettamente diminuito), è bene aprire le finestre nelle ore in cui c’è meno smog, di sera o al mattino molto presto.

    La vicinanza di camini e di grandi sistemi di climatizzazione condominiali, commerciali e industriali a tetto sconsiglia frequenti aerazioni durante il loro – rumoroso – funzionamento. Tutti gli enti scientifici citati dichiarano infatti che la concentrazione maggiore di contagi da coronavirus si è verificata – a prescindere da altri fattori – soprattutto nelle zone più inquinate.

    Attenzione: se la casa è piccola, “affollata” e situata in una zona inquinata, se in famiglia vivono una o più persone anziane, o di salute precaria, è consigliabile acquistare un apparecchio ad alta capacità di filtrazione dell’aria, evitando accuratamente le versioni di bassissima efficacia che possono, anzi, dimostrarsi dannosi.

    E per chi soffre di allergie respiratorie?
    Come molti sanno, chi soffre di allergie respiratorie, in alcuni mesi a partire da marzo, deve evitare qualsiasi contatto con l’aria esterna carica di polline e allergeni che potrebbero scatenare attacchi molto pesanti anche asmatici. Questi possono essere pericolosi poiché espongono le persone che ne soffrono ad un alto rischio di contagio da coronavirus.

    I medici consigliano, a parte il ricorso a farmaci specifici, di installare un climatizzatore di ultima generazione con speciali sistemi professionali di filtraggio che devono periodicamente essere o lavati o sostituiti. Gli ultimi modelli di produzione giapponese hanno addirittura una speciale funzione, la completa autopulizia con disinfettazione.

    In cucina, la cappa può cambiare l’aria?
    No. La cappa aspirante ha una funzione precisa, aspirare ed espellere all’esterno l’aria viziata con quasi tutto il suo carico di odori. Ma non introduce aria “nuova”, funzione della quale sono invece dotati gli aeratori. Da segnalare che esistono modelli di cappe hitech che si avviano automaticamente non appena si formano le prime “nuvole” di odori e fumi grassi.

    E per il caldo, il climatizzatore va bene o no?
    Va bene soprattutto perché la temperatura e l’umidità eccessive favoriscono il formarsi di inquinanti, ma si deve trattare solo di apparecchi di tecnologia attuale e con consumi decisamente ridotti, con etichetta A+ e A++. Molti non sanno che rispetto a qualche anno fa i consumi si sono dimezzati grazie al ricorso massivo a componenti, sensori e software di controllo estremamente precisi. Per esempio esistono – è utile saperlo – diversi modelli che, a parte le batterie di filtri professionali di cui sono attrezzati, creano addirittura una climatizzazione personale. I sensori di tecnologia evoluta misurano infatti la temperatura e l’umidità del microspazio dove si trova la persona (o le persone) dirigendo il fresco in questa direzione. Con un grande risparmio energetico.

    Quale temperatura di lavaggio distrugge germi e virus?
    Sia per la lavastoviglie che per la lavabiancheria la temperatura deve essere elevata, sopra i 60 gradi per la lavatrice e intorno ai 70 per lavare le stoviglie. Qualsiasi programma a bassa temperatura non ha l’efficacia lavante e igienizzante dell’alto calore. La spiegazione è semplice: i programmi a basse temperature hanno tempi molto lunghi di lavaggio. Tutto qui. Per i microrganismi patogeni non servono. Ottimo il ricorso al vapore delle nuove lavatrici ma deve essere secco e con un tempo prolungato. Vi sono alcuni modelli dotati di speciali programmi di igienizzazione e di trattamenti antibatterici che evitano il formarsi di muffe e germi all’interno. Se vi sono persone ammalate, immunodepresse o fragili occorre prevedere lavaggi separati. E per le stoviglie, mai lavarle a mano.

    L’asciugatrice può eliminare il coronavirus?
    Non esiste nessun elettrodomestico che garantisca questo secondo gli esperti o, perlomeno, non si ha ancora la prova che temperature e detersivi possano riuscirvi con risultati definitivi. Ma la pulizia è un fortissimo presidio e l’asciugatrice con la sua veloce ventilazione bollente crea un ambiente assolutamente sfavorevole a qualsiasi microrganismo pericoloso.

    Si possono usare sostanze disinfettanti e battericide per tutta la casa?
    Dipende. I tappeti vanno assolutamente puliti con l’aspirapolvere ogni giorno, un lavoro molto pesante ma necessario; il modo migliore per garantire un’igiene profonda è garantita dall’uso di un pulitore a vapore. Un trattamento identico per gli imbottiti. Se si tratta di tappeti di valore, antichi e delicati un consiglio: lavateli o comunque puliteli a fondo per poi metterli via, al riparo da polvere e tarme. Si elimina così una fonte di microinquinanti e un nido di germi pericolosi. Per igienizzare a fondo e eliminare il coronavirus vi sono diversi prodotti professionali che però vanno usati solo da personale specializzato. In casa, a parte il sapone che ha un’efficacia eccellente (dimostrata) sul Covid-19, due sono i prodotti consigliati per qualsiasi tipo di pulizia: alcool denaturato e candeggina appena diluita. Inoltre, potrà sembrare eccessivo ma qualsiasi oggetto, contenitore o abito, che proviene dall’esterno è un potenziale vettore di batteri e virus. È quindi consigliabile portarlo all’esterno, esponendolo al sole (che gli esperti hanno di recente indicato come nemico del COVID-19). E quindi pulirlo, disinfettarlo, igienizzarlo prima di riportarlo in casa.

    Come si devono pulire i bagni e i sanitari?
    Sempre con candeggina o alcool. Se si devono sostituire vecchi sanitari, esistono delle versioni made in Italy trattate in fabbrica con un film protettivo (Kerasan*Tech) che le rende inattaccabili da batteri e calcare grazie ad una bassissima microporosità. Consigliamo inoltre di acquistare in farmacia una riserva di copriasse per il water, in caso di uso promiscuo del bagno.

    È meglio tenere il riscaldamento basso o alto?
    Dai consigli di medici e infettivologi cinesi di Changsha (capitale della prefettura di Hunan, uno delle più colpite da coronavirus) il Covid-19 sembra non gradire il caldo umido e si trova dunque a suo agio al freddo. Tenendo comunque conto che chi ha problemi respiratori non deve stare ad una temperatura troppo bassa.

    È meglio conservare gli alimenti in frigo o nel freezer?
    Poichè in tempi di “prigionia” forzata come questa si tende a fare grandi scorte alimentari, è necessario congelare il più possibile cibi freschi o cotti divisi in porzioni, per evitare che vadano a male rapidamente. I cibi cotti in particolare sono immediatamente deteriorabili se mantenuti a temperatura ambiente. E anche in frigo (luogo peraltro carico di una incredibile miriade di germi, spore, virus, batteri e muffe) si mantengono per pochissimo tempo. Tutto ciò che è possibile congelare va congelato. Conviene inoltre acquistare un estrattore domestico per creare il sottovuoto in contenitori e sacchetti: la durata dei cibi arriva a triplicarsi.

Pulsante per tornare all'inizio