malattia

  • Con #midipingodiblu le scuole di Milano e della Lombardia celebrano la Giornata Mondiale dell’Autismo

    Accrescere il livello di conoscenza e quindi di consapevolezza sul tema dell’autismo e contribuire alla riflessione anche sulle semplici diversità che possono presentarsi tra un bambino e l’altro, favorendo la qualità dell’inclusione sociale. E’ questo l’obiettivo dell’iniziativa #midipingodiblu dell’Ufficio Scolastico Territoriale di Milano e Città metropolitana che, in occasione della giornata mondiale dedicata all’autismo, il 2 aprile, ha invitato, attraverso una lettera inviata dal suo Responsabile, Marco Bussetti, i dirigenti a coinvolgere gli studenti, malgrado la chiusura fisica delle scuole, a produrre elaborati di vario tipo che sottolineino l’importanza dell’inclusione e della ricchezza che può derivare dalla ‘diversità. #midipingodiblu comprende infatti la proposta di realizzare un elaborato grafico, a partire dal modello base di SAM, il logo dello Sportello Autismo Milano, che gli alunni potranno personalizzare con immagini, simboli, testi e messaggi, in base alla loro sensibilità e creatività e potranno esporre ai balconi di casa in segno di solidarietà; la possibilità di usufruire gratuitamente dell’audio/video di Martino Piccolo Lupo, libro scritto da Gionata Bernasconi e illustrato da Simona Mulazzani, accessibile dal 2 aprile al link https://www.youtube.com/channel/UCcwIL6R65MKywEfaLzVdwpg; l’opportunità di avvalersi di un rilancio di attività (schede offerte alle scuole) da proporre quali spunti per accrescere la consapevolezza rispetto ai diritti di TUTTI i bambini.

    La Giornata Mondiale della consapevolezza sull’autismo – WAAD, World Autism Awareness Day – giunta alla sua XIII edizione, è stata istituita nel 2007 dall’Assemblea Generale dell’ONU per richiamare l’attenzione di tutti sui diritti delle persone con sindrome dello spettro autistico e delle loro famiglie.

  • Dianova sull’emergenza coronavirus: le comunità non possono fermarsi!

    Riceviamo dalla Comunità Dianova un comunicato stampa che pubblichiamo 

    L’infezione da Coronavirus sta causando al nostro Paese gravissimi problemi sanitari che stanno impegnando oltre limite, le risorse assistenziali pubbliche e private presenti sul territorio. Da ormai un mese l’Italia sta provando a contenere la diffusione del contagio attuando misure preventive necessarie per fermare questa pandemia che spaventa anche per l’elevato il tasso di mortalità.

    A questo proposito Dianova, che accoglie ogni anno più di 350 persone con problemi di dipendenza da sostanze nelle sue Comunità, si è impegnata per salvaguardare non solo i ragazzi che ospita ma anche tutti i dipendenti e i componenti delle equipe di ogni struttura, adottando puntualmente le misure indicate dal Ministero della Salute, dagli Enti Regionali e, in taluni casi, degli enti locali e comunali preposti per far fronte all’emergenza Coronavirus.

    Dal 24 febbraio abbiamo scelto di sospendere tutte le attività non strettamente necessarie per salvaguardare i ragazzi ospiti delle nostre cinque strutture: dalle visite dei familiari, alle attività che richiedono di uscire dalle Comunità e ai laboratori svolti da professionisti esterni alle nostre equipe; inoltre, una parte dei nostri collaboratori è in modalità smart working. I nostri operatori che prestano servizio nelle strutture stanno rispettando le norme di profilassi igieniche e sanitarie attraverso l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale (guanti, mascherine, etc…) e, per gli ospiti, sono stati posizionati in luoghi strategici (mensa, bagni, luoghi di stazionamento) confezioni di soluzioni disinfettanti per le mani e per le superfici: tutti questi presidi sono stati acquistati direttamente dalle Comunità superando non senza fatica le enormi difficoltà per il reperimento di questo tipo di materiali. Inoltre, a tutti gli operatori è stato richiesto di informare tempestivamente la Direzione della struttura qualora si verificassero possibili contagi incrociati di loro familiari. Queste attenzioni, al momento, sembrano premiare in termini di contenimento del contagio tutte le nostre strutture. Nonostante le pressanti richieste avanzate dai servizi preposti per l’accoglienza di nuovi pazienti, per senso di responsabilità verso gli ospiti già presenti, dal 27/02 le due strutture Lombarde e successivamente dal 9 marzo per le altre tre strutture presenti nelle regioni Marche, Lazio e Sardegna sono stati bloccati gli ingressi di nuovi utenti; i responsabili dei Centri di ascolto di Dianova, nonostante queste misure, continuano a gestire le richieste di chi ha bisogno di aiuto, che in questo momento più che mai può trovarsi in difficoltà, in via telematica organizzando colloqui telefonici e in video chiamata. Per far fronte a queste richieste continue e poter accogliere nuovi pazienti senza esporre la popolazione attualmente presente nelle strutture al rischio di contagio, riteniamo necessario ed essenziale richiedere una certificazione medica inerente lo stato di salute del soggetto in procinto di accedere alle nostre strutture e l’effettuazione di un tampone virale specifico nei giorni immediatamente precedenti l’ingresso in Comunità.

    Le comunità terapeutiche sono parte rilevante del sistema preposto ad intervenire nell’ambito delle dipendenze e offrono un servizio essenziale; vogliamo comunque far presente che le persone con problemi di dipendenza da sostanze non stanno a casa, non si fermano davanti ai divieti imposti, vanno comunque in cerca della sostanza e le notizie di questi giorni ce lo confermano. Le richieste che avanziamo possono tutelare sia il singolo sia il gruppo nel quale verrà inserita la persona con problemi di dipendenza e contribuirebbero ad arginare il possibile diffondersi di un’infezione che deve essere assolutamente arrestata nel più breve tempo possibile. Tutte queste misure risultano inoltre necessarie per continuare a dare risposta a chi ha un problema di dipendenza e a non far crollare tutto l’articolato sistema di intervento pubblico e privato accreditato nel quale operiamo; un sistema che da sempre ha visto l’Italia un esempio da seguire nel resto del mondo.

    Per contatti: Dipartimento Comunicazione Ombretta Garavaglia 335.7328661 – ombretta.garavaglia@dianova.it

  • Quanti errori…

    Pubblichiamo un articolo del 23 marzo 2020 dal blog che Fabrizio Cicchitto tiene sull’Huffington Post 

    Francamente non capisco le ragioni autentiche della popolarità del presidente del Consiglio Conte se non come effetto di un meccanismo mediatico e psicologico: in una situazione così drammatica la gente è alla ricerca di una persona nella quale aver fiducia.

    Senonché se è vero che ci troviamo di fronte a un attacco sul piano sanitario da quasi tutti imprevisto (diciamo “quasi” perché Bill Gates lo aveva previsto nel 2015), non possiamo fare a meno di rilevare che se siamo a questo punto ciò avviene anche per gli errori commessi dal governo: lo diciamo senza ragioni politiche e strumentali perché non condividiamo quasi nulla di un centro-destra a guida Salvini.

    Allora, premesso che ha ragione Trump quando rileva che la Cina ha gravissime responsabilità per aver tardato di comunicare l’esplosione del virus a Wuhan mettendo a tacere i suoi medici, tuttavia alcuni esperti, in primo luogo Roberto Burioni, hanno sostenuto già a gennaio le esigenze di chiusure assai incisive a partire dalle scuole.

    A essi però nessuno ha dato retta. Il 30 gennaio il presidente Conte ha dichiarato: “La situazione è sotto controllo”. Questa affermazione è derivata anche dalla convinzione del tutto destituita di fondamento e caratterizzata anche da un incredibile provincialismo secondo la quale avendo bloccato i voli diretti fra l’Italia e la Cina noi ci eravamo blindati.

    Anche i nostri ministri dovrebbero sapere che nel mondo contemporaneo esistono mille modi per spostarsi e per di più fra Italia e Cina esistono rapporti economici, culturali e personali molto profondi. Di conseguenza da noi il Coronavirus è arrivato molto prima del fatidico 21 febbraio a Codogno.

    Anzi, dobbiamo ringraziare la comunità cinese in Italia che, specie a Prato, ma non solo lì, si è sottoposta autonomamente a una rigorosa quarantena di persone e di negozi. Tant’è che a parte i due turisti cinesi non esistono altri cinesi contagiati. Con la stessa faciloneria è stata respinta in modo del tutto sbagliata la richiesta dei governatori del Nord di sottoporre a quarantena gli studenti cinesi che tornavano nelle scuole in Italia. L’eventuale razzismo insito in quella proposta andava corretto, estendendola non annullandola: tutti (italiani, cinesi, svizzeri e ostrogoti) che erano passati per la Cina andavano identificati e sottoposti a quarantena.

    La realtà è che molto a lungo il problema Covid-19 è stato visto da noi come se fosse solo un problema interno alla Cina, malgrado che Burioni e altri esperti continuassero a suonare il campanello d’allarme. A un certo punto addirittura ha preso piede lo slogan “Milano non si ferma”, lanciato dal sindaco Sala e raccolto non solo dallo sfortunato Zingaretti, ma anche da Salvini e in parte da Zaia.

    Solo il presidente Fontana è rimasto fermo su una posizione rigida avendo coscienza di quello che stava fermentando in Lombardia. D’altra parte, tutta l’esperienza cinese di lotta al virus nella sua estrema durezza ci dice che in una situazione nella quale non c’è vaccino e non ci sono nemmeno allo stato farmaci incisivi l’unica cura è il blocco di quasi tutto.

    Il governo è arrivato molto tardi a questa convinzione e per di più la sta attuando non con un provvedimento globale, ma a pezzi e a bocconi, lasciando sempre buchi in seguito a una estenuante contrattazione con le categorie economiche e in primo luogo con la Confindustria sviluppata in prima persona dal presidente del Consiglio, con procedure francamente al limite del grottesco attraverso la presentazione di più decreti nel cuore della notte.

    Anche stavolta in occasione di quest’ultimo decreto che avrebbe dovuto segnare il blocco di tutto c’è stato un imbarazzante mercato delle vacche con risultati assai discutibili. Ma non possiamo sottacere l’estrema gravità di quello che è successo a Bergamo e a Brescia. In quelle località la situazione era da subito così grave che si sarebbe dovuto procedere con grande velocità alla loro chiusura in zona rossa come è stato fatto per gli undici comuni intorno a Codogno e a Vò.

    Non lo si è fatto per una ragione che in altri tempi sarebbe stata chiamata “una scelta di classe”. Questa scelta di classe è consistita nel mantenere in atto larga parte delle attività industriali e dell’edilizia su richiesta della Confindustria. Così si è concentrata la polemica su coloro che fanno jogging. Certamente una parte di essi, quelli che procedono a gruppi, fanno dei danni. Figurarsi però i danni che possono derivare, in modo ovviamente del tutto involontario, da coloro che lavorano nello spazio ristretto delle fabbriche e dei cantieri.

    Per di più siccome è stato commesso il gravissimo errore di non fare più un uso generalizzato dei tamponi, può accadere benissimo che una parte dei lavoratori, giovani e forti, che lavorano in fabbrica, sono asintomatici per cui tornano a casa e contagiano padri e nonni.

    In più una delle possibili spiegazioni del livello elevatissimo di contagi e di letalità al Nord dipende dal fatto che siccome in quell’area c’è una concentrazione estrema di lavoro industriale e agricolo la diffusione delle polveri sottili e di altri inquinamenti indebolisce le difese immunitarie e su ciò si sta innestando con maggiore forza l’azione del virus.

    A tutto ciò si sono aggiunti altri due tragici errori, quello di non aver fatto tamponi su medici e infermieri e di averli mandati allo sbaraglio senza mascherine. Si è cominciato a respirare mascherine e respiratori a fine febbraio, non dall’inizio di gennaio.

    Evidentemente, purtroppo, la storia si ripete: nella Prima Guerra Mondiale Cadorna e i suoi generali mandavano i fanti a morire contro i reticolati e le mitragliatrici, adesso noi abbiamo mandato medici e infermieri a infettarsi e magari morire non munendoli nemmeno della indispensabile protezione.

    *Presidente di Riformismo e Libertà, ex presidente della commissione affari esteri della Camera

     

  • Piacenza sempre più in emergenza, escalation contagi

    Sono numeri da incubo quelli di Piacenza rispetto all’emergenza coronavirus. “Siamo la Bergamo emiliana”, scrive nell’editoriale di prima pagina il direttore del quotidiano Libertà, il giornale della città, Pietro Visconti. La “terra di passo”, la provincia emiliano-romagnola più vicina (non solo geograficamente) alla Lombardia, continua a pagare un tributo altissimo, di gran lunga superiore al resto della regione. Oggi (18 marzo n.d.r.) 12 morti che portano il totale a 201 con un’escalation da pelle d’oca: 13 deceduti mercoledì 11 marzo, 15 giovedì, 14 venerdì, 24 sabato, altri 24 domenica, 23 lunedì e 26 ieri. Piacenza piange in sostanza metà delle vittime dell’intera Emilia-Romagna. E c’è perfino chi si è peritato di confrontare questo macabro bollettino, con quello delle vittime piacentine della Grande Guerra che, nel suo anno più tragico, il 1917, fece registrare 33 morti a febbraio e 100 a marzo. Molti gli amministratori pubblici e i sindaci contagiati, compreso il primo cittadino del capoluogo Patrizia Barbieri, mentre l’ultimo della serie è quello di Gossolengo, Gabriele
    Balestrieri. I sindaci, ieri, dopo 25 giorni di battaglia hanno rilanciato l’accorato appello ai cittadini “restate a casa” con una locandina condivisa da tutti e 46 i comuni della provincia e con una frase rubata ai Tre Moschettieri di Dumas: “Tutti per uno e uno per tutti. Uniti noi resistiamo, divisi noi cadiamo”.
    Nel suo ennesimo appello ai cittadini Patrizia Barbieri, che è anche presidente dell’amministrazione provinciale, ha fatto riferimento alle durissime parole pronunciate da un medico dell’ospedale di Piacenza, la dottoressa Raffaella Bertè, che ha definito “farabutti, persone senza cuore, egoisti” coloro i quali continuano a fare la propria vita nonostante divieti e raccomandazioni. Eppure nei giorni scorsi le forze dell’ordine hanno fermato e denunciato altre 38 persone (che vanno ad aggiungersi alle 154 finite nei guai in precedenza) che circolavano senza un giustificato motivo, soprattutto giovani: chi si è radunato per fumare hashish, chi per estemporanei aperitivi, chi (dopo aver scavalcato la recinzione di un impianto sportivo) per giocare a calcetto, senza contare una decina di prostitute in attesa di clienti nel quartiere a luci rosse della Caorsana. Intanto si aspetta la realizzazione di un ospedale da campo nell’area dell’ex Arsenale dell’Esercito, interamente riservato ai contagiati. L’annuncio era stato dato dal commissario regionale alla Sanità, Sergio Venturi nella videoconferenza di lunedì 16 marzo e in base a quanto si è potuto informalmente sapere fino ad ora, i posti-letto saranno circa 40, non tutti di terapia intensiva. Dopo i sopralluoghi è iniziato oggi l’allestimento e la struttura dovrebbe essere pronta entro il prossimo weekend.

     

  • Il virus avanza tra notizie confuse e regole poco rispettate

    Poliziotti, infermieri, vigili, volontari, farmacisti, addetti alle attività di prima necessità, tutti quelli che sono a contatto diretto con gli altri, quelli che devono salvare, curare, nutrire, controllare, alimentare sono per la maggior parte sprovvisti del principale presidio: la mascherina, per evitare il diffondersi del virus. Fino a qualche giorno fa ci dicevano  che non era necessario portarla, ora se ne è compresa la necessità, che  diventa più o meno obbligatorio usarla per uscire, ma le mascherine non ci sono neppure per i molti che sono al fronte, una guerra in trincea ma senza protezioni. In questi giorni abbiamo visto un fai da te di tutti i tipi, mascherine per dare il verderame alle viti, per muratori, per puericultura, mascherine fatte di plastica, il materiale sul quale vive più a lungo il virus, mascherine di stoffa di vario tipo, mascherine fatte con la carta forno dietro la sciarpa o ricavate da pannolini per bambini o da assorbenti femminili. Sarebbe comico se non fosse tragico, a Malpensa dicono ci sono 5 milioni di mascherine da sdoganare, sarà vero? Di chi sono veramente? Un importante commerciante mi segnala che ne potrebbe avere in pochi giorni un milione ma non sa  e né come proporle chi contattare perché è difficile comunicare con gli enti preposti all’acquisto e comunque il costo è di 8,30 euro l’una, i costi sono molto alti e rimane il fatto che,nonostante donazioni varie i privati non ne trovano e molti sanitari non ne hanno!

    Difficile capire qual è la realtà tra cose dette con il contagocce e altre notizie che arrivano da canali diversi, sta di fatto che, di giorno in giorno, la situazione si aggrava se, come dicono alcuni ricercatori della società italiana di medicina ambientale, in collaborazione con le università di Bologna e Bari, i virus possono rimanere nell’aria per diverso tempo utilizzando come vettore di trasporto e diffusione il particolato atmosferico. Il che potrebbe valere anche per il Covid-19. A loro avviso esiste una relazione tra la forte diffusione del virus a fine febbraio inizi marzo e il i superamento dei limiti stabiliti di concentrazione di PM 10.

    Il virus ha colpito ovunque ma mentre abbiamo qualche notizia su alcuni paesi europei, sugli Stati Uniti e la Cina, tutto tace sull’Africa e il Sud America e l’Africa preoccupa per la sua vicinanza, per l’immigrazione, per le gravi carenze sanitarie, per i turisti italiani, europei che fino a ieri sono andati e venuti. II virus non si ferma e non si fermano neppure troppe persone che non hanno capito la realtà, la vita è cambiata e sopravviverà solo chi avrà la capacità di adattarsi, come è sempre stato. Anche oggi, la mattina presto, la metropolitana di Milano era affollata, altro che metro di distanza gli uni dagli altri, chi non ha capito, chi deve comunque trovare il modo di guadagnarsi da vivere e il contagio continua. Poi ci sono i senza tetto, le persone senza documenti che per questo non possono ancora essere accolte nei ricoveri, quanto virus viaggia libero sulle nostre false libertà e norme inadeguate?

    A Bergamo è ufficiale: non ci sono più letti negli ospedali, le persone muoiono a casa, qualunque cifra di decessi o contagiati è relativa rispetto alla realtà. In Emilia Romagna nuovi comuni blindati, nuove zone rosse per contenere il contagio, perché non si è chiusa Bergamo quando si era ancora in tempo? Il virus scende verso sud anzi e già lì pronto ad esplodere mentre la Calabria ha tremato sotto le scosse di un nuovo terremoto.

    Continuano le trasmissioni di approfondimento, qualcuna è lo spettacolo dell’ovvio e dell’orrore, ripetizioni di cose dette e ridette, scenari tristi di piazze e vie vuote e deserte dove solo qualche giorno fa camminavamo. Se dobbiamo stare in casa è ovvio che siano vuote le città, perché continuare a farci vedere la desolazione, a farci rimpiangere un mondo perduto? Perché darci notizie inutili o farci ascoltare commenti di chi ne sa meno di noi? Anche la morte, il dolore, la paura sono spettacolo, non capiremo mai? Non possiamo accompagnare i nostri morti, non possiamo essere vicini a chi ci sta lasciando, possiamo applaudire da lontano tutti coloro che sono sul campo per salvare vite o per essere di supporto a chi salva vite e anche chi fa le pulizie negli ospedali o riempie i banchi del supermercato si occupa della nostra vita. A tutti il nostro Grazie e ciascuno di noi faccia quello che gli compete, prima di tutto rispettare le regole.

  • Coronavirus, morto il dott. Roberto Stella, Presidente dell’Ordine dei medici di Varese

    Caduto sul fronte della lotta al virus per salvare tante persone anche il presidente dell’Ordine dei medici di Varese, dottor Roberto Stella, un altro medico che fino all’ultimo di è dedicato con coraggio alla sua missione. Nel ricordarlo ci auguriamo che alla fine del tunnel lo Stato sappia dare a tutti coloro che sono morti, sacrificandosi per difendere la vita degli altri, il giusto riconoscimento e non dimentichi le loro famiglie.

  • L’emergenza si previene non si insegue

    Prevenire meglio che reprimere o prevenire meglio che curare sono due modi di dire molto conosciuti ma forse ignoti ad alcuni di coloro che dovrebbero essere preposti alla guida del loro paese. Ovviamente per quanto riguarda la Cina, sapendo il sistema che governa, non potevamo che aspettarci quello che è successo mentre per i paesi europei sono mancati sia una prevenzione concreta che un coordinamento ed anche l’Oms si è più basata sui dati inesatti, forniti dai cinesi, che sulla realtà scientifica che potevano dedurre anche da precedenti avvenimenti. In Italia risultano assolutamente sproporzionate per difetto le misure di prevenzione che dovevano partire immediatamente, come l’obbligo di quarantena per tutti coloro che provenivano dalla Cina, a qualunque nazionalità appartenessero, con il controllo del passaporto nessuno sarebbe scappato alla verifica anche se non arrivava con un volo diretto, come succede nella maggior parte dei casi. Sembrano, al momento, altrettanto sproporzionate per eccesso le misure di isolamento di intere aree, misure per altro prese dopo che gli abitanti si erano già abbondantemente recati in altre località per fare scorte alimentari. Ora ci troviamo di fronte ad alcune realtà prevedibili, vi sono pazienti asintomatici, vi potrebbero essere anche portatori sani, in Italia troviamo molti casi perché di stanno facendo quei controlli che non si fanno in altri paesi europei, il virus si è diffuso tra persone che non sono state in Cina né hanno avuto contatto con chi proviene dalle aree cinesi contagiate e non si trova ancora il paziente zero. Manca anche un dato che sarebbe importante sapere e cioè quante sono, tra le persone trovate positive al coronavirus, quelle che avevano fatto il vaccino antinfluenzale e quali sono le loro reazioni fisiche.

    Se da un lato è importante che i cittadini siano messi, minuto per minuto, al corrente di quanto avviene c’è però da evidenziare che in alcuni casi si sta fomentando il panico con gravi conseguenze sul piano emotivo. Guardando ai dati di precedenti situazioni simili ricordiamo che per la Sars vi sono stati 801 decessi, 229 per l’epidemia influenzale H1N1 del 2009 e che quest’anno per influenza sono già morte 24 persone.

    Presumibilmente con il coronavirus dovremo vivere per qualche tempo perciò è necessario che le forze politiche di attrezzino sia a lavorare insieme su questo problema sia ad essere più accorte, ascoltati gli scienziati, medici e ricercatori, nel promuovere iniziative per contenere l’epidemia e per non vessare inutilmente le persone creando anche altri problemi ad un’economia già in crisi. Se per dipendenti, pubblici o privati, vi sono ammortizzatori sociali che possono essere attivati non si dimentichino i piccoli commercianti, gli artigiani, i professionisti, gli agricoltori privi di qualunque paracadute economico. Si ha purtroppo la sensazione di una costante improvvisazione di fronte ad un’emergenza che doveva essere, dalle prime notizie che arrivavano dalla Cina, contemplata come possibile.

    Ora cerchiamo di tenere la testa a posto sia come singoli cittadini che come operatori nei vari settori, dalla politica all’informazione e cerchiamo, d’ora in avanti, di prevenire e non inseguire l’emergenza come è avvenuto purtroppo all’ospedale di Codogno.

  • Qualche dato su pandemie e influenze…

    SPAGNOLA

    L’influenza spagnola, altrimenti conosciuta come la grande influenza o epidemia spagnola, fu una pandemia influenzale, insolitamente mortale, che fra il 1918 e il 1920 uccise decine di milioni di persone nel mondo, la prima delle due pandemie che coinvolgono il virus dell’influenza H1N1. Essa arrivò ad infettare circa 500 milioni di persone in tutto il mondo, inclusi alcuni abitanti di remote isole dell’Oceano Pacifico e del Mar Glaciale Artico, provocando il decesso di 50-100 milioni (dal tre al cinque per cento della popolazione mondiale dell’epoca). La letalità le valse la definizione di più grave forma di pandemia della storia dell’umanità: ha infatti causato più vittime della terribile peste nera del XIV secolo.

    Il tasso di mortalità globale della pandemia di influenza spagnola non è noto, ma si stima che dal 10% al 20% di coloro che sono stati contagiati sia deceduto. Con circa un terzo della popolazione mondiale infetta si può supporre che tra il 3% e il 6% dell’intera popolazione mondiale sia morto. L’influenza può aver ucciso fino a 25 milioni di persone nelle prime 25 settimane. Stime più datate dicono che ha causato tra i 40 e i 50 milioni di decessi, mentre le stime più attuali stimano questo numero oscillante tra i 50 e 100 milioni.

    In Europa, il diffondersi della pandemia fu aiutato dalla concomitanza degli eventi bellici relativi alla Prima Guerra Mondiale. Nel 1918, il conflitto durava ormai da quattro anni ed era diventato una guerra di posizione: milioni di militari vivevano quindi ammassati in trincee sui vari fronti favorendo così la diffusione del virus. I dati storici ed epidemiologici sono inadeguati per identificare l’origine geografica della pandemia. Si ritiene che sull’influenza spagnola abbia avuto un’implicazione la comparsa, negli anni ‘20, dell’encefalite letargica.

    SARS

    La malattia, identificata per la prima volta dal medico italiano Carlo Urbani (poi deceduto a causa della stessa), produsse un’epidemia lungo un arco temporale che andò dal novembre 2002 al luglio 2003, determinando 8.465 casi segnalati nel mondo e 801 decessi accertati in 17 Paesi (per la maggior parte nella Cina continentale e ad Hong Kong), per un tasso di letalità finale del 9,6%. Dal 2004 non si sono più segnalati altri casi di SARS in alcuna parte del mondo. Questa malattia fu causata da un coronavirus (così chiamato per la sua apparenza al microscopio) che sul finire del 2017 gli scienziati cinesi hanno rintracciato nei pipistrelli comunemente noti come ferri di cavallo, con gli zibetti quali vettori intermediari.

    N1H1

    La pandemia influenzale del 2009 (chiamata anche influenza A/H1N1 o febbre suina), causata da una variante fino ad allora sconosciuta del virus H1N1, è stata una pandemia che ha causato centinaia di morti e decine di migliaia di contagi nel mondo, concentrati per la maggior parte nel continente americano.

    Il comunicato emesso dal Ministero della Salute fissava a 229 il numero di «vittime collegate alla nuova influenza» che, in rapporto al numero stimato dei casi (4.391.000) corrisponde a una letalità di circa lo 0,005 %, quasi cento volte meno rispetto a quella della passata influenza H3N2.

    INFLUENZA STAGIONALE

    L’influenza stagionale 2020 è in fase di remissione, il numero di contagi – infatti – è in calo: il picco è alle spalle, mentre sale quello dei casi gravi (118 persone) e dei morti (24 casi). Nell’ultima settimana 656.000 italiani sono finiti a letto, per un totale, da metà ottobre a oggi, di circa 5.632.000 casi. Le regioni maggiormente colpite sono state: Lombardia, Marche, Abruzzo e Basilicata.

  • Ammalarsi non è un lusso possibile solo a chi è lavoratore dipendente

    In via di estinzione Cipputi, ormai poco sostenibile su larga scala lo stesso lavoro dipendente, il sistema di welfare resta di stampo novecentesco, calibrato su un mondo che non c’è più (almeno non in quelle dimensioni). La maggior parte dei modelli tradizionali di protezione social restano concepiti per tutelare chi ha un contratto come dipendente e così chi non ha come perno della propria esistenza il 27 del mese rischia di veder trasformare anche un semplice raffreddore in un problema.

    Per i giorni di convalescenza e riposo a casa certificati dal medico di famiglia, la cosiddetta malattia domiciliare, chi è iscritto alla Gestione Separata dell’Inps ha diritto a un’indennità giornaliera, a partire dal quarto giorno di assenza sul luogo di lavoro e fino a un massimo di 61 giorni nell’arco dell’anno. Esattamente come nel caso di un lavoratore dipendente , non si deve far altro che recarsi dal proprio medico entro 48 ore e assicurarsi che si trasmetta il certificato di malattia per via telematica all’Inps (la modalità è consolidata perché è la stessa utilizzata per i lavoratori dipendenti). Se poi, entro 30 giorni dalla ripresa dell’attività lavorativa si ha una ricaduta, il medico deve inviare un nuovo modulo, indicando che il lavoratore è costretto ad assentarsi a causa di un evento riconducibile alla precedente malattia. Per chi invece non ricade sotto l’Inps (gestione ordinaria o separata) la soluzione proviene dal mercato e si chiama polizza assicurativa. Costa? Sì, ma anche i contributi che si versano all’Inps costano. E chi si affida al mercato, via che non è preclusa neppure a chi ricade sotto la Gestione Separata dell’Inps, ha maggiore autonomia nello scegliere quale e quanta protezione desidera in caso non possa essere produttivo.

    Per i lavoratori autonomi iscritti alla Gestione Separata dell’Inps con un reddito imponibile non superiore a 70mila euro lordi, l’indennità corrisposta in caso di malattia è calcolata in base ai contributi versanti nei 12 mesi antecedenti all’evento. Per la malattia domiciliare si va da un minimo di 11 (per chi ha 3 mesi di contributi) a un massimo di 22 (per chi ha 12 mesi di contributi) euro netti al giorno. Per i ricoveri ospedalieri e le patologie gravi la somma raddoppia: da 22 (per chi ha 3 mesi di contributi) a 44 (per chi ha 12 mesi di contributi) euro netti al giorno. I periodi coperti da indennità di malattia, sia domiciliare sia ospedaliera, non sono però conteggiati per il calcolo della pensione. Nel caso di polizze assicurative, chi stipula la polizza può valutare quali eventi coprire e quale indennizzo prevedere nel caso.

  • I senza casa sono più esposti a malattie e costano alla collettività

    Non avere una casa provoca danni alla salute simili alla demenza senile, specialmente se si è in là con gli anni. Un’analisi di Margot Kushel, che dirige un centro per l’assistenza a popolazioni vulnerabili a San Francisco, ha diagnosticato che gli homeless dimostrano a 60 anni condizioni di cattiva salute tipiche di norma di chi di anni ne ha 80. Oltre alla depressione, chi non ha casa soffre di mancanza di sonno, alcolismo e/o diabete ed è più esposto a ictus, infarto e malattie polmonari. Nella sola Los Angeles, secondo l’Università della Pennsylvania, curare le malattie dovute alla mancanza di un tetto può costare 621 milioni di dollari l’anno da qui al 2030, più di quanto costerebbe dare una casa ai senza tetto a carico della comunità (il costo annuo per la California sarebbe di 588 milioni di dollari). Il governatore della California Gavin Newsom aveva in effetti pesato di stanziare 500 milioni del budget per i senza tetto, ma l’iniziativa è apparsa incongrua agli americani e anche un successivo provvedimento più blando tentato dallo stesso governatore è stato impugnato davanti alla Corte costituzionale dalle grandi aziende che sarebbero state tassate per recuperare risorse per gli homeless.

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