Marche

  • Umbria e Marche attendono la ricostruzione post-terremoto e scatta la ‘guerra tra poveri’ con Genova

    Le aree di Umbria e Marche colpite dal terremoto dell’ottobre 2016 erano in attesa di veder ricostruito quando andato a pezzi già da un paio d’anni al momento in cui il collasso del Ponte Morandi a Genova ha catalizzato l’attenzione nazionale.

    Cinquecentoquarantanove milioni di euro la somma che Anas nelle Marche ha messo a disposizione per la ricostruzione  delle strade devastate, 45% la percentuale di edifici (10mila in tutto) seriamente danneggiati dal sisma in Umbria, gli abitanti delle due Regioni avevano già manifestato prima del crollo del viadotto genovese per ricordare di essere ‘in lista di attesa’ per il ripristino della normalità nel proprio territorio. I coltivatori hanno sfilato più volte a bordo dei loro trattori per chiedere la riapertura delle strade, ma la statale 685, principale via di collegamento tra le due Regioni, è aperta soltanto per alcune ore al giorno, mentre coloro che stanno operando per rimettere in sesto quanto andato distrutto si trovano a loro volta privi di strutture, se non ambulanti, dove consumare un pasto (qualche ristorante sta iniziando però a riaprire in strutture fisse).

    Mentre 80 persone su 1176 rimaste senza tetto sono tuttora domiciliate in container, a Castelluccio si sono appena conclusi i lavori di demolizione preliminare alla costruzione di nuovi edifici, le Regioni Marche e Umbria hanno deciso di portare davanti alla Corte costituzionale il decreto Genova varato dal governo Conte: al di là dei suoi tecnicismi, il ricorso esprime il timore di essere dimenticati o bypassati. Il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli potrebbe essere destituito nel rimpasto di governo di cui si vocifera ormai da qualche tempo e atteso, in caso, dopo la manovra economica, la guerra tra ‘poveri’ è intanto già cominciata.

  • Il Paese è andato a pezzi e resta a pezzi da anni, qualcuno se lo ricordi prima del 4 marzo

    In questi giorni il presidente della Repubblica ha reso omaggio al Belice che 50 anni fa è stato travolto da un sisma che causò 300 vittime. Nell’occasione i sindaci dei Paesi terremotati hanno rivolto un augurio e un invito «a non mollare» ai Paesi delle Marche e del Lazio stravolti dai terremoti del 2016, Paesi i cui cittadini ancora attendono le casette di legno promesse e mai arrivate e lo sgombero delle macerie.

    Gli abitanti di Amatrice, Accumuli e di tutti gli altri Paesi così duramente provati hanno reagito e continuano a reagire, ma è difficile immaginare quale possa essere la loro aspettativa e speranza di ritornare in tempi brevi a una minima normalità se, a distanza di 50 anni dal sisma del Belice, ancora vi sono strade d’accesso ai Paesi terremotati quasi impraticabili e rimangono cumuli di macerie. Il governatore della Sicilia Nello Musumeci e l’assessore ai Beni culturali Vittorio Sgarbi si sono detti pronti, dopo l’appello del cantautore Nello Amalfino davanti al presidente della Repubblica, a firmare un decreto su una parte delle macerie ancora ammassate.

    Come è concepibile che a 50 anni di distanza, mentre gli italiani nelle varie tasse e balzelli che pagano hanno ancora voci dedicate ai disastri tragici avvenuti negli anni, vi siano ancora strade impraticabili e macerie ammassate in uno Stato come l’Italia che fa parte del G8 ed è cioè ritenuta una delle potenze economiche del mondo? Se questo è il passato, quale sarà il futuro dei Paesi terremotati di Marche e Lazio? Vorremmo sentire parlare anche di questo dai tanti candidati leader delle prossime elezioni, vorremmo che, alla luce dei loro annunciati propositi di voler abolire tante cose, cominciassero ad abolire anzitutto lo scempio, il malcostume, l’indifferenza, la negligenza e il disprezzo che troppa politica pratica nei confronti dei cittadini.

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