medici

  • In Italia il tasso di aborti è tra i più bassi al mondo

    In Italia il tasso relativo alle interruzioni volontarie di gravidanza (ivg) è tra i più bassi al mondo. Lo confermano i dati dell’ultima Relazione al Parlamento sull’attuazione della legge 194/78 sulle ivg, che evidenziano come gli aborti nel nostro Paese continuino a calare. Nel 2020 le ivg sono state poco più  di 66mila, il 9,3% in meno rispetto al 2019. Il calo s’è registrato in tutte le aree geografiche e fasce d’età, soprattutto in quelle più giovani e tra le straniere. Il tema dell’aborto resta tuttavia al centro del dibattito politico e non solo, ed oggi arriva la presa di posizione dell’influencer Chiara Ferragni, che schierandosi contro FDI parla di ‘rischi di politica anti-aborto’. Una affermazione ‘falsa’, è la replica del partito, mentre i Dem plaudono alla Ferragni.

    La fotografia scattata dall’ultima Relazione al Parlamento evidenzia comunque come le ivg siano in netta diminuzione tra le donne italiane.  La Relazione raccoglie i dati del Sistema di Sorveglianza, da cui emerge che, in totale, nel 2020 sono state notificate 66.413 ivg con un tasso di abortività pari a 5,4 ogni mille donne tra i 15 e 49 anni (in calo del 6,7% sul 2019 ), un dato tra i più bassi a livello internazionale.

    Al contempo, si è leggermente ridotta la percentuale di personale medico e non medico che esercita il diritto all’obiezione di coscienza all’esecuzione dell’interruzione di gravidanza. I valori restano tuttavia elevati: l’obiezione riguarda 2 ginecologi su 3 e quasi 1 anestesista su 2, con picchi superiori all’80% in alcune regioni. Secondo la Relazione, nel 2020, la percentuale di ginecologi obiettori su scala nazionale è scesa al 64,6% rispetto al 67% dell’anno precedente. Esistono, tuttavia, ampie differenze regionali. Nella provincia autonoma di Bolzano esercita il diritto all’obiezione l’84,5% dei ginecologi, in Abruzzo l’83,8%, in Molise l’82,8%, in Sicilia l’81,6%, in Basilicata l’81,4%. I minori tassi di obiezione tra i ginecologi si riscontrano in Valle d’Aosta (25%), nella PA di Trento (35,9%) e in Emilia Romagna (45%).

    Più basso il tasso di obiezione tra gli anestesisti: nel 2020 è il 44,6% in lieve aumento rispetto al 43,5% del 2019. Anche in questo caso si registrano ampie differenze regionali: si va dal 20% della Valle d’Aosta al 75,9% della Calabria. Tra il personale non medico, l’obiezione si attesta al 36,2% (era al 37,6% nel 2019) con una forbice dal 13% della Val d’Aosta al 90% del Molise.

    “Permane elevato il numero di obiettori di coscienza per tutte le categorie professionali sanitarie, in particolare per i ginecologi (64,6%). L’organizzazione dei servizi Ivg deve essere tale che vi sia un numero di figure professionali sufficiente da garantire alle donne la possibilità di accedere all’interruzione volontaria di gravidanza, come indicato nell’articolo 9 della legge n. 194/78. Questo dovrebbe essere garantito dalle Regioni, per tutelare il libero esercizio dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne e l’accesso ai servizi Ivg e minimizzare l’impatto dell’obiezione di coscienza nell’esercizio di questo diritto”, ha scritto nelle conclusioni alla Relazione il ministro della Salute Roberto Speranza.

  • Trapianti in aumento, record di donatori Covid

    L’Italia segna un record nel campo dei trapianti: è stato il primo Paese al mondo a rendere possibile l’uso di organi da donatori positivi al Sars-Cov-2. E oggi è in cima alla classifica globale per numero di trapianti da donatori Covid: 21 nel 2021, in aggiunta ai 7 di fine 2020, tutti andati a buon fine. Il dato emerge dal rapporto della Rete nazionale trapianti sul 2021 pubblicato dal Centro nazionale trapianti (Cnt).

    In totale i trapianti eseguiti in Italia lo scorso anno sono stati 3.794, di cui 3.417 da donatore deceduto (+9% sul 2020) e 377 da donatore vivente (+24%). Il 2021, spiega nel Rapporto il direttore generale del Centro Nazionale Trapianti, Massimo Cardillo, “è stato l’anno della ripresa post-pandemica”. Per Cardillo la Rete trapiantologica italiana “ha dimostrato ancora una volta di essere solida e resiliente, anche rispetto all’esperienza di altri Paesi. Questi risultati sono stati ottenuti nonostante il Covid-19 non abbia allentato la sua pressione sui nostri ospedali”.

    Segnali positivi arrivano da tutti i principali indicatori del processo di donazione. In particolare, i donatori utilizzati a scopo di trapianto sono stati 1.387 rispetto ai 1.235 del 2020 e ai 1.379 del 2019. Allo stesso modo è salito il tasso di donazioni utilizzate per milione (Pmp), che nel 2021 è stato pari a 23,3, dato “estremamente incoraggiante se confrontato con quello registrato nel 2020 (20,5) ma anche con il dato del 2019 (22,8), anno in cui avevamo rilevato la seconda migliore performance di sempre”, si legge nel Rapporto.

    In Italia sono 11.958.916 i cittadini hanno registrato la propria dichiarazione di volontà sulla donazione di organi e tessuti dopo la morte nel Sistema Informativo Trapianti (Sit). L’86,6% di tutte le dichiarazioni di volontà presenti nel Sit sono state registrate nei Comuni al momento del rilascio o del rinnovo della carta d’identità, l’11,8% sono raccolte dall’Aido (Associazione italiana per la donazione di organi, tessuti e cellule) e l’1,6% dagli sportelli Asl.

    Nei Comuni, in particolare, nel 2021 sono state raccolte 3.201.540 dichiarazioni di volontà, di cui 2.204.318 consensi e 997.222 opposizioni. Sono stati invece 214 gli ospedali italiani nei quali sono stati reperiti i 1.387 donatori deceduti utilizzati nel 2021.

    Dati positivi anche per le liste d’attesa per un trapianto, che al 31 dicembre 2021 ospitavano 8.065 pazienti con un calo del 2,69% rispetto al 2020. In particolare si registra “un calo notevole” per le liste d’attesa di pancreas (-9,45%) e rene (-2,87%) rispetto agli altri organi (-1,57% per il polmone, -0,91% per il cuore, -1.62% per il fegato). I tempi medi di attesa per ciascun organo nelle liste standard vanno da 3,7 anni per il trapianto di cuore a 1,7 anni per il fegato, che si riducono per i pazienti in lista d’urgenza nazionale a 18 giorni per il cuore e meno di 2 per il fegato.

    Secondo Cardillo, che sottolinea “il grande impegno dei sanitari, soprattutto quelli in servizio nelle terapie intensive, e nei centri trapianto”, il rapporto dimostra che “il sistema è maturo” per affrontare le sfide del futuro e l’accesso alle risorse del Pnrr “potrà aiutare a migliorare l’architettura tecnologica e quindi la capacità di risposta alle esigenze dei cittadini”.

  • Tre sei nove…Trecentosessantanove

    Questo è il numero dei medici ospedalieri delle strutture sanitarie italiane che hanno perso la vita specialmente durante il primo periodo di esplosione della pandemia. Un numero decisamente inaccettabile e troppo spesso legato ad una assoluta inadeguatezza di supporti tecnologici ed igienici per la loro tutela dovuti al  mancato adeguamento ed aggiornamento del protocollo pandemico le cui responsabilità ancora oggi rimangono un mistero.
    Il loro sacrificio rimane una pietra miliare del senso di abnegazione di chi in prima linea ha affrontato la crisi pandemica e contemporaneamente rappresentano l’espressione, loro malgrado, della assoluta  incapacità di previsione e di adeguamento dei protocolli sanitari all’emergenza da parte delle autorità sanitarie nazionali, tutte in capo al ministro della Sanità dei diversi governi Conte e Draghi.
    L’estremo sacrificio di queste persone ha lasciato nella disperazione le famiglie a causa della morte del congiunto  durante l’esercizio della propria professione all’interno di strutture sanitarie pubbliche ma anche per le conseguenze economiche poiché spesso le famiglie sono state private della principale fonte di sostentamento.

    Entrati ormai all’interno del terzo anno di pandemia e con un fiume di risorse di fonte europea pronti a finanziare progetti di valutazione sismica dei siti di culto o la compatibilità ambientale di teatri il senato non ha, senza una minima vergogna, convertito in legge quanto approvato in commissione, cioè il risarcimento di 100.000 euro a favore delle famiglie dei medici deceduti giustificando questa scelta con una mancanza di copertura finanziaria.

    Trentasei milioni e novecentomila (36.900.000) euro era la somma indicata per assicurare un indennizzo di centomila euro (100.000) alle famiglie dei caduti nell’esercizio del proprio lavoro. Solo per un confronto impietoso alla Regione Veneto vengono assegnati ventisette (27) milioni per le piste ciclabili suscitando la soddisfazione del presidente Zaia quando si sarebbero potute risarcire con la medesima somma duecentosettanta (270) famiglie di medici deceduti. Si pensi, poi, al Lazio con oltre trecento (300) milioni.

    Se ancora esistesse una minima sensibilità in capo ai vertici istituzionali uno dei presidenti di Regione dovrebbe vincolare l’accettazione dei legittimi finanziamenti al reperimento della copertura dei 36.900.000 destinati alle famiglie dei medici.

    Ovviamente i canali di finanziamento non possono essere intercambiabili ma la possibilità per una classe politica regionale e statale di dimostrare un minimo di sensibilità per i nostri “caduti” nell’adempimento del proprio lavoro si poteva anche attendere: all’infinito sembra.

    Nel breve volgere di meno di tre anni i caduti nelle corsie ospedaliere sono stati definiti prima degli “eroi” per poi raggiungere il ruolo di “dimenticati” e successivamente indicati come un “costo insostenibile” e privo di copertura.

    Questi i valori odierni espressi dalla classe politica.

  • Unione europea della salute: un ruolo più incisivo per l’Agenzia europea per i medicinali

    Nell’ambito dei lavori in corso per costruire un’Unione europea della salute forte, il Consiglio ha adottato il regolamento relativo al riesame del mandato dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA), compiendo un importante passo avanti verso il rafforzamento dell’EMA nella preparazione alle crisi e nella loro gestione in relazione ai medicinali e ai dispositivi medici. Le nuove norme consentiranno all’Agenzia di monitorare attentamente e mitigare le carenze di medicinali e dispositivi medici durante eventi gravi ed emergenze di sanità pubblica, nonché di agevolare una più rapida approvazione dei medicinali che potrebbero curare o prevenire una malattia che causa una crisi di sanità pubblica. L’adozione di un mandato rafforzato dell’EMA fa parte del pacchetto sull’Unione europea della salute proposto dalla Commissione nel novembre 2020.

    Grazie al mandato rafforzato l’Agenzia può facilitare una risposta coordinata a livello dell’UE alle crisi sanitarie:

    • monitorando e mitigando il rischio di carenze di medicinali e dispositivi medici critici;
    • fornendo consulenza scientifica sui medicinali potenzialmente in grado di curare, prevenire o diagnosticare le malattie che causano tali crisi;
    • coordinando studi per il monitoraggio della sicurezza e dell’efficacia dei medicinali per la cura, la prevenzione o la diagnosi delle malattie connesse alle crisi di sanità pubblica;
    • coordinando le sperimentazioni cliniche di medicinali per la cura, la prevenzione o la diagnosi delle malattie connesse alle crisi di sanità pubblica;
    • trasferendo all’Agenzia i gruppi di esperti del regolamento sui dispositivi medici.

    La legislazione istituisce inoltre formalmente il gruppo direttivo per le carenze di medicinali e dispositivi medici e la task force per le emergenze, che si occupano dei compiti di cui sopra.

    A seguito della firma ufficiale odierna da parte del Parlamento europeo e del Consiglio, il regolamento sarà pubblicato nella Gazzetta ufficiale. Entrerà in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione e si applicherà a decorrere dal 1º marzo 2022. Le disposizioni del regolamento relative al monitoraggio delle carenze di dispositivi medici, fatta eccezione per il trasferimento dei gruppi di esperti, troveranno applicazione 12 mesi dopo l’entrata in vigore del regolamento.

    Fonte: Commissione europea

  • La scomoda verità pandemica

    La pandemia, e soprattutto il suo continuo rinnovarsi – si sta entrando nel terzo anno ormai e nelle medesime condizioni strutturali – ha senza ombra di dubbio messo a nudo le vere responsabilità della spesa pubblica della medesima classe politica che ora vorrebbe portarci in salvo.

    I numeri impietosi relativi alla gestione “argentina“* della sanità pubblica negli ultimi quindici anni non lasciano alcun dubbio né tantomeno giustificazioni ad una classe politica e dirigente la quale, come un esercito di cavallette, ha sia depatrimonializzato il know how professionale espresso dagli operatori sanitari  quanto diminuito il  valore capitale della struttura, pur aumentando la spesa pubblica generale (si pensi allo sforamento di deficit ottenuto dal Governo  Renzi dalla Ue,) unito  al costante aumento del debito pubblico la cui gestione dal 2015 poteva contare sul quasi azzeramento degli  interessi, per un periodo addirittura  negativi (effetto del Qantitative Easing introdotto  dal presidente della Bce Draghi come sostegno alla economia in stagnazione ), quindi con costi di servizio al debito in forte diminuzione.

    I numeri impietosi ci indicano come all’interno del sistema nazionale sanitario ( SSN) la cittadinanza poteva contare nel 2007 sulla disponibilità di 259.476 posti letto mentre dieci anni dopo (quindi dopo i governi Prodi, 2006/08, Berlusconi, 2008/11, Monti, 2011/13, Letta, 2013/14, Renzi, 2014/16, Gentiloni, 2016/18), nel 2017, il numero di posti letto disponibili si dimostrava diminuito di 45.000 unita (-17%), cioè a 213.669, fino agli attuali 314 ogni 100.000 abitanti, mentre in Germania risultano 800 ogni 100.000.

    Lo stesso numero dei medici è sceso dai 106.800 nel 2007 a circa 101.100 nel 2017, con una flessione quindi del oltre 5.700 unità, e contemporaneamente il personale infermieristico vede una importante diminuzione sempre dal 2007, anno in cui il nostro SSN poteva contare su circa 264.430 unità rispetto ai 253.430 del 2017, a fronte di una quota di spesa pubblica per il SSN sempre in crescita e a fronte delle chiusure di duecento (200) ospedali e riduzione progressiva del personale.

    La stessa spesa pubblica, al netto degli interessi (primaria), passa dal 36,4% del Pil al 41,9% nel 2019, quindi o gli effetti del “risparmio”, identificabile nelle chiusura di strutture sanitarie e nella progressiva riduzione del personale sanitario, non hanno avuto alcun effetto o peggio si è scelto deliberatamente di ridurre la disponibilità per dirottare verso gli operatori privati della sanità ma aumentando i costi della struttura.

    Contemporaneamente a questo costante impoverimento del SSN dal 2010 al 2017 la percentuale di istituti ospedalieri pubblici rappresentava circa il 54% del totale mentre nel 2017 era scesa al 51,8%: infatti gli istituti privati convenzionati ed accreditati passano dal 46% del 2017 al 48,2%.

    A fronte di una parziale dismissione dell’azione del governo nel SSN si registra quindi un aumento della presenza di privati nella gestione di un diritto primario e costituzionalmente tutelato come quello all’assistenza sanitaria (art. 32).

    Emerge evidente come il modello adottato nella sanità pubblica risulti molto simile a quello seguito per la disastrosa “privatizzazione delle concessioni autostradali” tanto caldeggiata dal mondo accademico e politico negli anni ’90.

    Solo la maggiore soglia di competenza richiesta per entrare come operatori privati nel SSN da una parte ha escluso, per nostra fortuna e considerati i risultati gestionali culminati con la tragedia del ponte Morandi, i magliari di Ponzano e contemporaneamente così garantito un minimo sindacale di professionalità rispetto al settore autostradale.

    In altre parole, per garantire la costante ed improduttiva crescita della spesa pubblica la classe politica e governativa ha scientemente deciso di tagliare le risorse per la salute dei cittadini ritenuta di minore importanza rispetto alle spese correnti e di struttura.

    E pensare che ancora oggi si crede che sia stata la cattiva Ue a chiedere di tagliare la spesa sanitaria la quale invece, ancora nel 2018, nel nostro Paese per cittadino risultasse inferiore del -15% alla media europea (2.483 euro a fronte della media europea di 2.884).

    Viceversa la stessa spesa ovviamente risultava insostenibile rispetto ai bassi tassi di crescita della nostra economia ma soprattutto all’esplosione della spesa pubblica corrente, sostenuta dall’insieme di tutti i partiti, sempre in rapporto alla crescita del Pil.

    La pandemia e il relativo stress strutturale del sistema sanitario nazionale hanno solo messo in evidenza le conseguenze di una scellerata gestione della “salute pubblica” operata da una classe politica e dirigente sempre molto affascinata dal modello di gestione “autostrade by Benetton”.

    Gli effetti discutibili della gestione pandemica degli ultimi tre governi sono tuttavia imputabili anche alle scelte politiche negli ultimi vent’anni. E rappresentano il ponte Morandi del nostro SSN.

    (*) modello di depredazione di un sistema pubblico operato per soli fini speculativi

  • I talenti incontrano le eccellenze: riparte il Progetto TIE promosso dall’Enpav

    Scade venerdì 20 dicembre il termine per i Medici Veterinari e per le strutture veterinarie che si rendono disponibili ad accogliere i giovani tirocinanti del progetto TIE Talenti Incontrano Eccellenze. Il progetto formativo è ideato e finanziato dall’ENPAV (Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza Veterinaria) ed è pensato per i giovani laureati in Medicina Veterinaria e consta di un tirocinio professionale della durata di 6 mesi e di un contributo mensile di 500 euro.
    La novità di quest’anno è che si possono candidare anche i professionisti esperti nei settori dell’ippiatria e degli animali da reddito. Tra le strutture veterinarie che possono ospitare i tirocini -oltre a quelle che si occupano di animali d’affezione -sono state incluse quelle dedicate ai cavalli.
    Sul sito enpav.it è pubblicato l‘avviso per la formazione dell’elenco delle strutture e dei professionisti aderenti. Le strutture che si sono già candidate nella precedente edizione dovranno confermare la loro candidatura.
    Gli aspiranti tirocinanti potranno presentare domanda all’inizio del 2020. Per partecipare occorre avere meno di 32 anni, essere iscritti all’Ente ed in regola con i contributi ENPAV, possedere la Partita IVA, non essere inseriti in altri progetti formativi e non aver già usufruito di TIE.

  • Addio al Prof. Dioguardi, grande medico e grande uomo

    Qualche giorno il prof Nicola Dioguardi è mancato all’affetto della sua famiglia e dei tanti, tantissimi, che negli anni avevano trovato in lui non solo il luminare della medicina ma anche l’uomo attento ai turbamenti ed alle preoccupazioni dei pazienti. Fino all’ultimo è stato fedele a se stesso, lontano dalla politica  e dedito alla scienza ed alla conoscenza, indipendente, fiero, qualche volta burbero, sempre pieno di umanità, guardava i malati negli occhi, occhi di una profondità sconcertante, e poneva domande precise per avere risposte precise. In un mondo sempre più tecnologico ed impersonale Dioguardi rappresentava il medico come tutti vorremmo che fosse chi ci deve salvare dal male, e lo ricorderemo come l’abbiamo visto tante volte, serio e curioso, pensieroso e dolce, un grande medico, un grande uomo, un grande amico.

  • L’inversione valoriale delle importazioni

    Nella elaborazione di qualsiasi strategia di crescita economica è fondamentale la valutazione del  valore aggiunto che ogni settore riesce a produrre al fine di individuare quelli in grado di svilupparne maggiormente. E’ infatti quasi superfluo ricordare come qualsiasi prodotto o servizio sia espressione della sintesi di know how industriali e professionali i quali apportano il proprio valore nelle diverse fasi di realizzazione di un prodotto o di un servizio.

    Da questa semplice valutazione vengono elaborate successivamente le diverse strategie economiche che possono divergere ampiamente in quanto ottenebrate dalle ideologie. I sostenitori, con risultati sempre nefasti, delle varie New Economy prima ed ora della app/sharing/Gig Economy, hanno sempre individuato nel sistema industriale/manifatturiero, specialmente italiano, un settore a basso valore aggiunto. Questi illustri esponenti del “mondo dell’innovazione”, poi, sostengono in particolare come le fiere del tessile-abbigliamento-calzaturiero ed arredamento fossero destinate all’estinzione considerando impossibile contrastare la concorrenza dei paesi a basso costo di manodopera. Viceversa i soli settori ad alta tecnologia venivano individuati come gli unici che avrebbero potuto sostenere la crescita economica in quanto espressione di filiere ad “alto valore aggiunto”.

    Leonardo (ex Finmeccanica), infatti, è riuscito in una settimana a trovare l’accordo per mandare in prepensionamento (quindi personale che ancora non aveva maturato i requisiti minimi per la pensione) oltre 1200 dipendenti i cui costi ricadono come sempre sulla collettività (https://www.ilpattosociale.it/2018/04/18/leonardo-doppia-innovazione/). Quindi si utilizzano sempre vecchi strumenti di sostegno ad un settore innovativo!

    Alla Old Economy, come veniva in modo sprezzante indicata il settore industriale, veniva contrapposta anche il settore del turismo e quello “culturale”, entrambi espressione del semplice valore del patrimonio storico italiano come veicoli di formazione e distribuzione di valore aggiunto e non espressione di vere filiere moltiplicatrici del valore. Logica conseguenza di questi superficiali ragionamenti l’inevitabile estinzione delle filiere dei settori manifatturieri e, di conseguenza, l’importazione di questi prodotti “a minimo valore aggiunto” dai paesi a basso costo di manodopera.

    Sarebbe interessante capire allora come venga valutata oggi l’importazione di medici da parte del sistema sanitario regionale Veneto ed in prospettiva italiano. Nello specifico il ricorso all’importazione di  risorse umane, espressione di un prodotto /servizio (quale un medico rappresenta), sintesi di una complessa filiera culturale e formativa. 

    In altre parole il corto circuito strategico economico e culturale creato dalla nostra classe politica dirigente ed accademica, assolutamente fallimentare, ha portato il nostro paese a diventare persino importatore di servizi e professionalità accademiche (ovviamente con contratti di collaborazione a partita Iva) da quei paesi a basso costo di manodopera dove viceversa invitavano i “dotti” a delocalizzare le nostre produzioni industriali.

    Nessuno all’interno del mondo accademico è risultato in grado di analizzare la curva demografica e quindi di  prevedere una volta che i baby boomers fossero arrivati al pensionamento la necessità di nuovi medici per integrarne l’uscita. Un mondo accademico che oltre alla incapacità di valutare queste problematiche che si sarebbero manifestate nel medio lungo termine ha persino introdotto il numero chiuso invece di richiedere maggiori investimenti da parte della classe politica la quale era distratta da problematiche diverse dal finanziare strategie che non avessero un impatto elettorale immediato.

    In più l’università dimostra di venire gestita (al di là di splendide eccezioni) come se rappresentasse un mondo a parte, completamente distonico rispetto alle esigenze del mercato e delle evoluzioni dello stesso Stato italiano.

    Questo corto circuito culturale strategico risulta altresì comico (sempre seguendo i  parametri che hanno guidato la politica economica degli ultimi trent’anni) in quanto siamo arrivati alla paradossale situazione nella quale esportiamo produzione “a basso valore aggiunto” e viceversa importiamo prodotti e servizi complessi cioè sintesi di culture ed apporti professionali e formativi e know how come i medici quindi “ad alto valore aggiunto”. Una vera e propria inversione valoriale delle importazioni, con il ridicolo risultato di avere un “saldo culturale e commerciale negativo ed insostenibile” per il nostro Paese.

    Questo collasso rappresenta un fallimento culturale unico nel suo genere al mondo.

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