medio oriente

  • Il silenzio arabo nella crisi mediorientale

    Credere che un anno fa, il 7 ottobre 2023, sia cominciata una delle più gravi crisi mediorientali rappresenta una visione legittima ma piuttosto limitata e probabilmente viziata da un approccio ideologico. L’inizio di questa crisi sfociata nell’attuale conflitto trae la propria origine strategica e politica con l’inizio della presidenza Biden, il quale annullò, appena insediatosi alla Casa Bianca, l’accordo siglato dalla precedente amministrazione Trump con l’Arabia Saudita (sunnita), che aveva una funzione anti Iran (sciita), con l’obiettivo di isolare quella teocrazia all’interno del mondo arabo e con lo stesso appoggio della Russia.

    Questa scellerata decisione di politica estera dell’amministrazione Biden, invece, ha determinato come effetto immediato quello di riportare la teocrazia iraniana all’interno dello scacchiere internazionale e soprattutto medio orientale, come hanno dimostrato i finanziamenti a vari gruppi terroristici come Hamas e gli Hezbollah,

    In altre parole, il riconoscimento statunitense di un ritrovato ruolo alla teocrazia sciita iraniana all’interno dello scacchiere politico ha rigenerato, come affetto collaterale, lo stesso ruolo dell’Opec che l’accordo tra Stati Uniti, Arabia Saudita e Russia, anche sul prezzo del barile di petrolio, aveva messo in disparte.

    Soprattutto nello scacchiere mediorientale, il tradimento diplomatico statunitense ha posto le basi politiche dell’attuale crisi, il cui esito finale risulta ancora in via di definizione, anche se già ora alcune aspettative politiche cominciano a delinearsi.

    Pur riconoscendo che il mondo arabo, infatti, da sempre risulti di difficile lettura ed interpretazione, tuttavia forse all’interno di questo scenario di guerra israelo-palestinese contemporaneo i ruoli appaiono un po’ più definiti. Prova ne sia che dal 7 ottobre 2023 ad oggi si sia registrato l’assoluto silenzio delle Nazioni arabe moderate e soprattutto dell’Arabia Saudita, un silenzio indice di un nuovo atteggiamento politico nei confronti di Israele.

    Questi paesi arabi intendono assistere in complice silenzio alle azioni sempre più profonde della strategia militare israeliana, da tempo non più limitate all’interno di Gaza ma anche del Libano e forse in previsione probabilmente anche dello stesso Iran.

    L’inconfessabile desiderio dell’Arabia Saudita, i cui vertici politici hanno confermato una volta di più l’assoluto disinteresse per la causa palestinese, quanto dei paesi arabi moderati, rimane quello di vedere implodere la democrazia iraniana, da sempre fornitrice di supporti finanziari ai diversi gruppi terroristici che mettono a rischio la stabilità di molti paesi del Medio Oriente.

    Il paradosso di questa crisi mediorientale è definibile dal clamore assicurato nell’occidente dalle frange più estremiste nelle democrazie occidentali nella più totale assenza di una posizione politica dell’Unione europea, al quale si contrappone il silenzio dei paesi arabi moderati e della stessa Arabia Saudita che vedono in Israele lo strumento attraverso il quale eliminare il più grande pericolo al mondo arabo rappresentato dall’Iran.

  • Le incompatibili strategie

    Come reazione all’attentato terroristico dello scorso ottobre lo Stato di Israele ha scelto di rispondere in due diversi modalità. La prima attraverso quella che potremmo definire una guerra tradizionale nei confronti dello Stato palestinese, ma soprattutto di Hamas che lo amministra lungo la striscia di Gaza. Contemporaneamente, ed ecco la seconda opzione, i servizi segreti israeliani hanno mantenuto la propria operatività individuabile nella ricerca e successiva eliminazione dei leader delle diverse organizzazioni terroristiche, esattamente come nell’ultimo caso a Teheran con il campo di Hamas.

    La coesistenza di queste due strategie sta isolando completamente lo Stato israeliano all’interno degli schieramenti internazionali anche a causa di un errore clamoroso dell’amministrazione Biden. Appena insediato il quasi ex presidente degli Stati Uniti d’America tradì l’accordo, precedentemente firmato dall’amministrazione Trump, con l’Arabia Saudita che aveva portato all’isolamento politico, militare ed economico dell’Iran sciita e nemico storico della dinastia Saudita. La irresponsabile apertura statunitense alla Repubblica islamica ha permesso a quest’ultima di continuare nel processo di arricchimento dell’uranio, di sostenere finanziariamente i vari gruppi terroristici, di diventare un alleato della Russia di Putin e di confermare la propria volontà di abbattere lo Stato di Israele. Mentre l’Arabia Saudita, che assieme agli Stati Uniti rappresentano i due più importanti produttori di petrolio nel mondo, ha abbandonato la propria posizione di mediazione all’interno del mondo arabo ed ora all’interno di questa nuova e terribile crisi mediorientale rimane in posizione di attesa.

    In questo complesso sistema di relazioni internazionali e di guerra, le due strategie, (1) di una guerra totale, (2) di un azzeramento dei vertici delle diverse organizzazioni terroristiche attraverso l’azione dei servizi segreti, risultano incompatibili in quanto gli effetti di un compattamento degli avversari politici, ideologici e religiosi rischiano di diventare molto più gravi nella loro complessa gestione di quelli di un tradizionale conflitto militare.

    Una lungimirante politica vedrebbe innanzitutto coinvolta l’Arabia Saudita da parte degli Stati Uniti attraverso un nuovo accordo che andrebbe ben oltre l’elezione del prossimo presidente Usa, in modo da assicurarsi all’interno del vulcano medio orientale l’appoggio politico o quantomeno la neutralità del più grande stato di quella regione, anche in previsione di un possibile ingresso dell’Arabia Saudita all’interno dei Brics in un’ottica di sbarramento allo strapotere cinese.

    In altre parole, mantenere questa strategia israeliana risulta assolutamente impossibile e per risolvere bisognerebbe coinvolgere appunto l’Arabia Saudita in contrapposizione all’Iran ed alla sua teocrazia che intende ad accrescere lo scenario di guerra coinvolgendo gli Hezbollah libanesi.

    Uno scenario certamente complesso che richiede visioni a medio e lungo termine e competenze non comuni. Esattamente quelle che ancora una volta l’intera Unione Europea dimostra di non possedere in considerazione della sua più totale assenza da ogni situazione di crisi geopolitica internazionale.

  • Gli Accordi di Abramo: una speranza per il futuro

    La Fondazione Luigi Einaudi Onlus organizza il convegno “Gli Accordi di Abramo: una speranza per il futuro” che avrà luogo lunedì 1° febbraio 2021, ore 17.00, sulla piattaforma Zoom.

    Saranno protagonisti i rappresentanti dei paesi interessati. I partecipanti dovranno registrarsi sulla piattaforma Eventbrite al seguente link: https://www.eventbrite.it/o/fondazione-luigi-einaudi-onlus-20257546103

    Alle ore 14:00 dello stesso giorno 1° febbraio, gli iscritti su Eventbrite riceveranno via e-mail il link per accedere alla piattaforma Zoom ed assistere all’evento.

    Il Convegno rappresenterà l’occasione per una riflessione con i protagonisti della straordinaria svolta storica che sta affermandosi con una vera diplomazia di pace. Obiettivo del dibattito, suddiviso in due panel, è quello di discutere sia i punti chiave e le prospettive dell’attuazione degli Accordi, sia la promozione della sicurezza nel Medio Oriente. Il dibattito si focalizzerà, inoltre, sulle egualmente importanti analisi e proposte relative alla cooperazione in settori quali investimenti, turismo, sicurezza, telecomunicazioni, tecnologia, salute, energia, cultura e ambiente, sia all’interno della regione di riferimento che in tutti gli Stati europei e in Italia.

    L’evento sarà coordinato dall’Amb. Giulio Terzi di Sant’Agata e dell’On. Fiamma Nirenstein, porterà il saluto introduttivo il Presidente della FLE Giuseppe Benedetto, interverranno gli Ambasciatori degli Emirati Arabi Uniti, Marocco, Bahrein e Israele, nonché altre illustri personalità.

    Il Convegno si terrà nelle lingue italiana e inglese, e la Fondazione Luigi Einaudi avrà cura della traduzione simultanea degli interventi, dall’inglese all’italiano e dall’italiano all’inglese. Dopo ciascun panel, è inoltre prevista una breve sessione di Q&A.

    L’evento sarà in diretta sui social network della Fondazione Luigi Einaudi Onlus: twitter.com/fleinaudi, facebook.com/fleinaudi, YouTube: Fondazione Luigi Einaudi

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