Migranti

  • In attesa di Giustizia: all’arrembaggio, miei prodi!

    Il commento di oggi è ragionato sulla legge in generale, su come sono regolati – in particolare – i rapporti tra poteri dello Stato, e gli equilibri istituzionali: parliamo della vicenda del pattugliatore della Guardia Costiera Ubaldo Diciotti e del suo carico di naufraghi migranti.

    L’unità navale era intervenuta a prestare soccorso ad un’imbarcazione con a bordo una sessantina di  migranti a rischio naufragio ed è rimasta a lungo in balia di ordini controversi:  in assenza del Premier, i suoi due Vice non si sono messi d’accordo né sul da dirsi né sul da farsi, finendo con l’esprimere valutazioni e intendimenti opposti: l’uno per offrire soccorso, l’altro per sventare lo sbarco mentre tuonava anche la voce del Ministro delle Infrastrutture che ha indirizzato la prua dei soccorritori verso il porto di Trapani.

    La sgomentevole saga si è arricchita di emozioni per la notizia di presunte violenze commesse durante i trasbordi da due migranti sospettati di essere al soldo dei trafficanti di umani facendo subito alzare i toni da parte del Ministro dell’Interno che – dimentico per un istante che il nostro non è (ancora?) uno Stato di Polizia – ha immediatamente invocato manette per tutti…e così è entrata in gioco anche la Procura della Repubblica di Trapani, unica autorità competente per valutare la eventuale fondatezza della ipotesi di reato e che ha sciolto la propria riserva solo dopo adeguati approfondimenti e iniziali indagini.

    Per risolvere lo stallo, con l’unità navale a bordeggiare nell’incertezza, è dovuto intervenire il Presidente della Repubblica (non è chiaro se dopo avere interpellato il Premier o meno), che aveva monitorato la situazione per l’intera giornata; per risolvere il garbuglio istituzionale che si era creato – per usare un eufemismo rispetto a confusione e conflitto di poteri –  nella sua qualità di Capo delle Forze Armate ha disposto che fosse consentita la discesa a terra dei migranti da una imbarcazione militare che null’altro ha fatto che rispettare il proprio dovere e gli obblighi giuridici incombenti non meno delle tradizioni della marineria circa il soccorso ai naufraghi.

    Al commentatore non meno che al cittadino non può sfuggire il preoccupante disallineamento tra forze di governo, miscellanea di autorità, opaca interpretazione di norme morali prima ancora che giuridiche risolto esclusivamente grazie al buon senso e all’autorevolezza del Capo dello Stato.

    E’ stato detto in premessa: il commento di oggi non è in materia di Giustizia in senso stretto, ma la bagarre  evidenziata in questa occasione è tristemente paradigmatica: se la Giustizia è frutto anche di una politica rispettosa di ruoli, funzioni e – quindi – di equilibrato esercizio del potere legislativo, l’attesa sarà ancora lunga.

  • Più morti che nati tra gli europei, ma gli immigrati aumentano la popolazione della Ue

    La popolazione della Ue è cresciuta di 1,1 milioni tra l’1 gennaio 2017 (511,5 milioni) e l’1 gennaio 2018 (512,6 milioni) e l’aumento, certifica Eurostat, è stato principalmente dovuto alla migrazione netta verso l’Ue, la cui popolazione indigena ha fatto invece registrare un saldo negativo tra nascite (5,1 milioni) e decessi (5,3 milioni). In Italia la popolazione ha segnato un calo di circa 105.000 persone, passando dai 60.589 milioni del 2017 ai 60.484 milioni del 2018: il Paese si conferma quello con la più bassa natalità e tra i peggiori per nel saldo nascite-morti.

    Nel 2017 la popolazione è cresciuta in 19 stati membri ed è calata in 9, con gli aumenti maggiori registrati a Malta (+32,9 per mille residenti), seguita da Lussemburgo (+19 per mille), Svezia (+12,4 per mille), Irlanda (+11,2 per mille) e Cipro (+11 per mille). I cali maggiori sono invece stati registrati in Lituania (-13,8 per mille), Croazia (-11,8 per mille), Lettonia (-8,1 per mille), Bulgaria (-7,3 per mille) e Romania (-6,2 per mille). In totale, la popolazione Ue è aumentata del 2,1 per mille nel 2017.

    In Italia, invece, il calo è stato dell’1,7 per mille. La popolazione italiana costituisce l’11,8% di quella Ue, la quarta maggiore dietro alla Germania che è prima (82,9 milioni pari al 16,2% sui 28, +4 per mille rispetto agli 82,5 dell’anno precedente), poi Francia seconda (67,2 milioni pari al 13,1%, +3,5 per mille rispetto ai 66,9), Gran Bretagna terza (66,2 milioni pari al 12,9%, +5,7 per mille dai 65,8). Dopo l’Italia, seguono quinta la Spagna (46,7 milioni pari al 9,1%, +2,8 per mille dai 46,5) e Polonia (quasi 38 milioni pari al 7,4%, +0,1 per mille da 37,97). Nel 2017 sono nati in Ue 90mila bimbi in meno rispetto al 2016, per un tasso di natalità Ue pari a 9,9 per mille residenti, con il più alto registrato invece in Irlanda (12,9 per mille), Svezia (11,5 per mille), Gran Bretagna e Francia (11,4 per mille). Il più basso tasso di natalità, invece, è appannaggio dell’Italia, con 7,6 per mille, seguita da Grecia (8,2 per mille), Portogallo e spagna (8,4 per mille) Croazia (8,9 per mille) e Bulgaria (9 per mille).

    Tra i Paesi che hanno registrato un saldo naturale negativo tra nascite e decessi l’Italia è la settima peggiore (-3,2 per mille, record negativo la Bulgaria con -6,5 per mille), nonché la terza peggiore, preceduta solo da Bulgaria e Croazia, per l’equilibrio peggiore tra nascite e morti con appena poco più del 40% di nascite e quasi il 60% di decessi. Anche la Germania ha i decessi che superano le nascite, con circa il 45% di nascite a fronte del 55% di decessi. I Paesi dove invece il saldo è positivo e i nuovi nati sono di più rispetto ai deceduti sono Irlanda (quasi 70% nascite e un po’ più del 30% di decessi), Cipro, Lussemburgo, Francia, Svezia e Gran Bretagna.

  • Fake news o scarsa informazione? A un anno dalle Elezioni del 2019 è partita la campagna di comunicazione del Parlamento europeo

    One year to go. E’ lo slogan con il quale è partita ufficialmente la campagna di comunicazione del Parlamento europeo, presentata alla stampa nella sede milanese di Corso Magenta, che porta dritto alle elezioni europee del 2019. Nell’ultimo weekend di maggio del prossimo anno infatti circa 500mila cittadini dell’UE saranno chiamati a eleggere i loro rappresentati a Bruxelles e il Parlamento ha in programma una serie di iniziative per comunicare al meglio le finalità, le potenzialità, le attività e soprattutto il ruolo del Parlamento europeo che, a causa di un sistema informativo troppo spesso dedito al racconto delle peculiarità locali, difficilmente riesce a veicolare.

    E così capita che passino, facendo gran rumore, informazioni scorrette perché si semplifica, volutamente, un argomento complesso e, probabilmente, poco conosciuto, come è capitato pochi giorni fa con Wikipedia che ha deciso di oscurare il sito per dimostrare, urbi et orbi, di combattere una battaglia per principio, dimenticando però un particolare, e cioè che la nuova direttiva europea sul Copyright, approdata in aula a Strasburgo, non la sfiorasse affatto. Non da meno è stata la comunicazione afferente l’ultimo Consiglio europeo. Alzi la mano chi ha letto articoli (un approfondimento sarebbe chiedere troppo!) sul rinnovo delle sanzioni alla Russia, sulle possibili contrapposizioni dell’UE alle decisioni di Trump, o sui negoziati afferenti la Brexit che termineranno a ottobre (confondendo, tutti, la data di uscita della Gran Bretagna dall’UE, 29 marzo 2019, con la fine dei negoziati!)? Niente, o poco, forse sui media esteri, perché a tenere banco è stato il problema ‘migranti in Europa’. Un problema che non solo ha trovato largo spazio sui media nazionali ed internazionali ma che ha messo decisamente in crisi l’Europa stessa e paesi come la Germania, in cui si è temuto per una crisi di Governo, o la Francia, in cui le posizioni proposte da Macron per un’Europa equa e dalla parte dei cittadini, espresse sia in un memorabile discorso alla Sorbona che in precedenza durante la sua trionfale campagna elettorale, stentano a trovare applicazione. A cosa attribuire tanta confusione o a trasformare in prioritari temi che, di fatto, potrebbero essere affrontati senza toni sensazionalistici e con adeguate terminologie e tempistiche? Pressioni lobbiste? Colpa di un populismo dilagante? Forse sì, se unito ad una percezione della gente scaturita da racconti parziali, accentuato anche da una mancata sinergia tra apparati di comunicazione delle Istituzioni europee e una stampa sempre più a caccia di clamore immediato dal quale, poi, risalire, quando e se accade, alla notizia. D’altro canto però se è in crisi un certo modo di essere dell’Unione europea, che ha lasciato e lascia molto potere decisionale agli Stati membri, trasformandosi a sua volta nell’Unione dei Trattati, se un problema come l’immigrazione diventa ‘Il Problema’ vuol dire che i principi sui quali è stata fondata l’idea stessa di Unione europea stanno venendo meno sottolineando l’incapacità di svolgere il proprio ruolo e decretando il prorpio fallimento.

    Per ovviare a questa conseguenza che genera sfiducia e confusione e rendere partecipi i cittadini dell’Unione a quel meraviglioso progetto voluto dai padri fondatori subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il Parlamento europeo sta puntando su un target di utenti di età compresa tra i 20 e i 34 anni, attraverso un ground game, comunicazioni via social e presenza costante sul territorio, per raccontare come l’Europa affronta, e con le proposte dei cittadini, affronterà temi fondamentali e presenti nella vita quotidiana di tutti, e cioè migrazioni, sicurezza, protezione dei consumatori, ambiente, Brexit, diritti umani.

  • La politica migratoria sconquassa l’Europa

    Stava quasi saltando anche il governo tedesco. La crisi è stata superata lunedì notte con l’accordo raggiunto tra la Merkel e il suo ministro dell’Interno, Horst Seehofer, che è anche il leader della CSU, il partito bavarese, che convive con la CDU, il partito della Merkel, nel gruppo parlamentare del Bundestag. Ma le frizioni tra i due partiti democratico-cristiani della Germania in ordine alla politica migratoria, non sono che uno dei tanti casi, se non il maggiore, scoppiati tra i governi europei sulla questione dei migranti. Un secondo caso è quello scoppiato tra Italia e Francia, in seguito alla decisione di chiudere i porti italiani ad una nave tedesca utilizzata dalle ONG per trasportare i profughi proprio in Italia. Macron ha addirittura lanciato accuse offensive al governo, dimenticando che la Francia non solo chiude i porti, ma sigilla anche le frontiere di terra, come quella di Ventimiglia, respingendo con la forza donne incinte. Un terzo caso è quello dell’Austria, che a seguito della proposta tedesca di rinviare i richiedenti asilo nel Paese di prima accoglienza, minaccia di chiudere la frontiera del Brennero, per impedire il passaggio di profughi provenienti dall’Italia. Sono tre casi, ma le ripercussioni si sono avute anche in altri Paesi. L’Ungheria, ad esempio, ha alzato muri e reticolati ai suoi confini verso Sud. Che ne è dell‘accordo di Schengen? E il trattato di Dublino, che affida al Paese di prima accoglienza la responsabilità della gestione del migrante, è ancora valido? L’Italia afferma che il migrante che sbarca in Italia in realtà sbarca in Europa e che la responsabilità della sua gestione è quindi europea, una responsabilità condivisa e non unilaterale. Il Consiglio europeo della settimana scorsa non è arrivato a conclusioni chiare e questa vaga indeterminatezza lascia le cose come stanno, cioè conflittuali, nonostante qualche accorgimento di risulta, come i “centri di transito” previsti dalla Germania per i richiedenti asilo. Questa indecisione ha fatto gridare all’Europa andata a pezzi. Sulla rete le teste calde si sono sbizzarrite: “Bisogna uscire subito da questa Europa che ci fa invadere e che non ci aiuta”. “Non possiamo sperare nulla da questi governi ipocriti che ci danno continue lezioni, razzolando male nel loro pollaio”. Senza parlare delle accuse rivolta all’UE, responsabile, secondo loro, di tutti i nostri mali, dall’economia che va male, all’invasione dei clandestini. Sono indignazioni non informate. Sono scoppi d’ira, frutto spesso d’ignoranza e di fanatismo. “Dobbiamo riprenderci la nostra sovranità, senza farci mettere i piedi in testa da nessuno”. E’ un altro dei leit-motiv che infarciscono i social web. Questo sovranismo populista è pericoloso e i responsabili politici non devono alimentarlo. E’ giusto e doveroso che l’Italia faccia sentire la sua opinione sui temi che si discutono in Europa, ma è sbagliato farlo con toni bellicosi, come se l’Unione europea fosse un nemico dal quale difendersi. Può servire tenere una linea rigida e fare proposte, ma non serve mettere l’Europa in stato d’accusa. Delegittimare l’Unione, come fa qualche ministro, è assolutamente sbagliato, perché oltre che a indebolire l’Unione agli occhi esterni, si diffondono opinioni qualunquiste e disgregatrici. Abbiamo invece bisogno dell’UE. Essa ha assicurato – affermava recentemente Sabino Cassese – sessanta anni di pace dopo due guerre mondiali che hanno prodotto immense distruzioni e circa 60 milioni di morti. Essa può ancora evitare che rinascano i demoni delle divisioni che provocarono quelle distruzioni e quei morti. Ha consentito a piccole nazioni, come quella italiana, di avere un posto nel mondo, dove sarebbe rimasta inascoltata da potenze demograficamente, economicamente e militarmente tanto più grandi. Ha anche agevolato l’introduzione di leggi moderne, come quella ambientale, che non saremmo riusciti, da soli, ad adottare in breve tempo. Il fatto che l’Europa conviene non vuol dire che dobbiamo accettare passivamente le decisioni europee. Dobbiamo far valere l’interesse nazionale, ma senza dimenticare che c’è un interesse comune più importante, che non va perduto di vista”.

    Condividiamo queste opinioni e vorremmo che i nostri ministri le facessero proprie. L’Europa non si trova in buona salute. Il fenomeno migratorio ha contribuito a questo suo preoccupante malessere, ma non dimentichiamo che è nell’interesse nazionale che l’UE riesca nel più breve tempo possibile a ristabilirsi e a progredire, anche con il sostegno dell’Italia.

  • Trovato l’accordo tra Merkel e Seehofer

    La crisi del governo Merkel è scongiurata. Nella notte di ieri la cancelliera tedesca ha concluso un accordo con il ministro dell’Interno Horst Seehofer sulla politica relativa ai migranti, accordo che esclude le dimissioni del ministro e che conferma la continuità governativa. L’intesa prevede l’istituzione di “centro di transito” lungo i confini tedeschi, nei quali verificare con accuratezza e più rapidamente le richieste d’asilo. I richiedenti verrebbero respinti, se necessario, negli Stati dell’Unione europea dove avevano presentato domanda d’asilo al loro arrivo dai Paesi extracomunitari. Il tutto dovrebbe avvenire in accordo con i Paesi in cui è avvenuta la prima richiesta, il che, in concreto, vuol dire Italia e Grecia nella maggior parte dei casi. Il nuovo sistema, obiettano molti osservatori, non modificherà di molto le politiche per i migranti, ma appesantirà di più la situazione dei Paesi di prima accoglienza, già penalizzati dai continui arrivi via mare e dal numero di clandestini che vi soggiornano. Il patto concordato non avrà l’impatto efficace sulla politica migratoria che Seehofer richiedeva. La misure più incisive da lui richieste, come il respingimento delle persone arrivate in Germania che hanno presentato richiesta di asilo in un altro Paese europeo, anche senza accordi con quei Paesi, sono state respinte dalla Merkel, contraria a soluzioni unilaterali e favorevole a decisioni europee. E’ l’ennesima prova che la questione dei migranti ha colpito al cuore anche la Germania, come è accaduto in tanti altri Paesi, Italia compresa, tanto che la maggioranza parlamentare è composta da formazioni politiche che si sono dichiarate contrarie, non solo alla politica migratoria dell’UE, ma addirittura all’UE stessa e alla sua moneta. In altri termini, un non sufficiente controllo degli arrivi e la presenza di centinaia di migliaia di clandestini, senza seri respingimenti, hanno diffuso paura e insicurezza che hanno favorito questi partiti anti europei. Il governo che ne è l’espressione ha chiesto, nel recente Consiglio europeo, una collaborazione più intensa dell’Europa verso i Paesi di prima accoglienza e una politica razionale per i respingimenti dei clandestini. Con l’accordo di Merkel e Seehofer non sembra però che si siano fatti passi avanti per il sostegno ai Paesi di prima accoglienza, al contrario! E la questione migranti infetterà sempre di più il rapporto tra i Paesi dell’UE e rappresenterà un grande ostacolo per le riforme auspicate da Macron nell’ormai famoso discorso della Sorbona.

  • L’ondata del populismo migratorio ha raggiunto anche la Germania

    Le conclusioni del vertice europeo di sabato scorso e l’atteggiamento della cancelliera Merkel in tema di migrazioni non hanno soddisfatto il ministro dell’Interno della Germania, Horst Seehofer, che ha annunciato di volersi dimettere nel caso in cui il governo Merkel non attui politiche più adeguate e consistenti in ordine ai migranti e ai richiedenti asilo. Oggi, lunedì, sono in corso nuovi incontri per discutere la situazione e per verificare se le dimissioni annunciate saranno formalizzate. Nel caso queste si verificassero potrebbero avere serie conseguenze per la coalizione che regge il governo Merkel, formato faticosamente dopo difficili trattative. Il fatto che complica la situazione è offerto dal doppio incarico di Seehofer, ministro dell’Interno e leader dell’Unione Cristiano-Sociale della Baviera (CSU), il partito attivo soltanto in Baviera, che affronterà in ottobre un’elezione difficile, incalzato efficacemente dai partiti di estrema destra e che rischia per la prima volta dal dopoguerra, di perdere la maggioranza assoluta dei seggi nel parlamento locale. Oltre a ciò, la CDU è lo storico alleato della CDU, l’Unione Cristiano-Democratica della Merkel. Insieme formano il gruppo parlamentare al Bundestag e garantiscono stabilità ed equilibrio. Dopo le ultime elezioni del settembre scorso, tuttavia, con il calo di consenso dei socialdemocratici, con quello, sia pure meno consistente, dei cristiano-democratici, e con  l’aumento inaspettato del partito “Alternativa per la Germania” (AFD), che raggiunse il 12,64% dei voti, i due partiti si trovano su posizioni conflittuali in relazione alla politica per l’immigrazione: la CSU di Seehofer su posizioni più nette e più drastiche, per un controllo più rigido degli ingressi; la CDU della Merkel per maggiori aperture e più incline all’accoglienza. La differenza di vedute, però, non aveva intaccato, fino ad ora, l’alleanza di lunga data tra i due partiti. Le eventuali dimissioni di Seehofer potrebbero invece cambiare le cose ed indebolire la “grosse” coalizione che sostiene il governo Merkel.

    Dietro pressione della CSU, la settimana scorsa la Merkel ha proposto un accordo vago agli altri leader europei riuniti a Bruxelles nel Consiglio europeo, con l’impegno a costruire nuovi centri per i richiedenti asilo e a rendere più rigido il sistema dell’accoglienza in Germania. Questa soluzione, non ancora definita nei dettagli, era stata proposta dalla Merkel in linea con le richieste della CSU, che minacciava di espellere tutti i richiedenti asilo che si trovano in Germania, ma che abbiano fatto richiesta di asilo in altri Paesi dell’UE. E’ il tema dei “movimenti secondari”, che Merkel vorrebbe scoraggiare. Nella riunione del Consiglio europeo ha lavorato in questo senso e ha sempre detto di essere contraria alle espulsioni di chi è già in Germania, sostenendo l’opportunità di coinvolgere gli altri Stati europei e cercare la loro collaborazione. La Merkel, giustamente, teme che una chiusura, sia pur parziale, dei confini della Germania potrebbe mettere a rischio il principio di libera circolazione delle persone e delle merci, uno dei risultati più importanti raggiunti dall’Unione europea, che ha contribuito a rendere più dinamico il suo sistema economico, a partire proprio da quello tedesco. La cancelliera ha presentato alla CSU un piano per ridurre l’arrivo di nuovi migranti in Europa e al tempo stesso per riorganizzare la presenza dei richiedenti asilo. Ha stretto accordi con oltre 15 Paesi dell’UE per fare in modo che riaccolgano le persone che avevano presentato richiesta d’asilo nei loro confini, prima di arrivare in Germania. Alla televisione ZDF, Merkel ha poi cercato di rassicurare ulteriormente la CSU, spiegando che l’obiettivo condiviso resta quello di ridurre il fenomeno dei migranti. Il suo governo propone, semplicemente, di farlo in modo meno drastico e in collaborazione con altri Stati. Dopo una lunga riunione avuta domenica con gli altri leader della CSU, Seehofer è giunto alla conclusione che la soluzione proposta dalla Merkel non fosse sufficiente e ha mantenuto l’idea delle espulsioni. Non tutti però, all’interno della stessa CSU, condividono la posizione di Seehofer, il quale, oltre alla possibilità di dimettersi da ministro dell’Interno, ha detto che potrebbe dimettersi anche da leader della CSU, offrendo alla Merkel l’opportunità di riprendere il controllo della situazione, eliminando un elemento di instabilità nel suo governo. Staremo a vedere. Questa sera dovremmo saperne di più. In ogni modo un dato è certo: l’ondata populista relativa all’immigrazione ha raggiunto al cuore anche la Germania. Che l’ondata sia populista o meno, lo vedremo nei prossimi mesi. Potrebbe trattarsi semplicemente di una presa di coscienza dei rischi che l’immigrazione comporta per i Paesi ospitanti, quando essa supera certi limiti. Rendersene conto ora e provvedervi per tempo, è sempre meglio che subirne passivamente le conseguenze.

     

  • Delusione per il non accordo su Dublino

    Siamo stati tutti soddisfatti nell’apprendere che l’Europa si è sentita rassicurata dalle parole del ministro Tria, dopo giorni di battute infelici dette a sproposito ed inutili allarmismi lanciati da esponenti europei. Rimaniamo invece insoddisfatti e preoccupati per la mancanza di un concreto e corretto progetto di revisione del regolamento di Dublino, a distanza di pochi giorni dal nuovo vertice europeo. Se la disponibilità spagnola apre lo spiraglio ad una maggior collaborazione tra i paesi del Mediterraneo, in attesa di un cambio radicale della sciagurata e pericolosa scelta fatta a Dublino nel 1990 e ribadita nel 2003, rimangono aperti tutti i problemi connessi all’immigrazione, tra i quali la condivisione di responsabilità tra tutti i paesi europei, la necessita di impedire che nei paesi di origine del fenomeno migratorio si creino tali storture e violenze tali, da imporre in troppi casi l’esodo di persone disperate, la lotta ai trafficanti di esseri umani protetti da governi conniventi o ricattati ed impauriti. Salvini dice che alzare la voce paga. Io penso che paghi avere una voce chiara  per sostenere programmi chiari e realizzabili, che abbiano un rapporto diretto con la realtà e siano abbastanza lungimiranti da poter attuare iniziative per cambiarla in meglio. In Europa forse non è necessario urlare per farsi ascoltare, basta esserci e far sentire la propria voce, basta esserci e non parlare a vanvera, basta esserci con determinazione ed altrettanto buon senso. Molto di quanto non ci soddisfa è dovuto alle nostre assenze, alla nostra impreparazione e alle nostre omissioni. Salvini dovrebbe saperlo bene.

  • Accordo tra gli Stati Ue per rafforzare i controlli relativi a immigrazione e sicurezza

    Primo accordo di Parlamento e Consiglio Ue per rafforzare il mandato dell’Agenzia europea Eu-Lisa, per la gestione operativa dei sistemi intelligenti su larga scala anche nel campo di migrazione, sicurezza e gestione delle frontiere. Il compromesso è stato raggiunto tra la commissione Libertà civili (Libe) dell’Eurocamera e gli ambasciatori dei 28, (Coreper). «L’accordo rappresenta un altro tassello fondamentale per un’Ue più sicura e resiliente», ha detto il Commissario Ue alla Migrazione Dimitris Avramopoulos. «Eu-Lisa sarà il centro nevralgico per tutti i nostri sistemi di informazione sulla migrazione, la gestione e la sicurezza delle frontiere e, soprattutto, la loro interoperabilità». «In futuro, Eu-LISA svolgerà un ruolo fondamentale nel mantenere l’Europa al sicuro», ha aggiunto il commissario Ue alla Sicurezza Julian King. Con questo aggiornamento, l’agenzia avrà anche gli strumenti giusti per sviluppare e gestire futuri sistemi di informazione dell’Ue su vasta scala, come il sistema di ingressi e uscite (Ees) e il Sistema europeo di informazione e autorizzazione dei viaggi (Etias), oltre alla gestione dei sistemi esistenti, come quello di informazione Schengen (Sis), il sistema di informazione visti (Vis) e Eurodac, di cui l’Agenzia è già responsabile. Il testo di compromesso concordato oggi dovrà ora essere adottato formalmente dal Parlamento e dal Consiglio Ue.

  • Revisione degli accordi di Dublino, un piano dell’Italia c’è già

    La riforma degli accordi di Dublino sugli immigrati invocati da chi dopo il 4 marzo sollecita l’urgenza di dar vita a un governo è in realtà già allo studio. L’Italia ha presentato un progetto insieme a Cipro, Malta, Spagna e Grecia, in vista del vertice europeo di fine giugno sul tema, per evitare ciò che i Paesi meno esposti agli sbarchi invece continuano a volere e cioè che siano i Paesi di primo approdo, quali sono i cinque firmatari del progetto di cui fa parte anche l’Italia, a farsi principalmente carico degli arrivati, eventualmente – pure questa è un’ipotesi che sarà discussa al vertice europeo – riprendendoseli anche nei 10 anni successivi alla loro partenza verso altri Paesi europei (che in quei 10 anni avrebbero la facoltà di espellerli).

    I richiedenti asilo provengono per un terzo da 5 Paesi: Siria, Iraq, Afghanistan, Pakistan e Nigeria, ma gli accordi della Ue e dell’Italia con Turchia e Libia hanno ridotto gli arrivi nella misura del 20% nel primo trimestre di quest’anno rispetto all’analogo periodo dell’anno scorso. Ancor più significativo (-30%) e il calo delle domande di asilo accolte.

  • La Ue pronta a versare altri 3 miliardi alla Turchia perché blocchi i flussi migratori verso l’Europa

    L’Ue dovrebbe pagare altri 3 miliardi di euro per mantenere i rifugiati in Turchia, nonostante le preoccupazioni sul regime turco, ha affermato la Commissione europea, aggiungendo anche che l’Unione dovrebbe pure mettere «pressione» sugli Stati africani e asiatici per riprendersi i loro cittadini indesiderati dall’Ue.

    I 3 miliardi di euro saranno finanziati con 1 miliardo di euro dal bilancio dell’Ue e il resto dagli Stati membri, come nella precedente tranche da 3 miliardi di euro, conclusasi nel 2017. Lo stanziamento è destinato all’alloggio, l’educazione e l’assistenza medica ai 3 milioni di rifugiati ora in Turchia, secondo quanto sostenuto da Dimitris Avramopoulos, annunciando la proposta dell’esecutivo comunitario. Lo stesso Avramopoulos ha esortato gli Stati membri a sostenere la proposta, nonostante la linea della Turchia verso l’Unione Europea e la scarsa considerazione per i diritti umani del presidente Recep Tayyip Erdogan, ricordando che il precedente pacchetto aveva portato a una «chiara e consistente» riduzione di migranti irregolari dalla Turchia alla Grecia. «È nell’interesse della Turchia e dell’Unione europea avere questo accordo e questo accordo dovrebbe continuare ad esistere come prima”, ha detto ancora Avramopoulos, riferendosi all’accordo Ue-Turchia del 2016 sui migranti.

    Dal luglio 2016, però, la repressione di Erdogan ha condotto la Turchia ad imprigionare anche cittadini tedeschi e, recentemente, due soldati greci (che, a detta di Atene, avevano attraversato per caso il confine terrestre greco-turco). Avramopoulos, politico greco, ha esortato Erdogan a liberare i militari detenuti: «Nessuna persona logica direbbe che la sicurezza di un Paese era a rischio perché due soldati si erano allontanati oltre il confine» ma ha anche riconosciuto che secondo i revisori dell’Ue gli ultimi 9 miliardi di fondi europei per la Turchia, candidata all’adesione, hanno avuto un «effetto limitato» nel contribuire a creare uno Stato di diritto e democrazia nel Paese destinatario.

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