Minori

  • Achtung, binational babies: la doppia faccia della giustizia familiare

    La settimana scorsa abbiamo illustrato come un trasferimento in Germania possa comportare la perdita dei figli, portando ad esempio il caso concreto di un papà italiano. Oggi vogliamo illustrare, sempre basandoci su storie vere e ben documentate, ciò che succede se invece è la mamma del bambino ad essere italiana e il padre è tedesco. L’inizio della vicenda non ha nulla di particolare, i due si conoscono in Italia, si innamorano, si sposano, dal loro amore nasce un bambino. Poi lui la convince a trasferirsi in Germania ed è così che tutta la famiglia si trova sottoposta alla giurisdizione tedesca. Lei, come la maggior parte delle persone, ovviamente non sa nulla del sistema familiare di quel paese, inoltre pensa che tutto ciò non la riguardi, perché loro tre sono una famiglia unita. Quando però il comportamento del marito cambia e lei scopre con orrore il passato, ed ora anche il presente nascosto dell’uomo che ha sposato, dovrà scoprire anche come funziona il sistema familiare tedesco. Il marito era tossicodipendente ed è ora ricaduto nella dipendenza, ecco il motivo del suo cambiamento. La vita in comune si fa insostenibile e per tutelare sia se stessa che il bambino, si separa. Resta in Germania e continua a far frequentare al figlio il padre, cercando di nascondere al piccolo la triste dipendenza. Si adopera in tutti i modi affinché il piccolo continui a guardare il padre come il suo eroe, affinché i legami con la famiglia paterna si mantengano forti, affinché loro due genitori continuino a dialogare per il bene del bimbo. Lui si dimostra riconoscente nei confronti della moglie, lodandola spesso per come educa il bambino e per come ha imparato a gestire la sua vita in un paese straniero. Sembrerebbe che i due adulti siano riusciti in modo lucido e responsabile a gestire la nuova situazione e, tra un ricovero in clinica e l’altro, la famigliola si incontra per far sì che papà e figlio si vedano, ma i due non restano mai da soli, bensì sempre con almeno un membro della famiglia paterna presso cui la mamma porta il bambino. Ma quest’uomo, questo padre, mentre da un lato continua a dire e scrivere alla moglie quanto apprezza il suo operato, dall’altra la trascina in tribunale, sostenuto da un’avvocatessa decisa a far passare questa mamma per una, come oggi si dice, “madre malevola”.

    Poiché non le si può oggettivamente rimproverare nulla e per fare in modo che la sua accondiscendenza vacilli, le si chiede di dar via a degli incontri in cui padre e bambino restino da soli. Di fronte ai problemi del marito, la donna non se la sente di avvallare tale modalità e chiede con forza la presenza di una terza persona che si prenda la responsabilità di quanto potrebbe accadere o meglio, che impedisca si concretizzino situazioni problematiche. Lei non vuole assolutamente essere sempre presente, ma chiede che gli incontri si svolgano con un parente (della famiglia paterna, visto che la sua è in Italia!) o con la persona che il giudice vorrà designare ed alla quale conferirà la responsabilità degli incontri. Il padre è unanimemente riconosciuto come affetto da dipendenza da sostanze e, secondo quanto scrive la sua stessa avvocata, in maniera irreversibile ed è forse per questo che nessuno vuole assumersi tale responsabilità. Il giudice non è stato fino ad ora in grado di nominare nessuno che svolga questo ruolo e le udienze in tribunale continuano. In quelle aule si procede lentamente ma inesorabilmente al capovolgimento dei fatti: il problema non è più il padre con dipendenze che entra ed esce dalle cliniche, ma la madre italiana che impedirebbe il rapporto padre-figlio. La spiegazione sintetica di quanto accade è una sola: la mamma è italiana e il padre è tedesco e questa è la giustizia equa e giusta del 2021 in Germania, Europa.

    Contatto in caso di necessità: sportellojugendamt@gmail.com

  • L’infanzia negata

    In molte occasioni, anche se non a sufficienza, organi di stampa, politici ed esponenti di mondi culturali ed associativi si sono occupati dell’infanzia negata ai milioni di bambini che, in troppi paesi del mondo, sono costretti a lavorare invece di giocare e andare a scuola. Milioni di bambini che soffrono la fame o che muoiono per malattie che altrove sono state debellate da tempo. Bambini che con il loro lavoro arricchiscono multinazionali, che non saranno mai donne e uomini con tutte le opportunità, o almeno le speranze, di coloro che hanno potuto studiare e che, attraverso il gioco, hanno appreso nozioni e sfumature, capacità di socializzare che poi saranno utili da adulti. Bambini costretti a diventare combattenti, guerrieri in realtà dove il terrorismo e la violenza sono pane quotidiano. L’infanzia negata è un delitto consumato quotidianamente contro tanti bambini e diventa una catastrofe per l’intera umanità che resterà priva di tante donne e uomini che non potranno affrontare l’età adulta con esperienze positive.

    Ma l’infanzia non è negata solo nei paesi poveri o eternamente in conflitto, l’infanzia non è negata, avvilita, solo dall’obbligo, dalla necessità di lavorare quando si è ancora troppo piccoli, l’infanzia ormai è negata ovunque vi sia qualcuno che induce i bambini ad azioni, attività non adatte alla loro età, ovunque vi sia qualcuno che abusa della loro credulità, che tramuta atteggiamenti sbagliati in atteggiamenti comuni e di moda. L’infanzia è colpevolmente negata se un genitore, per appagare il proprio io, condivide che bambini piccoli si tramutino in fotocopie di star, modelle o personaggi ricchi di follower e capaci di produrre denaro facile e veloce, ovunque un genitore, per stare più tranquillo, abbandona nelle mani dei più piccoli strumenti che li portano a navigare dove è pericoloso per la loro stessa sicurezza. Genitori disattenti, insegnanti distratti, personaggi equivoci, o solo interessati al loro personale guadagno, trasformano l’infanzia in una caricatura dell’età adulta togliendo i tempi necessari alla crescita, le sicurezze che nascono dalla conoscenza, le emozioni ed i sentimenti che, per svilupparsi negli adulti, hanno bisogno che i bambini siano stati bambini. Ecco allora tutti gli episodi di bullismo e poi di violenza feroce, le ragazzine ed i ragazzini che si prostituiscono per un vestito o la ricarica del cellulare, le bambine che sfilano imbellettate e le ragazzine in abiti succinti che si compiacciono dei complimenti salaci degli adulti e le piattaforme, come Tik tok, dove ci si esibisce e dove manipolatori, o peggio pedofili, reclutano le ingenue vittime.

    L’infanzia negata, che vediamo ogni giorno nelle strade delle nostre città, all’uscita delle scuole, nelle denunce, spesso disattese, di chi il pericolo lo ha visto e lo vede, è responsabilità di tutti coloro che tacciono e ammiccano credendo che le mode siano più importanti del rispetto di noi stessi e del futuro dei nostri figli e nipoti.

  • Mio figlio potato via dalla mia ex moglie

    Riceviamo e pubblichiamo la lettera che ci ha inviato il Signor Giovanni Paolo Bocci al quale è stato sottratto il figlio, tenuto illegalmente in Kazakhstan dalla madre kazakha, destinataria di mandato di cattura internazionale e relativa richiesta di estradizione.

    Cara Redazione del Patto Sociale,

    Le scrivo in merito al caso di mio figlio Bocci Adelio Giovanni, cittadino italiano sottrattomi più di cinque anni fa.

    Ebbene, nonostante un mandato di cattura internazionale con estradizione emesso dal Tribunale di Brindisi e ricerche per mio figlio come minore scomparso dall’Italia, a tuttora le nostre istituzioni non hanno mosso un dito.

    Oltretutto ancora sto aspettando da parte del nostro ministero degli Esteri, dopo la lettera inviata nell’agosto del 2018 al ministro Moavero, una risposta riguardo al mio caso, di cui ve ne sarei grato se la pubblicate.

    Le amare conclusione di questa vicenda penosa sono:

    1) la mancanza di autorevolezza del nostro Paese, timido in materia di affrontare specialmente con paesi come il Kazakhstan di cui vi sono rapporti economici. Non capisco perché barattano la vita di un cittadino italiano, in questo caso mio figlio, portato illegalmente in questo paese.

    L’attività viene solo svolta in maniera burocratica senza il dovuto coordinamento tra le varie funzioni e competenze.

    2) Il nostro Paese e le sue decisioni non tutelano i propri cittadini come altri stati, impugnando fatti e battendo pugni sul tavolo.

    3) Non si vuol far capire che le vittime in tutto sono i bambini, cui vengono cancellati i legami con una parte importante della propria vita.

    Giovanni Paolo Bocci

  • Continuano anche in Europa i problemi dei figli minori di coppie binazionali spesso sottratti ad uno dei genitori

    Cristiana Muscardini si occupa del problema dal 2008, senza arrendersi alla triste evidenza di vari governi italiani ed istituzioni europee indifferenti e di fatto conniventi.

    Di seguito la lettera inviata al direttore di Panorama nella speranza che finalmente gli organi d informazione che si dichiarano liberi trovino la forza di risollevare il problema.

    Chi vorrà approfondire la scomoda realtà dello Jugendamt può mettersi in contatto con la dottoressa Marinella Colombo (marinellacolombomi@gmail.com) o scrivere al Patto Sociale (segreteria.redazione@ilpattosociale.it).

    Dott. Maurizio Belpietro

    Direttore Panorama

    Via Vittor Pisani, 28

    20124 Milano

    Milano, 14 settembre 2020

    Egregio Direttore,

    nel numero del 26 agosto Panorama affronta, con coraggio, il problema dei bambini, figli di coppie binazionali, sottratti ad uno dei genitori. Il problema è molto grave perché anche tra Stati membri dell’Unione europea non ci sono reciproche garanzie e norme a tutela dei minori. Nell’articolo si parla di alcuni di questi Paesi europei ma penso sarebbe interessante ed utile che il Suo giornale proseguisse l’inchiesta dopo aver analizzato quanto avviene e continua ad avvenire in Germania dove, tuttora, lo Jugendamt, istituzione nata durante il nazismo, continua ad avere potere assoluto sulla vita ed il futuro di tanti bambini.

    Per diversi anni il Parlamento europeo ha cercato di intervenire sulle palesi violazioni dei diritti dei minori e dei loro genitori non tedeschi ma i risultati non sono stati pari all’impegno e alle diverse denunce presentate alle istituzioni nazionali ed europee. Forse se Panorama volesse approfondire l’argomento ci potrebbe essere la speranza di poter ricominciare ad affrontare un problema che ha causato e causa tanto dolore ed ingiustizia.

    La ringrazio per l’attenzione ed in attesa di conoscere il Suo pensiero La saluto cordialmente

    Cristiana Muscardini 

  • Detective Stories: uccisioni e sottrazioni di minore, quando il pericolo è il genitore

    Fra tutte le tipologie di crimini esistenti, l’omicidio di un bambino è certamente quello più terribile e che spesso non trova una spiegazione logica immediata. Quando viene ucciso un minore la nostra mente è portata a pensare subito all’intervento di un soggetto esterno, un malintenzionato, un orco…ma non è sempre così.

    Il dato più raccapricciante è che nella maggior parte dei casi ad agire è un familiare. Il più delle volte è la madre, anche se ultimamente le cronache ci restituiscono una immagine che vede coinvolti anche i padri in questi fenomeni patologici.

    Si tratta di casi rari ed isolati dei quali forse si sente parlare fin troppo spesso, casi di difficile comprensione ma che trovano una spiegazione negli angoli più bui dell’animo umano, ove regnano disperazione e disagio esistenziale.

    Statisticamente il fattore scatenante di tali gesti estremi risiede nell’abuso di droghe, anche se in generale possono influire anche gravi episodi depressivi, crisi economiche o dinamiche di violenza familiare. E’ facile che da queste condizioni, la violenza venga trasferita sui figli, ma ovviamente ogni caso è a se.

    È di pochi giorni fa la notizia dell’uccisione da parte di un padre dei due figli minori nella provincia di Lecco. Non aveva accettato la separazione e con molta probabilità ha ucciso per colpire la moglie.  Guardando il suo profilo Instagram sembrava un padre amorevole, con molti post dedicati ai figli e al tempo trascorso con loro, ma evidentemente ad un certo punto qualcosa deve essere scattato nella sua mente. Si poteva prevedere e quindi evitare una simile tragedia?

    I nomi di bambini vittime di stragi familiari sono troppi, ma a volte la forza di alcuni di loro gli consente di sopravvivere.

    Come non dimenticarsi di David Rothenberg, il bimbo americano di 6 anni bruciato vivo nel sonno dal padre dopo avere trascorso una giornata insieme a lui a Disneyland. David sopravvisse ma rimase gravemente sfigurato. Gli dedicarono un film, diventò amico di Michael Jackson e poi un artista da grande. Una magra consolazione.

    David è stato l’esempio vivente di come quando sono i padri ad uccidere, o a tentare di farlo, si tratta perlopiù di eventi caratterizzati da una maggiore violenza, espressione di un malessere interiore dal quale non si può più fare ritorno.

    Ritengo che la violenza sui figli sia legata a quella delle donne da uno stesso denominatore comune, poiché quando è un padre ad uccidere, lo fa quasi esclusivamente per ferire la donna, privandola di ciò che di più caro ha al mondo.

    In altri casi, uno dei genitori decide di privare il partner del figlio “rapendolo” e portandolo a vivere in un altro paese, di fatto senza mai più farlo vedere.

    Non si tratta di uccisioni, ma certamente sono situazioni fortemente logoranti per le famiglie che lo subiscono.

    Spesso mi sono occupato di casi di questo tipo, riuscendo a scoprire la località nella quale il genitore stesse nascondendo il figlio, ma talvolta le difficoltà e le aree geografiche coinvolte non favoriscono il ritrovamento, basti pensare ai quei bambini sottratti e portati in paesi arabi o zone colpite dalla guerra.

    Alcuni anni fa si rivolse a me un uomo la cui figlia di 3 anni era stata portata via dalla madre. Mauro, (nome di fantasia), imprenditore milanese, aveva sposato Ilona (nome di fantasia), una indossatrice ucraina di 28 anni. Dopo la nascita della loro bambina, Ilona ebbe una depressione post parto e cominciò a bere sempre con una maggiore frequenza. I due litigavano spesso ed erano distanti l’uno dall’altro. Mauro chiese il divorzio. Pochi giorno dopo aver ricevuto la comunicazione, Ilona prese la bambina e andò via, spense il telefono e cancellò i propri social network.

    Solitamente in queste situazioni, le donne vanno da genitori o comunque da alcuni parenti, almeno nel primo periodo, nel caso di Ilona invece non fu così.  Non si riusciva a trovare da nessuna parte. Il motivo? Aveva agito con premeditazione e non di impulso, ma commise un errore. Analizzai il profilo social delle sue amiche più care e notai una amicizia in comune a tutte. Si trattava di un profilo privato che non accettava nessuna richiesta di amicizia. Poteva trattarsi di Ilona.

    Trovai un nickname molto simile utilizzato in un vecchio profilo Twitter ormai in disuso, ma era aperto. Analizzai i nomi dei follower e li cercai su Instagram. Avevo sufficienti conferme che si trattasse del network di amicizie di Ilona.

    Tenni sotto controllo le storie dei diversi profili ed un giorno vidi in uno dei video una bambina di circa 3 anni. La storia venne cancellata poco dopo. Avevo scoperto che Ilona si trovava in Ucraina presso un suo ex fidanzato con il quale era rimasta in contatto.

    L’iter legale successivo consentì a Mauro di ottenere l’affidamento della bambina.

    Uccisioni e sottrazioni sono frutto della stessa matrice, la volontà di chi compie tali gesti è quasi sempre quella di ferire il partner attraverso i figli. In alcuni casi è possibile prevedere tali eventi, ma come?

    E’ importante analizzare i cambiamenti dell’umore del partner, monitorare l’abuso di sostanze ed ogni eventuale situazione di insofferenza e disagio, soprattutto nelle dinamiche familiari.

    Non bisogna temere di riconoscere una malattia mentale all’interno della famiglia, spesso si può intervenire in tempo e superare le crisi grazie al supporto di un professionista.

    Infine, il dialogo è sempre utile, anche in situazioni difficili, quando si ha a che fare con soggetti violenti o particolarmente disturbati bisogna essere dei “bravi attori”, mediare il più possibile, assecondare il partner affinché non compia gesti inconsulti e prendere le opportune contromisure con il supporto di un professionista.

    Per domande e consigli di natura investigativa e/o di sicurezza, scrivetemi e vi risponderò direttamente su questa rubrica: d.castro@vigilargroup.com

     

  • Detective Stories: difendere i minori dai Cyber predatori

    Ogni anno sono sempre di più i casi che affronto relativi a nuove tipologie di reati aventi come protagonista assoluto internet, un universo parallelo colmo di pericoli, soprattutto per i minori.

    Il rischio principale è rappresentato dai predatori della rete, ovvero adulti con un forte interesse sessuale verso i minori, abili nell’adescare e circuire i giovani tramite chat e social network. Agiscono sempre utilizzando un falso nome, mentendo sulla propria età e fingendo di avere interessi in comune con le loro vittime, le quali vengono “agganciate” quasi sempre con scuse banali o futili motivi.

    In una prima fase, agiscono inviando segnali positivi, messaggi colmi di emoji ed utilizzando un gergo giovanile, dopodiché i discorsi diventano sempre più personali, ed è così che il predatore inizia ad ottenere tasselli di informazioni sempre più utili ai propri scopi.

    Sulla base della mia esperienza maturata in anni di indagini, già dalle prime “chat” il predatore è in grado di scoprire dove abita la vittima, che scuola frequenta e quando si può trovare da sola.

    Da pericolo virtuale a reale il passo è breve, difatti l’obiettivo principale di questi mostri può sì essere quello di effettuare un incontro “reale”, ma anche (e più spesso), di collezionare fotografie di minori, immagini o video da far girare tra i membri del proprio network, vere e proprie organizzazioni di pedofili con regole e gerarchie.

    In alcuni casi, dopo essere riuscito ad ottenere fotografie personali/intime, il predatore potrebbe rivelarsi, obbligando il minore ad effettuare un incontro e costringendolo a subire violenze, minacciando altrimenti di diffondere le immagini.

    Si tratta di situazioni estreme, ma assolutamente non improbabili dove spesso la vittima si trova sola, e senza avere idea di come affrontare tale situazione.

    In ogni caso, la possibilità che si verifichi un incontro nella vita reale tra predatore e vittima è piuttosto imprevedibile. Ho affrontato casi nei quali il predatore è riuscito ad organizzare l’incontro in poche ore ed altri nei quali ha dovuto “preparare il terreno” per diversi mesi.

    Bisogna accettare il fatto che i rischi siano dappertutto e che un malintenzionato si possa nascondere su diversi tipi di piattaforme, anche sulle più improbabili, come quelle del gioco online (es: gaming), servizi di messaggistica istantanea, chat, social network, forum per studenti ma anche siti per la vendita di oggetti. Non solo siti ad hoc o social network per incontri.

    I predatori cercheranno quasi sempre di instaurare una sorta di legame pseudo affettivo con la vittima, al fine di ottenerne la fiducia ed un maggior numero di informazioni.

    Chi è più a rischio?

    Tutti i minori con poco controllo da parte della famiglia circa le proprie attività online, difatti le vittime ideali sono quelle che passano il maggior numero di tempo sulla rete. Il rischio è direttamente proporzionale alle ore passate a “chattare”.

    Come contrastare questi pericoli?

    Il controllo è l’arma più efficace che un genitore possa utilizzare, ed oggi anche quelli meno “tecnologici” devono impegnarsi a conoscere i principali social network ed il loro funzionamento.

    Il passo fondamentale è quello di educare i propri figli a tutelare la propria privacy, insegnandoli a non postare foto personali o a dare informazioni circa le proprie routine all’interno dei propri post e questo vale sia per i minori ma anche per i genitori, le cui foto dei figli sui social potrebbero venire “collezionate” da qualche malintenzionato.

    Qualora non fosse possibile evitare la presenza online del minore sui social, perlomeno verificare le impostazioni di privacy dei profili e renderli privati sarebbe un grosso step in avanti, così come fissare dei limiti per l’utilizzo di tablet e cellulari, ma in ogni caso sarà sempre fondamentale gettare le basi di una vera e propria cultura della sicurezza. Solo in questo modo i vostri figli saranno davvero più sicuri, in quanto i pericoli non si possono sempre evitare, ma vanno saputi prevedere ed affrontare in caso di necessità.

    Infine un consiglio “operativo”:

    Un minore non gradirà mai la presenza “virtuale” di un genitore in un social network, ed in diversi casi, se obbligato ad aggiungere madre e padre fra i propri follower, potrebbe creare un nuovo profilo a loro insaputa, magari utilizzando un nickname o storpiando il proprio nome. Si tratta di profili nei quali i ragazzi possono pubblicare di tutto senza freni, vincoli ma soprattutto senza destare sospetti di alcun tipo.

    In questi casi suggerisco di procedere creando un profilo/pagina avente come oggetto tematiche di gradimento a vostro figlio, ad esempio una pagina che tratti di argomenti sportivi. In questo modo potrete vedere un po’ più da vicino la natura e le dinamiche “pubbliche” delle interazioni virtuali dei vostri figli, riuscendo così ad intervenire preventivamente in caso di necessità.

    Per domande e consigli di natura investigativa e/o di sicurezza, scrivetemi e vi risponderò direttamente su questa rubricad.castro@vigilargroup.com

  • Un punto di vista sul diritto di visita del genitore non collocatario ai tempi del covid-19

    Sin dall’inizio del periodo emergenziale che stiamo vivendo, i genitori separati, di diritto o di fatto, si sono trovati a porsi il problema se, in un simile frangente in cui molte nostre libertà sono, per forza di cose, limitate, il loro di diritto di visita ai figli collocati presso l’altro genitore rimanesse invariato.

    Tornando indietro all’8 marzo, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri emanato in tale data ha iniziato l’iter che, in poco tempo, avrebbe portato ad inibire, sull’intero territorio nazionale, la mobilità e la socialità, nell’ottica del contenimento dell’epidemia.

    Nella vigenza del predetto decreto, tuttavia, complici le chiare indicazioni fornite dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri sul proprio sito internet, non sono state favorite interpretazioni restrittive del diritto del genitore non collocatario a recarsi al domicilio dell’altro genitore per prendere con sé il figlio e portarlo alla propria abitazione e di ivi riaccompagnarlo.

    Ed infatti, il Tribunale di Milano, pronunciando in via d’urgenza, ha confermato, in data 11 marzo 2020, che il genitore poteva continuare ad esercitare il proprio diritto di visita in conformità alle modalità previste dal giudice che si era occupato della separazione, del divorzio o dell’affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio.

    Il quadro si è fatto, seppure per un breve periodo di tempo, più confuso, in seguito al successivo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22 marzo 2020, ed in particolare al divieto, ivi contenuto, per tutte le persone, di trasferirsi o spostarsi in un comune diverso rispetto a quello in cui si trovassero, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute.

    Tale formulazione ha portato a chiedersi se il diritto di visita del genitore fosse configurabile come una “assoluta urgenza”, e dunque tale da consentire gli spostamenti.

    Una riflessione obbligata, che troppo spesso ha scontato prese di posizione aprioristiche, ma che, invero, ha una portata di assoluta rilevanza.

    Ebbene, a fronteggiarsi sono due diritti costituzionalmente garantiti: il diritto/dovere del genitore di mantenere, istruire ed educare i figli, cui corrisponde il diritto di questi ultimi (art. 30 Cost.) ed il diritto alla salute (art. 32 Cost.).

    Non sembra davvero possibile porre tali diritti in ordine assoluto di importanza, essendo, a ben vedere, intrinsecamente compenetrata nella cura che il genitore ha il diritto ed il dovere di avere verso il figlio la tutela della salute di quest’ultimo.

    In un simile quadro, sono stati emessi provvedimenti giudiziari, ed in particolare il riferimento è alle decisioni della Corte di Appello di Bari e del Tribunale di Napoli, entrambe del 26.03.2020, che hanno deciso di sospendere le visite paterne ai figli, sostituendole con videochiamate.

    Se si condivide la necessità di valutare, caso per caso, la situazione della famiglia – e, del resto, la logica del caso concreto è quella che pare meglio adattarsi al diritto di famiglia – non sembra invece che siano i provvedimenti governativi a spingere in tale direzione.

    Ed infatti, ben presto sul sito della Presidenza del Consiglio si è chiarito che “gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore o comunque presso l’affidatario, oppure per condurli presso di sé, sono consentiti anche da un Comune all’altro” e che “tali spostamenti dovranno in ogni caso avvenire scegliendo il tragitto più breve e nel rispetto di tutte le prescrizioni di tipo sanitario (persone in quarantena, positive, immunodepresse etc.), nonché secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio o, in assenza di tali provvedimenti, secondo quanto concordato tra i genitori”.

    A livello normativo, pertanto, possiamo certamente affermare con sicurezza che, oggi, ogni genitore che non viva con la prole può spostarsi, anche da un Comune all’altro, per prendere con sé i minori onde consentire l’esplicarsi del diritto di visita.

    Ciò verrà fatto nel rispetto di quanto previsto dal giudice, ove tra i genitori fosse già stato dato un provvedimento relativo all’affidamento ed alle visite, oppure, ove non si sia ancora avuta una decisione giudiziaria, secondo l’accordo che i genitori hanno la facoltà di raggiungere.

    Tale chiarimento di massima da parte del Governo si rivela senz’altro apprezzabile, in quanto funzionale ad evitare l’accesso alla giustizia, ed il conseguente contenzioso, in tutte quelle situazioni che non manifestano particolarità tali, in termini di rischio sanitario, da meritare di essere sottoposte alla valutazione di un giudice.

    Tuttavia, rimangono prive di tutela – rectius, anche di questa tutela – le famiglie disgregate che ancora non hanno avuto una regolamentazione giudiziaria, e nelle quali non si riesce a raggiungere un accordo tra i genitori sul diritto di visita.

    Al riguardo, è essenziale rammentare ai genitori che un diritto di rango costituzionale, quale il diritto del bambino ad un tempo significativo di cura da parte di entrambe le figure genitoriali, che altro non è che l’altra faccia del diritto di ogni genitore di prendersi cura del figlio, non può essere limitato senza serie e comprovate ragioni. Neppure in emergenza sanitaria.

    Una grande responsabilità investe pertanto l’avvocatura responsabile nella gestione del problema: nella gestione del diritto di visita ai tempi del COVID-19.

  • “Mai più invisibili”, il nuovo indice 2020 di WeWorld sulla condizione di donne, bambini e bambine

    2 euro da donare con sms al numero solidale 45597 dal 1 al 15 marzo – mese notoriamente dedicato alle donne – per sostenere la campagna di WeWorld Onlus #maipiùinvisibili dedicata alle donne vittime di violenza in Italia e nel mondo. Nel nostro Paese una donna su tre subisce violenza almeno una volta nella vita ma non lo dice, solo poche denunciano. Sono invisibili, come i loro bambini che assistono alla violenza sulle loro mamme, invisibili come le bambine, in tante parti del mondo, costrette a matrimoni precoci o vittime di mutilazioni genitali. “La violenza sulle donne è un problema che ci riguarda tutti e tutte, ma ognuno di noi può scegliere se voltarsi dall’altra parte o prendere posizione. Oggi con un sms possiamo fare un piccolo gesto concreto per fermarla” dichiara Marco Chiesara, Presidente di WeWorld.

    I fondi raccolti serviranno per sostenere il programma nazionale di WeWorld Onlus contro la violenza sulle donne che ha nella prevenzione e nella sensibilizzazione i propri strumenti fondamentali. A queste si unisce l’intervento sul territorio che comprende il presidio antiviolenza SOStegno Donna all’interno del Pronto Soccorso di un ospedale di Roma – un ambiente aperto h24 ore, sette giorni su sette per accogliere e proteggere le donne vittime di violenza e, se necessario, anche i loro figli – e gli Spazi Donna WeWorld presenti a Napoli (Scampia), a Milano (Giambellino) e Roma (San Basilio) e quelli in apertura di Bologna e Cosenza, dove sono accolte ogni anno 1.000 donne vulnerabili, spesso con i loro figli.
    Gli Spazi Donna sono nati con l’obiettivo di far emergere il sommerso in quartieri difficili dove molto spesso la violenza sulle donne è talmente diffusa da essere giustificata e spesso nemmeno percepita persino dalle donne che la subiscono. Ogni anno 1.000 donne, spesso con i loro figli, sono accolte e assistite grazie ai progetti della Onlus.

    La campagna #maipiùinvisibili si colloca all’interno dell’Indice 2020 ‘Mai più Invisibili’ realizzato da WeWorld in cui emerge non solo la disuguaglianza tra donne (e minori) e uomini ma anche la diversificazione da regione a regione. L’indagine è stata realizzata da WeWorld per misurare l’inclusione di donne e popolazione under 18, monitorandola attraverso 38 indicatori per rilevare molteplici aspetti (economico, educativo, sanitario, culturale, politico, civile) e considerando l’intreccio tra le condizioni di vita degli uni e delle altre.

    Il rapporto rileva come alla ormai nota suddivisione tra Nord e Sud del Paese se ne sia aggiunta un’altra: tra Nord e Centro-Ovest da una parte, Centro-Est e Sud dall’altra. Donne e bambini/e vivono in condizioni di buona e sufficiente inclusione nei territori posti a Nord e nel Centro-Ovest, mentre sono in condizione di grave esclusione o di insufficiente inclusione al Sud, nelle isole e nella parte centro orientale del Paese. La classifica finale vede al primo posto il Trentino -Alto Adige (valore Index pari a 4,8), seguito da Lombardia (3,4), Valle d’Aosta (3,4), Emilia-Romagna (3), Lazio e Friuli Venezia-Giulia (2,1), Veneto (1,9), Toscana (1,6), Liguria (1,5), Piemonte (1), Marche (0). Nella parte bassa della classifica (Index in negativo) le Regioni del Centro-est e Sud Italia: gli ultimi posti sono occupati da Sardegna (-2,6), Puglia (-3,5), Campania (-3,9), Sicilia (-4,3). Fanalino di coda è la Calabria (-4,5). Donne e bambini residenti in Calabria vivono uno svantaggio doppio rispetto a donne e bambini del Trentino- Alto Adige, con un divario di ben 9,3 punti tra le due Regioni.

    I divari tra territori sono particolarmente marcati per l’aspetto educativo dei bambini e delle bambine, con picchi di dispersione scolastica che sfiorano il 20% in alcune Regioni del Sud (contro il 10,6% della media europea) e in quella economica per le donne: in Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna circa 2 donne su 10 sono a rischio povertà ed esclusione sociale, mentre in Sicilia lo è 1 donna su 2.

    Ne emerge la fotografia di un’Italia con grandi sacche di povertà soprattutto nelle periferie più problematiche, proprio dove WeWorld interviene con progetti a sostegno dei diritti di donne e bambini, gli Spazi Donna WeWorld, appunto, nati nel 2014. L’obiettivo dell’indice “Mai più invisibili” è quello di rendere disponibili e fruibili alcuni dati che raramente arrivano all’attenzione dell’opinione pubblica e di fornire un elemento utile a tutti gli attori pubblici, privati e del terzo settore per costruire migliori e più consapevoli politiche e interventi che affrontino in modo congiunto i fattori di esclusione che perpetuano il divario generazionale e di genere.

  • In attesa di Giustizia: decisioni inopportune

    Sta facendo molto discutere la decisione della Corte d’Appello dei Minori di Napoli di autorizzare uno dei responsabili, reo confesso, dell’omicidio di una guardia giurata avvenuto solo pochi mesi fa di trascorrere a casa con i famigliari, invece che in carcere, il giorno del suo diciottesimo compleanno.

    Vero è che si tratta di un soggetto minorenne, almeno all’epoca dei fatti, e il processo minorile contempla possibilità decisionali molto ampie in termini non solo di gestione della libertà personale ma anche delle modalità definitorie del processo, non ultimo in tema di dosimetria delle pene. Il tutto tenendosi conto delle relazioni che esperti dei servizi sociali forniscono all’autorità giudicante che – a sua volta – è integrante nella composizione da professionisti non togati provenienti dal settore della psicologia evolutiva, sociologia e altri affini.

    In questo caso, come sembra sia accaduto, l’autorizzazione sarebbe stata concessa proprio sulla scorta di una positiva valutazione del giovane che – senza averla letta – è da ritenersi fondata su una rivisitazione critica positiva del proprio vissuto da parte dell’autore del fatto, di una elaborazione della condotta criminale posta in essere registrandone l’estremo disvalore.

    E sin qui va bene: se la legge lo consente – e lo consente – e vi sono i presupposti emergenti dalla relazione degli assistenti sociali, la Corte d’Appello ben poteva concedere il permesso, ma avrebbe anche potuto negarlo rilevando, per esempio, la estrema gravità del reato commesso, la prossimità temporale con il fatto, l’inopportunità dell’autorizzazione a un soggetto ancora in una fase di rieducazione iniziale attraverso il trattamento penitenziario.

    Oppure, avrebbe potuto decidere favorevolmente ma ponendo degli obblighi in capo al beneficiato quali per esempio, il divieto di festeggiamenti per così dire “pubblici”, cosa che al giorno d’oggi si può realizzare – così come si è realizzata – mediante l’impiego dei social media.

    Se da un lato è ragionevole pensare che per il giovane omicida sia stato un momento di comprensibile gioia trascorrere un compleanno importante tra gli affetti famigliari e non in carcere e lo stesso sia stato il sentimento provato dai parenti più stretti, questa occasione di giubilo è stridente con il dolore ancora recentissimo dei congiunti della vittima che non avranno più né compleanni, né Festività Natalizie, né altre occasioni per brindare con il proprio, padre, marito, amico.

    Le immagini della festa diffuse senza risparmio su Facebook piuttosto che su Instagram non sono sfuggite, provocando l’indignazione non solo dei famigliari della sventurata guardia giurata uccisa solo a marzo scorso. Tutto ciò assume il sapore di una beffa che la giustizia avrebbe dovuto e potuto impedire: da un lato un assassino conclamato che poco tempo dopo un omicidio brinda, dall’altro le lacrime ancora calde di chi ha perso per mano sua una persona cara.

    Bastava davvero poco e la Giustizia poteva avere il suo corso naturale, concedendo ciò che poteva essere concesso a un giovane che – forse – si sta davvero recuperando e ponendo i presupposti per rispettare la sensibilità delle vittime indirette delle sue azioni. Troppo veloce, questa volta la Giustizia, soprattutto è arrivata con modalità del tutto inopportune ed era questione non tanto di applicazione della legge ma di buonsenso.

  • Achtung Binational Babies: il modello tedesco di Bibbiano

    Le recenti inchieste della magistratura relative ai casi di bambini strappati ai propri genitori per futili motivi, spesso con l’impiego delle forze di polizia, hanno svelato un modo di procedere che pare degno di una feroce dittatura e hanno reso visibile la punta dell’iceberg del mondo del business sui bambini. E’ la diffusa realtà in cui il bambino si trasforma in merce di scambio e fonte di guadagno, finalità spacciata però come “protezione” e “interesse superiore del minore”. Si tratta dello stesso “interesse del minore” al centro di numerose convenzioni internazionali, regolamenti europei e leggi nostrane. Si tratta di un concetto talmente vago e soggettivo, che l’ho definito, ormai da una decina d’anni, una sorta di scatola vuota nella quale i personaggi coinvolti, poiché dotati di poteri più o meno estesi, e comunque di gran lunga più incisivi rispetto a quelli riconosciuti ai genitori, possono mettervi ciò che vogliono e impossessarsi così della “merce bambino”, proclamando di volerlo proteggere e di voler perseguire gli interessi del piccolo.

    Adesso anche l’opinione pubblica inizia a scoprire che nulla è come sembra. Emergono metodologie ben note a chi è impegnato da tanti anni nella difesa (vera!) dei bambini, ma che per troppo tempo non sono state e ancora oggi non vengono completamente rese note all’opinione pubblica. Servizi sociali che relazionano sulla condizione abitativa di famiglie alle quali non hanno mai fatto visita, psicologi che procedono all’ascolto dei bambini senza registrazione, manipolano i bambini e solo a manipolazione conclusa passano all’ascolto in modalità registrata, in sostanza costruendo di sana pianta le prove contro i genitori e distruggendo la psiche di bambini innocenti. Operatori delle case famiglia che raccontano bugie ai bambini, nascondendo lettere e regali per far credere loro di essere stati abbandonati. Ricatti, cioè confessioni estorte di fatti mai accaduti in cambio di un incontro, che mai avrà luogo, con la mamma o il papà. Ricorso a psicofarmaci, spesso ancora in fase sperimentale e dei quali dunque non si conoscono conseguenze ed effetti collaterali, per i più ribelli. E’ orribile tutto ciò, ma non è tutto. Quando si è deciso di passare dalla protezione del bambino da pericoli concreti, come quelli rappresentati da genitori violenti o che costringono i figli a rubare o prostituirsi, alla protezione da pericoli impalpabili, come la mancata o insufficiente “capacità genitoriale”, si è aperta la porta del business dei bambini. Cioè quando l’accusa di abusi passa dall’ambito fisico a quello psicologico privo di riscontri oggettivi, si passa in realtà da qualcosa che si può provare, a ciò che è profondamente soggettivo e pertanto opinabile. L’opinione che conta di meno è sempre quella dei genitori. Ma non cerchino i tribunali di scaricare tutta la responsabilità sugli assistenti sociali. La responsabilità maggior è del giudice, perché è lui che emette ordinanze e decreti, è lui che alla fine toglie ai genitori i diritti sui propri figli. E’ lui che, in nome del popolo italiano, manda in carcere genitori innocenti. Certamente non tutti i giudici hanno agito e agiscono in questo modo, ma se anche uno solo lo ha fatto, è uno di troppo.

    Le tecniche usate, fin qui riassunte non sono un’invenzione degli operatori ora all’onore delle cronache. Ascoltate cosa affermava Federica Anghinolfi, una degli indagati nell’inchiesta Angeli e Demoni, già Responsabile del Distretto Unione Comuni Val D’Enza nel Servizio Integrato ai Minori:

    https://www.youtube.com/watch?v=ENIS9udm6yg&feature=share&fbclid=IwAR3SJnfCsRaqAJ0Fc1fz_m7WjwVGNnWil-vllOCN4_slzAw_y5fsmelEK4c&app=desktop

    Ci diceva che la richiesta di famiglie affidatarie è maggiore dell’offerta e che pertanto vengono organizzate campagne provinciali alla ricerca di famiglie affidatarie. Esattamente come in Germania, dove gli affidatari vengono cercati con gli annunci sui giornali e dove si fanno previsioni annuali sul numero sempre crescente di bambini che verranno sottratti ai genitori. E’ la stessa Anghinolfi che cita la Germania come modello e quale paese trainante nel sostenere la bontà dell’affido di bambini a coppie omosessuali e si rifà a studi tedeschi risalenti agli anni ’70. In effetti in Germania si è iniziato negli anni ’70 a sperimentare in questo campo. E’ appunto degli anni ’70 l’esperimento del pedagogo e sociologo Helmut Kentler che favorì gli abusi sessuali su bambini e ragazzi, in quanto riteneva fosse necessario affidare questi minorenni a pedofili recidivi. Egli sosteneva che tali padri affidatari si sarebbero occupati al meglio dei bambini. Il fatto che inoltre li costringessero ad avere con loro dei rapporti sessuali non era certo un impedimento, secondo Kentler. Questo suo esperimento fu sostenuto e finanziato dallo Jugendamt di Berlino, cioè dalla Amministrazione per la Gioventù tedesca che detiene poteri cento volte maggiori di quelli dei servizi sociali e che, per legge, detta al giudice la sentenza da emettere. Se infatti ci si scandalizza – a ragione – dei 30-50.000 bambini sottratti in Italia ai genitori, sarà bene riflettere sui 70-80.000 bambini che invece annualmente vengono sottratti in Germania ai genitori. Di questi bambini sottratti il 72% ha almeno un genitore di origine straniera, stando alle informazioni fornite dal Ministero tedesco. Facendo una rapida addizione, ci si rende conto che in Germania, solo negli ultimi anni sono stati sottratti ai genitori quasi mezzo milione di bambini e tra di essi quasi tre quarti non sono interamente tedeschi, cioè moltissimi sono Italiani (la Germania è la prima meta dei nostri concittadini espatriati). Sono quegli Italiani che non rientrano in nessuna statistica, che sono solo merce per il sistema tedesco, e sono tragicamente inesistenti per lo Stato italiano che preferisce non sapere. Sono bambini al macello. Dunque attenzione a pensare che lo scandalo rivelato dall’inchiesta Angeli e Demoni sia una vergogna tutta italiana. Il modello applicato in quelle sottrazioni illecite viene d’Oltralpe e da lì si sta diffondendo in tutta Europa. Quello che è stato scoperto in Italia ha portato ad inchieste ed arresti, le stesse modalità in Germania sono perfettamente legali. E’ il corposo codice sociale tedesco ad attribuire allo Jugendamt (Amministrazione per la Gioventù) poteri quasi illimitati. Lo Jugendamt interviene per legge in ogni procedimento minorile in qualità, non di consulente del giudice, bensì come parte in casa, cioè come terzo genitore. Lo Jugendamt può presentare appello in proprio della decisione del giudice. Agisce come agenzia per il lavoro, erogando sussidi ed andando a riscuotere, anche all’estero, cioè a casa nostra, il pagamento di somme per gli alimenti che lui stesso ha stabilito. E’ responsabile dell’esecuzione delle sentenze che ovviamente e in tutta legalità non esegue, se non gli aggradano. E’ autorizzato dalla Legge a mentire in tribunale (§162 FamFG). Svolge funzioni dell’ufficio anagrafe, conservando il registro degli affidi. E’ guardiano e garante del tasso di natalità in Germania che fa aumentare, impedendo ad ogni bambino, anche straniero, di lasciare la giurisdizione tedesca, mentre fa in modo che in caso di separazione i bambini vengano sempre affidati al genitore tedesco. In Germania gli Jugendamt sono 700 e dispongono di un budget annuale di 35 miliardi (dati del Ministero tedesco). Sono lo strumento di disgregazione familiare con il quale trasformare i bambini in esseri sottomessi, ubbidienti e mercificati, da spostare in base alle esigenze economiche. Sono il modello invocato da Bibbiano, ma anche il punto di arrivo che si pongono ormai troppi Tribunali italiani (in riferimento a Milano, vedi: https://www.youtube.com/watch?v=i3-yTUhcI5Q&t=24s ).

    Persino le goffe giustificazioni di Gloria Soavi, presidente del Cismai (Coordinamento italiano dei Servizi contro il maltrattamento e l’abuso all’Infanzia), del quale erano associati gli operatori legati a “Hansel e Gretel”, oggi indagati, sono identiche a quelle invocate dai deputati tedeschi nel giustificare le azioni orribili dello Jugendamt: “tra i tanti fascicoli trattati, è ammissibile che si sia verificato qualche errore, ma il sistema è perfetto”:

    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/errori-gravi-ma-noi-siamo-diversi?fbclid=IwAR3Kj43byFUyr8KXMHPLZd0kVsdV5tgzyoc4VEIIGryCjinfRwYzM9W5E1k

    Quanto accaduto a Bibbiano non va dunque considerato solo come il vergognoso scandalo di un sistema uscito dai binari. Al contrario quel sistema sta nella corsia principale di una autostrada che già troppe autorità hanno deciso di percorrere e verrà presto esportato e applicato in tutta Europa. Riteniamo che vada fermato e per farlo è imprescindibile avvalersi della competenza di chi ha già vissuto, all’estero, la realtà che attende l’Italia tra qualche anno.

    Membro della European Press Federation
    Responsabile nazionale dello Sportello Jugendamt, Associazione C.S.IN. Onlus – Roma
    Membro dell’Associazione European Children Aid (ECA) – Svizzera
    Membro dell’Associazione Enfants Otages – Francia

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