narcotraffico

  • I “banchieri clandestini” cinesi accusati di favoreggiamento del cartello messicano

    Una rete cinese di “banche clandestine” aiuta il potente cartello messicano della droga di Sinaloa nel riciclaggio di denaro e altri crimini. E’ questa l’accusa con la quale il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DoJ) ha accusato 24 persone di reati che includono anche la distribuzione di narcotici.

    Le forze dell’ordine hanno sequestrato circa 5 milioni di dollari (4 milioni di sterline) di proventi, oltre ad armi e centinaia di chili di cocaina, metanfetamine e pillole di ecstasy.

    Il Dipartimento di Giustizia ha sottolineato la stretta collaborazione con le forze dell’ordine messicane e cinesi, un messaggio che ha trovato eco anche da parte cinese.

    Gli Stati Uniti accusano il cartello di Sinaloa di aver contribuito ad alimentare un’epidemia mortale inondando il paese di fentanyl, un oppioide sintetico fino a 50 volte più potente dell’eroina, ed ha evidenziato come più di 50 milioni di dollari siano transitati clandestinamente tra i membri della banda di Sinaloa e i gruppi cinesi.

    Gli ‘scambi’ venivano utilizzati dagli agenti di Sinaloa per spostare il denaro acquisito illegalmente dagli Stati Uniti al Messico, gli scambi cinesi offrono un “mercato pronto” per la valuta statunitense, ha affermato il DoJ, spiegando che alcuni cittadini cinesi vogliono “alternative informali” al sistema bancario convenzionale perché il governo di Pechino pone un limite alla quantità di denaro che possono ritirare dalla Cina.

    Una dichiarazione di Pechino, citata dall’agenzia di stampa AFP, sembra confermare la stretta collaborazione con gli Stati Uniti, affermando che le autorità locali hanno arrestato un sospettato di riciclaggio di denaro.

    Gli Stati Uniti accusano da tempo la stessa Cina di inondare il Paese con farmaci mortali come il fentanyl, un’accusa che la Cina nega. Nel 2022 più di 70.000 americani sono morti per overdose di fentanyl e Washington afferma che gli oppioidi di produzione cinese stanno alimentando la peggiore crisi della droga nella storia del paese.

  • Nuove verità inquietanti da un programma televisivo investigativo

    Tre cose non possono essere nascoste a lungo: il sole, la luna e la verità.

    Buddha

    Il nostro lettore veniva informato alcune settimane fa su un’inchiesta di un giornalista investigativo trasmessa il 21 aprile scorso, in prima serata, su RAI 3 (Clamorosi abusi rivelati da un programma televisivo investigativo, 23 aprile 2024; Altre verità rivelate da un programma televisivo investigativo, 7 maggio 2024). Durante la prima parte del programma televisivo Report veniva trattata, fatti alla mano, la vera e vissuta realtà albanese. Una realtà che sta diventando sempre più preoccupante ed allarmante. Una realtà che rispecchia e testimonia tutta la pericolosità del nuovo regime, della nuova dittatura sui generis restaurata da alcuni anni ed in continuo consolidamento in Albania. Si tratta di una pericolosa e sempre più attiva alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata e determinati clan occulti internazionali, finanziariamente molto potenti. Si tratta di una dittatura camuffata da una facciata di pluripartitismo e di democrazia. Una facciata ben programmata e messa in atto da una potente propaganda governativa alla quale ubbidiscono la maggior parte dei media. Una realtà che, guarda caso però, non “riescono” a notarla, capirla e ad agire di conseguenza neanche gli alti rappresentanti delle cancellerie occidentali e delle più importanti istituzioni internazionali, comprese quelle dell’Unione europea. Una realtà della quale il nostro lettore è stato informato da anni ormai, sempre con la dovuta e richiesta oggettività, fatti accaduti, documentati e pubblicamente noti alla mano.

    Durante il programma Report trasmesso in prima serata su RAI 3 il 21 aprile scorso veniva trattato l’Accordo, noto come il Protocollo sui migranti, ufficializzato il 6 novembre 2023 a Roma tra l’Italia e l’Albania. Un accordo firmato dalla Presidente del Consiglio dei ministri dell’Italia e dal suo omologo e “caro amico’, il primo ministro albanese. Proprio da lui che quasi due anni prima, ed esattamente il 18 novembre 2021, era determinato e dichiarava convinto che “L’Albania non sarà mai un Paese dove paesi molto ricchi possano creare campi per i loro rifugiati. Mai!”. Riferendosi all’Accordo, il giornalista investigativo analizzava anche la sua parte finanziaria ed alcune incongruenze ad essa legate. Lui, dopo aver esposto ed analizzato i costi previsti e quelli con i quali, tutto sommato, si dovrebbe far conto e realmente affrontare nel prossimo futuro, faceva la normale domanda: “Ma chi beneficerà davvero di questo accordo?”. L’autore di queste righe, in seguito a quella domanda, ha espresso la sua opinione, anzi la sua convinzione, che ne beneficerà “…la criminalità organizzata locale che ormai è diventata molto attiva e pericolosa anche in Europa ed altrove. Sì, perché i profughi diventeranno preda del traffico dei clandestini. E si tratta proprio di quella criminalità organizzata che collabora con il potere politico e che determina non poche decisioni del governo albanese”(Clamorosi abusi rivelati da un programma televisivo investigativo, 23 aprile 2024).

    Il giornalista investigativo del programma televisivo Report durante il documentario trasmesso il 21 aprile scorso su RAI 3, tra l’altro, aveva evidenziato fatti che riguardavano e coinvolgevano anche il segretario generale del Consiglio di ministri albanese e il fratello del primo ministro. Lui, il giornalista, riferendosi al segretario generale del Consiglio dei ministri, affermava che “…la sua potenza ed il suo potere sono fuori misura […]. Lui è una persona chiave anche dell’Accordo sui migranti tra l’Italia e l’Albania”. L’autore di queste righe ha informato in precedenza il nostro lettore chi è e cosa rappresenta il segretario generale del Consiglio dei ministri albanese. Mentre, per quanto riguarda il fratello del primo ministro albanese, il giornalista del programma Report, trasmesso il 21 aprile scorso su RAI 3, affermava che “dai documenti delle indagini della Procura [albanese] nel 2016, che il programma Report pubblica esclusivamente in seguito, risulta che il fratello del primo ministro albanese ha usato per i suoi movimenti la stessa macchina che era al servizio di un cartello di narcotrafficanti albanese […]. Quelle indagini hanno portato ad un processo giudiziario, durante il quale i narcotrafficanti sono stati condannati, mentre Olsi Rama (il fratello del primo ministro albanese; n.d.a.) non è stato neanche ascoltato. Il suo nome, addirittura, è stato cancellato dai fascicoli giudiziari”. Si tratta di un fatto noto ormai da anni in Albania. Chissà perché il sistema “riformato” della giustizia non ha reagito?! La risposta, da anni ormai, la danno le cattive lingue. Secondo loro è proprio il primo ministro che controlla tutto il sistema e guai se qualcuno gli si mette contro.

    Domenica scorsa, 2 giugno, di nuovo la prima parte del programma televisivo Report era stata dedicata alla situazione in Albania. Il giornalista lo aveva già dichiarato, dopo la trasmissione della sua inchiesta del 21 aprile, che lui disponeva di molte altre informazioni e fatti documentati che dimostrerebbero inconfutabilmente l’esistenza di un’alleanza pericolosa tra il potere politico, rappresentato istituzionalmente dal primo ministro, e la criminalità organizzata. Sia quella albanese, che sta diventando sempre più potente, che quella internazionale. Dopo la dura reazione e le minacce fatte dal primo ministro albanese, trovandosi in grosse difficoltà, alla direzione di RAI 3, i rappresentanti della redazione del programma Report hanno smentito tutto e hanno promesso un’altro programma che avrebbe trattato la realtà albanese. Il programma trasmesso domenica scorsa presentava nuove verità inquietanti. Verità documentate, che coinvolgevano direttamente il primo ministro. Verità che il giornalista ha detto in faccia al diretto interessato, durante un’intervista con lui, realizzata alcuni giorni fa in Albania, nell’ufficio del primo ministro. Durante l’intervista il giornalista ha rinfacciato al primo ministro il fatto che tre dei suoi ministri degli Interni, compreso quello attuale, hanno dei legami stretti con la criminalità. Poi ha evidenziato un altro fatto accaduto, che si riferisce ad un incontro che il primo ministro ha avuto pochi anni fa, nel suo ufficio, con un trafficante albanese, membro attivo di un noto cartello messicano che gestisce la cocaina della Colombia. Il giornalista di Report chiede al primo ministro: “Per me, come giornalista, il fatto che il capo del Consiglio dei ministri dell’Albania si incontra con una persona che, in seguito, si scopre riciclare il denaro del cartello Sinaloa e [di essere] uno dei membri più importanti [del cartello], è una notizia ed io le chiederò di questo. Non avrei fatto bene il mio mestiere se non glielo avessi chiesto”. Il primo ministro, come suo solito, ha cercato di tergiversare con giochi di parole. Ma il giornalista, non mollando, ha detto: “Se la Presidente del Consiglio dei Ministri dell’Italia avesse incontrato la persona che ricicla denaro per i cartelli messicani, le avrei fatto delle domande ripetute a raffica solo su questo fatto”. Durante l’intervista il giornalista ha rinfacciato anche molte altre scomode verità al primo ministro, comprese quelle su suo fratello. Ma lui non ha potuto e neanche voluto dare delle risposte convincenti, anzi.

    Chi scrive queste righe continuerà a trattare altre nuove verità inquietanti rivelate dal programma Report trasmesso domenica 2 giugno in prima serata su RAI 3. Nel frattempo qualcuno dovrebbe dire al primo ministro albanese che sono tre le cose che non possono essere nascoste a lungo: il sole, la luna e la verità. Buddha ci insegna.

  • Mexican villagers killed amid cartel battle

    At least 11 people have been killed amid clashes between rival cartels in the southern Mexican state of Chiapas.

    Reports by local media say that two nuns and a teenager are among those killed.

    The area is fought over by the Sinaloa cartel and the Jalisco New Generation Cartel (CJNG).

    But residents said the victims were locals who were “massacred” by cartel members.

    Residents reported hearing intense gunfire on Monday night.

    Police and soldiers confirmed on Tuesday that they had found 11 bodies in the village of Nuevo Morelia and its surrounding area.

    The diocese of San Cristóbal, of which Nueva Morelia forms part of, confirmed that two women “who served the Catholic Church” were among those killed.

    A 15-year-old boy has also been confirmed as one of the victims.

    However, it was not clear if the two were lay members of the Church or nuns, as some local media reported.

    Locals said there had been fighting between the rival cartels since Friday.

    The Sinaloa cartel and the CJNG have been fighting for control of the area for several years.

    The criminal groups extort migrants who cross the southern state on their way north to Mexico’s border with the United States.

    Communities in the region have been hard hit by the violence, sometimes having to hide in their homes for days as shots ring out outside.

    In January, hundreds fled their homes in Chicomuselo, the area where Nuevo Morelia is located, to escape the violence.

    Confrontations between the two cartels flared up again at the end of last week when members of the criminal organisations set abandoned homes alight in Nuevo Morelia and surrounding villages.

    A resident told Spanish international news agency Efe that some of the villages had no power after gang members had damaged the electricity poles.

    Police and forensic experts have been deployed to the area but locals claim they have been left largely unprotected.

  • Mexico cartel used explosive drones to attack police

    Suspected criminals in Mexico have used drones to drop explosives on police, injuring two officers.

    Officials think the powerful Jalisco New Generation Cartel (CJNG) is behind Tuesday’s attack in the western state of Michoacán.

    In August, two rigged drones were found in the car of suspected CJNG members.

    The drones are thought to be the latest weapons in a deadly war between the drugs cartel and the security forces and vigilantes opposed to them.

    New weapon in a deadly fight

    Not much detail has been released about Tuesday’s attack but local media said two drones had been used.

    It is believed they were rigged in a similar way to the two drones that were found in the car boot of suspected cartel members.

    The drones seized last year had containers taped to them which had been filled with plastic explosives and ball bearings. Experts said they had been set up to be detonated remotely and could have inflicted deadly damage.

    The officers injured on Tuesday had been deployed to clear roads leading to the city of Aguililla, in Michoacán, which had been blocked by the cartel to impede the access of the security forces.

    Over the past weeks, hundreds of residents have been fleeing the city in fear as the CJNG and a rival group calling itself United Cartels (Cárteles Unidos), fight for control of the city.

    Earlier this month, eight mutilated bodies were found in the area after a particularly deadly fight between the two groups.

    Aguililla is the birthplace of CJNG leader Nemesio Oseguera Cervantes, also known as “El Mencho”.

    “El Mencho” is one of Mexico’s most wanted men and the US Drug Enforcement Administration is offering a $10m (£7.2m) reward for information leading to his capture.

    His cartel is one of the most powerful in the country and has been behind some of the deadliest attacks on Mexican security forces, such as a 2015 ambush in Jalisco which left 15 officers dead.

    It has spread from his original power base in the state of Jalisco to have an almost nationwide presence.

    Security officials say it was also behind the brazen assassination attempt on Mexico City’s police chief, Omar García Harfuch, last June.

    The cartel is believed to have further stepped up its attacks on the security forces in retaliation for the extradition to the United States of El Mencho’s son, Rubén Oseguera González, known as “Menchito” (Little Mencho), on drug trafficking charges.

  • Maduro narcotrafficante, taglia da 15 milioni di dollari

    Gli Stati Uniti hanno accusato il presidente del Venezuela Nicolas Maduro e altri alti funzionari del Paese di “narco-terrorismo” e hanno messo sulla testa del capo di Stato una taglia da 15 milioni di dollari. Le accuse a carico del novello ‘Pablo Escobar’ che è subentrato a Chavez nella sciagurata gestione del Paese sudamericano sono state formulate dalle corti di New York e Miami e rese note dal ministro della Giustizia a stelle e strisce, William Barr: cospirazione con una organizzazione terroristica per inondare gli Stati Uniti di cocaina e usare la droga come arma per minare la salute degli americani, nonché favorire il traffico di cocaina dalla Colombia agli Stati Uniti, grazie all'”alleanza” tra governo venezuelano e le rinate Farc, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia. Il Venezuela avrebbe anche sostenuto il gruppo militare libanese di Hezbollah.

    La Casa Bianca aveva già riconosciuto ufficialmente l’oppositore di Maduro, Juan Guaidò, come legittimo presidente del Venezuela. “Il regime di Maduro – ha commentato Barr – è inondato da corruzione e criminalità”. Insieme al presidente sono stati incriminati altri dirigenti del governo, dal direttore dell’intelligence venezuelana al generale dell’esercito, fino al ministro dell’Industria. Su di loro è stata posta una taglia da 10 milioni di dollari.

    Secondo la procura di Miami, alcuni membri del governo venezuelano avrebbero riciclato il denaro sporco in Florida, investendo in proprietà immobiliari. Secondo Washington i ribelli colombiani “hanno ottenuto il sostegno del regime di Maduro, che sta permettendo loro di usare il Venezuela come un rifugio sicuro dal quale possono continuare a condurre il loro traffico di cocaina”. Maduro ha negato tutto e su Twitter ha accusato gli Stati Uniti e la Colombia di voler “scatenare la violenza in Venezuela”. “Come capo di Stato – ha aggiunto – ho l’obbligo di difendere la pace e la stabilità di tutto il Paese in ogni. Non ce la faranno neanche stavolta”.

    Era da 32 anni che il dipartimento di Stato americano non accusava un capo di stato straniero: l’ultima volta era avvenuto nel 1988, quando era toccato al leader panamense Manuel Noriega, accusato di essere un narcotrafficante in combutta con il cartello colombiano di Medellin.

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