Nato

  • Putin spedisce tre navi da guerra a Cuba

    L’annuncio di un imminente arrivo a Cuba di tre imbarcazioni e un sottomarino a propulsione nucleare russi ha acceso l’allarme degli Stati Uniti, che temono un possibile svolgimento di esercitazioni militari nei Caraibi. Manovre che sarebbero una risposta alle – quasi concomitanti – esercitazioni Nato nel Mar Baltico, in programma fino al 20 giugno. Ll’Avana aveva segnalato che dal 12 al 17 giugno riceverà in visita ufficiale la fregata “Gorshkov”, il sottomarino a propulsione nucleare “Kazan”, la petroliera della flotta “Pashin” e il rimorchiatore “Nikolai Chicker”. La visita, scrive il governo cubano, è realizzata nell’ambito delle “storiche relazioni di amicizia tra Cuba e la Federazione russa e rispetta i regolamenti internazionali”. L’Avana assicura che nessuna delle navi contiene armi nucleari”. Le visite di unità navali di altri Paesi sono una “pratica storica del governo, con nazioni con cui manteniamo relazioni di amicizia e collaborazione”, prosegue il comunicato. Le imbarcazioni russe svolgeranno diverse attività istituzionali durante la permanenza: tra queste, una visita al capo della Marina cubana e alla governatrice della capitale L’Avana. Al loro arrivo saranno sparati 21 colpi a salve come saluto a Cuba, con la risposta di una unità delle forze armate cubane.

    Washington aveva avvertito della presenza di unità militari russe già mercoledì, denunciando anche lo svolgimento di possibili esercitazioni aeree: un funzionario dell’amministrazione Usa, sentito da “Miami Herald”, ha affermato che sono attese attività aeree e navali che includono mezzi da combattimento. Si tratterebbe della prima esercitazione aereo-marittima coordinata di Mosca nell’emisfero occidentale in cinque anni. “Siamo delusi ma non sorpresi dalla decisione di Cuba di accogliere i mezzi russi”, ha detto ieri il funzionario, assicurando che l’intelligence statunitense supervisionerà le esercitazioni pur non considerandole una minaccia diretta e ritenendo che non ci siano armi nucleari a bordo. “Sono esercitazioni navali di routine, accelerate dopo il supporto degli Usa all’Ucraina e dopo le attività di addestramento a supporto degli alleati Nato”. Per gli Stati Uniti, hanno peraltro avvertito che le navi potrebbero fare tappa anche in Venezuela.

    Stando a quanto riporta l’agenzia governativa russa “Tass”, le navi fanno parte di una flotta settentrionale della marina e sono salpate lo scorso 17 maggio per “assicurare la presenza navale in aree importanti della zona oceanica”. La fregata Gorshkov ha effettuato un’esercitazione ad un target simulato nell’oceano atlantico, utilizzato il complesso di artiglieria Ak-192m e missili Palash. Il sottomarino kazan può trasportare missili di precisione a lungo raggio, capaci di colpire obiettivi a terra, in mare e in aria. Secondo quanto riporta l’istituto navale Usa, è dal 1969 che sottomarini russi visitano periodicamente l’isola. Nello stesso periodo della presenza a Cuba, altri mezzi militari russi e personale dell’esercito sono entrati in Nicaragua per fornire “assistenza e vantaggi reciproci in caso di emergenza”, come si legge in una nota del governo nicaraguense che ne autorizza l’ingresso fino al 31 dicembre 2024. Le truppe da Mosca lavoreranno insieme all’esercito locale per condurre operazioni di sicurezza e contro la criminalità e per condividere addestramenti con il Comando di operazioni speciali.

    Le esercitazioni russo-cubane si svolgono, peraltro, quasi in concomitanza con le Baltops, le tradizionali manovre navali della Nato nel Mar baltico. La 53esima edizione delle Baltops viene osservata con grande attenzione dalla Russia che si trova a confrontarsi, dopo l’adesione all’Alleanza atlantica di Svezia e Finlandia, con un Mar Baltico a trazione decisamente atlantista. Le esercitazioni della Nato si svolgono da oggi sino al 20 giugno e coinvolgeranno venti nazioni che sono già giunte la scorsa settimana a Klaipeda, in Lituania. Nelle manovre saranno impiegati quattro gruppi anfibi e diverse unità operative multinazionali composti da più di 50 navi, 25 aerei e 9 mila militari provenienti da Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Spagna, Svezia, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti. Le operazioni di addestramento prevedono attività di guerra antisommergibile, esercitazioni di artiglieria, operazioni anfibie, sminamento e interventi medici. Sin dalla prima edizione nel 1971, le Baltops sono aumentate sia in termini numerici di partecipazione che in complessità poiché la Nato ha rafforzato la sua dottrina relativa alla minaccia proveniente dal fianco orientale, ovvero la Russia.

  • La Nato si esercita in Africa insieme ai suoi alleati locali

    Ha avuto inizio l’Esercitazione multinazionale African Lion 2024, organizzata dal Comando statunitense Southern European Task Force – Africa (Setaf-af) con sede a Vicenza su mandato del Comando Africa statunitense (Africom). African Lion 2024 si svolge contemporaneamente in Marocco, Ghana, Senegal e Tunisia, fino al 31 maggio, con oltre 7.100 partecipanti provenienti da oltre venti nazioni, compresi contingenti della Nato.

    Per la Difesa italiana partecipa l’Italian Joint Force Headquarters (Ita Jfhq), il Comando interforze a livello brigata estremamente flessibile, ad elevata prontezza operativa e caratterizzato da una connotazione proiettabile (anche in configurazione seabased). Posto alle dirette dipendenze del Comando operativo di vertice interforze (Covi), l’Ita Jfhq è deputato alla pianificazione e direzione di small scale operations e operazioni di evacuazione dei nostri connazionali all’estero in caso di necessità, così come avvenuto in conseguenza del rapido deterioramento della cornice securitaria in Afghanistan nell’agosto 2021, o a causa degli scontri armati in Sudan nell’aprile 2023 o subito dopo il colpo di stato in Niger, nel luglio dello stesso anno.

    L’obiettivo strategico di African Lion 2024 è quello di potenziare la capacità di interagire e interoperare con i partner africani ed europei con interessi in questo continente al fine di affrontare congiuntamente e con successo le sfide securitarie comuni. Il contributo dell’Ita Jfhq alla corrente edizione di African Lion è quello di simulare il Comando responsabile delle operazioni di evacuazione di civili da un’area di crisi in cui sono in corso delle ostilità, frattanto interessata da un terremoto che ha determinato l’adozione di un cessate il fuoco dalle parti per permettere lo svolgimento delle attività a supporto delle popolazioni coinvolte. Il Comando italiano, che dal 27 maggio si dispiegherà con le proprie capacità nei sedimi di Agadir e Tan Tan in Marocco fino al primo giugno, è supportato da reparti dell’Esercito (in particolare della Brigata “Granatieri di Sardegna” e dell’11esimo Reggimento Trasmissioni) e dell’Aeronautica militare (32esimo Aerostormo, 37esimo Aerostormo e 46esima Brigata Aerea).

    La partecipazione del Jfhq ad African Lion 2024 rappresenta un’importante opportunità per la Difesa per consolidare la già acclarata leadership nel contesto securitario euro-mediterraneo ed euro-atlantico, poiché si pone anche quale accreditato interlocutore di rilievo in materia di Neo (Non-Combatant Evacuation Operation), potendo: porre la giusta enfasi sull’importanza attribuita alla salvaguardia dei non-combattenti (oggigiorno un tema di altissima rilevanza, al centro della realtà geopolitica e geostrategica globale); incrementare la partecipazione ad attività internazionali che valorizzino, in particolare, la funzione di Comando e Controllo (C2) di un pacchetto di Forze già consolidato quale abilitante per le Neo; massimizzare le opportunità derivanti da programmi di cooperazione internazionali; promuovere e consolidare la conoscenza dell’Ita Jfhq nel panorama internazionale quale “eccellenza” della Difesa.

  • Pace in Ucraina

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo dell’On. Dario Rivolta

    Da più parti si chiede che la guerra in Ucraina si trasformi presto in pace o almeno in una tregua che apra a negoziati per la fine definitiva del conflitto. È più che giusto che si desideri porre fine a una carneficina che tocca soldati e civili da una parte e dall’altra e che ci si interroghi su come arrivare a questa soluzione. Tuttavia, prima di ragionare su cosa fare credo che sia bene che qualcuno, chiunque egli sia, risponda (almeno a sé stesso) a due domande.

    La prima: quali sono gli interessi dell’Europa nel volere che l’Ucraina entri nella NATO? Tutti, salvo gli ipocriti, sanno che la guerra è scoppiata dopo che, per diverse volte, Mosca aveva pubblicamente fatto sapere di considerare come un attentato alla propria sicurezza il possibile ingresso dell’Ucraina nella NATO. Non a caso, quando gli americani vollero che all’ordine del giorno dell’incontro NATO di Bucarest del 2008 fossero inseriti anche l’ingresso nell’Alleanza Atlantica di quel Paese e della Georgia, Germania e Francia (e sottovoce anche l’Italia) si opposero, esprimendo la preoccupazione che tale atto avrebbe causato una risposta della Russia tutt’altro che pacifica. Gli americani dovettero fare buon viso a cattiva sorte ma, in cambio della rinuncia, ottennero che la questione fosse solo rimandata a data successiva. Dopo quanto era accaduto nel 1999 con l’attacco della NATO contro la Serbia (non avallato dall’ONU) e alcune “rivoluzioni colorate” scoppiate i Paesi limitrofi alla Russia, a Mosca si era cominciato a pensare, a torto o a ragione, che l’Occidente stesse puntando a destabilizzare ciò che restava dell’ex-Unione Sovietica. Ad avvalorare tale ipotesi aveva contribuito la trasformazione dello scopo ufficiale della NATO, da puramente difensivo al momento della sua creazione, in un’organizzazione che si poneva come obiettivo di intervenire ovunque si giudicasse (da parte di Washington?) fossero a rischio la democrazia e i diritti umani. A tal proposito vedi Dichiarazione di Roma nel 1991 e la sua formalizzazione a Washington nel 1999 attraverso il “Nuovo Concetto Strategico”.  Naturalmente si sarebbero chiusi gli occhi se le violazioni fossero avvenute in Paesi considerati “amici” o “utili”. E, infatti, nessuno ha aiutato o inviato armi all’Armenia democratica attaccata dall’Azerbaigian autoritario nel Nagorno-Karabakh con l’esodo forzato di decine di migliaia di etnicamente armeni costretti a1988-2024d abbandonare tutto.

    Dunque: Gli americani avevano una loro logica, giusta o sbagliata che fosse, ma gli europei? Voglio quindi ripetere la domanda: che interesse aveva, ed ha, l’Europa ad avere l’Ucraina nella NATO? Chi rispondesse che serve per “contenere” la Russia giustificherebbe le reazioni di Mosca.

    La seconda: Qual è l’interesse dell’Europa nell’avere, e magari in tempi rapidi, l’Ucraina come membro dell’Unione Europea? Dopo che gli USA con l’Inflation Reduction Act hanno messo in ginocchio alcuni settori dell’industria europea invitandoli a delocalizzare verso gli Stati Uniti, vogliamo forse distruggere anche l’agricoltura dell’Europa? È risaputo che, grazie alla mano d’opera a buon mercato e alle immense distese di territori coltivabili ucraini, importare senza dazi i prodotti agricoli da quel Paese metterebbe fuori mercato le nostre aziende e in Polonia sono stati i primi ad accorgersene. Senza contare che, dopo tutti i bombardamenti con proiettili a uranio impoverito dalle due parti in conflitto, ogni prodotto frutto dei campi colpiti dalla guerra arriverebbe da noi contaminato da polveri non radioattive ma estremamente velenose (più del piombo – vedi le malattie mortali riscontrate da civili serbi e soldati NATO in Serbia, Iraq e Afghanistan). E poi, chi dovrebbe pagare i costi della ricostruzione dopo che la guerra sarà finita? Come sempre è successo per i futuri nuovi ingressi, miliardi di euro sono stati mandati da Bruxelles ai Paesi candidati per “adeguare le leggi e le infrastrutture” agli standard europei. Nel caso dell’Ucraina, oltre alla sua dimensione superiore ad ogni precedente Paese entrato, si dovranno aggiungere i fondi necessari a ricostruire strade, fabbriche e intere città. Sanno i cittadini europei cosa sarà trattenuto dalle loro tasche per assecondare i vaneggiamenti di quattro irresponsabili politici a Bruxelles e nelle varie capitali?

    E allora: dove sta l’interesse degli europei a far entrare questo nuovo “membro”, tra l’altro considerato dal FMI come il più corrotto d’Europa? Chi rispondesse che le nostre aziende guadagnerebbero dalla ricostruzione fa solo fantasia e non conosce gli accordi già sottoscritti da Zelensky con Blackrock e J.P. Morgan.

    Veniamo ora alla pace che tutti vogliamo. O almeno a una possibile tregua.

    Il 15 e il 16 giugno prossimi, vicino a Lucerna in Svizzera, si terranno colloqui per identificare un percorso che porti verso una pace giusta e duratura in Ucraina. Ottima iniziativa, se non fosse che la Russia, salvo variazioni dell’ultimo momento, ha già annunciato che non vi parteciperà. È possibile concordare una qualunque pace tra due contendenti nell’assenza di uno dei due?

    Purtroppo, i veri problemi di una negoziazione da intraprendere oggi stanno nel fatto che, checché se ne dica, la vera guerra non è tra Ucraina e Russia ma tra Occidente (in primis gli USA) e la Russia e che nessuno dei contendenti ha fiducia nella buona fede dell’altro. Entrambi sono pervasi da intenzioni massimaliste. Almeno per ora Kiev e l’Occidente, dopo tutti i morti inutili tra la popolazione ucraina, non possono permettersi di perdere la faccia rinunciando a far entrare l’Ucraina nella NATO e abdicando alla rivendicazione dei territori perduti e della Crimea. Inoltre, pensano che l’obiettivo di Mosca sia di instaurare a Kiev un governo fantoccio manovrabile da Mosca. Da parte russa si è sinceramente convinti che l’obiettivo dell’Occidente sia di assicurarsi una “sconfitta strategica” della Russia, la sostituzione dell’attuale regime e il futuro “spezzettamento” della Federazione. Se le due parti sono su queste linee è evidente che l’unica soluzione che si può intravedere è tra la capitolazione o la continuazione dei combattimenti.

    Comunque sia, anche chi nega che la storia sia maestra di vita dovrebbe ricordare come sono finite le guerre nel mondo degli ultimi 70/80 anni. Tutte le volte che sono cessate o sono state sospese grazie a un negoziato senza che sia stato drasticamente risolto il motivo che le aveva scatenate, le ostilità sono ricominciate in breve tempo.

    Vediamo qualche esempio tra i tanti:

    Guerra del Vietnam (1955-1975). Gli accordi di pace di Parigi permisero il ritiro americano dal conflitto ma la guerra continuò fino a che il Vietnam del nord arrivò a detronizzare il governo di Saigon.

    Guerra dei 6 giorni (1967). Gli accordi di Camp David arrivarono solo nel ’78 e consistettero nella vittoria di Israele sull’Egitto sancendo il riconoscimento ufficiale dell’esistenza dello stato israeliano. Dunque: vittoria di Israele.

    Prima guerra del Golfo (1990-1991). Ci fu un cessate il fuoco mediato dall’ONU che sospese temporaneamente il conflitto ma fu sostituito da sanzioni pesanti contro l’Iraq. La guerra ricominciò nel 2003 arrivando alla sconfitta definitiva di Saddam Hussein.

    Guerra civile in Bosnia (1992-1995). Con gli accordi di Dayton si creò un governo federale tra le varie etnie bosniache, croate e serbe che, tuttavia, continuano ancora oggi a essere una polveriera con minaccia di scissioni.

    Guerra del Kossovo (1998-1999). Finì solo con la sconfitta totale della Jugoslavia e gli accordi del ’99 furono, di fatto, la resa di Belgrado. La Serbia tuttora non riconosce l’esistenza autonoma dello stato Kossovaro.

    Guerre tra Armenia e Azerbaigian (1988-2024) Le tensioni etniche tra armeni e azeri datano almeno dall’inizio del ‘900. Nel 1988 con la fine dell’URSS l’Armenia si re-impadronì del Nagorno-Karabakh abitato prevalentemente da armeni. La guerra subito scoppiata finì grazie alla mediazione russa per ricominciare nel 1994 e incattivirsi nel 2016 (guerra dei quattro giorni). Nel 2020 scoppiò di nuovo e ancora la Russia fece da mediatrice imponendo un accordo tra le parti. Accordo reso nullo dalla recente invasione azera del 2024 con successo di quest’ultima grazie all’aiuto della Turchia.

    Se anche l’attuale guerra in Ucraina dovesse finire con un accordo tra le parti che non costituisca una vera vittoria per uno dei due, molto probabilmente si tratterebbe di una soluzione temporanea e, prima o poi, le ostilità ricomincerebbero. Alcuni alti funzionari americani ritengono che la guerra debba finire con un accordo negoziato ma nessuno di loro ha mai detto né agli alleati né tanto meno al governo ucraino su quali basi ciò potrebbe avvenire.

    Dobbiamo dunque rinunciare a cercare la pace? Nessuno dovrebbe permetterselo! Quale pace, tuttavia? Accetterà l’occidente che ciò che resta dell’Ucraina diventi un Paese neutrale come furono l’Austria, la Finlandia e la Svezia, senza che la Nato ci metta becco?  O, in alternativa, accetterà Mosca di rinunciare ai territori che ha già inglobato nella Federazione e che Kiev diventi un nuovo membro dell’Alleanza Atlantica? Entrambe le soluzioni sembrano ad oggi piuttosto improbabili.

    Nel frattempo non va dimenticato che un decreto presidenziale voluto da Zelensky nel Settembre 2022 e tuttora in vigore ha stabilito “l’impossibilità di aprire negoziazioni con il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin” e chi lo facesse sarebbe immediatamente accusato di alto tradimento. Forse bisognerebbe cominciare con il cancellare questo “ukase”.

  • Neutralità

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo dell’On. Dario Rivolta

    Cominciamo col dire che la Confederazione Svizzera, nonostante il suo nome ufficiale, non è una Confederazione. Infatti la sua stessa Costituzione è detta Federale (dal 1848) e il suo Governo, non a caso, si chiama Consiglio Federale. Di là da questo fatto di non minore importanza, il Paese elvetico ha (o aveva) due peculiarità che lo contraddistinguono (o contraddistinguevano) nel panorama politico mondale: il Governo non è composto solo dalla maggioranza parlamentare ma include anche rappresentanti della minoranza e, secondo, la neutralità (dichiarata “perpetua” dal Congresso di Vienna del 1815) che ha conservato la Svizzera fuori da tutte le guerre da più di due secoli.

    Al fianco del tempo indicativo presente ho usato, seppur tra parentesi, anche l’indicativo imperfetto poiché, mentre la struttura di governo è ancora la stessa sulla neutralità odierna della Svizzera ci sarebbe da discutere. La ragione del dubbio risiede in due aspetti: l’atteggiamento assunto verso la guerra in Ucraina e quello in merito al Trattato delle Nazioni Unite sulla Proibizione delle Armi Nucleari. Occorre anche precisare che il rapporto tra il Governo e il Parlamento (detto Assemblea Federale) non è più quello che ci si aspetterebbe da un Paese democratico, noto, per di più, attraverso il frequente ricorso alla democrazia diretta via referendum. Nel caso della guerra in Ucraina, anziché astenersi dal prendere parte per l’uno o per l’altro dei contendenti come supposto dalla definizione stessa di neutralità, la Svizzera ha deciso di schierarsi nettamente con uno dei due adottando le decisioni sanzionatorie volute da Stati Uniti, Europa e pochi altri Paese del mondo. In queste decisioni è incluso anche il congelamento preventivo dei beni dello Stato russo, degli imprenditori russi e di tutti i soggetti di quella nazionalità che avevano conti bancari o proprietà in Svizzera.

    Il secondo fatto che mina il concetto di neutralità e mette a rischio il rapporto tra Parlamento e Governo riguarda la non ratifica del Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari. Il 5 giugno del 2018 con 100 voti a favore, 86 contrari e 1 astenuto il Consiglio Nazionale (una delle due Camere parlamentari) aveva approvato, invitando il governo ad adeguarvisi, una mozione (la 17.42.41) che approvava la firma e la ratifica di quel trattato. Il 12 dicembre dello stesso anno anche il Consiglio degli Stati (l’altra Camera) aveva approvato la stessa mozione con 24 voti favorevoli, 15 contrari e 2 astensioni. Purtroppo, nonostante questi voti teoricamente impegnativi, il Governo (cioè il Consiglio Federale) nello stesso 2018, nel 2019 e ultimamente il 27 marzo 2024 ha dichiarato che, “almeno per ora”, non avrebbe firmato quel Trattato. Occorre ricordare che l’accordo sulla proibizione di armi nucleari è entrato in forza nel 2021 ed è già stato ratificato da 70 Stati, tra cui tra i Paesi occidentali l’Irlanda e l’Austria. La giustificazione del Governo, piuttosto sorprendente da un Paese autodefinitosi neutrale, è che “Nessuno degli Stati nucleari né la maggioranza dei Paesi occidentali ed europei lo riconosce”. E poi: “Unirsi al Trattato di Non Proliferazione Nucleare complicherebbe la posizione della Svizzera nelle partnership per la sicurezza. Questo è particolarmente vero in relazione alla Nato che è un’alleanza dichiaratamente nucleare e rimarrà così nel prevedibile futuro”. Inoltre: “Unirsi a tale Trattato non è negli interessi della Svizzera dato l’attuale contesto internazionale”. Viene inoltre precisato che: “Come sodale del Trattato di Non Proliferazione Nucleare la Svizzera abbandonerebbe l’opzione di considerarsi esplicitamente sotto un “ombrello nucleare” nel quadro di tali alleanze (N.d.A.: Nato e Unione Europea). In linguaggio ancora molto più esplicito: non accettando di aderire a quel Trattato il Governo sta annunciando una adesione “di fatto” alla Nato.

    A ulteriore dimostrazione di questa concezione piuttosto originale da parte di un Paese neutrale, il Governo svizzero ha espresso commenti in merito all’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato: “Due Stati che hanno coltivato una lunga tradizione di neutralità durante la guerra fredda e in seguito si sono evoluti da neutrali a stati non allineati quando si sono uniti all’Unione Europea ed è entrato in vigore il Trattato di Lisbona sono ora giunti alla conclusione che la loro sicurezza è meglio garantita dalla Nato”.

    Queste parole significano che la Svizzera ha già scelto di essere, se non proprio un membro, almeno un alleato della Nato? Il timore che il Governo voglia diventarlo è rappresentato esplicitamente in una mozione approvata dalla Commissione per la Politica di Sicurezza del Parlamento Nazionale che, il 20 febbraio 2024, temendo una possibile decisione simile da parte del Governo, proibisce perentoriamente ogni forma di partecipazione a esercizi militari congiunti con la Nato.

    A parte che l’ipotesi che la Russia possa attaccare qualche Paese della Nato subito dopo la fine della guerra in Ucraina è pura propaganda basata sul nulla e contraddetta dal minimo buonsenso, c’è qualcuno in Svizzera che teme la Russia intenda attaccare il Paese elvetico? È veramente per questa assurda paura che il Governo rifiuta di adempiere alla volontà del suo Parlamento?

    Purtroppo, anche nella tradizionalmente neutrale Svizzera c’è davvero qualcuno che teme, o finge di temere, che qualcuno la voglia invadere tanto è vero che, indifferente al sentimento della maggioranza degli svizzeri, il Governo di Berna il 10 aprile scorso ha deciso di partecipare alla “European Sky Shield Initiative” lanciato nell’agosto 2022 dalla Germania e composto da 11 Stati europei con lo scopo di “rafforzare la difesa aerea in Europa e migliorare gli sforzi comuni”. Dov’è finita la “perenne neutralità”?

    È un peccato dover prendere atto di quanto sopra. Noi tutti abbiamo sempre ammirato e invidiato sia il sistema eccezionalmente democratico della Svizzera che conoscevamo, sia il suo lunghissimo atteggiamento di neutralità totale. Dobbiamo purtroppo dover constatare che anche la Confederazione Svizzera è ormai diventata un Paese come un altro.

  • Attacco russo a due voli finlandesi sopra l’Estonia, in pieno spazio Nato

    Risulta che nell’area balcanica nel corridoio di Suwalki la Russia abbia messo la sede del Baltic Jummer. Negli ultimi giorni due voli della compagnia aerea Finnair in viaggio da Helsinki verso Tartu in Estonia, e cioè in pieno spazio Nato, giunti nei pressi dell’aeroporto, non abbiano potuto atterrare a seguito di un attacco ai loro sistema di navigazione.

    I Gps degli aerei sono stati completamente oscurati e perciò senza alcun segnale per proseguire la rotta, i due aerei, uno giovedì sera e l’altro venerdì sera, non potendo atterrare sono dovuti ritornare all’aeroporto di partenza.

    Il Lotte-Triin Narusk, che è il responsabile delle comunicazioni dei servizi aerei estoni, ha dichiarato che le interferenze Gps sono aumentate con gravi problemi per le procedure del traffico aereo. Il disturbo dei Gps è in atto dalla fine del 2022 e le notizie darebbero la responsabilità alla Russia e al suo Baltic Jummer che ha sede nell’enclave di Kaliningrad.

    Nel passato vi erano stati altri problemi dei segnali Gps per aerei che viaggiavano da Varsavia a Berlino e proprio sopra Kaliningrad ci sarebbe il più alto livello di interferenze.

    Secondo quanto riportato dal Messaggero l’aviazione britannica ha pubblicato, nei giorni scorsi, un report dal quale risulta che oltre 45.000 voli siano stati colpiti da interferenze dai loro sistemi di navigazione mentre sorvolavano l’area balcanica. Le fonti dell’aviazione sospettano che la Russia abbia lanciato pericolosi attacchi elettronici contro voli turistici britannici.

  • Helsinki ha avviato la costruzione del muro con la Russia

    La data del 24 febbraio 2022 è uno spartiacque da cui non si tornerà indietro facilmente. Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ripete spesso i concetti ma al summit delle nazioni nordiche – organizzato quest’anno a Helsinki – ha voluto essere di una chiarezza cristallina: «Nemmeno la fine della guerra in Ucraina – ha avvertito – prevede un ritorno alla normalità nelle relazioni con la Russia». Perché lo scenario della sicurezza europea è «radicalmente mutato». La premier Sanna Marin, da padrone di casa, annuisce convinta. E non a caso la Finlandia ha appena dato il via ai lavori di costruzione del ‘muro’ lungo i confini con la Russia.

    La frontiera russo-finlandese, infatti, si estende per 1.300 chilometri ed è destinata a diventare uno dei punti caldi della nuova guerra fredda ora che Helsinki ha deciso di entrare nella Nato. Certo, blindarla tutta è impossibile. Ma il governo a novembre aveva presentato un piano per mettere in sicurezza i confini con una recinzione di circa 200 chilometri. Adesso si parte, con la rimozione degli alberi su entrambi i lati del valico di frontiera di Imatra e un primo troncone di tre chilometri di recinto per testarne la resistenza alle gelate invernali (o un eventuale massiccio afflusso di persone da est). Questa prima parte di muro di prova dovrebbe essere pronta a giugno. I cantieri poi continueranno e tra il 2023 e il 2025 saranno istallati ulteriori 70 chilometri di recinzione, principalmente nel sud-est del paese nordico – il progetto prevede reti di oltre tre metri con filo spinato, telecamere per la visione notturna, luci e altoparlanti.

    «Abbiamo dovuto prendere decisioni difficili, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia era chiaro che lo status quo per Finlandia e Svezia non era più sostenibile», ha sottolineato Marin augurandosi che il processo di ratifica d’ingresso nella Nato del suo Paese da parte di Ungheria e Turchia si concluda «il prima possibile». Stoltenberg, interpellato più volte dai giornalisti sul punto, ha detto che «sono stati fatti dei progressi» e che ora è arrivato il momento di chiudere la partita, dato che Finlandia e Svezia «hanno rispettato» le clausole del memorandum firmato con la Turchia. L’obiettivo è quello di concludere le procedure in tempo per il summit di Vilnius dei leader dell’Alleanza, in calendario a luglio. Così facendo, il quadrante nord sarà definitivamente in sicurezza. «La Nato è l’unico confine che la Russia non osa varcare», ha tagliato corto Marin.

    Nel mentre, concordano i Paesi nordici, bisogna fare il possibile per aiutare Kiev a resistere all’assalto russo. “Quando la guerra finirà, dobbiamo essere sicuri che la storia non si ripeta e che Putin non possa invadere l’Ucraina un’altra volta», ha notato Stoltenberg parlando della necessità di rafforzare le capacità di autodifesa di Kiev. «Gli alleati – ha chiarito – hanno stabilito che il futuro dell’Ucraina è nella Nato ma si tratta di una prospettiva di lungo termine». Ecco perché, in generale, non si può tornare indietro e serve «spendere di più in difesa», anche a costo di altre voci importanti come «salute e istruzione». «Non c’è nulla di più cruciale della nostra sicurezza».

  • Il non senso

    La sospirata e tardiva decisione di Germania e Stati Uniti di fornire finalmente all’Ucraina i carri armati, dei quali ha bisogno da mesi e che da mesi Polonia e Repubbliche baltiche chiedono di poter inviare, non servirà nel breve tempo a dare un vero aiuto per impedire le scellerate violenze dei russi. Infatti, dato l’annuncio dell’invio è stato anche specificato che occorreranno circa tre mesi per addestrare i soldati ucraini al loro utilizzo.

    Ed eccoci ad uno dei tanti non senso di questa guerra perché non ha senso non aver addestrato per tempo i soldati Ucraini anche all’uso di questi super tecnologici carri armati, carri armati che rischiano di arrivare in un tempo troppo lontano, visti i massacri di oggi, ed in condizione meteo, il fango della primavera, che potrebbe renderli meno attivi per parecchio.

    Le guerre si fanno con molti strumenti che si possono predisporre in anticipo o in ritardo ma le condizioni meteo non dipendono né da presidenti o generali e non tenerne conto è improvvido e pericoloso.

    Tra tre mesi, se è questo il tempo che occorre, come comunicato ieri da Stati Uniti e da Germania, perché gli ucraini possano utilizzare i carri armati sarà aprile, la stagione del disgelo ed il fango regnerà sovrano più che mai rendendo molto più difficoltoso il passaggio dei tank, l’abbiamo già visto l’anno scorso.

    Tra pochi giorni entreremo nel secondo anno di guerra, l’Ucraina è stata quasi tutta rasa al suolo dalle bombe e dai missili russi ma i sistemi antimissili sono stati consegnati dagli alleati, anche questa volta, con molti ritardi e tutt’ora manca un supporto aereo adeguato per contrastare i bombardieri di Putin.

    Gli ucraini hanno dimostrato un coraggio fuori dal comune sia come soldati che come civili, sono inenarrabili le violenze fisiche ed i patimenti che questa popolazione ha dovuto sopportare senza cibo, acqua, luce, riscaldamento e troppo spesso senza casa, senza più nulla della propria vita passata.

    Inutile negarlo, per mettere d’accordo tra loro, per contemperare le paure, gli interessi, chiari o più oscuri, di ciascuno Stato dell’Unione e poi per mettersi d’accordo con Stati Uniti, Onu, Nato, ed altri alleati non è stato né semplice né veloce.

    I ritardi, le titubanze, le promesse non seguite da azioni immediate non hanno ammorbidito Putin, nessun tentativo, più o meno autorevole, di mediazione ha portato risultati se non quello di perdere ulteriore tempo mentre le varie milizie, dalla Wagner alle altre, hanno sempre intensificato le loro atrocità.

    Tutti coloro che conoscono un po’ di storia della guerre recenti sanno bene come la tempestività sia fondamentale mentre gli stalli, i tentennamenti, i ritardi incancreniscono i conflitti, né hanno grande esperienza i russi e gli americani in Afghanistan, gli americani anche in Vietnam.

    In questo conflitto non tutti gli interessi degli alleati sono chiari mentre è chiarissimo che se Putin continua a trovare sulla sua strada gli ucraini non armati a sufficienza, e tempestivamente, il destino, non solo dell’Ucraina, è segnato, sarà bene cominciare a tenerne conto in modo più adeguato.

    Molte possono essere le giustificazioni per i ritardi anche nell’addestramento degli ucraini ma in tempo di guerra non ci sono giustificazioni accettabili se non sono chiari i percorsi ed i tempi, come sempre dovremmo sentire meno annunci e più tempestività nel dare gli aiuti promessi.

    Certo è che non potremo guardare con serenità al futuro della democrazia e della pace nel mondo se Putin non sarà fermato o portato a miti consigli, inoltre il mondo di domani ha bisogno già da oggi di una totale riorganizzazione dell’Onu, della Nato e della stessa Unione Europea.

  • Ancora schermaglie tra Svezia e Turchia sull’ampliamento della Nato

    L’adesione della Svezia e della Finlandia alla Nato si conferma un percorso a ostacoli, per l’incognita di un possibile veto di Recep Tayyp Erdogan. «La Turchia ha avanzato richieste che non possiamo accettare», è l’ultimo allarme lanciato dal governo di Stoccolma. Resta ottimista invece il segretario generale dell’Alleanza Atlantica Jens Stoltenberg, secondo cui la partita si può chiudere positivamente entro quest’anno.

    Dopo l’intesa a tre firmata a giugno per sbloccare l’impasse (Svezia e Finlandia rinunciano a ospitare militanti del Pkk in cambio del sì turco all’adesione alla Nato), i punti di frizione non appaiono ancora essere stati superati. In particolare Stoccolma, che ha legami più solidi con la diaspora curda, è accusata da Ankara di non aver fatto abbastanza per estradare sospetti terroristi. Ora però il premier svedese Ulf Kristersson ha messo in chiaro che il suo governo ha rispettato i suoi impegni. «La Turchia ha confermato che abbiamo fatto quello che avevamo promesso, ma dice anche che vuole cose che noi non possiamo, che non vogliamo, dare», ha detto Kristersson durante una conferenza sulla sicurezza a Salen. Aggiungendo che la decisione di Erdogan dipenderà molto dalla “politica interna» turca: un chiaro riferimento alle presidenziali di giugno, in cui il sultano corre per la riconferma.

    Quanto alla Nato, si mantiene il profilo di fiduciosa attesa. Stoltenberg, sempre dalla conferenza di Salen, ha detto di aspettarsi un’adesione di Svezia e Finlandia entro il 2023, perché i 2 Paesi «sono chiaramente impegnati in una cooperazione a lungo termine con la Turchia». E l’ingresso dei 2 Paesi nell’Alleanza è fondamentale, nella misura in cui l’aggressività russa mostrata in Ucraina può avere conseguenze anche sulla “sicurezza delle regioni nordiche» dell’Europa, ha sottolineato Stoltenberg.

    La Svezia, in attesa del fatidico sì di Ankara (e di Budapest, che però non appare un ostacolo), parteciperà ai pattugliamenti della Nato nel Mare del Nord: un ulteriore segnale da parte del blocco militare occidentale che l’adesione di Stoccolma non è più una questione di se, ma di quando.

  • La supremazia militare e l’indebolimento diplomatico

    In un contesto complesso e  problematico che solo una guerra può determinare e mantenendo come primario il  principio che impone sempre la  ricerca di una via diplomatica per creare le condizioni per il raggiungimento  ed il  mantenimento di un cessate il fuoco stabile, solo una irresponsabile visione suprema militare, incurante di ogni conseguenza politica e bellica, avrebbe avviato e velocizzato le procedure per l’ingresso della Finlandia e della Svezia all’interno della NATO. Una scelta che è espressione di una scellerata strategia militare, sovrapposta a quella  politica, incurante tanto della posizione dei due Paesi a ridosso della Russia (e della stessa Ucraina) quanto della tempistica assolutamente inopportuna.

    Questa disastrosa escalation di una seconda “guerra di posizione”, in aggiunta a quella del territorio ucraino,  posta in campo ed  imputabile in toto alla direzione della NATO, andrebbe quantomeno negoziata perché va ampiamente oltre i propri compiti e i perimetri di competenza, dimostrando, in più, probabilmente, come la vera intenzione non si debba individuare nella ricerca complessa e difficile di un accordo  con l’obiettivo di bloccare la guerra e le sue terribili conseguenze quanto in quella di aumentare la zona di ingerenza della Nato stessa fino alle porte della Russia, ponendo fine quindi al concetto di stati “cuscinetto non allineati”  i quali  avevano assicurato comunque un instabile equilibrio.

    In più, all’interno di questa incerta quanto impervia trattativa diplomatica vengono fornite, con questa iniziativa della Nato, nuove argomentazioni alla retorica russa, il che si traduce nell’indebolimento negoziale della posizione occidentale all’interno di una trattativa finalizzata al raggiungimento di  una tregua stabile. Un indebolimento pericoloso e progressivo anche in considerazione dell’opposizione della Turchia a tale allargamento ai paesi scandinavi la quale, a tutt’oggi, rappresenta l’unico negoziatore occidentale con la Russia di Putin.

    Sembra veramente incredibile come tutte le istituzioni politiche nazionali ed internazionali possano accettare supine l’ingerenza politica della NATO che si insinua anche all’interno delle strategie  diplomatiche che, invece, dovrebbero restare di  esclusiva  pertinenza  politica.

    Sostanzialmente l’autorità militare della NATO sta invadendo quello spazio istituzionale nazionale ed internazionale  ponendosi  come una autorità suprema militare al vertice decisionale e negoziale.

    Questo percorso della Nato rappresenta una pericolosa sovrapposizione da considerarsi imbarazzante per l’intero continente europeo il quale non può più venire considerato un modello democratico all’interno del quale le forze armate rappresentano un elemento di difesa dello stesso sistema istituzionale basato  sulla precisa separazione democratica dei poteri tra i  quali quello militare non viene previsto.

    La mancata percezione di questa sempre maggiore ingerenza  militare all’interno di  sfere di competenza prettamente politiche definisce inequivocabilmente anche il livello di sensibilità istituzionale della classe politica italiana ed europea incapaci persino di difendere le proprie prerogative istituzionali ed il sistema economico.

  • Così la guerra di Putin cambia gli equilibri globali

    Nulla sarà più come prima. La guerra di Putin in Ucraina è destinata a cambiare gli equilibri geopolitici e la scacchiera globale che conoscevamo poco più di un mese fa, prima che i tank e i missili russi riportassero una guerra novecentesca nel cuore dell’Europa. Molti cambiamenti sono già in atto, altri sono in parte prevedibili, altri ancora potrebbero sorprenderci nei prossimi mesi e nei prossimi anni.

    È facile vedere quello che sta accadendo in Europa. Il futuro è già qui tra noi: il forte riavvicinamento tra Stati Uniti ed Unione europea dopo anni di rapporti faticosi, il rafforzamento della Nato che dalla ‘morte cerebrale’ vista da Macron adesso ha di nuovo un senso e un orizzonte, il passo deciso dell’Ue verso una politica estera comune e la creazione di un’identità di difesa comune, sempre che i leader europei non cadano di nuovo in qualcuna di quelle amnesie da cui ciclicamente sono colpiti.

    Sono passi che si pensava potessero richiedere anni e che invece stanno avvenendo, sotto i nostri occhi, in poche settimane. Ma allargando lo sguardo si può intuire come la guerra di Putin sia destinata a cambiare i rapporti diplomatici e gli schieramenti in tutti gli angoli del mondo.

    La Cina, suo malgrado, è al centro di queste novità. Pechino ha mantenuto una posizione volutamente ambigua ma sta già pianificando le mosse per i prossimi anni. Il recente rafforzamento delle relazioni voluto da Putin e Xi non è stato rinnegato. Ma la Cina da un lato evita di condannare esplicitamente Mosca e dall’altro continua a dire di credere nel dialogo e nel rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità degli Stati. Il timore di Pechino è che la crisi economica conseguente alle sanzioni possa influire sul suo espansionismo centrato sul progetto nella ‘Nuova via della seta’.

    D’altra parte la globalizzazione così come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi è destinata a mutare velocemente e l’interconnessione e l’interdipendenza dell’economia globale sicuramente subiranno sensibili passi indietro.

    La Cina non si esporrà sulla guerra e nel frattempo preparerà il terreno per nuove alleanze. Il ministro degli Esteri Wang si è recentemente recato in India, per la prima visita dagli scontri del 2020 sul confine himalayano che portarono a un rapido deterioramento dei legami tra i due Paesi più popolosi del mondo. Ora tutto sembra quasi dimenticato di fronte ai nuovi problemi da affrontare. Possibilmente insieme. La Cina e l’India importano energia dalla Russia e il 50 per cento degli armamenti indiani viene da Mosca.

    L’Occidente teme quindi che nel medio periodo si possa creare un’alleanza tra India e Cina che strizzi l’occhio alla Russia. Sarebbe uno scenario impazzito che riporterebbe il mondo diviso fra 2 fronti con una nuova forma di Guerra fredda. Ma stavolta a guidare il fronte orientale non sarebbe più Mosca ma Pechino.

    Ma sarebbe anche uno scenario che andrebbe, in parte, contro gli interessi cinesi: dove finirebbero gli scambi commerciali con gli Usa e l’Europa di un Paese che punta tutto o quasi sul commercio internazionale? Anche, e soprattutto, nelle scelte di Pechino e nella risposta a questa domanda, che potremmo avere da qui a pochi mesi, si formerà il nuovo assetto della geopolitica globale dei prossimi anni.

    Per capire quanto la guerra di Putin stia cambiando il mondo si può anche guardare all’America latina dove Argentina e Brasile sono molto cauti nella condanna all’invasione russa e pensano invece a sostituire Mosca e Kiev nelle esportazioni di mais nei mercati globali. Buenos Aires e Brasilia sono rispettivamente il secondo e il terzo produttore mondiale di mais e adesso guardano alla guerra con un’altra prospettiva.

    Il Donbass, un mese fa, sembrava molto lontano. Adesso dalla guerra nata in quella piccola regione nascono i cambiamenti globali che costruiranno il mondo di domani.

    E Putin, dando il via libera ai suoi carri armati, voleva cambiare la storia. Ed è quello che sta accadendo, ma non nella direzione che voleva lui.

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