Natura

  • Aule Natura nei cortili delle scuole: un progetto da estendere in tutti gli Stati dell’UE

    Virginijus Sinkevičius
    Commissario all’Ambiente, oceani e pesca
    Mariya Gabriel
    Commissario all’Innovazione, ricerca, cultura, istruzione e gioventù
    Commissione Europea
    Rue del la Loi, 200
    1049 Bruxelles
    Belgium

    Milano, 28 settembre 2020

    Egregio Commissario,
    la pandemia ha portato particolari problemi ai bambini e agli adolescenti, sia per quanto riguarda il percorso scolastico che per la loro possibilità di stare all’aria aperta e di avere un contatto proficuo con la natura. Come certamente Ella sa il WWF ha fatto una proposta affinché le scuole, e sono moltissime in tutti i paesi europei, che hanno a disposizione un cortile o un’area esterna possano realizzare delle Aule Natura trasformando i cortili scolastici in piccole oasi con orti didattici, giardini delle farfalle, alberi e tanti microambienti da scoprire. Nei giorni scorsi in Italia, a Scanzo, in provincia di Bergamo, è stata inaugurata la prima Aula Natura.

    Non ritiene che questo possa essere un progetto europeo da portare avanti in tutti gli Stati Membri con aiuti specifici e mirati e che comunque vadano studiate forme per consentire ai bambini e agli adolescenti di ritrovare, con un più diretto contatto con la natura, quell’equilibrio e quella serenità, quel rispetto dell’ambiente e del mondo circostante che a causa del distanziamento sociale e fisico si rischia di perdere?

    Non ritiene che all’interno di questo progetto, con un corretto rapporto con le associazioni che si occupano di animali abbandonati e con gli istruttori cinofili, si possano trovare delle formule per potere avvicinare i bambini al mondo animale ed al corretto rapporto con lo stesso visto che è ormai da più parti provato come il contatto con gli animali porta vantaggi fisici e psichici?

    La ringrazio per la cortese attenzione e in attesa di conoscere il Suo pensiero Le porgo i più cordiali saluti,

    Cristiana Muscardini

  • WWF Italia lancia il progetto Aule Natura

    In Italia ci sono più di 40.000 cortili scolastici. Tantissimi sono fazzoletti di cemento, spesso inagibili e desolati. E’ oramai provato scientificamente che i bambini hanno bisogno della natura per crescere sani.  Bisogna agire adesso che le scuole, costrette dall’emergenza Covid-19, stanno ripensando la distribuzione e l’utilizzo degli spazi.
    WWF Italia presenta il progetto Aule Natura e chiede l’aiuto di tutti i cittadini che hanno a cuore la salute dei bambini. Il progetto vuol dotare le scuole di 14 aree metropolitane, nelle situazioni più disagiate, di aree verdi all’aperto che saranno chiamato appunto Aule Natura, con alberi, giardini delle farfalle, orti didattici.
    Il sogno è che possano diventare tante e “colorino” di natura i cortili di tantissime scuole italiane.

    Le Aule Natura sono spazi in cui saranno riprodotti differenti microhabitat (stagno, siepi, giardino) dove bambini e ragazzi potranno osservare direttamente non solo le diverse forme di viventi, ma anche la relazione alla base delle reti ecologiche. I numeri del progetto: superficie area verde 80 mq, gruppo classe: 25 studenti, distanziamento: 3,5 mq/studente.

    Per contribuire al progetto e cliccare sul seguente link: https://sostieni.wwf.it/aule-natura.html?utm_source=Dm&utm_medium=MC&utm_campaign=Donazione2020

  • La Grande Maria

    È il 12 settembre del 1906 e ci troviamo a Kingsport una piccola e fiorente cittadina del Tennessee nata nel periodo di maggiore espansione delle ferrovie in Nord America.  Quella sera era molto atteso lo spettacolo di fama mondiale del Circo Sparks (The Sparks World Famous Shows). Nei fatti, un circo di piccole dimensioni che viaggiava negli Stati Uniti orientali e che, come unica vera attrazione aveva cinque elefanti. Fra questi vi era un esemplare femmina di ventidue anni, di provenienza asiatica denominata la Grande Maria (The Big Mary) per le sue particolari dimensioni. Pesava sulle cinque tonnellate e veniva presentata come anche più grande dell’enorme elefante Jumbo, attrazione del più ricco e famoso Circo Barnum (che si spostava per l’America con ben 84 carrozze ferroviarie!). Nel pomeriggio, durante la parata pubblicitaria, Walter Eldridge, un operaio vagabondo arrivato da pochi giorni in città ed assunto dal signor Sparks il giorno prima con il ruolo di addestratore di elefanti (ruolo mai rivestito in vita sua), guidava i pachidermi a cavallo di Maria con una lunga canna dalla punta affilata. Come riportano alcuni testimoni, durante la parata Maria si era fermata per raccogliere una fetta di cocomero da terra con la sua proboscide. Eldridge per farle riprendere la marcia pare che l’abbia pungolata più volte e con forza a un lato della testa al punto tale che l’elefantessa, esasperata, con una sola mossa lo fece cadere a terra e, presa dallo spavento generale, lo uccise schiacciandolo. Si racconta che il fabbro della città, un certo Hench Cox sparò anche alcuni colpi di pistola su Maria, ferendola superficialmente, ma senza inibirne la forza. Morto Eldridge, gran parte della folla iniziò ad urlare “A morte l’elefante! A morte l’elefante!”.

    All’epoca (e credo non solo all’epoca), quando avvenivano tali incidenti, i proprietari dell’animale si affrettavano a spostarsi in un’altra località, a cambiare il nome dell’animale e a rivenderlo a un altro circo. Ma questo non fu il caso di Maria. Qualunque cosa fosse realmente successo, infatti, dopo aver ucciso il suo addestratore, già in giornata e il mattino seguente, venne denominata da tutti e su tutti i giornali della regione come Maria l’Assassina (The Murderous Mary) o l’Elefantessa Assassina (The Killer Elephant) o con altri epiteti simili. Quindi, non c’era più tempo per squagliarsela. Così, temendo per la sua reputazione e cercando di trarre profitto da tanto interesse, nonostante i vent’anni passati assieme con Maria, il signor Sparks decise di far sopprimere l’animale con uno spettacolo pubblico a pagamento. Del resto lo slogan del suo circo era “Morale, divertente e istruttivo!”. Ma sorse un problema: come si poteva uccidere un elefante di quelle dimensioni e in modo spettacolare?

    È il 13 settembre. Il destino di Maria è segnato. Diverse fonti parlano di un’accesa e appassionata discussione fra i mastri del paese. L’ipotesi di una fucilazione venne scartata quasi subito avendo visto la resistenza del pachiderma alle pallottole. Alcuni presenti suggerirono di fulminare Maria con l’elettricità, come avvenne nel 1903 a Coney Island (con l’aiuto del grande scienziato Thomas Edison che si occupò personalmente dell’esecuzione dell’elefantino Topsy infliggendogli per 10 minuti una scossa di 6.600 Volt – dopo averlo anche avvelenato con delle carote al cianuro – di fronte a più di 1.500 spettatori paganti. Nota: esiste un filmato dell’epoca perché Thomas Edison fece filmare l’esecuzione). Anche di fronte a questa ipotesi si dovette desistere perché all’epoca in tutto il Tennessee non c’era abbastanza corrente elettrica per sopprimere un elefante di quelle dimensioni. Altri pii cittadini si offrirono volontari per portare in città un cannone della Guerra Civile per spararle in pancia. Altri proposero di schiacciarla lentamente tra due motori a vapore opposti, mentre alcuni suggerirono di legare la sua testa a una locomotiva e le sue gambe a un’altra e far partire i treni in direzioni opposte. Insomma, tante brillanti idee! Ma quella che trovò tutti d’accordo e, soprattutto il signor Sparks per l’evidente risonanza pubblicitaria che ne avrebbe tratto, fu quella di impiccare Maria presso lo scalo ferroviario del vicino paese dove vi era una grande torre meccanica in grado di sollevare le carrozze dei treni. Così, in tarda mattinata il circo partì in ferrovia per arrivare a Erwin, nella contea di Unicoi. Era un giorno piovoso e, dopo uno spettacolo del Circo in città, al quale Maria non partecipò perché incatenata ad un palo, una folla di circa 2.500 persone (fra cui molti bambini) si radunò nei pressi della ferrovia di Clinchfield per assistere alla sua esecuzione. Le fonti narrano di una folla eccitatissima che urlava e additava l’elefantessa come un demone, un terribile flagello e un’assassina e si mormorava che avesse già ucciso tre, sei, diciotto o persino venti uomini. Per impiccare l’elefantessa usarono una gru e una grossa catena. Il primo tentativo fallì: la catena si spezzò e Maria cadde sul terreno causando il momentaneo allontanamento della folla, che ne temeva la furia. Furia che non vi fu perché Maria nella caduta si era brutalmente spezzata l’anca tanto che diversi testimoni oculari raccontano di aver udito un rumore fortissimo. Al secondo tentativo, la catena non si spezzò e la Grande Maria, dopo dieci interminabili minuti di sofferenze, potè finalmente riposare in pace. Una fonte dice che l’hanno lasciata impiccata per circa mezz’ora per poi essere dichiarata morta dal medico locale, il dottor Stack. Le informazioni sul luogo e sulla sede della sua sepoltura sono discordanti. Qualcuno scrisse che il suo corpo venne addirittura dato alle fiamme. Secondo altri articoli sulla storia del circo Sparks, gli altri quattro elefanti, compagni di sventura di Maria, pare che abbiano barrito tutta la notte seguente e ci siano voluti diversi mesi affinché si calmassero rassegnati al loro destino.

    Tanti animali nel Mondo e fra questi, anche tanti elefanti sono a rischio di estinzione per mano nostra. Dei circa cinquecentomila esemplari censiti molti sono in pericolo e più di duemila vivono ancora in cattività nei Circhi di mezzo mondo dove, di certo, non vivono contenti. Alla fine la Grande Maria è stata uccisa perché, come tanti animali, nonostante l’incredibile paziente accettazione della costante umiliazione subita dall’uomo, ha reagito, per pochi secondi, per lasciarsi andare all’istinto di sopravvivenza più intimo… la fame… per accontentarsi di uno sporco scarto di cocomero. O, da un altro punto di vista, è stata uccisa perché the World Famous Shows Must Go On. Lo spettacolo doveva e deve andare avanti. Oggi ad Erwin c’è un negozio di antiquariato che si chiama l’Elefante penzolante (Hanging Elephant) e che da decenni vende centinaia di magliette colorate con un’immagine della Grande Maria.

    Finché gli uomini massacreranno gli animali, si uccideranno tra di loro. In verità, colui che semina il seme del dolore e della morte non può raccogliere amore e gioia (Pitagora)

  • Stage Seminario Università dei Parchi 2020

    L’11 e il 12 settembre prossimi si svolgerà lo Stage Seminario Università dei Parchi 2020 ad Abbadia San Salvatore, presso Fonte Magria, nel Parco del Monte Amiata, in Toscana. L’idea, sostenuta in occasione della giornata dedicata al libro a e alla natura, mira a far conoscere un territorio suggestivo e dalle forti potenzialità naturali abitato da numerose specie rare. Il territorio, abitato dagli etruschi, è ricco di bellezze, storia e cultura che possono trasformarsi in importante volano economico. E per questo la due giorni prevede incontri, relazioni proiezioni ed escursioni per scoprire e conoscere tali ricchezze. Chi ha voglia di vivere un’esperienza all’insegna della natura e della storia può scrivere alla mail cnicoloso60@gmail.com o telefonare al numero 339/248.23.00.

  • L’importanza degli insetti

    Abbiamo spesso parlato di animali ma non dobbiamo dimenticarci che insieme a noi, sulla terra, vivono centinaia di miliardi di insetti, dalle vette ghiacciate alle regioni più torride. Gli insetti sono essenziali per la sopravvivenza della vita, a loro dobbiamo l’impollinazione senza la quale non ci sarebbero più le piante ed ogni tipo di vegetazione che ci dà ogni tipo di nutrimento. Gli insetti puliscono il terreno producendo, dagli scarti, un terriccio che serve alla riproduzione ed alla crescita delle piante.

    Oggi il pericolo è che a causa della deforestazione, della cementificazione, dell’agricoltura intensiva e dell’inquinamento la presenza degli insetti si riduca in modo pericoloso e già questa diminuzione è in atto in modo esponenziale, tutti ricordiamo i diversi e molteplici gridi di allarme per la continua diminuzione delle api.

    Molti insetti contrastano i problemi delle piante colpite dagli afidi, le coccinelle, ad esempio, sono preziose per una coltivazione biologica ma sono molti gli insetti, anche allevati e venduti proprio per consentire di coltivare non utilizzando prodotti nocivi per la salute e per l’ambiente.

    Con i tanti insetti utili per la vita del pianeta e perciò per la vita degli esseri umani ce ne sono anche di nocivi che uccidono le piante, distruggono le foglie dalle quali, fino all’ultimo, anche quando sta già arrivando l’inverno, le piante prendono nutrimento, le piante producono le foglie e tramite le foglie prendono tutto ciò che serve alla loro vita fino all’ultima foglia che cade alla fine d autunno. Vi sono Insetti nocivi che, come le cavallette, distruggono centinaia di ettari di raccolti, procurando terribili carestie, o insetti che arrivano da paesi lontani portando malattie alle nostre piante le quali, non avendoli mai conosciuti, non hanno strumenti per difendersi. Gli insetti non hanno polmoni e respirano attraverso tubicini che raccolgono ossigeno da forellini nell’addome e lo distribuiscono al resto del corpo, possono essere piccolissimi, anche invisibili ad occhio nudo o molto più grandi come l’insetto stecco che può misurare 62 centimetri.

    Gli insetti sono un mondo variegato e complesso nel quale per combattere quelli nocivi intervengono gli insetti buoni, utili alla nostra vita, come un’eterna lotta tra il bene ed il male.

  • Ritorno alla natura

    Pronti per la liberazione in natura due bei maschi arrivati nella sede del Cheetah Conservation Fund in Namibia il 7 maggio scorso. Sono stati prelevati loro sangue e sperma e sono stati collarizzati con GPS. Hanno circa 4 anni, sono in ottima salute e sono molto grandi, 45 e 47 kg di peso. Ancora una volta l’équipe del CCF è entrata in azione al 100% per far sì che i due ghepardi ottenessero le cure migliori possibili.

  • So prendermi cura di loro

    Cari bambini, dovete sapere che ci sono esseri umani che hanno vissuto per millenni nel grande deserto africano del Kalahari (che in lingua Tswara significa “Terra della Grande Sete”). Deserto che si estende in una vasta  area dell’Africa australe tra Botswana, Namibia, Angola, Zambia, Zimbabwe e Sudafrica. È un popolo di nomadi conosciuti come, San, Khwe, Basarwa o Boscimani (dall’inglese bushmen “uomini della boscaglia”. Appellativo usato dagli uomini bianchi come offesa).

    Quanti nomi!

    Ma sono tutti dati da altre tribù o dagli europei perché loro non si sono mai dati un nome. E se chiedete a loro: “Chi siete?”. Vi risponderanno semplicemente: “Siamo esseri umani, persone”.

    Gli esseri umani, come ci sembra rispettoso continuare a definirli, sono sopravvissuti per secoli grazie alla loro straordinaria intelligenza e ammirevole capacità di adattamento ad un ambiente fra i più ostili del pianeta: il deserto. Un luogo dove la temperatura può superare i 40°C di giorno e scendere sotto zero di notte. Qui l’acqua scarseggia ma i serpenti velenosi e i grandi felini abbondano.

    E come hanno fatto? Vi starete chiedendo.

    Ci sono riusciti perché hanno memorizzato e si sono tramandati, di generazione in generazione, tutti i tipi di vegetali (radici, foglie, bacche, frutti, etc.) e di insetti e animali (selvatici) per avere un’alimentazione completa e ricca di tutte le sostanze nutritive fondamentali e perché si sono tramandati tutte le necessarie conoscenze per vivere (di poco e con poco) e per convivere in costante equilibrio con gli altri esseri viventi. Forti! Non è vero?

    Pensate che non hanno mai avuto bisogno di mappe perché sanno orientarsi con le stelle; di medici perché sanno curarsi con il cibo e le piante spontanee; di telefoni e computer perché comunicano fra di loro utilizzando tutti i cinque sensi; di scienziati perché conoscono le leggi e il susseguirsi dei fenomeni naturali. E pensate che non hanno mai avuto bisogno di andare a scuola perché la loro più grande maestra è Madre Natura. Immaginate! Dalle laboriose formiche hanno imparato a viaggiare uno in fila all’altro; dalle scattanti e veloci gazzelle hanno imparato a correre; dai possenti e astuti felini hanno imparato a cacciare e a nascondersi; dai gioiosi e allegri uccelli hanno imparato a cantare e a danzare, eccetera, eccetera.

    Intelligenti! vero?

    Ora, a causa di chi si è sempre sentito più intelligente di loro, ovvero le comunità di europei insediatesi nella zona (e non solo), le loro condizioni di vita sono andate sempre più peggiorando. Infatti, essendo quei territori ricchi anche di selvaggina e di diamanti (come si è scoperto da qualche decennio) a causa dei forti interessi occidentali nell’area, gli esseri umani hanno dovuto subire ogni sopruso e violenza possibile. Fino al 1930 Sua Maestà Britannica in persona firmava licenze di “caccia ai boscimani” (un regale nulla osta al massacro) e mentre vi scrivo sono ancora minacciati e spesso caricati su camion e trasportati chissà dove. Politici locali corrotti (o minacciati) da dalle più importanti compagnie diamantifere e turistiche, vietano loro di accedere ai pochi pozzi d’acqua della zona. Perché c’è bisogno di tantissima acqua per le estrazioni di diamanti (tanto ricercati dai Principi e dalle Principesse) e per mantenere i lussuosissimi resort con piscina costruiti per gli amanti della caccia “grossa” (leoni, rinoceronti, elefanti, etc.) e dei cocktail con vista savana.

    Oggi, la maggior parte dei sopravvissuti vive in campi di reinsediamento (così adesso chiamano i campi di concentramento) fuori dalle loro zone di origine. Qui per sopravvivere dipendono dalle razioni di cibo distribuite dal governo e vengono torturati e arrestati se sorpresi a raccogliere piante selvatiche o a cacciare. Alcolismo, malattie fisiche (diabete, tubercolosi, Aids, etc.) e mentali (depressione, ansia, etc.) sono diffusissime. Questa è l’attuale condizione degli esseri umani da quando hanno incontrato la “disumana” civiltà.

    Se non riusciranno a tornare nelle loro terre da persone libere, sarà la fine per loro ed anche per i nostri nipoti. Perché sono tra i pochi semi selvatici dell’umanità rimasti e, per questo, tra i pochi capaci di sopravvivere a contatto con la Natura ancora oggi e anche quando la nostra civiltà crollerà inesorabilmente.

    Se, nonostante i tanti nostri attuali problemi vogliamo fare qualcosa per loro (e per i nostri nipoti) sosteniamo quelle associazioni no profit (come Survival International) grazie alle quali sono in atto durissime e costosissime battaglie legali (molte anche vinte) per garantire loro (e ai nostri nipoti) un primitivo futuro possibile.

    “So come prendermi cura dei vegetali e degli animali. Con i vegetali e gli animali sono nato e vissuto; qui c’è ancora tanta natura e selvaggina. Se venite nella mia terra troverete tante piante e tanti animali, e questo dimostra che so prendermi cura di loro”

    Frase di un Essere Umano

  • Anche le vacche lo sanno

    “Se non faccio qualcosa” pensò il giovane Payeng “anche noi uomini saremo destinati a morire come questi serpenti”. Payeng Jadav aveva sedici anni quando una mattina del 1979 fece una scoperta che lo turbò molto. Decine di serpenti giacevano morti lungo le rive sabbiose dell’isola Majuli del fiume Brahmaputra. Dopo essere stati trasportati da un’inondazione su questo lembo di terra arida, perché anche deforestato dall’uomo, i rettili erano morti per le temperature torride e la totale assenza di ombra. Quel ragazzino non lo trovava giusto e sentiva di dover fare qualcosa, ma cosa? Andò a chiedere consiglio agli anziani del villaggio e loro gli risposero che solo una foresta avrebbe potuto contrastare la forza delle alluvioni e l’avanzamento della desertificazione nelle stagioni calde. Gli consigliarono di iniziare dal bambù locale, perché capace di generare forti e profonde radici legnose. Da quel lontano giorno di quarantuno anni fa, Payeng ha piantato fino ad oggi, con la sola forza delle sue nude mani, più di trentamila piante.

    Ci troviamo in India, nello stato dell’Assam, nell’estremo est del Paese e la rigogliosa area verde, nota oggi come la foresta di Molai (dal soprannome di Payeng) si estende per oltre cinquecentocinquanta ettari (più di ottocento campi da calcio). Così ricoperta di alberi, l’isola è “rinata”, dando riparo a migliaia di specie animali differenti: insetti, rettili, volatili e a piccoli e grandi mammiferi selvatici come lepri, cinghiali, cervi, bufali, rinoceronti, elefanti e persino scimmie e la braccatissima Tigre del Bengala.

    Il Governo Indiano venne a conoscenza della foresta di Molai solo nel 2008, quando venne individuato un branco di circa 100 elefanti selvatici che si erano allontanati dalla foresta per qualche giorno. Da allora Payeng non ha avuto più una vita tanto semplice. Premi, riconoscimenti e decine di giornalisti che ogni anno lo raggiungono per intervistarlo. Qualcuno gli ha anche chiesto di andare con loro in Europa o in America ma Payeng ha sempre risposto che c’era ancora tanto da fare perché “Finché la natura sopravvive sull’Isola di Majuli, anch’io sopravvivo!”. Negli anni Payeng è diventato anche un bravo fotografo, raccogliendo migliaia di foto di specie vegetali ed animali selvatici che sono preziosi documenti di studio presso diversi istituiti di ricerca sparsi per il Mondo. Un giornalista americano una volta gli chiese: “Da dove nasce tutto questo amore per la Natura?”. Lui gli rispose “Dalla mia educazione, specialmente quella di mia nonna. Vengo da una famiglia povera, che non ha studiato ma che ha potuto vivere solo grazie al fiume e alla foresta”. E, ad un altro intervistatore che gli chiese: “Come hai fatto a fare tutto questo da solo?”, lui, con il suo bellissimo sorriso, rispose: “Non ho fatto tutto da solo. Pianta uno o due alberi. Loro faranno i semi. Il vento sa come piantarli, qui gli uccelli sanno tutti come piantarli, anche le vacche lo sanno, anche gli elefanti lo sanno, anche il fiume Brahmaputra lo sa. L’intero ecosistema lo sa”.

    Solo noi non lo sappiamo?

    PICCOLO PROMEMORIA

    Circa 350 milioni di nativi vivono vicino o all’interno delle poche foreste ancora esistenti sul Pianeta. Foreste che da sole ospitano l’80% della biodiversità terrestre. Preservare il loro ambiente è fondamentale per tutte le specie, compresi gli esseri umani. Chiunque può fare la differenza, piantando anche un solo albero quando può. Payeng docet.

     

  • Guerra e Natura II^ puntata

    L’Asia e forse ancor più l’Africa, sono continenti che racchiudono meravigliosi tesori naturalistici ma anche quelli più massacrati da guerre e guerriglie che ne mettono in pericolo la sopravvivenza.

    Alcuni conservazionisti hanno dato la vita per la  loro missione: ricordiamo personaggi come Diane Fossey, uccisa a colpi di machete nel 1985 per proteggere gli ultimi gorilla di  montagna in Rwanda (D. Fossey “Gorilla in the mist”); o come George Adamson (ex marito di Joy Adamson autrice del best-seller ”Nata libera-storia della leonessa Elsa”), che visse per anni insieme a leoni e leopardi che lui stesso aveva reinserito in natura. Predisse che la sua morte non sarebbe avvenuta ad opera di questi pur pericolosi carnivori selvaggi: fu ucciso infatti nel 1989 da un gruppo di guerriglieri o banditi somali armati, che scorrazzava nel Kenya settentrionale. (G. Bellani “Felines of the World” Elsevier, USA)

    ASIA (16 stati e 169 tra gruppi di guerriglieri, di terroristi, di separatisti, ecc)

    AFGANISTAN

    Prima della spaventosa situazione nella quale si è trovato l’Afganistan in questi ultimi decenni, lo zoo di Kabul fu inaugurato nel 1967, quando l’economia del paese era fiorente. Si trattava di un’istituzione importante che, come molti altri moderni zoo, faceva parte di Programmi Internazionali di Conservazione e allevamento di specie in pericolo. Accoglieva circa 400 animali con gruppi riproduttori di specie rare; nello zoo si sperimentava la riproduzione di quelle specie che stavano per estinguersi in Afganistan o in altri paesi del medioriente quali: il Cervo di Bukhara o battriano (Cervus (elaphus?) bactrianus) e altri rari ruminanti selvatici di montagna, come alcune specie di capre e pecore selvatiche vale a dire Stambecchi, Markor, Egagro, Mufloni e Argali, e anche specie del deserto, come la Gazzella persiana (Gazella subgutturosa). Fase successiva era la messa in atto di progetti di reintroduzione di queste specie nei loro luoghi di origine.  Oggi in questo zoo, trasformatosi in un ”lager per animali”, gran parte di quegli esemplari sono scomparsi dai loro recinti e non sappiamo che fine abbiano fatto; né conosciamo l’attuale situazione degli ultimi contingenti afgani delle 75 specie di piante e animali selvatici a rischio, originarie di questo paese, compreso il raro Leopardo delle nevi o Irbis (Panthera uncia) delle zone montuose più elevate del paese. Interessante a questo proposito sarebbe la lettura del libro “The Snow Leopard project and other Adventures in Warzone Conservation” di Alex Dehgan, direttore della Wildlife Conservation Society, che nel 2006, viaggiando alla ricerca di animali superstiti nelle zone più remote del Nuristan, si è ritrovato in un campo ancora minato e non ancora bonificato.

    AFRICA (29 Stati e 220 tra gruppi di guerriglieri, di terroristi, di separatisti, ecc)

    CORNO D’AFRICA (SOMALIA, ETIOPIA , ERITREA, SUD SUDAN ecc…)

    Nel ”Manifesto sulla conservazione e sulle risorse naturali” stilato a Mogadiscio, capitale della Somalia, si legge: ”La Repubblica somala riconosce che la conservazione della natura (…) costituisce un fondamento per il consolidamento e l’armonico sviluppo del paese (…) e si impegna (…) con la costituzione di Parchi nazionali, riserve naturali e l’insegnamento della conservazione della natura nelle scuole. Purtroppo il manifesto risale al 1968; oggi quasta nazione, devastata da guerriglie tribali e mancante di un governo stabile e riconosciuto, è nelle mani dei cosiddetti ‘signori della guerra’.

    Attualmente la parte settentrionale della penisola somala che guarda sul Golfo di Aden si è resa indipendente dal resto del paese col nome di Somaliland, e versa in condizioni politiche e economiche migliori, tanto che la Dott.ssa Laurie Marker a capo del CCF (Cheetah Conservation Fund)  è riuscita ad organizzare e allestire un centro di recupero per i piccoli ghepardi che vengono sequestrati alle frontiere e nei porti del paese dove, bracconieri senza scrupoli, dopo averli sottratti giovanissimi alle cure della madre (spesso uccisa per prendere i cuccioli indifesi) tentano di esportare i giovanissimi ghepardi vendendoli nella penisola arabica; qui infatti è diventato di gran moda, come vero Status Symbol,  passeggiare con un ghepardo addomesticato al guinzaglio o esibirlo sulla propria auto (fonte CCF Italia).

    In Somalia sono state censite ben 158 specie rare: tutti i grossi carnivori, gli ultimi elefanti, ecc ma molte delle specie rappresentano ‘endemismi’ tipici del Corno d’Africa, si tratta quindi di animali che vivono solo in questa regione. L’Italia ha sempre mantenuto rapporti di collaborazione anche in campo naturalistico con questa sua storica ex colonia (Africa Orientale Italiana), tanto che negli anni ’70 diede il suo contributo per l’istituzione di un grande parco nazionale di oltre 30.000 Km², denominato dell’Oltre Giuba, dotato di strutture per la ricerca e l’accoglienza. Oggi non si hanno notizie di questa area protetta e delle sue infrastrutture, nè si conosce la sorte di molte specie rarissime tipiche della fauna somala, come due piccole antilopi: il Beira (Dorcatragus megalotis), delle montagne settentrionali e il Dibatag  (Ammodorcas clarkei), delle zone aride centro-meridonali; il Dibatag sopravvive in un particolare ambiente semi-arido con varie specie di Acacia e Commiphora, denominato ”gedguwa” poco conosciuto ed ormai degradato dal pascolo del bestiame e dalla caccia eccessiva. In una ristrettissima porzione costiera di questo stesso ambiente vive anche la più piccola delle specie di Dik dik, il Dik-dik argentato o di Piacentini (Madoqua piacentinii), che secondo la ‘Red-list’ delle specie rare, redatta dall’IUCN, viene classificata come DD, Deficient Data, vale a dire che mancano dati sulla sua situazione numerica, ma si teme l’estinzione sicura entro pochissimi anni, se gli ultimi esemplari non verranno inseriti in un serio programma di salvaguardia (Bellani G.G. 2013 Gnusletter Vol 31); sempre la ‘Red-list’ liquida anche la situazione della quasi sconosciuta Genetta abyssinica con uno scofortante DD (Deficient data). Non spetta una sorte migliore nemmeno a tre specie di gazzelle: quella di Pelzeln (Gazella dorcas pelzelnii) e di Soemmering (G. soemmerringii berberana) e la gazzella naso o di Speke (Gazella spekei) nè alla popolazione degli ultimi Asini selvatici somali (Equus africanus somalicus) massacrati, forse anche per fame, dalle tribù locali nonostante la protezione nel parco di Yangudi Rassa.

    LIBERIA, SIERRA LEONE, NIGERIA ECC.

    In Liberia, il regime di terrore di Charles Taylor (fortunatamente cacciato nel 2003 ed oggi in carcere per crimini di guerra), ha finanziato i ribelli della Sierra Leone (RUF), desideroso di impossessarsi delle ricchissime miniere di diamanti di cui è ricco il paese. Nazioni come la Liberia e la Sierra Leone (di quest’ultima l’ONU dichiara: ”é il peggior posto al mondo in cui vivere”) non praticano nessun rispetto per i diritti umani; uccisioni e torture degli avversari politici, arruolamento di bambini nell’esercito e 30.000 persone condannate ad amputazioni punitive, sono attività tollerate. Da quando è iniziato il conflitto si contano oltre 100.000 morti e 2 milioni e mezzo di profughi. E’ penoso anche solo elencare le brutture sopportate dalle popolazioni dei paesi dell’Africa occidentale che si affacciano sul Golfo di Guinea, una regione ricchissima di risorse naturali; un tempo era ricoperta da splendide foreste tropicali, oggi in gran parte distrutte insieme alla ricchissima biodiversità che custodivano. Nel 2000 è stata dichiarata estinta una bellissima scimmia, il Colobo di Waldron (Colobus badius waldronae), mentre non si conoscono ancora i contingenti superstiti di molte specie quasi sconosciute, alcune delle quali scoperte solo pochi anni fa, come la Mangusta della Liberia (Liberiictis kuhni) conosciuta e classificata nel 1958 e oggi già sull’orlo dell’estinzione. Molto vulnerabili sono anche l’ippopotamo pigmeo (Hexaprotodon liberiensis) tipico delle foreste umide, varie specie di scimmie come alcuni Colobi e Cercopitechi, piccoli carnivori come due Genette (Genetta thierryi e G. johnstoni),  ed alcune piccoli antilopi di foresta come l’antilope reale o pigmea (Neotragus pigmaeus) e il cefalofo zebra (Cephalophus zebra); queste ultime fanno parte della cosiddetta “bushmeat” o carne da selvaggina, e sono l’unico apporto proteico possibile per alcune popolazioni ridotte alla fame.

    EPILOGO

    Non esiste un epilogo molto confortante e non si pensi che dove la guerra è durata molti anni, la cessazione dei conflitti possa risolvere da un giorno all’altro la situazione del patrimonio naturalistico. Gran parte delle aree dove sopravvive il rarissimo Stambecco del Simien (Capra walie), dell’Etiopia, sono disseminate di campi minati, pericolosissimi per le innumerevoli mine ancora inesplose. Durante il Genocidio Rwandese dei Tutsi (forse un milione di perone massacrate) il centro di Karisoke, fondato da Diane Fossey per i Gorilla venne completamente distrutto nel 1994 e migliaia di profughi in fuga invasero le foreste dei gorilla uccidendo un gran numero dei grossi e pacifici Primati.

    Armi e combattimenti lasciano conseguenze disastrose: per esempio durante la guerra del Viet-Nam si fece largo uso di defolianti che causarono l’estrema rarefazione di molte specie di scimmie le quali, come i Langur (Presbytis), si nutrono esclusivamente di foglie; ma i danni maggiori alla biodiversità del paese avvennero al termine del dissidio, quando il governo vietnamita cominciò un selvaggio taglio del patrimonio boschivo sopravvissuto, per poter ottenere il legname indispensabile alla ricostruzione post bellica. In alcuni casi persino la cessazione dei conflitti e i tentativi di ripristino delle condizioni di normalità economica e sociale, purtroppo ricadono ancora sugli abitanti più indifesi degli ambienti naturali, tra i quali certamente gli animali.

  • Guerra e natura – I^ Puntata

    La Guerra e i disordini sociali creano enormi problemi alle attività di conservazione della biodiversità in tutti i ‘punti caldi’ dei paesi del mondo. In una inchiesta in due puntate faremo partecipi i nostri lettori delle problematiche che gli addetti ai lavori incontrano nell’organizzazione delle attività di protezione ‘in situ’, cioè nei luoghi stessi che vedono la coesistenza fra disordini bellici e bisogno di conservazione della natura; vedremo i luoghi più caldi di Europa Asia e Africa e i pericoli che i conservazionisti devono correre per salvare gli ultimi contingenti di specie in via di estinzione.”Per conservare gli ambienti naturali (…) è necessario trovare soluzioni ai problemi sociali delle popolazioni: alleviare la povertà, alleggerire il debito, e creare condizioni per rallentare la crescita demografica e il raggiungimento di un’armonia duratura tra uomo e  natura.-  M.W. Holdgate, Direttore Generale della I.U.C.N.

    Le guerre, scatenate per validi motivi di difesa, per motivi umanitari o con pretesti che nascondono fini puramente economici, inevitabili o meno che siano, portano sofferenza non solo direttamente alle popolazioni umane che vi restano coinvolte, ma anche all’ambiente: l’aria, il suolo, le piante e soprattutto la vita degli animali selvatici dei paesi devastati da conflitti bellici subiscono danni spesso irreversibili e quindi quasi irrecuperabili anche dopo la cessazione dei conflitti. E’ stato straziante vedere le fatiche che i profughi afgani, vittime dal 1978 di tremende guerre civili, hanno affrontato per raggiungere paesi meno dilaniati da guerriglie e inumane leggi fondamentaliste. Da anni ormai giungono in Europa, attraverso il Mediterraneo o attraverso la cosiddetta rotta Balcanica, migliaia di profughi, specialmente mediorientali e africani che, rischiando la vita propria e quella della loro famiglia, lasciano i paesi nativi oppressi da guerre religiose e  civili, guerriglie e bande armate. Eppure una quindicina di anni fa il mondo si commosse anche per  le tristi immagini di Marjan, il vecchio leone trovato morente nel fatiscente zoo di Kabul, la capitale dell’Afganistan; il malandato maschio era sopravvissuto ai bombardamenti della città e dello zoo stesso. Marjan era sfigurato e reso cieco dalla bomba di un talebano folle che voleva vendicare l’aggressione e il ferimento mortale di un amico il quale, per provare scioccamente il proprio coraggio, si era introdotto nella gabbia del leone. Dopo essere comparso su tutti i media del mondo, il povero animale è poi morto a causa di una grave infezione. L’A.Z.A. (American Zoo and Aquarium Association) aveva inviato a Kabul i farmaci per curare Marjan insieme a qualche fondo per soccorrere e nutrire gli ultimi affamati ospiti dello zoo (un tempo importante Istituzione scientifica) ridotti ora alla fame dai continui bombardamenti della città: sei orsi e alcuni piccoli carnivori, alcuni cervi, gazzelle, mufloni, ecc. Ci si potrebbe allora chiedere se sia giusto commuoversi per la sorte di un vecchio leone o che un’associazione come l’A.Z.A. invii aiuti agli sfortunati ospiti di uno zoo, in un paese dove la popolazione umana versa nelle condizioni che tutti conosciamo. L’interrogativo può sembrare legittimo, ma pensiamo ad alcune situazioni analoghe in paesi come il nostro: cambiano i soggetti ma il dubbio è lo stesso; per esempio sappiamo che ogni anno si trovano bambini appena nati e subito abbandonati, persino nei cassonetti dell’immondizia: non per questo, crediamo, si debba tacciare di cinismo anche chi finanzia “Pubblicità Progresso” contro la cattiva abitudine di abbandonare il proprio cane per strada quando si parte per le vacanze estive.

    Se è dunque giusto che le associazioni umanitarie quali Croce Rossa, Medici Senza Frontiere ed Emergency (con l’eroico Gino Strada) abbiano tutti i fondi necessari per alleviare le sofferenze umane causate da conflitti bellici e guerre civili, è coerente e ragionevole che le associazioni naturalistiche e protezionistiche si preoccupino ”anche” per la sorte delle ultime popolazioni di animali selvatici o per quelle allevate negli zoo, e che sopravvivono nei paesi sconvolti da situazioni politico-economiche catastrofiche. Si potrebbe anzi affermare che le operazioni di monitoraggio e salvaguardia della biodiversità assolte da associazioni ambientaliste quali l’ I.U.C.N. (International Union for Conservation Nature and Natural Resources) ed il W.C.N. (World Conservation Union), possano essere considerate un aiuto, aggiungendo un motivo in più, se mai ce ne fosse bisogno, per un serrato ritorno di pace e normalità nelle zone più devastate del nostro pianeta.

    I paesi stremati da guerre militari o civili non hanno certo la possibilità (e alcuni dei regimi totalitari giunti al potere, nemmeno la volontà) di impiegare tempo, denaro o risorse umane adeguate, per politiche di conservazione della natura; in epoca di globalizzazione (ma la natura, e soprattutto gli animali, non riconoscono confini politici), sono quindi le associazioni internazionali per la conservazione della natura e delle specie in via di estinzione, nate in paesi economicamente più sviluppati, che si accollano questo impegno. Purtroppo non sempre ciò è possibile dato che in alcuni paesi la situazione è talmente difficile e pericolosa che a volte non si può fare altro che denunciare l’impossibilità di intervento.

    Secondo il rapporto annuale del Global Trends dell’UNHCR (l’organizzazione dell’ONU per i rifugiati) e del suo sito Wars in the World, nel 2016 nel mondo sarebbero almeno 47 i paesi coinvolti in azioni belligeranti di vario tipo che vanno da una vera e propria guerra tra Stati a guerre civili tra gruppi armati. Riportiamo solo alcuni degli infiniti dati sul coinvolgimento degli stati in guerre e guerriglie sanguinose che sconvolgono l’assetto politico-economico di un paese e i danni causati alla conservazione della biodiversità da questi fenomeni.

    Soffermiamoci per ora solo su Europa e Medio Oriente, vedremo nel prossimo numero alcune situazioni in Asia e Africa.

    EUROPA (9 stati e 81 tra gruppi di guerriglieri, di terroristi, di separatisti, ecc)

    Negli ultimi decenni la fauna delle regioni del Caucaso e dei Carpazi ha subito perdite che ancora stiamo valutando a causa, per esempio, delle guerre di separazione della Cecenia e dell’Ucraina dall’ex Unione Sovietica. La fauna della catena montuosa del Caucaso annovera specie rare e poco conosciute come il leopardo persiano (Panthera pardus tulliana=saxicolor), il gatto selvatico del Caucaso e due specie endemiche di capre selvatiche: il Tur o stambecco del Caucaso occidentale (Capra caucasica) e quello orientale (Capra cilindricornis). Nei Carpazi sopravvive dispersa l’unica popolazione veramente selvatica dell’ormai rarissimo Bisonte europeo (Bison bonasus).

    MEDIO ORIENTE (7 Stati e 248 tra gruppi di guerriglieri, di terroristi, di separatisti, ecc)

    IRAN (EX PERSIA)

    L’Iran è un paese che dagli anni ‘70 , quando la rivoluzione del 1978 fece cadere il regime dello Scià, ha visto anni di guerre contro l’Iraq di Saddham Hussein ed è stato coinvolto nell’aiuto a molte guerre in paesi arabi del Medio oriente (Siria, Libano ecc). La fine dei conflitti si è chiusa con una pesante dittatura di forze fondamentaliste islamiche contro cui la popolazione per anni ha cercato di opporsi con rivolte soffocate nel sangue (“repressione del dissenso”) dal Corpo delle guardie della rivoluzione Islamica o Pasdaran. In questo clima di forte e pericolosa sospensione dei diritti civili e umani, nel 2018 lavoravano alcuni conservazionisti per monitorare la presenza degli ultimi ghepardi asiatici (Acinonyx jubatus venaticus), sottospecie che sopravvive ormai solo in alcune aree protette dell’Iran, con circa 70-110 esemplari (G. Bellani “Felines of the World” Elsevier, USA)

    Nei primi mesi del 2018 un tribunale di Tehran ha emanato un verdetto di colpevolezza per otto ricercatori-conservazionisti che studiano i ghepardi, tra cui due donne, con l’accusa di spionaggio e sentenze che vanno dai sei, ai dieci anni di reclusione, solo per aver utilizzato, come si fa in tutto il resto del mondo, macchine fotografiche e telecamere che entrano in funzione per mezzo di trappole a raggi infrarossi, unico mezzo possibile per monitorare la presenza di questi rarissimi e timidissimi felini. Il ramo locale di intelligence del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica, li ha accusati di essere spie assoldate da paesi nemici per monitorare l’Iran e quattro di loro  rischiano la pena di morte poiché accusati di “Portare la corruzione sulla Terra”……

    Questi scienziati lavorano tutti per la Persian Wildlife Heritage Foundation (PWHF), una organizzazione no-profit con sede a Tehran che si occupa di tutelare il ghepardo asiatico e altre specie rare in Iran; i ricercatori hanno già trascorso quasi due anni in carcere ma Kavous Seyed-Emami, professore iraniano-canadese e amministratore delegato della Persian Wildlife Heritage Foundation (PWHF), dopo essere stato imprigionato è poi morto nelle carceri di Evin e secondi i suoi carcerieri si sarebbe ufficialmente suicidato.

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