omicidio

  • Vil razza dannata

    Agli amanti della lirica, e non solo, è nota la frase dell’opera Il Rigoletto, dell’imperituro Giuseppe Verdi, “cortigiani vil razza dannata”.

    Siamo ovviamente ben contenti che il termine razza esca dal vocabolario quando il termine è usato per definire persone di un colore, di una religione, di un territorio o di un altro.

    Siamo certi che il legislatore saprà come affrontare il problema per gli animali, distinti in razze diverse anche se appartenenti a categorie che hanno aspetti comuni: la mucca è un mammifero come la tigre ma non vanno confuse.

    Il problema si fa più complesso quando dobbiamo riferirci a quei cortigiani citati nel Rigoletto che hanno anche oggi tanti loro simili che vivono tra noi, dalle pieghe della politica al mondo degli affari, in ogni campo della società.

    Il problema diventa poi insolubile se dobbiamo, per forza, parlare di “esseri” come Alessandro Impagnatiello che ha ucciso la fidanzata ed il suo bambino di sette mesi, e dei tanti altri, veramente troppi, che hanno trucidato, violentato, persone inermi, di coloro che, attraverso la grande criminalità, lo spaccio di droga, hanno distrutto migliaia, decine di migliaia di vite.

    Come riverirci a costoro se non con dicendo razza infame, razza dannata,” vil razza dannata”?

  • La derubricazione per svuotare di contenuti la terribile vicenda

    È sempre difficile commentare la morte di una ragazza, ancor di più se poi questa avvenga per opera della propria famiglia. Tuttavia il tentativo di una specifica parte dello schieramento politico la quale intende “derubricare” il terribile omicidio di una ragazza inerme a reato di femminicidio (altra definizione per me impropria ma che accetto) rappresenta un’azione politica vergognosa. In questo modo si cerca di attribuire l’intera responsabilità alla figura maschile dello zio sperando così di farlo rientrare nella terribile casistica dei femminicidi dei quali è ricca la nostra cronaca quotidiana.

    Questo rappresenta innanzitutto un insulto alla meraviglia dell’amore materno che tutti quanti noi abbiamo avuto la fortuna di conoscere, inoltre in questo terribile omicidio un ruolo fondamentale va attribuito anche alla madre la quale ha acconsentito all’esecuzione della propria figlia da parte dello zio. Negare questo aspetto, che vede coinvolta anche la figura femminile della madre nell’assassinio della propria figlia, rappresenta la lettura distorta filtrata dalla lente dell’interesse politico. Una volgare interpretazione di questo terribile delitto dettata da un miserabile interesse finalizzato a svuotare l’intera vicenda del contesto ma soprattutto del contenuto culturale e religioso.

    Ancora una volta una parte della politica non ha esitato nel dimostrarsi espressione dei più bassi istinti al fine di perseguire i propri obiettivi soprattutto con lo scopo evidente di riaffermare la propria visione politica.

  • Ancora sangue

    Ancora due italiani uccisi mentre adempiono al loro dovere e compiono azioni di pace e speranza, rendiamo tutti onore alla loro memoria. L’Ambasciatore Luca Attanasio e il carabiniere Vittorio Iacovacci sono vittime non solo della scellerata violenza delle bande armate, che da troppo tempo insanguinano l’Africa, ma anche di colpevoli disattenzioni alla sicurezza. Mentre il cordoglio di tutti non porterà sollievo alle famiglie distrutte né riporterà il padre alle bambine rimaste orfane ci chiediamo, ancora una volta, quale sia lo strumento più efficace per combattere la violenza che trascina tante popolazioni civili alla fame ed alla morte, visto che in troppi casi le bande armate ed il terrorismo sono allevati o tollerati anche da esponenti del potere ufficiale, e come  fare comprendere che, senza adeguata protezione ed organizzazione, non si può andare in molte aree del pianeta. Ci auguriamo che l’inchiesta per accertare i fatti sia celere e completa, purtroppo in troppi casi, nel passato, la verità non è mai stata appurata con chiarezza.

    Ogni giorno continuano le uccisioni di donne da parte di mariti, ex mariti, fidanzati o compagni, una autentica catena di vittime e sempre più sono anche i bambini uccisi. Come è ben scritto nel libro denuncia La solitudine oltre la legge, di Carlo Sala, pubblicato da ‘Ulisse edizioni’, le leggi non bastano, neppure le ultime emanate, se le stesse non sono applicate tempestivamente, se non c’è prevenzione, individuazione dei casi a rischio ed un’immediata protezione delle donne e dei bambini. Occorre una più incisiva campagna di sensibilizzazione, inasprire al massimo le pene per chi commette femminicidio o comunque violenza, occorrono fondi subito per aiutare le donne che per salvarsi devono reinventarsi una vita, occorre un preciso e nuovo programma scolastico dalle primarie fino all’Università, occorre che i figli sappiano a chi rivolgersi per segnalare casi di violenza famigliare, occorre che le indagini sui casi siano immediate e celeri i processi. Su questi punti il governo deve intervenire subito.

  • In attesa di Giustizia: la giustizia nel paese reale

    I tempi, i modi della Giustizia, la legislazione sottostante sono l’argomento di questa rubrica e negli ultimi tempi si è visto poco di buono, meno che mai, su tutti questi fronti complice la pandemia.

    Una recente vicenda, che ha molto colpito l’opinione pubblica, però impone di essere commentata: l’omicidio di Willy, il ragazzo di colore vittima di una vile e violentissima aggressione avvenuta a Colleferro.

    Sulla sua morte orribile si è detto e se ne parla ancora moltissimo, i presunti (e, francamente, probabili) responsabili sono stati celermente individuati e tratti in arresto: tuttavia un assassino è tale solo dopo la sentenza che lo ha definitivamente ritenuto tale, altrimenti i processi non servono e la regola forse vale ancora di più quanto  più uno appare colpevole  perché se si cede a questa suggestione la Giustizia è finita e tanto vale trascinare i sospettati in piazza per darli in pasto alla folla inferocita.

    E non c’è minore violenza nello strumentalizzare frasi attribuite alle famiglie degli indagati la cui fonte è incerta, lo è invocare punizioni esemplari, scatenare una caccia al mostro collettiva con tutti i comfort tecnologici, impiegando le chat, i social network, le apparizioni, anche fugaci, sui media. Così significa alimentare la Giustizia che verrà di una carica emotiva rischiando di renderla ingiusta.

    Non è mestieri affrontare il merito della vicenda, senza disporre degli atti che però sono finiti ai telegiornali prima ancora che nella cancelleria del Giudice ed a disposizione degli avvocati. E non è neppure il caso di fare ipotesi: sarebbero solo ragionamenti astratti sulla natura del reato – omicidio preterintenzionale o volontario – le colpe dei singoli partecipi, sulle circostanze.

    Non è questo il punto. Il punto è che tutti dovrebbero sforzarsi di capire che senza un giusto processo (e quelli celebrati su Facebook, a Chi l’ha visto, o durante improvvisati comizi davanti alle telecamere non solo non è “giusto” come la Costituzione vuole ma nemmeno è un processo, senza il rigoroso rispetto del solo meccanismo che autorizza lo Stato a punire un individuo, ma è qualcosa che quello che assume il nome sinistro di vendetta. Insomma, chi invoca: “Dateli a noi”, sul piano etico si comporta esattamente come si sarebbero comportati gli accusati di quel crimine: si fa giustizia da solo e a modo suo.

    E in tutto questo, non poteva mancare l’attacco a chi esercita il mestiere del difensore: gli avvocati sono stati bersaglio di insulti e minacce gravi, confermando che il popolo degli indignati non è migliore dei loro assistiti.

    Per coloro che li denigrano e provano a intimidire sarebbe utile la lettura di una sentenza della Cassazione del 29.03.2000 in cu isi legge che “Il difensore di un imputato, invero, si trova astretto a dover osservare, da un canto, veri e propri doveri giuridici connessi alla nobile funzione che è chiamato a svolgere, espressi attraverso formule dai contorni spesso assai vaghi, ma assicurati dal giuramento che presta prima di entrare a fare parte dell’ordine. È indubbio che l’esercizio del diritto di difesa, in quella accezione particolare riferibile ai soggetti legittimati al patrocinio, ha nel nostro ordinamento il più ampio ambito di espansione, nella prospettiva di assicurare l’effettiva attuazione del principio di cui all’art. 24, 2 comma, della Costituzione. Deve, quindi, essere apprezzata la condotta del difensore, che ha il diritto – dovere, costituzionalmente garantito, di difendere gli interessi della parte assistita nel migliore modo possibile nei limiti del mandato e nell’osservanza della legge e dei principi deontologici e cioè di adoperarsi con ogni mezzo lecito a sottrarre il proprio assistito, colpevole o innocente che sia, alle conseguenze negative del procedimento a suo carico.”  E senza il contributo degli avvocati, l’attesa di Giustizia sarebbe del tutto vana.

  • Detective Stories: uccisioni e sottrazioni di minore, quando il pericolo è il genitore

    Fra tutte le tipologie di crimini esistenti, l’omicidio di un bambino è certamente quello più terribile e che spesso non trova una spiegazione logica immediata. Quando viene ucciso un minore la nostra mente è portata a pensare subito all’intervento di un soggetto esterno, un malintenzionato, un orco…ma non è sempre così.

    Il dato più raccapricciante è che nella maggior parte dei casi ad agire è un familiare. Il più delle volte è la madre, anche se ultimamente le cronache ci restituiscono una immagine che vede coinvolti anche i padri in questi fenomeni patologici.

    Si tratta di casi rari ed isolati dei quali forse si sente parlare fin troppo spesso, casi di difficile comprensione ma che trovano una spiegazione negli angoli più bui dell’animo umano, ove regnano disperazione e disagio esistenziale.

    Statisticamente il fattore scatenante di tali gesti estremi risiede nell’abuso di droghe, anche se in generale possono influire anche gravi episodi depressivi, crisi economiche o dinamiche di violenza familiare. E’ facile che da queste condizioni, la violenza venga trasferita sui figli, ma ovviamente ogni caso è a se.

    È di pochi giorni fa la notizia dell’uccisione da parte di un padre dei due figli minori nella provincia di Lecco. Non aveva accettato la separazione e con molta probabilità ha ucciso per colpire la moglie.  Guardando il suo profilo Instagram sembrava un padre amorevole, con molti post dedicati ai figli e al tempo trascorso con loro, ma evidentemente ad un certo punto qualcosa deve essere scattato nella sua mente. Si poteva prevedere e quindi evitare una simile tragedia?

    I nomi di bambini vittime di stragi familiari sono troppi, ma a volte la forza di alcuni di loro gli consente di sopravvivere.

    Come non dimenticarsi di David Rothenberg, il bimbo americano di 6 anni bruciato vivo nel sonno dal padre dopo avere trascorso una giornata insieme a lui a Disneyland. David sopravvisse ma rimase gravemente sfigurato. Gli dedicarono un film, diventò amico di Michael Jackson e poi un artista da grande. Una magra consolazione.

    David è stato l’esempio vivente di come quando sono i padri ad uccidere, o a tentare di farlo, si tratta perlopiù di eventi caratterizzati da una maggiore violenza, espressione di un malessere interiore dal quale non si può più fare ritorno.

    Ritengo che la violenza sui figli sia legata a quella delle donne da uno stesso denominatore comune, poiché quando è un padre ad uccidere, lo fa quasi esclusivamente per ferire la donna, privandola di ciò che di più caro ha al mondo.

    In altri casi, uno dei genitori decide di privare il partner del figlio “rapendolo” e portandolo a vivere in un altro paese, di fatto senza mai più farlo vedere.

    Non si tratta di uccisioni, ma certamente sono situazioni fortemente logoranti per le famiglie che lo subiscono.

    Spesso mi sono occupato di casi di questo tipo, riuscendo a scoprire la località nella quale il genitore stesse nascondendo il figlio, ma talvolta le difficoltà e le aree geografiche coinvolte non favoriscono il ritrovamento, basti pensare ai quei bambini sottratti e portati in paesi arabi o zone colpite dalla guerra.

    Alcuni anni fa si rivolse a me un uomo la cui figlia di 3 anni era stata portata via dalla madre. Mauro, (nome di fantasia), imprenditore milanese, aveva sposato Ilona (nome di fantasia), una indossatrice ucraina di 28 anni. Dopo la nascita della loro bambina, Ilona ebbe una depressione post parto e cominciò a bere sempre con una maggiore frequenza. I due litigavano spesso ed erano distanti l’uno dall’altro. Mauro chiese il divorzio. Pochi giorno dopo aver ricevuto la comunicazione, Ilona prese la bambina e andò via, spense il telefono e cancellò i propri social network.

    Solitamente in queste situazioni, le donne vanno da genitori o comunque da alcuni parenti, almeno nel primo periodo, nel caso di Ilona invece non fu così.  Non si riusciva a trovare da nessuna parte. Il motivo? Aveva agito con premeditazione e non di impulso, ma commise un errore. Analizzai il profilo social delle sue amiche più care e notai una amicizia in comune a tutte. Si trattava di un profilo privato che non accettava nessuna richiesta di amicizia. Poteva trattarsi di Ilona.

    Trovai un nickname molto simile utilizzato in un vecchio profilo Twitter ormai in disuso, ma era aperto. Analizzai i nomi dei follower e li cercai su Instagram. Avevo sufficienti conferme che si trattasse del network di amicizie di Ilona.

    Tenni sotto controllo le storie dei diversi profili ed un giorno vidi in uno dei video una bambina di circa 3 anni. La storia venne cancellata poco dopo. Avevo scoperto che Ilona si trovava in Ucraina presso un suo ex fidanzato con il quale era rimasta in contatto.

    L’iter legale successivo consentì a Mauro di ottenere l’affidamento della bambina.

    Uccisioni e sottrazioni sono frutto della stessa matrice, la volontà di chi compie tali gesti è quasi sempre quella di ferire il partner attraverso i figli. In alcuni casi è possibile prevedere tali eventi, ma come?

    E’ importante analizzare i cambiamenti dell’umore del partner, monitorare l’abuso di sostanze ed ogni eventuale situazione di insofferenza e disagio, soprattutto nelle dinamiche familiari.

    Non bisogna temere di riconoscere una malattia mentale all’interno della famiglia, spesso si può intervenire in tempo e superare le crisi grazie al supporto di un professionista.

    Infine, il dialogo è sempre utile, anche in situazioni difficili, quando si ha a che fare con soggetti violenti o particolarmente disturbati bisogna essere dei “bravi attori”, mediare il più possibile, assecondare il partner affinché non compia gesti inconsulti e prendere le opportune contromisure con il supporto di un professionista.

    Per domande e consigli di natura investigativa e/o di sicurezza, scrivetemi e vi risponderò direttamente su questa rubrica: d.castro@vigilargroup.com

     

  • I figli di Khassoggi salvano i killer del padre dalla pena capitale

    Il gesto di clemenza è arrivato in una delle ultime notti di Ramadan, come suggerisce la tradizione islamica. “Noi, figli del martire Jamal Khashoggi, annunciamo di voler perdonare coloro che hanno ucciso nostro padre”. Poche parole che hanno il peso di una pietra tombale sulle speranze di chi chiedeva giustizia per la brutale uccisione del reporter saudita, il 2 ottobre 2018 nel consolato di Riad a Istanbul. Con il perdono annunciato su Twitter dal figlio maggiore Salah, per i killer dell’editorialista del Washington Post, i cui resti non sono mai stati ritrovati, si apriranno le porte della commutazione della pena e, in futuro, magari anche quelle del carcere.

    Secondo i media di Riad, con il “perdono” dei familiari della vittima dovrebbe infatti essere commutata in una pena minore la condanna a morte inflitta a cinque imputati da un tribunale del Regno. Incerto resta il destino degli altri tre condannati a 24 anni complessivi di carcere, mentre i sospetti mandanti l’avevano già fatta franca dopo che a dicembre i giudici sauditi avevano tolto l’aggravante della premeditazione, scagionando i due fedelissimi del principe ereditario Mohammed bin Salman, l’ex braccio destro della comunicazione, Saud al-Qahtani, e l’ex numero due dei servizi segreti, il generale Ahmed al-Assiri.

    Ma l’annuncio di Salah Khashoggi si accompagna a forti sospetti di un accordo con la casa dei Saud, che secondo il Washington Post avrebbe lautamente ricompensato lui e gli altri figli del giornalista con proprietà immobiliari del valore di milioni di dollari e ingenti somme di denaro. Accuse che i familiari hanno sempre negato. In ogni caso, è un esito che permette a Mbs – come viene chiamato il principe – di archiviare almeno sul piano giudiziario una drammatica vicenda che ne ha macchiato l’immagine di aspirante sovrano riformatore, specie dopo che i rapporti della Cia e degli esperti Onu avevano escluso che potesse non sapere dell’operazione di Istanbul.

    Dal resto del mondo continuano a levarsi voci indignate. A partire dalla fidanzata della vittima, l’ultima a vederlo in vita fuori dalla sede diplomatica. “Nessuno ha il diritto di perdonare gli assassini. Jamal Khashoggi – ha scritto su Twitter Hatice Cengiz – è diventato un simbolo internazionale più grande di tutti noi, ammirato e amato. Jamal è stato ucciso all’interno del consolato del suo Paese mentre prendeva dei documenti per il nostro matrimonio. L’imboscata e il suo efferato omicidio non vanno in prescrizione. Io e altri non ci fermeremo finché non avremo giustizia per Jamal”. Dura la reazione anche della relatrice speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni extragiudiziali, Agnes Callamard, che dopo aver indagato per mesi sulla vicenda ha parlato di “prove credibili” di un coinvolgimento di Mbs. Secondo l’esperta dell’Onu, che non parla però a nome del Palazzo di Vetro, è un annuncio “scioccante”, anche se “atteso”, che rappresenta un nuovo atto della “parodia della giustizia saudita”.

  • Malta incrimina tre persone per l’assassinio della giornalista Daphne Garuana Galizia

    Il Procuratore generale di Malta ha incriminato tre uomini per l’assassinio della giornalista Daphne Caruana Galizia. L’accusa è arrivata con anticipo rispetto alla scadenza di 20 mesi per incriminare o rilasciare dei sospetti in custodia. I tre uomini, Vincent Muscat e i fratelli Alfred e George Degiorgio, erano stati arrestati nel dicembre 2017 e accusati di aver lanciato una bomba nella macchina della Caruana Galizia nei dintorni della capitale maltese La Valletta il 16 ottobre 2017. I tre si sono dichiarati “non colpevoli” ma i tribunali hanno respinto le richieste di cauzione.

    Il motivo dell’assassinio non è mai stato rivelato ma Caruana Galizia curava un blog in cui scriveva di anti-corruzione. Il primo ministro Joseph Muscat, un bersaglio frequente della Caruana Galizia, ha offerto un premio di un milione di euro per le informazioni che hanno portano all’arresto dei colpevoli.

    L’indagine della polizia è avvenuta con la collaborazione dell’Ufficio federale delle indagini e dell’Europol degli Stati Uniti. La famiglia della giornalista chiede un’inchiesta pubblica sulla vicenda, richiesta echeggiata dal Consiglio d’Europa. Il governo però è convinto che un’inchiesta pubblica ostacolerebbe le indagini della polizia ma non ha escluso la possibilità di organizzarne una in futuro.

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