ONU

  • A chi giova?

    Tutti coloro che hanno a cuore la vita umana, non solo la propria ma anche altrui, non possono che essere preoccupati, angosciati, per ì civili che sono morti e moriranno a Gaza. Sperando che provino gli stessi sentimenti per i morti israeliani.

    Ciascuno dovrebbe chiedersi perché è cominciato tutto questo sapendo bene che l’inizio è stato il 7 ottobre quando Hamas è entrato in Israele trucidando ragazzi, persone normali e tanti bambini, anziani e donne inermi.

    Se Hamas non fosse entrato in Israele, se non avesse ucciso, secondo le stime attuali, ma sembra non ancora finito il riconoscimento, più di 1400 persone, se Hamas non avesse rapiti 240 ostaggi, se non avesse lanciato un numero enorme di razzi contro Israele, dimostrando di avere a disposizione una grande potenza di fuoco e una moderna tecnologia, come i droni, oggi non ci sarebbero tanti morti e feriti palestinesi.

    Se Hamas avesse usato i forti finanziamenti, arrivati sia dall’Europa che da alcuni paesi arabi, per rendere più giusta la vita degli abitanti di Gaza, mentre invece scavava, da anni, tunnel lunghi chilometri e vere e proprie roccaforti sotterranee per arrivare in territorio israeliano e commettere atrocità delle quali troppo poco si è parlato, se Hamas avesse voluto quella mediazione politica necessaria per raggiungere l’accordo: due popoli, due Stati, oggi, con buona pace di tutti quelli che sfilano bruciando le bandiere israeliane, i morti non ci sarebbero stati, né a Gaza né in Israele

    Se Hamas non avesse avuto da tempo l’obiettivo di cercare di distruggere Israele, Stato che, secondo alcuni, non esiste, non è neppure sulle loro carte geografiche di certi paesi musulmani, se avesse aperto la strada al reciproco riconoscimento, se non fosse collegato con l’Iran, finanziato dal Qatar, blandito dai russi di Putin, se, se, con i se non andiamo da nessuna parte.

    La verità è come una coperta corta che ciascuno tira dalla sua parte ma, con buona pace di Guterres e di quel personale dell’Onu che non si è mai accorto dei tunnel o delle condizioni miserrime dei palestinesi, nonostante i molti sostanziosi aiuti economici, la realtà è inconfutabile: Hamas è entrata in Israele per uccidere, fare più male possibile sapendo che vi sarebbe stata la ovvia reazione dell’esercito israeliano, con le conseguenze che tutti conosciamo.

    La realtà, che non può essere più di tanto manipolata dalle false notizie, è che il piano, concordato non solo con l’Iran, era di cercare di attirare Israele in una strada senza uscita e la Russia ne era ben contenta sia perché è noto il suo antisemitismo sia perché sperava di distogliere l’attenzione dalla turpe guerra che da quasi due anni ha portato in Ucraina.

    Gli antichi romani avrebbero detto: cui prodest? A chi giova?

    Non certo ai civili palestinesi usati come scudi umani, non certo agli israeliani che, in un attimo, si sono trovati meno forti e sicuri ed hanno visto, in gran parte, vanificare i faticosi progressi fatti con l’accordo di Abramo, certo giova ai nemici del diritto, della democrazia, della pacifica convivenza ed anche ai propugnatori di un nuovo ordine mondiale.

    Certo il diritto alla difesa non può portare a perpetrare uccisioni indiscriminate ma se i miliziani di Hamas si nascondono tra i civili ed i miliziani di Hamas continuano a lanciare razzi ed a fare incursioni in territorio israeliano, tenendo prigionieri 240 cittadini, non solo israeliani, cosa deve fare Israele, concedere una tregua per ritrovarsi come al 7 ottobre attaccata proditoriamente!

    Quella parte di comunità internazionale che tanto si agita a condannare Israele, partendo dal ras turco Erdogan, cosa ha fatto o intende fare per rendere inoffensivo Hamas, quando si deciderà a condannarlo?

    Mentre vediamo manifestazioni pro Hamas e contro Israele ci chiediamo perché queste sfilate e prese di posizione, Onu compresa, non le abbiamo viste e non le vediamo per le persone uccise, seviziate, rimaste senza nulla in Ucraina dove i bombardamenti hanno raso al suolo, completamente, numerose città e dove gran parte del terreno ucraino non potrà essere coltivato per anni, portando lo spetro della fame non solo per la popolazione locale ma per i paesi più poveri nel mondo.

    Ma di questo la piazza non parla, non urla e l’Onu è non solo inutile ma pericoloso se non sarà cambiato radicalmente.

    La verità appartiene alla visione della vita che noi o la nostra idea politica o religiosa ci suggerisce, la realtà si basa sui fatti ed è incontrovertibile che Hamas è entrato in Israele per uccidere e per trascinare Israele in guerra, i palestinesi che da anni non hanno avuto la capacità, il coraggio, la volontà di liberarsi di Hamas ne pagano le conseguenze, ma c’è una chiamata di correo per tutti quelli che oggi non condannano Hamas ed ogni terrorismo.

  • Adesso è tutto chiaro

    Dopo le dichiarazioni del segretario delle Nazioni Unite Guterres è chiaro il motivo per il quale le Nazioni Unite da tempo non contano più nulla e non ottengono risultati, anzi aggravano i problemi.

    Se da un lato è giusto e doveroso preoccuparsi per i civili palestinesi, quelli che non sono complici e correi di Hamas, è improvvido, sbagliato, pericoloso, è una negazione di quanto Israele ha subito, pronunciare le parole che Guterres ha detto alle Nazioni Unite, parole che di fatto giustificano gli eccidi, le torture, le violenze perpetrate da Hamas il 7 ottobre.

    La richiesta di dimissioni di un uomo che di fatto ha reso le Nazioni Unite un organismo inutile ed imbelle e che, con le ultime dichiarazioni, fa da sponda al terrorismo non solo è legittima ma necessaria.

  • UN chief ‘appalled’ by Darfur’s ethnic and sexual violence

    UN chief António Guterres says he is appalled by reports of large-scale violence in the Darfur region of Sudan.

    His spokesperson says Mr Guterres has called on all warring parties to stop fighting and commit to a durable cessation of hostilities.

    “He is highly worried about the increasing ethnic dimension of the violence, as well as by reports of sexual violence,” Stéphane Dujarric said.

    “With nearly nine million people now urgently requiring humanitarian aid and protection in Darfur, he stresses the need for an end to looting and widened access so aid can reach those who most need it.”

    Earlier the UN’s head of mission for Sudan, Volker Perthes, said these attacks appeared to have been committed by Arab militia and the paramilitary Rapid Support Forces (RSF).

    “These reports are deeply worrying and, if verified, could amount to crimes against humanity,” he said in a statement.

    Meanwhile, Saudi Arabia has announced it will jointly lead a conference on the humanitarian response to the war in Sudan next week. Saudi Arabia and the US have been trying to mediate in the eight-week conflict between the army and the RSF.

  • L’Onu abbia la capacità di raddrizzare la schiena, di sospendere la Russia dalla Presidenza del Consiglio di Sicurezza e di rivedere il proprio funzionamento

    Mentre ogni giorno si fa più sanguinaria e devastante la guerra che la Russia ha portato in Ucraina non si fermano altri estesi focolai di violenza e la Cina sembra sempre più vicina a scatenare un altro conflitto contro Taipei.

    Rendono ulteriormente preoccupati la fuga di notizie di intelligence, vere o false che siano, perché comunque dimostrano un lavoro di spionaggio e controinformazione che rendono sempre più difficili i rapporti corretti tra gli Stati.

    Né può tranquillizzare che la massima autorità esistente, l’Onu, che dovrebbe impedire la costante violazione, da parte della Russia e non solo, del diritto internazionale abbia oggi proprio la Russia a presiedere di Consiglio di Sicurezza.

    Nei fatti la nazione che ha violato il diritto internazionale invadendo uno stato sovrano, radendo al suolo interi paesi e città, che ha usato bombe sporche, consentito che le sue truppe commettessero delitti di ogni genere contro la popolazione civile, messo a rischio centrali nucleari, che utilizza milizie mercenarie, note da anni per le efferatezze compite in ogni luogo ove sono state dislocate, è oggi la nazione che presiede il più delicato ed importante organismo internazionale che dovrebbe vigilare proprio su quel diritto calpestato da chi lo presiede

    Il Consiglio di Sicurezza ha il compito di vigilare, nel mondo, sulla pace ed sul rispetto del diritto internazionale, in sintesi la realtà è che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu è presieduto da uno stato, la Russia, che ha violato ogni diritto internazionale e il cui presidente, Putin, ha un mandato d’arresto dalla Corte penale internazionale.

    C’è un senso comune, una logica in tutto questo?

    Possono i cittadini di qualunque parte del mondo sentirsi oggi rappresentati e difesi da un organismo che non è neppure in grado, se non di espellere, almeno di sanzionare con una sospensione la Russia e qualunque altro Paese membro compia le stesse violazioni?

    Non sanzionare la Russia, almeno togliendole la presidenza, non mettere subito in essere le necessarie modifiche ai regolamenti interni delle nazioni unite avrà come conseguenza che qualunque Stato si sentirà legittimato ad ignorare le regole internazionali e ad agire, con violenza, contro qualunque altro paese.

    Se l’Onu non avrà la capacità di raddrizzare la schiena e di rigenerarsi il futuro del diritto e delle regole comuni è segnato e tornerà a vincere i sopruso, il ricatto, la violenza.

  • UN chief condemns Taliban ban on its Afghan female staff

    The United Nations head has strongly condemned a Taliban ban on Afghan women working for the organisation.

    Secretary General Antonio Guterres demanded Afghanistan’s rulers immediately revoke the order, saying it was discriminatory and breached international human rights law.

    Female staff were “essential for UN operations” in the country, he said.

    The Taliban have increasingly restricted women’s freedoms since seizing power in 2021.

    There was no immediate word from their government on why the order had been issued. Foreign female UN workers are exempt.

    The UN has been working to bring humanitarian aid to 23 million people in Afghanistan, which is reeling from a severe economic and humanitarian crisis. Female workers play a vital role in on-the-ground aid operations, particularly in identifying other women in need.

    “Female staff members are essential for the United Nations operations, including in the delivery of life-saving assistance,” Secretary General Mr Guterres said in a statement.

    “The enforcement of this decision will harm the Afghan people, millions of whom are in need of this assistance.”

    He called on the Taliban to “reverse all measures that restrict women’s and girls’ rights to work, education and freedom of movement”.

    Earlier, the UN told its Afghan staff – men and women – not to report to work while it sought clarity from the Taliban. Local women had been stopped from going to work at UN facilities in eastern Nangarhar province on Tuesday.

    The UN mission had been exempt from a previous Taliban ban issued in December that stopped all NGOs using women staff unless they were health workers.

    How health programmes in the country will be affected by the ban on UN staff remains unclear.

    The ban is being seen as the most significant test of the future of UN operations in Afghanistan, and the relationship between the organisation and the Taliban government, which is not recognised anywhere in the world.

    Since the Taliban’s return to power, teenage girls and women have been barred from schools, colleges and universities. Women are required to be dressed in a way that only reveals their eyes, and must be accompanied by a male relative if they are travelling more than 72km (48 miles).

    And last November, women were banned from parks, gyms and swimming pools, stripping away the simplest of freedoms.

    The Taliban have also cracked down on advocates for female education. Last month, Matiullah Wesa, a prominent Afghan campaigner for female education, was arrested for unknown reasons.

    In February Professor Ismail Mashal, an outspoken critic of the Taliban government’s ban on education for women, was also arrested in Kabul while handing out free books.

  • Il non senso

    La sospirata e tardiva decisione di Germania e Stati Uniti di fornire finalmente all’Ucraina i carri armati, dei quali ha bisogno da mesi e che da mesi Polonia e Repubbliche baltiche chiedono di poter inviare, non servirà nel breve tempo a dare un vero aiuto per impedire le scellerate violenze dei russi. Infatti, dato l’annuncio dell’invio è stato anche specificato che occorreranno circa tre mesi per addestrare i soldati ucraini al loro utilizzo.

    Ed eccoci ad uno dei tanti non senso di questa guerra perché non ha senso non aver addestrato per tempo i soldati Ucraini anche all’uso di questi super tecnologici carri armati, carri armati che rischiano di arrivare in un tempo troppo lontano, visti i massacri di oggi, ed in condizione meteo, il fango della primavera, che potrebbe renderli meno attivi per parecchio.

    Le guerre si fanno con molti strumenti che si possono predisporre in anticipo o in ritardo ma le condizioni meteo non dipendono né da presidenti o generali e non tenerne conto è improvvido e pericoloso.

    Tra tre mesi, se è questo il tempo che occorre, come comunicato ieri da Stati Uniti e da Germania, perché gli ucraini possano utilizzare i carri armati sarà aprile, la stagione del disgelo ed il fango regnerà sovrano più che mai rendendo molto più difficoltoso il passaggio dei tank, l’abbiamo già visto l’anno scorso.

    Tra pochi giorni entreremo nel secondo anno di guerra, l’Ucraina è stata quasi tutta rasa al suolo dalle bombe e dai missili russi ma i sistemi antimissili sono stati consegnati dagli alleati, anche questa volta, con molti ritardi e tutt’ora manca un supporto aereo adeguato per contrastare i bombardieri di Putin.

    Gli ucraini hanno dimostrato un coraggio fuori dal comune sia come soldati che come civili, sono inenarrabili le violenze fisiche ed i patimenti che questa popolazione ha dovuto sopportare senza cibo, acqua, luce, riscaldamento e troppo spesso senza casa, senza più nulla della propria vita passata.

    Inutile negarlo, per mettere d’accordo tra loro, per contemperare le paure, gli interessi, chiari o più oscuri, di ciascuno Stato dell’Unione e poi per mettersi d’accordo con Stati Uniti, Onu, Nato, ed altri alleati non è stato né semplice né veloce.

    I ritardi, le titubanze, le promesse non seguite da azioni immediate non hanno ammorbidito Putin, nessun tentativo, più o meno autorevole, di mediazione ha portato risultati se non quello di perdere ulteriore tempo mentre le varie milizie, dalla Wagner alle altre, hanno sempre intensificato le loro atrocità.

    Tutti coloro che conoscono un po’ di storia della guerre recenti sanno bene come la tempestività sia fondamentale mentre gli stalli, i tentennamenti, i ritardi incancreniscono i conflitti, né hanno grande esperienza i russi e gli americani in Afghanistan, gli americani anche in Vietnam.

    In questo conflitto non tutti gli interessi degli alleati sono chiari mentre è chiarissimo che se Putin continua a trovare sulla sua strada gli ucraini non armati a sufficienza, e tempestivamente, il destino, non solo dell’Ucraina, è segnato, sarà bene cominciare a tenerne conto in modo più adeguato.

    Molte possono essere le giustificazioni per i ritardi anche nell’addestramento degli ucraini ma in tempo di guerra non ci sono giustificazioni accettabili se non sono chiari i percorsi ed i tempi, come sempre dovremmo sentire meno annunci e più tempestività nel dare gli aiuti promessi.

    Certo è che non potremo guardare con serenità al futuro della democrazia e della pace nel mondo se Putin non sarà fermato o portato a miti consigli, inoltre il mondo di domani ha bisogno già da oggi di una totale riorganizzazione dell’Onu, della Nato e della stessa Unione Europea.

  • Piano dell’Onu per allarmi meteo in ogni Paese del mondo

    Metà degli Stati del mondo non hanno un sistema di primo allarme per gli eventi atmosferici estremi. In pratica, se arriva un uragano o un’ondata di calore, non sono in grado di saperlo prima, di avvertire la popolazione, di prendere contromisure. Il che vuol dire più morti e più distruzione. Naturalmente, questi Stati sono quelli più poveri. Sono loro che patiscono di più le conseguenze del moltiplicarsi degli eventi meteo estremi, causato dal riscaldamento globale. E’ soprattutto pensando a questi Paesi che l’Onu ha presentato alla Cop27 di Sharm el-Sheikh un progetto per dotare tutti gli Stati del mondo, entro cinque anni, di un sistema di allerta per i disastri atmosferici. Il piano «Primo allarme per tutti”, preparato dalla Organizzazione meteorologica mondiale e da altri partner, è stato illustrato alla Cop dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, e dal segretario generale della Wmo, Petteri Talaas.

    Il progetto ha già il sostegno di 50 stati e richiede un investimento di 3,1 miliardi di dollari fra il 2023 e il 2027. Ma si tratta di una cifra minima rispetto alle decine di miliardi di danni che potrebbe evitare. Per non parlare delle vite umane, che non hanno prezzo. Sono i “loss and damage” della crisi climatica, uno dei temi centrali di questa Cop: i Paesi in via di sviluppo, sostenuti dalla presidenza egiziana, chiedono l’istituzione di un fondo per i ristori, pagato dalle nazioni più ricche.

    “Primo allarme per tutti” prevede 4 elementi: conoscenza del rischio disastri, con raccolta dei dati e valutazioni (374 milioni di dollari); osservazione e previsione, con sistemi di monitoraggio e di primo allarme (1,8 miliardi); preparazione e risposta, con strutture locali e nazionali di protezione civile (1 miliardo); diffusione e comunicazione, con la capacità di raggiungere tutti i cittadini con le informazioni necessarie (550 milioni).

    Secondo l’Onu, spendere appena 800 milioni di dollari in questi sistemi di primo allarme nei paesi in via di sviluppo eviterebbe danni da 3 a 16 miliardi di dollari ogni anno. I 3,1 miliardi del progetto sono solo il 6% dei 50 miliardi di dollari che secondo l’Onu dovrebbero essere dedicati ogni anno all’adattamento al riscaldamento globale, nell’ambito del fondo da 100 miliardi di dollari per gli aiuti sul clima previsto dall’Accordo di Parigi. Per il segretario della Organizzazione meteorologica mondiale, Petteri Talaas, “il primo allarme salva vite e fornisce grandi benefici economici. Soltanto la notizia 24 ore prima dell’arrivo di un evento pericoloso può ridurre i danni del 30%».

  • L’Onu accusa la Cina di compiere crimini contro gli uiguri

    Le accuse alla Cina sulle “gravi violazioni” dei diritti umani nello Xinjiang sono “credibili” e  lo stato è tale da richiedere un'”urgente attenzione” internazionale: l’Ufficio dell’Alto Commissario dell’Onu per i diritti umani si è spinto fino a rilevare che “la portata della detenzione arbitraria e discriminatoria degli uiguri e di altri gruppi a maggioranza musulmana può costituire crimini internazionali, in particolare contro l’umanità”.

    A pochi minuti dalla scadenza del suo mandato, l’Alto Commissario Michele Bachelet ha diffuso il rapporto a lungo atteso sullo stato dei diritti umani nello Xinjiang, sgretolando le ragioni delle politiche contro il  radicalismo opposte dalla Cina. Che ha reagito furiosamente: “Il cosiddetto rapporto critico è pianificato e inventato in prima persona dagli Usa e da alcune forze occidentali. E’ del tutto illegale e non è valido”, ha tuonato il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin. “E’ un miscuglio di disinformazione ed è uno strumento politico usato come parte della strategia occidentale di far leva sullo Xinjiang per controllare la Cina”, ha aggiunto.

    Le quasi 50 pagine del lavoro hanno messo in discussione le strategie contro terrorismo ed estremismo “e le politiche associate che hanno portato a schemi intrecciati di restrizioni gravi e indebite su una ampia gamma di diritti umani”, tra problematiche “di standard internazionali sui diritti umani” con concetti vaghi e aperti che danno ai funzionari ampi margini di discrezionalità. Il rapporto copre un periodo pluriennale durante il quale le autorità cinesi avrebbero detenuto arbitrariamente fino a 1,8 milioni di uiguri e di altre minoranze, secondo molti lavori investigativi di gruppi per i diritti umani, ricercatori, media e attivisti, tra torture, sterilizzazioni forzate e lavori di rieducazione, sradicamento delle tradizioni linguistiche, culturali e religiose, in quello che Usa e diversi parlamenti occidentali hanno definito genocidio e crimini contro l’umanità. Il rapporto ha formulato anche 13 raccomandazioni a Pechino, incluso il rilascio tempestivo dei detenuti in centri vocazionali, prigioni o altre strutture.

    Adrian Zenz, antropologo tedesco, è forse la persona più invisa a Pechino per aver sollevato in modo sistematico la questione, finendo per essere colpito da sanzioni. “Non è forte sotto tutti i punti di vista, ma è un ottimo inizio. Non credo che il rapporto sia il miglior risultato possibile, ma date le circostanze, è meglio di quello che avrebbe potuto essere”, ha ammesso con realismo. Su Twitter ha apprezzato il metodo principale seguito, in linea con il suo, ovvero “l’uso di documenti del governo cinese per provare le violazioni dei diritti”, senza artifici.

    “Questo rapporto è estremamente importante e apre la strada a un’azione significativa da parte degli organismi dell’Onu e della comunità imprenditoriale”, ha commentato il presidente del Congresso uiguro mondiale Dolkun Isa.

    Bachelet aveva promesso la diffusione del rapporto entro la fine del mandato a dispetto delle pressioni, difendendosi dalle accuse di indulgenza verso Pechino, affermando che il dialogo “non significa chiudere gli occhi, che siamo tolleranti, che distogliamo lo sguardo o che chiudiamo gli occhi. E ancor meno che non possiamo parlare francamente”. L’ex presidente del Cile era stata criticata per la visita fatta a fine maggio in Cina e nello Xinjiang tra varie restrizioni. Aveva avuto anche una videoconferenza con il presidente Xi Jinping che aveva ammonito che le “questioni relative ai diritti umani non dovrebbero essere politicizzate, strumentalizzate o trattate con doppi standard”, osservando che la Cina ha “un percorso di sviluppo dei diritti umani che si adatta alle sue condizioni nazionali”.

    Sophie Richardson, a capo di Human Rights Watch per la Cina, anche lei finita nelle sanzioni di Pechino, ha notato che il rapporto Bachelet non è quello che Xi “voleva un mese prima del 20° Congresso del Partito comunista”, quando il leader cercherà un inedito terzo mandato.

  • L’Onu torna a occuparsi della sorte degli uiguri in Cina

    Dal 28 febbraio all’1 aprile si è svolta la 49esima Sessione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite nel corso della quale nove ministri degli Esteri hanno espresso le loro preoccupazioni per le gravi violazioni dei diritti umani commesse dal governo cinese contro gli uiguri. Inoltre, questi governi hanno anche esortato l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, a pubblicare rapidamente il suo rapporto sulla situazione nel Turkistan orientale. Queste affermazioni sono state evidenziate anche nella dichiarazione dell’articolo 4 dell’Unione europea il 22 marzo. L’Ue ha inoltre chiesto il rilascio immediato e incondizionato dell’economista uiguro incarcerato e vincitore del Premio Sacharov Ilham Tohti e altri.

    L’8 marzo l’Alto Commissario ha annunciato di aver raggiunto un accordo con il governo cinese per una visita nel Turkistan orientale a maggio. In vista di questo annuncio, il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha ribadito il suo appello alla Cina affinché consenta all’Alto Commissario una “visita credibile in Cina”, anche nel Turkistan orientale. Il Congresso mondiale degli uiguri (Wuc) si è unito a quasi 200 gruppi per i diritti umani in una lettera aperta in cui esortava l’Alto Commissario a pubblicare rapidamente il rapporto del suo ufficio sulle violazioni dei diritti del governo cinese nei confronti degli uiguri e di altri turchi nel Turkistan orientale. Il 16 marzo, il presidente della Wuc, Dolkun Isa, ha espresso le sue gravi preoccupazioni per il genocidio in corso commesso dal governo cinese contro gli uiguri e altri turchi. Ha anche evidenziato la repressione della Cina nei confronti degli attivisti uiguri all’estero. In un’altra dichiarazione, Zumretay Arkin, responsabile del programma e dell’advocacy della Wuc, ha esortato l’Alto Commissario a pubblicare rapidamente il suo rapporto sulla situazione dei diritti umani nel Turkistan orientale e ha invitato il relatore speciale sulla promozione e la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, Fionnuala Ní Aoláin, a partecipare all’imminente visita dell’Alto Commissario nel Turkistan orientale.

    Il 30 marzo, una delegazione di rappresentanti uiguri, tra cui il presidente del World Uyghur Congress, Dolkun Isa, ha incontrato Lisa Peterson, assistente segretario ad interim per il Dipartimento di Stato, la neo-nominata ambasciatrice statunitense Beth Van Schaack, e l’ambasciatore generale per la libertà religiosa, Rashad Hussain, per parlare di modi concreti per affrontare il genocidio degli uiguri.

    Durante questo viaggio, il presidente della Wuc ha anche incontrato il presidente della commissione per gli affari esteri della Camera degli Stati Uniti, Gregory Meeks, l’ex vice consigliere per la sicurezza nazionale, Matthew Pottinger, l’ex ambasciatore generale per le questioni femminili globali, Kelley Currie, nonché il membro del Parlamento europeo Reinhard Bütikofer e il membro del Parlamento britannico, Nus Ghani.

    Il 30 marzo, Dolkun ha parlato a un ricevimento per i responsabili politici che guidano la risposta al genocidio degli uiguri, organizzato dalla Uyghur American Association e dall’Uyghur Human Rights Project a Washington. “Con alleati come te, non abbiamo perso la speranza. Come molti sanno, ho perso mia madre in un campo. Mio padre è morto in circostanze misteriose. Mio fratello maggiore è stato condannato a 17 anni di carcere. E mio fratello minore è stato condannato all’ergastolo. Ma questo non mi ha impedito di difendere il mio popolo”, ha detto nel suo discorso di apertura.

    Dal 25 al 27 marzo, il Wuc ha organizzato con successo un programma di formazione per il rafforzamento delle capacità per giovani attivisti a Bursa, in Turchia. La formazione è stata preceduta da una cena di benvenuto, organizzata con la città di Bursa, alla quale hanno partecipato delegati e rappresentanti del Wuc in Turchia, politici turchi, studiosi e media.

    Durante la formazione, 40 giovani attivisti uiguri provenienti dall’Asia centrale, dall’Europa e dalla Turchia hanno partecipato di persona e altri 7 si sono uniti virtualmente per apprendere come condurre un advocacy efficace ed efficace in contesti locali e internazionali. Il workshop ha fornito ai giovani attivisti uiguri le competenze, le risorse e gli strumenti per facilitare il loro coinvolgimento con le diverse parti interessate in modo efficace e sostenibile. Importanti leader di comunità, studiosi e attivisti per i diritti umani hanno tenuto presentazioni per riconoscere, affrontare e mitigare i rischi e le sfide legate alla difesa dei diritti umani, in particolare con stati ostili, come la Cina. Tra i relatori figuravano Luke De Pulford, Rahima Mahmut, Mia Hasenson-Gross, Lucia Parruci, il dottor Erdem Özdemir, il dottor Erkin Ekrem, Perhat Muhammet e Zumretay Arkin.

  • La compagnia dell’orrore e della tirannia

    L’ONU ha condannato la Russia per la proditoria invasione dell’Ucraina, con una maggioranza schiacciante di ben 141 Stati contro 5 (e 35 astensioni). Un isolamento mai visto della superpotenza imperiale e dello Zar che la guida. Ma la cosa più imbarazzante sono i Paesi che hanno votato contro la condanna dell’invasione dell’Ucraina. Appena 4, oltre alla Russia stessa, ma chi sono? Nientepopodimeno che la Bielorussia, la Siria, la Corea del Nord e l’Eritrea.

    Parafrasando la famosa “Compagnia dell’Anello” di Tolkien, una vera e propria “compagnia dell’orrore e della tirannia”, considerata la reputazione dei rispettivi capi di Stato di questi Paesi, non a caso sodali della Russia, perché sostanzialmente uguali. Tutti noti per il despotismo, la negazione totale di libertà, l’assenza dei diritti democratici, l’irriducibile persecuzione degli oppositori interni, nonché per nulla avulsi, in caso di necessità, all’uso di armi di distruzione di massa, compresi i famigerati gas contro civili inermi, il cui divieto è universale, ed il cui utilizzo qualifica chi lo fa come criminale di guerra. Proprio una compagnia adatta per un Paese che è scandalosamente componente permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, cabina di regia istituita per garantire la pace nel mondo. Come affidare la tutela delle pecore al lupo o, meglio, nella fattispecie all’orso.

    Un risultato storico di condanna meritata, che trova un’ulteriore conferma nell’arroganza con cui ha operato il ministro degli esteri russo Sergev Lavrov, nei confronti del Parlamento del nostro Paese.

    Con un atteggiamento da bullo di quartiere malfamato, Lavrov ha avuto la spudoratezza di fare consegnare al suo ambasciatore a Roma una lettera al presidente della Commissione difesa della Camera Gianluca Rizzo, con l’incarico di portarla a conoscenza dei deputati italiani, con cui ha minacciato l’Unione Europea e l’Italia affermando che “Le azioni della UE non resteranno senza risposta”, e poi precisando che “I cittadini e le strutture della UE, coinvolti nella fornitura di armi letali e di carburante e lubrificanti alle forze armate ucraine, saranno ritenuti responsabili di qualsiasi conseguenza di tali azioni nel contesto dell’operazione militare speciale in corso”. Concludendo, con un crescendo melodrammatico: “Non possono non capire il grado di pericolo delle conseguenze”.

    Una azione senza precedenti, quella di un ministro degli esteri che si rivolge direttamente al Parlamento di un Paese sovrano e minaccia gravissime conseguenze per il voto liberamente espresso dai deputati, nell’esercizio delle loro prerogative, ed al servizio del loro Paese. Un gravissimo ed intollerabile strappo al protocollo nei rapporti istituzionali tra Stati, poiché un ministro straniero si può rivolge al governo di un altro Paese, ma non direttamente al Parlamento e, soprattutto, mai per una critica o, addirittura per una minaccia, come in questo caso, per un voto espresso dallo stesso. Un atto di bullismo istituzionale, profondamente offensivo per la nostra Patria, la nostra Costituzione e la dignità di tutti gli Italiani, che il ministro russo, come lui stesso afferma, “non avrebbe potuto non capire” di avere commesso.

    Questi aspetti di tracotante arroganza, insieme agli insulti gratuiti di Putin al governo di Kiev “costituito da una banda di drogati e neonazisti” e alle dichiarazioni pubbliche di Lavrov sui veri obiettivi della guerra, consistenti “nel cambio di regime a Kiev, né più e né meno”, quindi la sostituzione del governo legittimo di uno stato sovrano, con un governo fantoccio di Mosca, dovrebbero fare riflettere sull’opportunità di cambiare opinione a quanti ancora insistono nell’improbabile arrampicata sugli specchi, per giustificare un orribile atto di guerra quale è l’aggressione dell’Ucraina, attuata per l’anacronistica ricostituzione dell’impero zarista.

    *già sottosegretario per i Beni e le Attività Culturali

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