ospedale

  • Abusi scandalosi con la salute dei cittadini

    Le istituzioni passano attraverso tre periodi:

    quello dei servizi, quello dei privilegi, quello degli abusi.

    François René de Chateaubriand

    “Giuro per Apollo medico e Asclepio e Igea e Panacea e per gli dèi tutti e per tutte le dee, chiamandoli a testimoni, che eseguirò, secondo le forze e il mio giudizio, questo giuramento e questo impegno scritto”. Così cominciava il Giuramento scritto da Ippocrate tra il V ed il IV secolo avanti Cristo. Egli giurava, tra l’altro, “Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, mi asterrò dal recar danno e offesa”. E poi garantiva: “In qualsiasi casa andrò, io vi entrerò per il sollievo dei malati, e mi asterrò da ogni offesa e danno volontario, e fra l’altro da ogni azione corruttrice sul corpo delle donne e degli uomini, liberi e schiavi”. Il testo del Giuramento finiva con l’affermazione: “E a me, dunque, che adempio un tale giuramento e non lo calpesto, sia concesso di godere della vita e dell’arte, onorato degli uomini tutti per sempre; mi accada il contrario se lo violo e se spergiuro”. Si trattava di un giuramento che doveva essere fatto da tutti coloro che si prestavano ad esercitare la professione del medico. Nel corso dei secoli il testo del Giuramento di Ippocrate è stato modificato, senza però cambiare la sostanza degli impegni solennemente presi. Il testo attualmente in vigore comincia con l’affermazione: “Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro….”. Un medico giura anche di attenersi “…ai principi morali di umanità e solidarietà nonché a quelli civili di rispetto dell’autonomia della persona”. Il medico finisce il suo giuramento affermando: “E a me, dunque, che adempio un tale giuramento e non lo calpesto, sia concesso di godere della vita e dell’arte, onorato degli uomini tutti per sempre; mi accada il contrario se lo violo e se spergiuro”. Così giurano i nuovi medici, ovunque, prima di iniziare la loro professione, prima di impegnarsi a salvare vite umane.

    Questo giuramento lo hanno fatto tutti i medici che esercitano anche in Albania. Ma non tutti loro, purtroppo, hanno rispettato il giuramento fatto. Sono stati molti i casi in cui i pazienti sono stati costretti a pagare quello che doveva essere coperto/rimborsato dai fondi statali. E questo non era un fatto sconosciuto. Anzi! Lo testimonia anche quanto è stato reso pubblicamente noto martedì scorso, 25 giugno. Alcuni medici e specialisti dell’ospedale oncologico della capitale sono stati accusati del reato di abuso d’ufficio. Risulterebbe che loro, invece di trattare i pazienti oncologici presso l’ospedale, li orientavano presso delle strutture private. Disgraziatamente molti pazienti terminali sono stati costretti a pagare un servizio e delle cure che dovevano essere rese gratuitamente dall’ospedale pubblico. In più è stato reso noto che mancavano quasi tutti i medicinali che dovevano essere disponibili presso le strutture pubbliche. Mentre nelle cliniche private, dove esercitavano alcuni dei medici accusati, i medicinali non mancavano. Anzi! Però si doveva pagare caro. Purtroppo, non tutti i pazienti potevano affrontare simili spese, perciò sono state tante le fatali conseguenze. Risulterebbe che, addirittura, spesso i medicinali necessari per la chemioterapia, ma non solo, arrivavano nelle cliniche private anche dall’ospedale pubblico. Ma risulterebbe anche un altro fatto clamoroso che non poteva essere stato attuato solo dall’abuso dei medici. Si tratta dell’apparecchio per la cobaltoterapia. Un apparecchio che era stato installato presso l’ospedale oncologico della capitale nel 2021. Ma purtroppo, da allora ad oggi, risulterebbe che quell’apparecchio non sia stato mai messo in funzione. E non solo. In piena violazione delle normative internazionali per le sorgenti radioattive di cui è munito, l’apparecchio è stato messo in un ambiente non protetto dalle radiazioni. E tutto questo non poteva, mai e poi mai, accadere senza l’approvazione dei dirigenti. E non solo di quelli dell’ospedale, ma anche di quelli del ministero della Sanità. Come mai e chissà perché?! Ma le cattive lingue da anni parlano e dicono quello che è stato reso noto la scorsa settimana. Le cattive lingue non hanno parlato però solo di quello che accadeva presso l’ospedale oncologico. Hanno parlato e parlano tuttora anche di quello che accade in tutti gli ospedali pubblici, e non solo nella capitale albanese. Ma coloro che sono stati e sono i veri responsabili, a tutti i livelli, del funzionamento normale delle strutture ospedaliere ed ambulatorie in Albania non hanno fatto niente perché tutto ciò non si verificasse e non accadesse. E le conseguenze di una simile irresponsabilità, così come dell’irresponsabilità dei medici, anche se non di tutti loro, sono state spesso fatali per i semplici cittadini albanesi. Per tutti coloro che non potevano affrontare le spese presso le cliniche private dove lavoravano e/o erano proprietari anche medici del servizio pubblico.

    L’attuale primo ministro albanese ha cominciato il suo primo mandato nel settembre 2013, dopo aver vinto le elezioni il 23 giugno dello stesso anno. Uno dei “punti forti” della sua campagna elettorale allora era “il servizio sanitario gratuito”. Fatti accaduti da allora in poi, fatti tutti documentati e pubblicamente noti alla mano però, testimoniano la falsità di questa promessa. Anzi, tra i primi scandali con gli appalti pubblici, clientelistici e milionari ci sono stati proprio quelli effettuati nel sistema della sanità pubblica. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito di tali scandali. Nel novembre scorso il nostro lettore veniva informato che “…Nelle ultime settimane sono stati resi noti altri dati e fatti che riguardano alcuni altri scandali clamorosi nel settore della sanità pubblica. […]. Si tratta di scandali milionari che hanno privato i poveri cittadini albanesi dei servizi sanitari di prima necessità. Servizi vitali che loro non possono permettersi, finanziariamente, per averli nelle strutture private. Si tratta di scandali che da molti anni ormai stanno arricchendo gli amici sia del primo ministro che di alcuni ministri della Sanità. Tra i più noti e clamorosi ci sono lo scandalo del controllo sanitario, conosciuto come il servizio “Check up”, e quello degli sterilizzatori” (Misere bugie per nascondere clamorosi abusi quotidiani ed altro; 27 novembre 2023). Alcuni anni fa, trattando l’irresponsabilità dei massimi rappresentanti governativi, primo ministro compreso, l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore: “Un altro peccato madornale quello loro, che invece di gestire responsabilmente un settore così importante come quello della Sanità pubblica, hanno parlato soltanto di immaginari successi e hanno sperperato i fondi pubblici devoluti alla Sanità, dividendoli con certi oligarchi, loro sostenitori elettorali” (Dio salvi l’Albania e gli albanesi!; 16 marzo 2020).

    Oggi, di fronte ad una simile e molto evidente realtà, il primo ministro albanese ha cercato di nuovo, come sempre, di scaricare le sue colpe ad altri. Oggi ha scelto i medici. Una preda facile, dopo lo scandalo sopracitato. Ma i medici hanno abusato, beneficiando di quello che il sistema corrotto, capeggiato proprio dal primo ministro, permette. Oggi, il primo ministro ha scoperto che quello che hanno fatto i medici dell’ospedale oncologico era “un crimine non semplicemente contro i malati, ma [contro] tutta l’umanità” (Sic!). Chissà come si dovrebbe chiamare allora quello che lui, il primo ministro ed i suoi collaboratori fanno ogni giorno contro i cittadini albanesi?!

    Chi scrive queste righe è convinto che alcuni medici hanno disonorato il Giuramento di Ippocrate.  Ma il primo ministri ha consapevolmente violato e disonorato la Costituzione della Repubblica, sulla quale ha giurato fedeltà. E, non a caso, durante questi anni si sono verificati anche degli abusi scandalosi con la salute dei cittadini. Aveva ragione François René de Chateaubriand: le istituzioni passano attraverso tre periodi: quello dei servizi, quello dei privilegi, quello degli abusi.

  • Oltre 3.000 pazienti ucraini trasferiti negli ospedali europei dall’inizio della guerra

    Dall’inizio della guerra russa contro l’Ucraina, l’UE coordina regolarmente le evacuazioni sanitarie dei pazienti ucraini, siano essi malati cronici o feriti. Ad oggi oltre 3.000 pazienti ucraini sono stati trasferiti per ricevere cure specialistiche in ospedali di tutta Europa attraverso il meccanismo unionale di protezione civile. Avviata nel marzo 2022, si tratta della più grande operazione di evacuazione sanitaria coordinata finora dal Centro di coordinamento della risposta alle emergenze della Commissione europea.

    I pazienti sono stati trasferiti per cure ospedaliere in 22 paesi europei: Austria, Belgio, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Repubblica ceca, Romania, Slovenia, Spagna, Svezia e Ungheria.

    Le evacuazioni sono inoltre sostenute dal polo Medevac dell’UE a Rzeszów, in Polonia, dove i pazienti ricevono assistenza infermieristica 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Il polo funge da centro di trasferimento per i pazienti che sono stati trasportati via terra dall’Ucraina alla Polonia e che saranno trasferiti in aereo agli ospedali di tutta Europa.

  • Al via il bando per creare il reparto di pediatria più accogliente del mondo

    Realizzare «il reparto di pediatria più bello e accogliente del mondo». È la grande sfida di Fondazione De Marchi – ente non profit impegnato a migliorare la qualità della vita dei pazienti pediatrici e dei loro genitori – che ha lanciato un bando da un milione di euro per trasformare gli spazi pediatrici del Nuovo Policlinico di Milano, che sarà ultimato entro il 2024, in ambienti accoglienti e a misura di bambino, al fine di ridurre al minimo lo stress emotivo e psicologico dei pazienti e dei loro genitori. I fondi stanziati per il bando sono stati raccolti grazie alla generosità dei sostenitori dell’organizzazione.

    Il bando, aperto fino al 30 ottobre, è rivolto ad architetti, designer, scenografi, progettisti multimediali e aziende, che sono chiamati a realizzare un progetto volto ad “umanizzare” uno spazio di oltre 12mila metri quadrati distribuito su tre piani, per creare ambienti capaci di aumentare il benessere dei bambini e dei loro familiari, per cui sono previste sia zone di incontro e relax sia spazi per lo smart working.

    Gli interventi, in particolare, riguarderanno le aree pediatriche del Nuovo Policlinico di Milano: gli spazi di degenza (88 posti letto), l’atrio di ingresso, il pronto soccorso pediatrico, la terapia intensiva pediatrica, il collegamento tra il reparto di pediatria e il giardino terapeutico. In particolare, sono previste sale dedicate all’attività didattica, spazi gioco e luoghi di incontro per pazienti e genitori dotati di giochi, libri e dispositivi tecnologici. Tutti gli ambienti condivideranno una narrazione e un unico progetto creativo e verranno utilizzate soluzioni multimediali, come speciali installazioni e percorsi di realtà aumentata sia statiche per accogliere, stupire e accompagnare i bambini in ogni tappa del loro percorso di cura.

    Lo spazio pediatrico, insieme al reparto Maternità, costituirà uno dei due blocchi di 7 piani, uniti da un blocco centrale di 3 piani, del Nuovo Policlinico di Milano. Il progetto – che vede tra i firmatari Stefano Boeri, Gianandrea Barreca e Giovanni La Varra – prevede un grande spazio nel cuore di Milano in cui saranno realizzati percorsi di cura dedicati e un parco sopraelevato, che costituirà un grande “polmone” verde.

    Le nuove aree pediatriche saranno un punto di riferimento nazionale per i bambini bisognosi di cure mediche. La Lombardia è, infatti, tra le regioni maggiormente coinvolte nell’accoglienza di pazienti costretti a spostarsi per motivi sanitari.

  • Oltre 106 milioni di euro per il primo ospedale da campo paneuropeo

    La Commissione stanzia 106,2 milioni di euro a favore di Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Portogallo, Romania e Turchia per sviluppare la nuova capacità della squadra medica di emergenza (EMT) di rescEU. L’obiettivo è aumentare l’assistenza medica di emergenza alle popolazioni colpite da gravi catastrofi naturali o provocate dall’uomo.

    Il progetto istituirà tre squadre mediche di emergenza di tipo 2 (EMT2), che comprenderanno servizi chirurgici e diagnostici. Inoltre 17 squadre specializzate offriranno servizi di terapia intensiva, cure per ustioni, trasporto dei pazienti, diagnostica avanzata, assistenza alla madre e all’infanzia, riabilitazione, sostegno alla salute mentale, cure ortopediche, analisi di laboratorio, fornitura di ossigeno e supporto alle telecomunicazioni.

    Questa capacità di rescEU diventerà gradualmente operativa a partire dal 2024 e consentirà di rispondere a un’ampia gamma di scenari relativi a catastrofi. Le squadre saranno in grado di operare autonomamente e di sostenere le strutture sanitarie nazionali esistenti qualora queste non riuscissero a far fronte a un’emergenza. Questa nuova struttura integrerà il ruolo chiave già svolto in risposta alle emergenze dalle 15 squadre mediche di emergenza messe a disposizione dagli Stati membri e dagli Stati partecipanti al pool europeo di protezione civile.

  • Tornano i viaggi per curarsi, nel 2021 spesi 2,5 miliardi

    Riprendono i viaggi della ‘speranza’ per curarsi degli italiani tra una regione e l’altra. Nel 2021 il valore dell’attività legata agli spostamenti per cure è stato di quasi 2,5 miliardi di euro, in aumento rispetto al 2020 ma ancora sotto i valori del pre pandemia, ovvero gli anni 2017, 2018 e 2019. Lo indicano i dati sulla mobilità sanitaria presentati dall’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas). Dati che possono in alcuni casi essere specchio di inappropriatezza o di carenza di servizi in alcuni Regioni.

    L’area del Portale statistico di Agenas dedicata alla Mobilità sanitaria mette a disposizione i dati degli ultimi cinque anni rispetto all’attività interregionale dei ricoveri. Ne emerge, ad esempio, che nel 2021 nell’area della cura dei tumori “alcune regioni continuano ad avere un alto indice di fuga di pazienti, come Molise e Calabria, ma anche Basilicata, Valle d’Aosta e Liguria. Lombardia e Veneto hanno invece maggior potere attrattivo”, ha spiegato Maria Pia Randazzo, responsabile Unità Operativa Statistica e Flussi Informativi Sanitari di Agenas. In particolare quest’ultima sul carcinoma del pancreas ha il più alto indice di attrazione, in virtù della presenza di strutture d’eccellenza. Anche il Lazio – ha concluso – vede un trend con saldo positivo di attrazione per le prestazioni di area oncologica”.

    “E’ un dato di fatto – ha detto il direttore Agenas Domenico Mantoan – che alcune regioni attraggano più di altre e in alcune attragga più il pubblico mentre in altre il privato. Va tenuto conto che c’è anche una mobilità apparente, ovvero quella di cittadini che vivono in altra regione da quella in cui risultano residenti. C’è poi la mobilità di chi decide liberamente di farsi operare da specifici medici o ospedali di fiducia in una Regione diversa da quella di residenza. C’è però sicuramente una parte di mobilità interregionale dettata da inappropriatezza, su cui è possibile e bisogna intervenire. Il compito dell’agenzia è fornire dati precisi e fornirli velocemente, per consentire al decisore di prendere correttivi”.

  • I problemi degli ospedali, dei pazienti e dei medici

    Secondo alcune notizie l’Ospedale S. Anna di Como ha chiamato una paziente per una visita richiesta 11 anni prima, in Calabria si assumono medici venuti d’oltre oceano e in Veneto dalla Spagna.
    La carenza di medici ed infermieri è ormai nota da molti anni, nonostante il personale andato in pensione sia stato in molti casi richiamato in servizio i problemi, per i pazienti, aumentano di giorno in giorno mentre il personale sanitario lamenta turni di servizio eccessivi.
    L’assistenza sul territorio è purtroppo quella che conosciamo e durante il covid abbiamo visto tutte le carenze ed inadeguatezze con il conseguente aggravarsi dei problemi per i pronto soccorsi.
    In questi giorni a Bobbio, in provincia di Piacenza, come in tanti altri presidi di pronto soccorso, è in atto una nuova crisi che, per mancanza di personale, penalizzerà ancora i malati.
    All’ospedale di Piacenza molti medici sembra abbiano deciso, o stiano meditando, di lasciare l’incarico per indirizzarsi verso strutture private e che ci sia una certa insofferenza per eventuali posti apicali che sarebbero riservati a medici di Parma, comunque il personale resta insufficiente.
    Per questi e altri motivi che i cittadini di Piacenza conoscono bene, visto che alcuni ormai si rivolgono direttamente a Milano, ci chiediamo quali obiettivi, effettivamente utili alla collettività, ci siano dietro il continuo insistere per la costruzione di un nuovo ospedale, per il quale ci vorranno anni e che si troverà comunque con lo stesso problema di carenza di personale.
    Non sarebbe più sensato, specie in un momento di grave crisi come questo, pensare a rendere più funzionante l’attuale ospedale mettendosi alla ricerca dei medici ed infermieri necessari e dando  maggior soddisfazione a quelli che già faticosamente lavorano nella struttura?
    E questa considerazione vale, ovviamente, per le tante realtà simili per il resto d’Italia.

    C’è poi il problema dei test per le facoltà sanitarie e speriamo che, prima o poi, sarebbe meglio prima, qualcuno se ne occupi.

    Rimane, nonostante tante parole, aperto il problema della sanità territoriale con gravi conseguenze, specie per i cittadini più anziani o nei casi di epidemie.
    Al nuovo governo un rinnovato augurio e l’invito a dare una svolta seria alla sanità.

  • Trapianti in aumento, record di donatori Covid

    L’Italia segna un record nel campo dei trapianti: è stato il primo Paese al mondo a rendere possibile l’uso di organi da donatori positivi al Sars-Cov-2. E oggi è in cima alla classifica globale per numero di trapianti da donatori Covid: 21 nel 2021, in aggiunta ai 7 di fine 2020, tutti andati a buon fine. Il dato emerge dal rapporto della Rete nazionale trapianti sul 2021 pubblicato dal Centro nazionale trapianti (Cnt).

    In totale i trapianti eseguiti in Italia lo scorso anno sono stati 3.794, di cui 3.417 da donatore deceduto (+9% sul 2020) e 377 da donatore vivente (+24%). Il 2021, spiega nel Rapporto il direttore generale del Centro Nazionale Trapianti, Massimo Cardillo, “è stato l’anno della ripresa post-pandemica”. Per Cardillo la Rete trapiantologica italiana “ha dimostrato ancora una volta di essere solida e resiliente, anche rispetto all’esperienza di altri Paesi. Questi risultati sono stati ottenuti nonostante il Covid-19 non abbia allentato la sua pressione sui nostri ospedali”.

    Segnali positivi arrivano da tutti i principali indicatori del processo di donazione. In particolare, i donatori utilizzati a scopo di trapianto sono stati 1.387 rispetto ai 1.235 del 2020 e ai 1.379 del 2019. Allo stesso modo è salito il tasso di donazioni utilizzate per milione (Pmp), che nel 2021 è stato pari a 23,3, dato “estremamente incoraggiante se confrontato con quello registrato nel 2020 (20,5) ma anche con il dato del 2019 (22,8), anno in cui avevamo rilevato la seconda migliore performance di sempre”, si legge nel Rapporto.

    In Italia sono 11.958.916 i cittadini hanno registrato la propria dichiarazione di volontà sulla donazione di organi e tessuti dopo la morte nel Sistema Informativo Trapianti (Sit). L’86,6% di tutte le dichiarazioni di volontà presenti nel Sit sono state registrate nei Comuni al momento del rilascio o del rinnovo della carta d’identità, l’11,8% sono raccolte dall’Aido (Associazione italiana per la donazione di organi, tessuti e cellule) e l’1,6% dagli sportelli Asl.

    Nei Comuni, in particolare, nel 2021 sono state raccolte 3.201.540 dichiarazioni di volontà, di cui 2.204.318 consensi e 997.222 opposizioni. Sono stati invece 214 gli ospedali italiani nei quali sono stati reperiti i 1.387 donatori deceduti utilizzati nel 2021.

    Dati positivi anche per le liste d’attesa per un trapianto, che al 31 dicembre 2021 ospitavano 8.065 pazienti con un calo del 2,69% rispetto al 2020. In particolare si registra “un calo notevole” per le liste d’attesa di pancreas (-9,45%) e rene (-2,87%) rispetto agli altri organi (-1,57% per il polmone, -0,91% per il cuore, -1.62% per il fegato). I tempi medi di attesa per ciascun organo nelle liste standard vanno da 3,7 anni per il trapianto di cuore a 1,7 anni per il fegato, che si riducono per i pazienti in lista d’urgenza nazionale a 18 giorni per il cuore e meno di 2 per il fegato.

    Secondo Cardillo, che sottolinea “il grande impegno dei sanitari, soprattutto quelli in servizio nelle terapie intensive, e nei centri trapianto”, il rapporto dimostra che “il sistema è maturo” per affrontare le sfide del futuro e l’accesso alle risorse del Pnrr “potrà aiutare a migliorare l’architettura tecnologica e quindi la capacità di risposta alle esigenze dei cittadini”.

  • Covid e prevenzione in oncologia

    La pandemia ha creato un enorme incremento di mortalità data dagli effetti gravi indotti dalla malattia scatenata dal covid: attualmente siamo ormai vicini in Italia a raggiungere purtroppo quasi i 140.000 morti, un numero impressionante che ci fa riflettere sull’impatto che ha avuto nella popolazione italiana, soprattutto nelle fasce di età più avanzate. Questo è ciò che definisco l’impatto primario. Ma la pandemia ha creato un impatto secondario di non minor importanza, sia nel breve che nel lungo termine, legato a una drastica riduzione da una parte del monitoraggio dei pazienti che già hanno avuto una diagnosi oncologica e dall’altra soprattutto nella ampia fascia di popolazione coinvolta nella prevenzione oncologica. I dati che arrivano dall’Europa e dall’Italia in particolare non sono per niente rassicuranti: nel nostro continente infatti, che ogni anno rileva 2,7 milioni di nuovi casi di cancro e 1,3 milioni di morti (dati 2020), la macchina della prevenzione nel periodo covid ha rallentato vertiginosamente, stimando che non siano stati eseguiti un numero di più di 100 milioni di screening oncologici, di cui più di 2,5 milioni solo in Italia. Nel 2020 due fra i  tumori più diffusi, cioè quello della mammella e del colon retto, hanno registrato una riduzione di interventi del 12%, soprattutto di quelli di minori e limitate dimensioni e quindi con probabilità maggiore di controllo e di sopravvivenza.

    Sicuramente la paura di recarsi in ospedale e le limitazioni di aree rosse vissute ha dato una forte spinta a questo atteggiamento ma credo che ciò ci debba far ripensare sia a una riorganizzazione del sistema di cura e delle strutture ad esse dedicate (quello che io chiamo un sistema modulare), sia ad una nuova maggiore attenzione da parte del governo e dei media di tornare a focalizzare le attenzioni e gli investimenti di nuovo sulla prevenzione e sulle campagne di screening.

  • Un diritto non può essere rubato

    Nella ormai insostenibile contrapposizione tra maggioranza e minoranza in relazione alle linee guida da adottare nella gestione pandemica abbiamo ampiamente superato il limite della normale dialettica. Va ricordato ed ammesso senza timori come tanto nella prima quanto nella seconda ondata la sorpresa per il numero di contagiati ma soprattutto quello delle vittime avesse stupito non solo il mondo medico, dei virologi e dei rappresentanti di tutte le istituzioni quanto la stessa popolazione.

    Da allora, tuttavia, nel momento attuale, cioè dopo due Natali e due Pasque, in un paese normale i responsabili delle istituzioni avrebbero dovuto, proprio durante i periodi di allenamento della pandemia, allestire, adottando il paradigma della vigile previsione, delle strutture sanitarie aggiuntive per fare fronte ad eventuali nuovi picchi di contagi ricoveri in terapia intensiva.

    Non solo per i malati di covid ma soprattutto per assicurare a tutti gli altri poveri pazienti affetti da altre patologie di vedersi assicurata l’assistenza minima per la quale pagano ampiamente le tasse. Una, o meglio, LA Programmazione, in altre parole, avrebbe dovuto rappresentare il mantra assoluto sulla base della quale sintonizzare ogni sforzo professionale e finanziario come iniziativa politica tanto nazionale quanto regionale.

    A supporto di questa strategia, va ricordato, come effettivamente furono anche stanziati circa 1,4 miliardi da utilizzare con l’obiettivo di finanziare in tempi stretti, dettati appunto dalla possibile recrudescenza della pandemia, un potenziamento del SSN sotto il profilo delle strutture ricettive quanto del personale sanitario.

    A conferma della corretta e vitale iniziativa finanziaria va ricordato come lo scorso anno, proprio a causa delle prime due sorprendenti ondate di contagio, con il conseguente stress strutturale del nostro sistema sanitario causato dal grande afflusso di malati covid si è registrato un aumento dei tumori al colon del circa 12% (a causa della impossibilità di confermare politiche di prevenzione) mentre i decessi per infarto hanno segnato un aumento di oltre il 50%.

    Tornando ai giorni nostri, e quindi alla quarta ondata, nonostante il successo della campagna vaccinale (87%) le strutture sanitarie tornano ad essere in difficoltà ed a dilazionare visite ed interventi chirurgici. In questo nuovamente terribile contesto, malgrado le risorse finanziarie destinate alle spese di adeguamento e soprattutto potenziamento strutturale e ricettivo sanitario, le regioni abbiano mediamente speso il 25% della dotazione finanziaria lasciando inutilizzate le altre disponibilità. Ne deriva che la attuale situazione ancora di inadeguatezza del SSN di fronte alla nuova ondata (essendo la quarta ondata e parlare di sorpresa rappresenta francamente un’offesa per i cittadini) sia da attribuirsi non solo a comportamenti avventati alla recrudescenza dello stesso virus ma anche ad un ennesimo ritardo nella risposta delle istituzioni alla maggiore domanda complessiva sanitaria composta tanto dai nuovi contagiati quanto dai pazienti affetti da altre patologie non virali.

    In questo contesto allora quando un medico oppure un rappresentante delle istituzioni ma anche un giornalista hanno la spudoratezza di affermare che “il contagiato (magari non vaccinato) ruba il posto ad un altro malato” si ricorda come all’interno di un sistema democratico non esistono le classifiche di merito e di importanza nella tutela della salute dei cittadini e tantomeno tra ammalati.

    Un paziente ammalato di covid occupa un posto all’interno di un sistema sanitario nazionale la cui gestione di fronte alla quarta ondata* si dimostra nuovamente non solo inadeguata ma responsabile di non avere previsto una nuova situazione di stress e, di conseguenza, di non avere allestito una struttura emergenziale*.

    L’intera responsabilità di una non idonea e proporzionata risposta alla quarta emergenza va attribuita interamente alla classe politica e dirigente sanitaria italiana nazionale e regionale che brilla per dotte analisi del giorno dopo. E si ricorda come un ammalato non può rubare quello che un sistema democratico gli riconosce come un diritto: l’assistenza medica.

    (*) prova ne sia la chiusura programmata fino ai primo di ottobre del 30% centri vaccinali poi per fortuna abbandonata.

  • Singapore: la negazione della democrazia

    Quali valori trovano sempre una tutela all’interno di una democrazia liberale? Quale pericolo corre veramente un sistema democratico in relazione alla decisioni dei governi nella problematica gestione della pandemia?

    La forte contrapposizione, infatti, si esprime ormai quasi come una guerra di posizione e sempre più ideologica tra i due schieramenti, “vaccinati e sì green pass” contrapposti ai “no vax e no green pass”, e sta esasperando le posizioni spingendo i manifestanti ad inutili e controproducenti forme ripetute di protesta sempre più invasive i cui costi ricadono sempre sulle attività del centro storico.

    Contemporaneamente la compagine opposta e quella di maggioranza si avvicinano sempre più a soluzioni assolutamente incompatibili con uno Stato democratico e con l’unico inconfessabile obiettivo di annullare l’avversario. Viceversa un liberale, magari vaccinato e titolare di green pass, rimane sempre fedele ai propri ideali e quindi consapevole del loro valore e conseguentemente non proporrà MAI, cosa che in Italia da tempo viene suggerita, di chiedere il pagamento delle spese sanitarie a coloro non ancora vaccinati adottando il modello di Singapore. A sostegno di questa antidemocratica tesi adottata dallo stato insulare si indicano le conseguenze per la gestione del sistema sanitario nazionale del costo giornaliero di un paziente in terapia intensiva (oltre 1.600 euro) in contrapposizione al costo del vaccino (circa 20 euro).

    Partendo da questo semplice confronto relativo ai costi emerge come la “nuova” coscienza democratica si ponga non tanto in rapporto alla validità degli stessi quanto al loro impegno economico. Si assiste quindi ad una banale “monetizzazione” di un diritto alla salute il quale è tutelato ma fino a quando non si oltrepassi una soglia di “sostenibilità economica” per il SSN.

    All’interno di una democrazia liberale, invece, i diritti fondamentali, specialmente come quello alla salute, non possono risultare soggetti a nessuna valutazione di costo economico ma salvaguardati in quanto espressione della stessa democrazia.

    Fedele a questo concetto di assetto democratico, allora, il diritto alla salute non dovrebbe venire sottoposto ad una valutazione da parte dello Stato e di chi in suo nome opera (https://www.ilpattosociale.it/attualita/il-sistema-sanitario-nazionale-ed-il-paradosso-progressista/). Singapore, invece, rappresenta ora la prima pericolosa deriva verso uno Stato etico nel quale il diritto fondamentale alla salute viene sottoposto ad una valutazione da parte dello Stato per essere considerato valido ed applicabile.

    Sottoporre, quindi, ad una valutazione il legittimo diritto all’assistenza sanitaria da parte dello Stato in relazione alla congruità dei comportamenti del paziente rispetto al protocollo definito dallo Stato stesso rappresenta di per sé la fine della garanzia democratica.

    Contemporaneamente si sancisce così l’ingresso in pompa magna all’interno di uno Stato etico, nel quale i diritti risultano tali in relazione solo ed esclusivamente alla aderenza ad un modello statale predefinito e magari nella italica versione essere al di sotto della soglia di sostenibilità economica PRECEDENTEMENTE indicata dallo Stato.

    All’interno di una istituzione etica emerge evidente come prenda di nuovo forma ed espressione quella ideologia socialista già disintegrata dalla storia la quale ora ha modificato la propria definizione (certo non la sostanza) in politicamente corretto.  Un pericolosissimo declino etico ed ideologico all’interno del quale il diritto diventa soggetto ad analisi e validazione statale invece di venire considerata tale. In altre parole, avanza il pericoloso principio in base al quale lo Stato diventa non più la somma di una perfettibile e democratica separazione dei poteri ma esso stesso diventa ed opera come entità etica suprema ed autonoma e nuovo soggetto istituzionale come sintesi suprema degli altri poteri indicando le procedure da seguire affinché i diritti poi vengano riconosciuti in relazione alla loro rispondenza ai protocolli statali.

    Si passa ad uno Stato supremo risultante dall’espressione di un’ideologia massimalista e prevaricatrice. Una deriva che da anni nel nostro Paese annovera già parecchi sostenitori tra i cosiddetti “progressisti”, i quali rappresentano in modo ormai inequivocabile quella mancanza del minimo sindacale di bagaglio culturale democratico per ricordarsi come un principio ed un diritto democratico valgano in quanto tali e non possano essere soggetti ad alcuna valutazione etica o morale e tanto meno di sostenibilità economica.

    Singapore rappresenta perciò un primo pessimo passo verso questo declino antidemocratico dello Stato e contemporaneamente la prima forma istituzionale di reale supremazia dello stato sui diritti del singolo cittadino.

    All’interno di uno stato liberale e democratico, viceversa, il diritto alla salute, come ogni altro diritto tutelato dalla carta costituzionale, non può essere mai sottoposto ad una valutazione di merito dello stato per ottenere la propria applicazione. Mai.

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