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  • La Fondazione Mariani celebra il ventennale del Centro FM per le Malattie mitocondriali pediatriche presso l’Istituto Besta

    Si è svolto martedì 26 ottobre, all’Istituto dei Ciechi di Milano, il convegno Oltre l’idea di fare da soli per celebrare il ventennale del Centro FM per le Malattie mitocondriali pediatriche presso l’Istituto Neurologico C. Besta della ‘Fondazione Mariani’.

    All’incontro hanno partecipato Lodovico Barassi e Maria Majno, rispettivamente presidente e vicepresidente di Fondazione Mariani (FM); Luisa Bonora, vicepresidente e nipote della fondatrice di FM Luisa Mariani; Andrea Gambini, presidente della Fondazione Besta; Eleonora Lamantea, ricercatrice e Barbara Garavaglia, direttrice del Centro Fondazione Mariani (FM) per le Malattie mitocondriali pediatriche che quest’anno appunto celebra il suo ventennale.

    La ‘Fondazione Mariani’ è nata nel 1984 da un ingente lascito per volere della benefattrice Luisa Mariani alla morte del marito Pierfranco, imprenditore milanese. Oggi mostra i frutti della sua evoluzione. Da realtà che sostiene e ha sostenuto progetti di assistenza, ricerca e formazione a favore della Neurologia infantile e di una migliore qualità della vita dei bambini e delle loro famiglie, è cresciuta così da realizzare e promuovere nuovi progetti, sul filo di strategie innovative che si rivolgono a obiettivi sempre più alti.

    In vent’anni numerosi sono stati gli studi e gli esperimenti che hanno consentito al Centro di offrire eccellenza nella ricerca e nella diagnosi, per decifrare le malattie neurologiche rare nonché per trovare migliori terapie farmacologiche per i piccoli pazienti.

    Ad oggi sono oltre 300 gli studi scientifici pubblicati negli ultimi 20 anni dal Centro FM per le Malattie mitocondriali pediatriche per studiare patologie genetiche rare, malattie che raggruppano forme molto eterogenee e causate da alterazioni nel funzionamento dei mitocondri: un contributo fondamentale per la ricerca, grazie al quale il Centro FM è riuscito a “dare un nome” alla malattia in circa il 40% dei casi.

    All’Istituto Besta, centro di eccellenza nel nostro Paese, ogni anno vengono ricoverati circa 1.200 bambini (il 45% dei quali provenienti da fuori Regione Lombardia) e sono 14mila le prestazioni annue soltanto per l’area infantile. Il Dipartimento di Neuroscienze Pediatriche è centro di riferimento per diverse patologie pediatriche e per la diagnosi e il trattamento delle malattie neurologiche rare.

    In prospettiva, nel futuro del Centro FM, ci si attende un aumento dello score diagnostico. Inoltre, grazie alle nuove tecniche di biologia cellulare, sarà possibile mettere a punto delle terapie sia di tipo genico che farmacologico, per poter finalmente arrivare a terapie efficaci per questi piccoli pazienti.

    Insieme al Centro FM per le Malattie mitocondriali pediatriche, vi è un altro storico centro di ricerca intitolato alla Fondazione: il LAMB – Laboratorio per l’Analisi del Movimento nel Bambino “Pierfranco e Luisa Mariani”.

    Ai centri di ricerca si affiancano quelli dove si svolge l’attività clinica. Sono stati creati di recente tre nuovi “Centri Fondazione Mariani” dedicati a specifiche patologie e si sta già lavorando per costituirne un altro a breve, affinché si realizzi una Rete di centri che operino come punti di riferimento a livello nazionale per le patologie trattate. In più di 30 anni di attività oltre 20mila bambini e le loro famiglie hanno ricevuto cure e assistenza attraverso i Centri FM.

    ‘Fondazione Mariani’ è oggi partner strategico dei Centri di ricerca, per sviluppare network e strumenti di lavoro condivisi che contribuiscano a curare in modo ancora più incisivo i piccoli pazienti affetti da malattie neurologiche. Nel 2021 sono sorte cinque Reti Fondazione Mariani per lo sviluppo di piattaforme-registri multicentrici per gruppi di patologie.

    Nella storia della Fondazione, più di 18mila medici e operatori sanitari hanno frequentato corsi di specializzazione, formazione e aggiornamento promossi da FM sulla neurologia pediatrica. A livello internazionale ‘Fondazione Mariani’ è referente di primo piano con il suo progetto “Neuromusic” che pone in relazione le neuroscienze e la musica, a favore dell’armonia della crescita nei bambini verso uno sviluppo migliore.

     

  • Qualche dato su pandemie e influenze…

    SPAGNOLA

    L’influenza spagnola, altrimenti conosciuta come la grande influenza o epidemia spagnola, fu una pandemia influenzale, insolitamente mortale, che fra il 1918 e il 1920 uccise decine di milioni di persone nel mondo, la prima delle due pandemie che coinvolgono il virus dell’influenza H1N1. Essa arrivò ad infettare circa 500 milioni di persone in tutto il mondo, inclusi alcuni abitanti di remote isole dell’Oceano Pacifico e del Mar Glaciale Artico, provocando il decesso di 50-100 milioni (dal tre al cinque per cento della popolazione mondiale dell’epoca). La letalità le valse la definizione di più grave forma di pandemia della storia dell’umanità: ha infatti causato più vittime della terribile peste nera del XIV secolo.

    Il tasso di mortalità globale della pandemia di influenza spagnola non è noto, ma si stima che dal 10% al 20% di coloro che sono stati contagiati sia deceduto. Con circa un terzo della popolazione mondiale infetta si può supporre che tra il 3% e il 6% dell’intera popolazione mondiale sia morto. L’influenza può aver ucciso fino a 25 milioni di persone nelle prime 25 settimane. Stime più datate dicono che ha causato tra i 40 e i 50 milioni di decessi, mentre le stime più attuali stimano questo numero oscillante tra i 50 e 100 milioni.

    In Europa, il diffondersi della pandemia fu aiutato dalla concomitanza degli eventi bellici relativi alla Prima Guerra Mondiale. Nel 1918, il conflitto durava ormai da quattro anni ed era diventato una guerra di posizione: milioni di militari vivevano quindi ammassati in trincee sui vari fronti favorendo così la diffusione del virus. I dati storici ed epidemiologici sono inadeguati per identificare l’origine geografica della pandemia. Si ritiene che sull’influenza spagnola abbia avuto un’implicazione la comparsa, negli anni ‘20, dell’encefalite letargica.

    SARS

    La malattia, identificata per la prima volta dal medico italiano Carlo Urbani (poi deceduto a causa della stessa), produsse un’epidemia lungo un arco temporale che andò dal novembre 2002 al luglio 2003, determinando 8.465 casi segnalati nel mondo e 801 decessi accertati in 17 Paesi (per la maggior parte nella Cina continentale e ad Hong Kong), per un tasso di letalità finale del 9,6%. Dal 2004 non si sono più segnalati altri casi di SARS in alcuna parte del mondo. Questa malattia fu causata da un coronavirus (così chiamato per la sua apparenza al microscopio) che sul finire del 2017 gli scienziati cinesi hanno rintracciato nei pipistrelli comunemente noti come ferri di cavallo, con gli zibetti quali vettori intermediari.

    N1H1

    La pandemia influenzale del 2009 (chiamata anche influenza A/H1N1 o febbre suina), causata da una variante fino ad allora sconosciuta del virus H1N1, è stata una pandemia che ha causato centinaia di morti e decine di migliaia di contagi nel mondo, concentrati per la maggior parte nel continente americano.

    Il comunicato emesso dal Ministero della Salute fissava a 229 il numero di «vittime collegate alla nuova influenza» che, in rapporto al numero stimato dei casi (4.391.000) corrisponde a una letalità di circa lo 0,005 %, quasi cento volte meno rispetto a quella della passata influenza H3N2.

    INFLUENZA STAGIONALE

    L’influenza stagionale 2020 è in fase di remissione, il numero di contagi – infatti – è in calo: il picco è alle spalle, mentre sale quello dei casi gravi (118 persone) e dei morti (24 casi). Nell’ultima settimana 656.000 italiani sono finiti a letto, per un totale, da metà ottobre a oggi, di circa 5.632.000 casi. Le regioni maggiormente colpite sono state: Lombardia, Marche, Abruzzo e Basilicata.

  • Polizia Piacenza: non aprite casa a sedicenti operatori sanitari.Telefonano millantando la necessità di eseguire tampone

    Sono state segnalate, alla Polizia municipale di Piacenza, telefonate da parte di sedicenti operatori sanitari che millantano la necessità di eseguire, a domicilio, il tampone per la rilevazione del Coronavirus. Dal Comando di via Rogerio arriva l’indicazione di respingere tali proposte e di non lasciar accedere, alla propria abitazione, chiunque si presenti con tale motivazione. “Gli operatori sanitari – ricordano dal Comune di Piacenza – effettuano visite ed eventuali esami a domicilio solo se allertati preventivamente dai cittadini stessi che, attraverso il medico di famiglia, il 118, il numero nazionale 1500 o lo 0523-317979 istituito dall’Azienda Usl di Piacenza, abbiano segnalato sintomi sospetti o la necessità di accertamenti. In nessun caso avviene che siano gli operatori sanitari a contattare, di propria iniziativa, le persone, né telefonicamente né presentandosi alla porta: qualsiasi approccio di questo genere va pertanto respinto, rivolgendosi immediatamente al 113, 112 o allo 0523-7171, per consentire un tempestivo intervento”.

  • I prodigi della medicina, il problema degli espianti e il valore dell’attenzione umana

    Il ritorno alla vita nell’ospedale di Borgo Trento del giovane diciottenne Lorenzo, rimasto in coma per 5 mesi dopo essere stato investito mentre viaggiava in motorino (con danni cerebrali molto forti e crisi neovegetative tali da indurre la stessa famiglia a prendere in considerazione chi parlava di espianti), rende sempre più evidente la necessità di quelle ricerche scientifiche e di quegli aggiornamenti che portano interventi sanitari ad essere all’avanguardia nel riconsegnare la vita a chi stava per perderla. Nello stesso tempo, i medici oltre a essere capaci devono poter disporre di equipe altrettanto preparate e ai medici, come agli infermieri e a tutto il personale sanitario, deve essere ben presente la valenza del rapporto umano. Nel nostro Paese vi è, come in molti altri, necessità di organi per trapianti, ugualmente però deve essere chiaro che per salvare una vita non se ne può spegnere prematuramente un’altra. Un argomento delicato del quale si dibatte da anni e che ancora vede tante incertezze e polemiche: in una società che ha grandi slanci di attenzione verso gli altri ma anche spaventose mancanze di attenzione alla vita e alle esigenze dei nostri simili. Non per nulla è da tempo denunciata l’esistenza di una rete criminale che espianta organi per rivenderli. Da qui la necessità di una maggior attenzione della politica, sia per sgominare le reti criminali sia per vigilare sull’applicazione corretta della legge sugli espianti. Ma al lavoro della politica deve comunque affiancarsi quello che deve essere fatto nelle università: preparare scientificamente al massimo livello i nostri medici e il personale paramedico deve contestualmente significare prepararli anche al rapporto umano col paziente e alla continua consapevolezza che salvare vite è la missione di chi si occupa di sanità.

    Lorenzo è tornato alla vita normale. Oltre alle attente cure dei sanitari e alla presenza costante della famiglia, nei 5 mesi di coma è stato assistito anche dai suoi compagni di scuola, il suo fisico ha risposto alle cure ma anche alle attenzioni affettuose e questo ripropone appunto il problema della necessità di continuare a tentare di comunicare anche con chi sembra in coma irreversibile.

  • I benefici della pet therapy in rianimazione

    All’ospedale Carreggi di Firenze da tre anni è in atto un progetto pilota per la riabilitazione, con l’utilizzo di cani appositamente addestrati, dei pazienti usciti dal coma. Il progetto ha già dato ottimi risultati ed i malati hanno trovato non solo benessere emotivo ma effettivi miglioramenti e maggior rispondenza alle cure che, dopo tanto tempo di coma, rimangono molto diverse e pesanti, infatti diversi pazienti devono continuare ad avere il respiratore o sono attaccati a macchinari di supporto.

    I cani provengono dalla scuola pubblica per cani di assistenza che ha sede a Scandicci e che è finanziata dalla regione Toscana. La presenza dei cani, sono al momento 5 che lavorano all’ospedale due volte alla settimana e sono accompagnati dal loro conduttore, aiuta i pazienti non solo a ritrovare serenità ma anche a superare il difficile periodo della riabilitazione riducendo lo stress del ricovero e delle cure. La responsabile della rianimazione, Manuela Bonizzoli, che ha voluto fortemente il progetto, sottolinea come le persone avvertano, nel rapporto con il cane che le va a trovare, una forte sensazione di contatto con la vita in un ambiente, quello della rianimazione, ove è molto facile perdere contatti e speranze.

    La scuola di Scandicci ha già preparato 15 cani per la terapia intensiva e 150 per i non vedenti. L’incontro tra il paziente ed il cane avviene in una stanza singola ed il cane prima dell’incontro è stato preparato con igiene assoluta, oltre all’istruttore sono presenti anche il medico e il fisioterapista. Il malato può accarezzare, lasciarsi leccare la mano, ogni gesto è un piccolo gesto di riabilitazione con il sorriso degli umani e la dolcezza infinita degli amici cani. Analisi microbiologiche accurate svolte prima e dopo l’incontro hanno dimostrato che l’igiene del reparto non subisce alterazioni. Speriamo che l’esempio dell’ospedale toscano sia ripreso da altre strutture e che la sempre più evidente influenza benefica dei cani faccia comprendere che ogni abbandono è un delitto.

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