pagamento

  • Non trascuriamo chi lavora in modo flessibile

    Uno dei temi centrali, soprattutto per l’Italia, è la questione lavoro: retribuzioni a volte troppo basse, costo della vita eccessivo in alcune aree, disparità retributiva tra uomini e donne sono temi noti a tutti. Quello che invece sembra non essere abbastanza noto né al governo né ai sindacati e alle parti sociali in genere, è il problema legato al lavoro ed alla retribuzione di chi opera con alcune agenzie.

    Vi sono decine di migliaia di persone in Italia che lavorano per vere o presunte cooperative, associazioni con scopo di lucro, specie per quanto riguarda il lavoro nell’ambito sanitario o domestico, lavorativi che ricevono molto meno di quanto il richiedente la prestazione paga alla cooperativa o ad altro soggetto analogo.

    Il problema più grave riguarda le molte migliaia di persone che lavorano, su incarico di agenzie, per svolgere diverse attività: controllo qualità nei negozi, acquisti per campionature, verifica degli standard operativi di strutture e infrastrutture (dai servizi pubblici alla vendita retail), interviste e sondaggi per misurare la soddisfazione dell’utenza, exit poll e proiezioni dai seggi in occasione di elezioni, ricerche di mercato e data collection in generale, sono solo alcuni esempi di attività svolte da una platea di lavoratori che non sono inquadrati in alcun modo.

    Questi lavoratori, oltre a non essere inquadrati, sono retribuiti, per il loro specifico lavoro, di volta in volta e cioè dopo tre mesi dallo svolgimento del lavoro stesso. E sempre dopo tre mesi sono pagati per le spese sostenute nello svolgimento di tale lavoro, compreso l’eventuale acquisto che è stato commissionato per la campionatura dei prodotti o le spese di spostamento.

    In diverse occasioni questi lavoratori, che, ripetiamo, sono pagati dopo tre mesi sia per le spese sostenute che per il loro lavoro, si vedono rinviato ulteriormente il pagamento e, in alcuni casi, anche per cifre modeste, non sono pagati affatto.

    Ovviamente trattandosi di cifre non elevate non vi è la possibilità per il lavoratore, per l’esborso economico che ne conseguirebbe, di rivolgersi a un avvocato per ottenere interamente quanto dovuto.

    Lavorano in questi settori più persone di quanto si creda e anche agenzie estere, che peraltro sembrano più corrette nei pagamenti, si rivolgono ad italiani che, per motivi vari e ben intuibili a tutti, non hanno trovato un contratto a tempo indeterminato e neppure a termine.

    Una giungla che ovviamente rende sempre più precaria la vita di questi lavoratori, dando sempre più margine di guadagno ai committenti. Sotto l’aspetto economico e anche sociale, queste persone si trovano alle prese con vari problemi come quello di non poter accedere a un mutuo e, in generale, non avere la sicurezza il mese dopo di mantenere se stessi e la propria famiglia.

    La questione non può continuare ad essere ignorata da governo e forze sociali e in questa sede non si vuole tanto fare una denuncia quanto rivolgere un appello proprio al governo e alle parti sociali perché in questo settore ci siano un minimo di garanzie per i lavoratori. Ci potrebbe essere ad esempio uno sportello regionale o nazionale al quale gli stessi potrebbero rivolgersi, nel caso di inadempienza del loro committente, per avere un’assistenza legale gratuita, già questo sarebbe un deterrente che inviterebbe le agenzie che affidano questi lavori ad essere più puntuali e rispettose degli obblighi presi nell’assegnazione dell’incarico. Inoltre bisogna ottenere che le agenzie paghino il lavoro svolto, e le eventuali spese sostenute, entro 30 giorni.

  • Il ticket d’ingresso a Venezia partirà nel 2024

    Dal prossimo anno chi vorrà visitare Venezia dovrà pagare un biglietto d’ingresso. E’ quanto ha stabilito la giunta comunale tenendo a battesimo il regolamento che governerà il contributo di accesso una volta approvato dal Consiglio comunale. L’obiettivo, neppure troppo nascosto, è quello di disincentivare il turismo giornaliero in alcuni periodi per evitare che la città venga soffocata e diventi invivibile per ospiti e residenti. La sperimentazione per il 2024 sarà di circa 30 giornate, che verranno stabilite nelle prossime settimane. In linea generale, si concentrerà sui ponti primaverili e sui week end estivi. Il meccanismo, almeno sulla carta, è abbastanza semplice e prevede deroghe per chi risiede nel comune o vi lavora.

    Il ticket, inizialmente di 5 euro, dovrà essere corrisposto da ogni persona fisica, di età superiore ai 14 anni, che acceda alla città per una visita giornaliera. Saranno esclusi coloro che soggiornano in strutture ricettive situate all’interno del territorio comunale, i residenti nel Veneto, i bambini fino ai 14 anni di età, chi ha necessità di cure, chi partecipa a competizioni sportive, forze dell’ordine in servizio, il coniuge, il convivente, i parenti o affini fino al terzo grado di residenti nelle aree in cui vale il contributo di accesso. Anche i veneti, peraltro, non avranno vita facile: nella delibera saranno chiarite anche le modalità di prenotazione obbligatoria per alcune categorie che rientrano nell’esenzione, in modalità smart e telematica. In questo caso non pagheranno alcun contributo, ma avranno l’obbligo di prenotarsi sul portale apposito.

    «Ci poniamo come apripista a livello mondiale – dice l’assessore al turismo Simone Venturini – consapevoli dell’urgenza di trovare un nuovo equilibrio tra i diritti di chi a Venezia ci vive, ci studia o ci lavora e di chi visita la città».  Per la Serenissima, dunque, è una questione di sopravvivenza. «La prenotabilità non è uno strumento per fare cassa (anzi, permetterà di coprire solo i costi del sistema) ma garantirà ai residenti  – conferma Venturini – una qualità della vita migliore e ai turisti pernottanti una visita in grado di regalare emozioni più vivide. Dopo un lungo e difficile iter è arrivato il momento di agire concretamente, come siamo abituati a fare».

    Soddisfatti sono gli albergatori. La tassa va bene, sostengono,  basta che non finisca per ricadere su chi a Venezia ci soggiorna e spende. Il presidente di Confturismo Veneto, Marco Michielli, lo dice senza giri di parole: «A patto che non venga fatta pagare ai turisti residenti, quelli che alloggiano nelle strutture ricettive per intenderci, perché già pagano la tassa di soggiorno. Anzi, pensandoci bene, considerati gli introiti garantiti dal contributo d’accesso – rilancia – si potrebbe abolire la tassa soggiorno».

  • Per le banche europee 80 miliardi dalle commissioni sul digitale

    Un mercato ancora piccolo rispetto all’Europa e al peso dell’economia italiana ma in decisa crescita e con iniziative delle singole banche o circuiti per abbattere le commissioni e i costi dei micropagamenti sotto i 5 e i 10 euro. Il panorama dei pagamenti digitali in Italia, al centro delle polemiche politiche di questi giorni, è in forte evoluzione con una spinta avvenuta durante la pandemia Covid e che proseguirà ancora.

    Il giro d’affari delle commissioni delle banche e delle società finanziarie e tecnologiche sui pagamenti digitali in Europa, secondo un recente studio della Banca centrale austriaca, è di circa 80 miliardi che dovrebbe salire entro il 2030 a 140 miliardi. La stima vede il nostro paese ancora indietro con soli 9,5 miliardi visto l’alto uso del contante. La parte del leone è della Francia con 21,1 miliardi seguita dalla Germania che nonostante il pil (anche qui per l’alto utilizzo di banconote e monete) è ferma a 20,1). Significativo il caso dell’Olanda a 5,2 miliardi. Lo studio ricorda peraltro come questi ammontari vadano sia alla banca beneficiaria che a quella pagatrice oltre ai circuiti (internazionali e non) di carte di credito e di debito sotto forma di commissioni e affitto Pos.

    L’aumento delle transazioni digitali con carta sta facendo scalare alcune posizioni al nostro paese che resta però pur sempre 24esimo con 114 transazioni rispetto alla media Ue di 172. Le commissioni medie, come rilevano i dati dell’Oss Innovative Payments del Politecnico di Milano, nel nostro paese sono in media dell’1,5% e sono variabili, non fisse, ma sono da registrarsi diverse iniziative private delle grandi banche (Unicredit, Intesa), di Nexi e Pagobancomat per azzerare i micropagamenti fino a 5 e 10 euro e ridurre o eliminare i costi di attivazione del Pos.

    Come ha sottolineato in un intervento su Il Sole24 ore nei giorni scorsi il presidente dell’Abi Antonio Patuelli “è molto cresciuto l’uso dei pagamenti elettronici, sospinto anche da una fortissima concorrenza, con continue evoluzioni tecnologiche che concorrono a ridurre i costi complessivi dei pagamenti”. “Concorrenza e innovazione hanno ridotto e ridurranno ulteriormente i costi delle transazioni” ha sottolineato invitando gli esercenti a una “crescente consapevolezza e diligenza” in modo da “scegliere le più idonee forme di pagamento elettronico per le attività di ciascuno”.

    Ma non ci sono solo i pagamenti con carte o bancomat. Il minor uso del contante passa anche per i bonifici e gli addebiti diretti, comprendendo i quali, le transazioni digitali totali salgono a 320 in media in Europa.

    E poi ci sono i nuovi strumenti come le app, i sistemi di trasferimento diretto da conto a conto o bracciali. I dati di una ricerca Mastercard evidenziano come il 74% degli intervistati ha infatti fatto uso di almeno un metodo di pagamento emergente, mostrando una particolare preferenza per i pagamenti Account to Account (35%) e le app di money transfer (25%).

  • l business della sicurezza stradale

    I recenti e ripetuti incidenti stradali che hanno visto quasi sempre giovani vittime, stanno suscitando l’ennesimo ipocrita confronto politico privo di ogni competenza e motivato semplicemente dall’infantile narcisismo dei protagonisti.

    La nostra rete stradale complessivamente è articolata in 167.365 km, tra strade urbane ed extraurbane, lungo la quale si trovano 8.073 autovelox (dati anche questi non aggiornati) ai quali aggiungere i semafori T-red.

    Nella vicina Francia, che presenta una rete stradale di 1.028.260 km (62% urbana ed il 38% extraurbana), si trovano 2.406 postazioni con autovelox. In Germania, lo Stato delle Autobahn senza limiti di velocità, se ne trovano 3.813 di rilevatori di velocità.

    La prima evidente considerazione dimostra come questa impressionante rete di autovelox non sia in grado di prevenire alcun incidente,ma anzi venga utilizzata dalle amministrazioni locali come una vera e propria tassa di passaggio, anche in considerazione del loro posizionamento lungo le direttrici a forte scorrimento.

    L’ipocrisia che rende la sicurezza stradale una volgare opportunità viene certificata dalla rilevazione e gestione delle stesse sanzioni spesso appaltate a società private.

    Per gli enti locali e per lo Stato, quindi, la sicurezza stradale diventa solo un business finalizzato ad accrescere le entrate, in più neppure utilizzandole, all’80% come invece prevedrebbe la legge, non per investimenti in sicurezza stradale ma semplicemente per il finanziamento della spesa corrente.

    Emerge evidente come l’approccio tecnologico alla sicurezza stradale non abbia determinato alcun effetto sostanziale se non quello di foraggiare i bilanci degli enti locale e statali.

    Parallelamente sono state inasprite le norme penali con l’introduzione del reato di omicidio stradale, il cui effetto deterrente risulta ancora irrilevabile in considerazione dei recenti incidenti.  Un percorso, del resto, molto simile a quello avvenuto con l’introduzione del reato di femminicidio che non ha di certo diminuito le aggressioni e tanto meno gli omicidi verso le vittime femminili.

    Ora, poi, sull’onda emozionale suscitata dalle troppe vittime della strada, ecco uscire un viceministro che vorrebbe introdurre l’adeguamento delle sanzioni amministrative al livello del reddito. Una sciocchezza di dimensioni epocali in quanto spesso proprio le vittime sono ragazzi giovani e studenti, quindi privi di reddito.

    Le giovani vittime dei recenti incidenti dovrebbero invece suscitare una riflessione reale relativa all’approccio tecnologico insufficiente per assicurare un minimo livello di sicurezza ma soprattutto alla necessità di ripristinare il controllo fisico delle pattuglie lungo le strade.

    Anche la stessa mancanza di personale adibito al controllo risulta figlia di una classe politica che ha sempre ridotto la spesa per le forze dell’ordine privilegiando gli investimenti in strumenti di controllo da remoto.

    Mai come ora la situazione della sicurezza stradale meriterebbe una riflessione, invece che dell’ennesimo inasprimento di pene e sanzioni partorite dalle solite menti governative infantili e prive di una minima competenza.

  • In attesa di Giustizia: un popolo di farabutti, evasori, di mercanti infedeli e riciclatori

    Giustizia, economia e politica si intrecciano nel commento di questa settimana ed il titolo potrebbe suggerire il testo di un nuovo bassorilievo, “modello EUR”, da scolpire, magari, sul portone di ingresso di Palazzo Chigi a perenne memento del Governo delle più retrive caratteristiche degli italiani e di cui tenere conto nell’amministrarli.

    Lo spunto è offerto dalla polemica sull’impiego del contante, che si è rinfocolata dopo la proposta di elevare nientemeno che a 60 euro la soglia fino alla quale quei malvissuti di baristi, tabaccai, norcini e fruttaroli possono evitare il pagamento cashless (che detto così fa anche molto fine) accettando – pensate che vergogna – banconote e spicci che non sono quelli del Monopoli bensì vili denari emessi dalla Banca d’Italia. E sempre sia lodato Romano Prodi per il tasso di cambio della lira negoziato a suo tempo.

    E’ questo un dettaglio che sembra sfuggire agli ayatollah del bancomat dimentichi del fatto che sulle banconote della compianta liretta campeggiava la scritta “pagabili al portatore” seguita dalla firma del Governatore ad imperituro ricordo del valore e della validità per gli scambi commerciali della moneta circolante che, molto semplicemente, non può essere rifiutata a pareggio di una transazione, perlomeno nei limiti della ragionevolezza.

    Ora sembra che la panacea di tutti i mali che affliggono il sistema economico di questo Paese risieda nell’impedire di spendere più di mille euro in contanti e di costringere all’acquisto di cappuccino e cornetto con l’American Express così debellando criminali piaghe bibliche quali il riciclaggio, l’evasione e – mai sia che ci si dimentichi – la corruzione.

    Gli epigoni di questa soluzione sembrano – tra le tante cose – dimenticare che una delle principali risorse dell’economia nazionale è il turismo e che il turismo alto spendente è in massima parte quello straniero: e francamente,  per fare un esempio, non è un problema nostro se il russo (di tempi andati) a casa sua paga le imposte o se si guadagna da vivere vendendo casse di Kalashnikov sottobanco, quello che conta è che vengano correttamente scontrinate le bottiglie di Cristal che prosciuga al Quisisana a Capri non tanto la corresponsione del prezzo estraendone il controvalore da un fascio di banconote. Basta avere un minimo di conoscenza dei principi contabili per sapere che quelle bottiglie non possono essere state acquistate altrimenti che contro fattura e bolla di accompagnamento, caricate a magazzino e, per avere una quadra di bilancio deve esserci corrispondenza tra acquisto e successiva vendita ricavabile proprio dall’incrocio tra prezzo di carico, listino prezzi ufficiale dell’esercizio e scontrinatura. Questo, almeno, nelle grandi strutture commerciali, nei negozi delle grandi firme, nei ristoranti stellati e nelle catene alberghiere dove circolano cifre sostanziose: forse, nei chiringuiti di Capalbio le cose vanno diversamente.

    Il rischio di evasione, quella che fa la differenza anche per il singolo contribuente, pertanto, rimane sostanzialmente invariato ed il contrasto al fenomeno passa attraverso ben altri strumenti che non mortificano il libero commercio; altrettanto deve dirsi del riciclaggio che – a regola – riguarda ben altri e milionari importi il cui “lavaggio” viene operato tramite complesse triangolazioni bancarie (sovente estero su estero) a monte e reimpiego in attività produttive lecite a valle.

    Molto altro potrebbe considerarsi in argomento, lo spazio è tiranno ma consente un’ultima riflessione. Manca solo l’esortazione implicita al ricorso al diritto penale, magari con la creazione di nuove figure di reato, o ad elevare le pene per quelli già previsti e fors’anche – ciliegina sulla torta – affiancare alla Guardia di Finanza una nuova Forza dell’Ordine: la Polizia Morale.

  • Il divario di genere a livello di istruzione si sta riducendo, ma le donne continuano a essere sottorappresentate nella ricerca e nell’innovazione

    Negli ultimi anni il numero di studentesse, incluse quelle che hanno conseguito una laurea di primo livello, una laurea magistrale o un dottorato, è aumentato costantemente, ma le donne continuano a essere sottorappresentate nella ricerca e nell’innovazione. Queste sono alcune delle principali conclusioni della relazione She Figures 2021 della Commissione europea, che dal 2003 monitora il livello dei progressi verso la parità di genere nella ricerca e nell’innovazione nell’Unione europea e altrove.

    La pubblicazione di She Figures 2021 evidenzia che, in media, per quanto riguarda la laurea di primo livello e magistrale le studentesse e le laureate sono più numerose dei loro compagni uomini (costituiscono rispettivamente il 54% e il 59%) e che si raggiunge quasi un equilibrio di genere a livello di dottorato (48 %). Persistono tuttavia disparità tra i vari campi di studio: le donne ad esempio rappresentano ancora meno di un quarto dei dottorandi nel settore delle TIC (22%), mentre sono il 60 % o più nella sanità e nei servizi sociali e nell’istruzione (rispettivamente il 60 % e il 67%).

    Inoltre solo circa un terzo dei ricercatori sono donne (33%). Ai livelli più alti del mondo accademico, le donne continuano a essere sottorappresentate e tra i professori ordinari sono solo un quarto (26%). Hanno inoltre meno probabilità di essere impiegate come scienziati e ingegneri (41%) e sono sottorappresentate tra i liberi professionisti nel settore delle scienze, dell’ingegneria e delle TIC (25%).

    She Figures è uno studio triennale che monitora la parità di genere nella ricerca e nell’innovazione (R&I): pubblicato per la prima volta nel 2003, segue il percorso di ricercatori e ricercatrici, a partire dal periodo in cui studiano e si laureano, esaminandone la partecipazione al mercato del lavoro in qualità di ricercatori e le condizioni di lavoro, l’avanzamento di carriera e il coinvolgimento in posizioni decisionali e i risultati di R&I (compresa la paternità di invenzione). I corrispondenti statistici degli Stati membri e dei paesi associati contribuiscono alla raccolta dei dati.

    Diverse politiche e programmi di finanziamento dell’UE mirano a promuovere la parità di genere nella ricerca e nell’innovazione. Con la sua comunicazione del 2020 su un nuovo Spazio europeo della ricerca la Commissione ha rinnovato il suo impegno a favore della parità di genere e dell’integrazione di questa dimensione nella ricerca attraverso l’ampliamento delle priorità e delle iniziative esistenti.

    Orizzonte Europa ha inoltre rafforzato il sostegno alla parità di genere nella ricerca e nell’innovazione grazie a:

    • un nuovo criterio di ammissibilità ai finanziamenti di Orizzonte Europa, in quanto gli enti pubblici, gli organismi di ricerca e gli istituti di istruzione superiore devono disporre di un piano per la parità di genere;
    • l’integrazione di una dimensione di genere nei contenuti della ricerca e dell’innovazione come requisito di base in tutto il programma;
    • il finanziamento di azioni a sostegno dell’elaborazione di piani per la parità di genere negli Stati membri dell’UE e nei paesi associati e l’attuazione dell’agenda politica per lo Spazio europeo della ricerca;
    • misure e attività volte a promuovere la parità di genere nell’ambito del Consiglio europeo per l’innovazione; e
    • un forte incoraggiamento dell’equilibrio di genere nelle équipe di ricerca.

    La Commissione europea ha anche approvato la dichiarazione di Lubiana sulla parità di genere nella ricerca e nell’innovazione.

    Fonte: Commissione europea

  • Moneta elettronica: dai “tempi e metodi” alla deriva sudamericana della lotteria

    L’ accreditamento di un pagamento eseguito da un cliente attraverso una carta di credito o di debito sul proprio conto corrente richiede mediamente circa 48 ore ma talvolta può arrivare anche a quattro  giorni. Sono quindi necessari come minimo due giorni mediamente per ottenere la disponibilità della risorsa finanziaria legata ad un pagamento effettuato da un cliente attraverso “carte di credito o debito”. Questo intervallo tra la vendita di un bene o l’erogazione di un servizio e la disponibilità del giusto corrispettivo si traduce in un gap negativo interamente a carico dell’operatore economico.

    Potrebbe anche sembrare un fattore marginale, tuttavia, in relazione all’aumento dell’utilizzo della  moneta elettronica questi (minimo) due giorni dovrebbero venire applicati in aggiunta a

    tutte le scadenze alle quali risultano sottoposti i fruitori di  pagamenti con moneta elettronica. Altrimenti questo gap negativo si tradurrebbe nella semplice riduzione di (minimo) due giorni della tempistica per ottemperare ad ogni scadenza con la pubblica amministrazione (che incentiva proprio la moneta elettronica) e gli stessi operatori privati, a tutto svantaggio degli operatori economici.

    In un momento di forte rallentamento del sistema creditizio ed economico ovviare a tale problematica si dimostrerebbe un atto di buon senso e finalmente attraverso questo adeguamento una concreta e tangibile manifestazione di sensibilità nei confronti degli operatori privati.

    Inoltre sarebbe il primo e per ora unico incentivo all’utilizzo della moneta elettronica. Un adeguamento che riporterebbe finalmente il nostro Paese e  la sua politica fiscale nel perimetro del diritto rispetto alla ridicola ed imbarazzante deriva sudamericana espressione della scelta dei legislatori di avviare la lotteria degli scontrini con il fine di favorire la moneta elettronica.

  • La giornata europea per la parità retributiva

    Il 3 novembre si è celebrata la giornata europea per la parità retributiva. Una ricorrenza, se così la si vuol chiamare, che cerca di attirare l’attenzione su un problema da tempo discusso ma che pare non accenni a vedere vie risolutive o, quantomeno, a proporre un miglioramento delle condizioni dell’ormai noto gap. Non si parla solo di Italia, contrariamente a quello che, troppo spesso, si cerca di far credere, ma di Europa dove le lavoratrici guadagnano in media circa il 16% in meno  dei loro colleghi uomini. Alla vigilia della ‘celebrazione’ il primo Vice Presidente della Commissione europea, Frans Timmermans, e le Commissarie Marianne Thyssen e Věra Jourová avevano affermato: “L’uguaglianza tra donne e uomini è uno dei principi basilari dell’Unione Europea. E’ ora di porre fine alle discriminazioni, di carattere retributivo, ancora esistenti tra queste due categorie. Tale disparità di trattamento riguarda anche le retribuzioni pensionistiche. Anche se non s’intravede una risposta immediata a tale questione, numerosi sono stati i progetti, pensati e proposti dalla Commissione per affrontare questa spinosa problematica. Non si deve rinviare in alcun modo il lavoro congiunto di Parlamento e Consiglio, affinché si possano adottare provvedimenti legislativi a livello europeo su tale questione. In particolare, insistiamo affinché venga garantito il diritto sia per i genitori che lavorano sia anche per chi presta assistenza ai familiari svolgendo, in parallelo, un’attività lavorativa, di usufruire di un congedo per aiutare la propria famiglia. Dopo la pubblicazione dei dati dell’euro barometro sulla necessità di un maggior equilibrio tra attività professionale e vita familiare, è oltremodo doveroso tradurre in un concreto risultato legislativo i piani decisi all’interno della Commissione”.

    Sono tante le situazioni, nel mondo lavorativo in cui è evidente una disuguaglianza nel trattamento retributivo tra lavoratori e lavoratrici: in particolare, le donne svolgono più lavori a tempo parziale, sono costrette a lavorare in settori in cui i salari sono più bassi, e spesso, hanno sulle loro spalle la responsabilità della gestione familiare.

    L’azione della Commissione si colloca all’interno del pilastro dei diritti sociali dell’Unione Europea e si traduce in molteplici iniziative, fra cui la proposta di una direttiva, volta proprio a salvaguardare il giusto bilanciamento tra attività professionale e vita familiare, assicurando sia a uomini sia a donne la possibilità di un congedo dal lavoro al fine di essere di aiuto per le proprie famiglie. La proposta di direttiva potrebbe essere adottata entro la fine dell’anno.

  • Il Parlamento europeo pagherà tutti i suoi tirocinanti

    D’ora in poi tutti i tirocinanti al Parlamento europeo saranno pagati. E’ quanto ha deciso l’Ufficio di presidenza dell’istituzione Ue, adottando le linee guida che modificheranno le regole sugli stage negli uffici degli eurodeputati. Fino ad oggi, infatti, un quarto degli stagisti degli europarlamentari venivano pagati meno di 600 euro. In futuro, invece, saranno assunti direttamente dal Parlamento europeo alle stesse condizioni degli stagisti impiegati dall’amministrazione dell’Eurocamera, con uno stipendio di circa 1250 euro e un’assicurazione sanitaria.

    “Questa decisione è in linea con le nostre richieste sostenute da oltre 140 eurodeputati”, ha dichiarato l’eurodeputato Pd e co-presidente dell’Intergruppo ‘Giovani’ Brando Benifei, sottolineando che così “il Parlamento europeo inizierà finalmente a dare l’esempio”. In ogni caso, ha assicurato, “continueremo a lavorare per migliorare la situazione di tutti i giovani”, perché “troppi sono presi in una spirale di stage e altre forme di lavoro non standard”. Finora, ricorda Benifei, “abbiamo lottato per garantire che tutti i tirocini e gli stage offerti nell’ambito dei programmi dell’Ue siano adeguatamente remunerati. Ecco perché vogliamo che anche gli stagisti siano coperti dalla ‘Direttiva sulle condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili’ attualmente in discussione al Parlamento europeo”.

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