pandemia

  • Comunità scientifica americana in allarme per il rischio di nuove pandemie

    La comunità scientifica americana, e per ora solo quella, è in allarme per una pandemia di influenza aviaria potenzialmente «100 volte peggiore del Covid» a seguito della scoperta di un raro caso umano in Texas. L’influenza aviaria H5N1 si è diffusa rapidamente da quando è stato rilevato un nuovo ceppo nel 2020, colpendo gli uccelli selvatici in ogni stato, così come il pollame commerciale e gli allevamenti da cortile. Ma ora è stato rilevato anche nei mammiferi, con allevamenti di bovini in quattro Stati che sono stati colpiti e i funzionari sanitari federali hanno annunciato che un lavoratore del settore lattiero-caseario in Texas ha contratto il virus.

    «Questo virus è stato in cima alla lista delle pandemie per molti, molti anni e probabilmente decenni. E ora ci stiamo avvicinando pericolosamente a questo virus che potrebbe causare una pandemia», ha spiegato il dottor Suresh Kuchipudi, un ricercatore sull’influenza aviaria di Pittsburgh, sottolineando che il virus H5N1 è già stato rilevato in specie in tutto il mondo e «ha dimostrato la capacità di infettare una serie di mammiferi, compreso l’uomo. Quindi, a mio avviso, penso che questo sia il virus che rappresenta la più grande minaccia pandemica che si sta manifestando a livello globale».

    Anche John Fulton, consulente dell’industria farmaceutica per i vaccini e fondatore della canadese BioNiagara: «Sembra che questo sia 100 volte peggiore del Covid o potrebbe esserlo se mutasse e mantenesse il suo alto tasso di mortalità. Una volta che sarà mutato per infettare gli esseri umani, possiamo solo sperare che il tasso di mortalità non sia alto».

    Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa il 52% delle persone che hanno contratto l’H5N1 dal 2003 sono morte. Per fare un confronto, il Covid attualmente uccide meno dello 0,1% delle persone infettate, anche se all’inizio della pandemia il tasso di mortalità era di circa il 20%. I sintomi dell’influenza aviaria sono simili a quelli di altre influenze, tra cui tosse, dolori muscolari e febbre. Alcune persone potrebbero non sviluppare sintomi evidenti, ma altre possono sviluppare una polmonite grave e pericolosa per la vita. Il lavoratore del settore lattiero-caseario in Texas che è stato infettato ha segnalato «arrossamento degli occhi (compatibile con congiuntivite) come unico sintomo», hanno osservato i Centers for Disease Control. «Al paziente è stato detto di isolarsi ed è in trattamento con un farmaco antivirale per l’influenza», ha affermato il CDC.

    L’esperto ha sostenuto che il virus non rappresenta un grosso rischio per la popolazione, sottolineando che il lavoratore del settore lattiero-caseario era in contatto diretto con bovini infetti, e il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti ha garantito che attualmente non ci sono cambiamenti che lo renderebbero più trasmissibile ai umani. «Sebbene siano possibili casi tra esseri umani a diretto contatto con animali infetti, ciò indica che l’attuale rischio per la popolazione rimane basso», ha scritto il dipartimento in una nota durante il fine settimana. Ma il fatto che il virus sia stato trovato nei bovini potrebbe significare che sta iniziando a mutare, ha detto Cohen al Washington Post.

    «Non avevamo riscontrato l’influenza aviaria nei bovini prima della scorsa settimana. Questa è una novità. È un serbatoio affinché il virus possa circolare e potenzialmente cambiare. Se il virus dovesse mutare abbastanza da infettare l’uomo potrebbe diffondersbni rapidamente», ha avvertito mercoledì l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, secondo Fox News. «Se i virus dell’influenza aviaria A [H5N1] acquisissero la capacità di diffondersi in modo efficiente tra gli esseri umani, potrebbe verificarsi una trasmissione su larga scala a causa della mancanza di difese immunitarie contro i virus H5 negli esseri umani», la conclusione dell’Autorità per la sicurezza alimentare.

  • Secondo il “Washington Post” la Cina ha sfruttato la pandemia per raccogliere dati genetici a livello mondiale

    Le agenzie d’intelligence occidentali temono che la Cina abbia sfruttato la pandemia di Covid-19 per raccogliere una vasta mole di dati sul genoma umano a livello mondiale, da sfruttare per ottenere un vantaggio nella “corsa alle armi genetica” con gli Stati Uniti. Lo scrive il Washington Post, che ricorda come durante la pandemia Pechino abbia inviato aiuti a numerosi Paesi sotto forma dei sofisticati laboratori portatili di analisi genetica “Fire-Eye”. Il primo Paese a ricevere uno di questi laboratori, alla fine del 2021, fu la Serbia. Oltre a rilevare le infezioni da coronavirus tramite l’analisi di frammenti del virus, il laboratorio portatile sviluppato dalla Cina è in grado di svolgere complesse analisi del genoma umano, come vantato dai suoi sviluppatori: per questa ragione, l’arrivo di un esemplare del laboratorio Fire-Eye venne accolto con entusiasmo dalle autorità di Belgrado, che vantarono in quell’occasione di disporre “del più avanzato sistema di medicina e generica di precisione nella regione”.

    Nel corso della pandemia, Pechino ha donato o venduto laboratori analoghi a numerosi altri Paesi, e ora, secondo il WP, diversi analisti sospettano che la generosità della Cina sia parte di un tentativo di attingere a nuove fonti di dati genetici umani di alto valore in tutto il mondo. Si tratterebbe di uno sforzo intrapreso da Pechino da oltre un decennio ricorrendo a diversi metodi, che includerebbero anche l’acquisizione di società statunitensi del settore e una serie di operazioni di pirateria informatica. La pandemia avrebbe offerto ad aziende e istituti cinesi l’opportunità di distribuire strumenti per il sequenziamento del Dna umano in aree del Globo dove in precedenza Pechino aveva accesso limitato o nullo. I laboratori Fire-Eye si sono diffusi infatti in almeno quattro continenti e in più di 20 Paesi, inclusi Canada, Lituania, Arabia Saudita, Etiopia, Sudafrica e Australia. In diversi Paesi, come la già citata Serbia, i laboratori portatili si sono trasformati in centri di analisi genetica permanenti.

    Liu Pengyu, un portavoce dell’ambasciata cinese a Washington, interpellato dal Washington Post ha negato categoricamente che Pechino possa aver avuto accesso ai dati genetici raccolti dai laboratori di sua produzione, evidenziando che oltre ad assistere i Paesi beneficiari nel contrasto alla pandemia, i laboratori donati e venduti dalla Cina stanno fornendo assistenza cruciale nello screening di altre malattie, incluso il tumore. L’azienda con sede a Shenzhen che produce i Fire-Eye, Bgi Group, sostiene di non avere accesso ai dati raccolti dai suoi laboratori portatili. Fonti statunitensi consultate dal quotidiano affermano però che Bgi sia stata selezionata da Pechino per edificare e gestire la China National GeneBank, un vasto archivio governativo dei dati genetici raccolti dalla Cina, che includerebbe già dati e profili genomici di milioni di individui di tutto il mondo. Lo scorso anno il Pentagono ha inserito Bgi nella lista delle “aziende militari cinesi” operanti negli Stati Uniti, e nel 2021 l’intelligence Usa ha stabilito che l’azienda sia legata allo sforzo globale del governo cinese teso a ottenere informazioni sul genoma umano a livello mondiale, anche negli Stati Uniti.

  • Dalla pandemia ai giorni nostri di Francesco Pontelli

    L’economista Francesco Pontelli, attraverso una serie di puntuali e pungenti articoli, fotografa la realtà contemporanea. Dalla pandemia ai giorni nostri è infatti una interessante e per molti versi controcorrente raccolta di spunti di riflessione e analisi. Vengono toccati temi di stringente attualità. Dall’inflazione al ruolo della BCE, dalla crisi energetica alla lunga e sanguinosa guerra in Ucraina. Consigliato per una lettura della situazione interna e internazionale non scontata e ricca di utili informazioni.
    Francesco Pontelli è stato, dal 2007 al 2013, docente idoneo presso il Dipartimento INDACO del Politecnico di Milano. È inserito nella Banca dati docenti dell’agenzia ICE (Istituto commercio estero). Articolista del sito Il Patto Sociale – Informazione Europa. Con Infilaindiana Edizioni ha già pubblicato la miscellanea di articoli Politica, economia e attualità.

  • Nuovi sospetti sull’origine made by China del Covid

    Nel novembre del 2019, poche settimane prima che venissero accertati i primi casi di Covid-19 in Cina, tre ricercatori dell’Istituto di virologia di Wuhan si ammalarono di una patologia mai accertata. Lo indicano informazioni dell’intelligence statunitense che sono state pubblicate oggi dal quotidiano Wall Street Journal e che sembrano avvalorare la tesi della “fuga da laboratorio” all’origine del coronavirus, una teoria sposata nei mesi scorsi anche dal Federal Bureau of Investigation (Fbi) e dal dipartimento dell’Energia di Washington. Uno dei tre scienziati, identificato come Ben Hu, lavorava su un progetto finanziato dal governo Usa e volto proprio a studiare gli effetti dei coronavirus sugli umani. Secondo l’intelligence statunitense, i sintomi mostrati dal ricercatore nel novembre del 2019 sono compatibili sia con quello che successivamente sarebbe stato chiamato Covid-19 che con un’influenza stagionale. Nessuno dei ricercatori, comunque, è deceduto a causa della malattia. A tre anni di distanza, dopo che la pandemia ha mietuto quasi sette milioni di vittime in tutto il mondo, l’origine del virus è ancora oggetto di dibattito. L’ipotesi iniziale, quella del salto di specie, non è mai stata confermata, e la comunità scientifica internazionale resta ancora divisa sul tema. Lo scorso anno, contribuendo ad alimentare ulteriormente le tensioni con la Cina, l’Fbi ha determinato “con un moderato grado di fiducia” che all’origine del virus potrebbe esserci una fuga da laboratorio avvenuta proprio all’Istituto di virologia di Wuhan. Successivamente il dipartimento dell’Energia è giunto a una simile conclusione.

    Quattro altre agenzie d’intelligence Usa, invece, ritengono più probabile che l’origine del virus sia naturale. La Cia non si è mai espressa. Secondo il Wall Street Journal, la comunità d’intelligence statunitense dovrebbe però desecretare proprio nei prossimi giorni nuove informazioni riguardanti il dossier, forse contenenti anche dettagli sui ricercatori ammalatisi nel novembre del 2019. Stando alle informazioni già in possesso del quotidiano, gli altri due scienziati sarebbero Yu Ping e Yan Zhu, il primo autore proprio quell’anno di una tesi sul coronavirus dei pipistrelli. Il nome più importante resta tuttavia quello di Hu, che secondo le fonti ebbe un ruolo centrale nelle ricerche sul coronavirus a Wuhan, alcune di queste finanziate proprio dagli Stati Uniti. Hu era anche uno stretto collaboratore di Shi Zhengli, esperta tra le più note in materia di coronavirus. Il primo caso ufficiale di Covid-19 fu confermato nella stessa Wuhan l’8 dicembre. La Cina ha sempre respinto l’ipotesi che il Covid-19 sia stato il risultato di una fuga di laboratorio e nel corso degli anni ha anche messo in dubbio che la pandemia abbia avuto origine a Wuhan. “Il vero ostacolo per lo studio delle origini del Covid è la manipolazione politica degli Stati Uniti”, ha dichiarato lo scorso marzo il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Wang Wenbin.

  • Prevenire è meglio che curare

    Al momento sembra che le allarmanti dichiarazioni di Pechino sull’esponenziale aumento del covid non abbiano destato particolari preoccupazione o piani di prevenzione.

    Le cifre preannunciate sono decisamente allarmanti: la variante XBB di omicron sta causando, in Cina, 40 milioni di contagi a settimana e la previsione, per fine giugno, è di 65 milioni di casi a settimana mentre l’industria farmaceutica cinese sembra aver individuato due nuovi tipi di vaccini.

    Dall’Oms l’epidemiologia Kerkhove ha avvertito che la minaccia del covid, anche se nessuno ne vuole più parlare, non è svanita e per questo i governi devono tenersi pronti ad una ripresa dei contagi.

    In Italia il periodo, che porta a vivere di più all’aria aperta, non ha però azzerato la diffusione del virus, se anche nessuno pubblica più i dati ed è stato dato il via libera a vivere senza le mascherine anche in ospedali e luoghi chiusi ed affollati, il 19 maggio i dati della settimana precedente sono di 14.346 nuovi casi con 162 morti.

    In Italia, al momento, ci sono 121.816 persone in isolamento domiciliare, 83 in terapia intensiva con 2.251 ricoverati.

    Senza allarmismi sono dati che vanno tenuti in considerazione e la situazione in Cina deve essere monitorata specialmente per quanto riguarda gli spostamenti che cittadini cinesi fanno e faranno in altre parti del mondo, l’esperienza infatti ci deve ricordare quante tragedie sono derivate dal non avere avuto, nel 2020, notizie più certe e tempestive e precauzioni più immediate.

    Certo oggi conosciamo la malattia, abbiamo i vaccini ma sappiamo anche che il covid ha molte varianti e mutazioni.

    Secondo un vecchio detto “meglio prevenire che curare“, questo ci attendiamo dal governo: una specifica vigilanza sulla situazione cinese, eventuali decisioni per controlli, non solo negli aeroporti, e l’invito, chiaro e non fumoso, a usare quelle regole di prevenzione necessarie, dalla mascherina nei luoghi affollati, come i mezzi di trasporto pubblico, alla disinfezione delle mani.

    Le persone non vanno spaventate od assillate ma devono essere tenute informate della realtà e di come evolve, solo così ciascuno sarà consapevole delle proprie scelte.

  • Strano silenzio stampa sulle dichiarazioni dell’Oms per l’influenza aviaria

    L’Oms,dopo gli errori e le omissioni iniziali nei primi giorni dell’era covid,non è vista con particolare fiducia ma questo non giustifica il silenzio con il quale la maggior parte degli organi di stampa e di informazione hanno accolto il nuovo allarme lanciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

    Secondo una recente analisi dell’Oms l’evoluzione dell’influenza aviaria di tipo A, che in genere è circoscritta al pollame e ad alcune specie di uccelli, potrebbe rappresentare un grave pericolo per l’umanità.

    Il direttore generale Tedros Ghebreyesus  ha spiegato che il virus responsabile dell’influenza aviaria si è diffuso in maniera esponenziale tra gli uccelli selvatici e quelli domestici di allevamento negli ultimi 25 anni, ma vi sono stati anche casi di contagio nei mammiferi, visoni, lontre, volpi etc.

    Il pericolo è che se l’infezione comincia a colpire mammiferi vicini all’uomo il virus potrebbe poi ulteriormente modificarsi diventando molto infettivo per gli esseri umani e adattandosi ad agire velocemente.

    L’Oms raccomanda a tutte le autorità sanitarie monitoraggio ed attenzione e di studiare attentamente i casi di infezione da influenza aviaria negli esseri umani prima che da pochi casi si finisca in una nuova pandemia.

    L’Organizzazione raccomanda, e stupisce che le regioni ed i comuni non abbiano avvertito la popolazione, specie quella che abita in zone rurali, di non toccare o raccogliere animali selvatici morti o ammalati, che invece devono essere segnalati alle autorità locali, e di consultare il medico, o nel  caso di animali il veterinario, se vi è un sospetto di infezione in quanto è in aumento il rischio di trasmissione del virus.

    Se fino ad ora i casi di infezione nell’uomo erano legati a contatti con pollame d’allevamento che si era infettato con l’aumento della trasmissione dell’infezione nei mammiferi il rischio per l’uomo è aumentato e si teme possa succedere, se non c’è adeguata prevenzione e controllo, quello che è successo con il corona virus.

    Nell’uomo i sintomi dell’aviaria, causata da ceppi virali asiatici H5N1 eH7N9, sono simili a quelli  dell’influenza stagionale, febbre, tosse, mal di gola, dolori muscolari, malessere e stanchezza, congiuntivite, difficoltà respiratorie e possibili polmoniti, per questo è necessario non trascurare l’allarme che l’Oms questa volta, ha lanciato tempestivamente.

  • Ci mancava Monsignor Georg

    In Ucraina la popolazione continua ad essere falcidiata dalla scellerata guerra di Putin ed in Russia altri civili sono sterminati dal tiranno che impone loro di travestirsi da soldati per andare a morire al fronte.

    Gli Stati che devono aiutare la difesa Ucraina, anche per difendere la loro stessa libertà, sono poco tempestivi nel fare arrivare concretamente gli aiuti militari  promessi.

    In Europa le istituzioni sono messe a dura prova dagli scandali legati alla corruzione e le attività di spionaggio, controinformazione, si mischiano pericolosamente con gli affari illeciti.

    In Iran ogni giorno assistiamo, come sempre impotenti, alle stragi di giovani, la comunità internazionale, il cosiddetto ONU, non ha alcuna capacità di intervento.

    Negli Stati Uniti ci sono volute 15 votazioni per eleggere lo speaker della Camera e le fratture aumentano.

    In Afghanistan ogni giorno la fame e l’ingiustizia, la privazione di ogni forma di libertà che le donne devono subire, ci ricordano gli errori dei 10 anni nei quali siamo stati inutilmente in quel Paese e quanto sia stato miope non concedere al comandante Massud gli aiuti che chiedeva per combattere i talebani.

    Kim Jong-un, il satrapo della Corea del Nord, lancia missili nucleari dove gli pare, il Messico è al centro dell’alta finanza del narcotraffico mondiale e l’arresto di El Chapo junior sta scatenando una vera guerra.

    In Africa e Medio Oriente si trascinano da anni violenze e battaglie tra stati, religioni e organizzazioni terroriste mai sgominate, dall’Isis agli Shabaab ed al Qaeda, la carestia e la siccità mietono continue vittime e non si fermano gli esodi, le fughe disperate di coloro che cercano di arrivare in Europa e spesso muoiono in mare o sulla sciagurata strada dei Balcani.

    Non dovrebbero lasciare indifferenti le varie realtà sudamericane dove popolazioni, come quella venezuelana, sono allo stremo per indigenza.

    Ovunque gli hacker ormai possono colpire, banche, ministeri, ospedali, sistemi informatici che dovrebbero custodire i dati più sensibili di ogni paese, sono tutti violabili perché il progresso, sposato in modo acritico, ha fatto utilizzare la rete senza regole e senza antidoti,ha messo ciascuno di noi, come individui e come Stato, nelle mani di qualunque pirata, delinquente o megalomane, basta avere gli strumenti e tutto può essere violato, nessuno è più sicuro neppure in casa propria, alla faccia di quelle buffonate che sono chiamate sicurezza informatica e privacy.

    La violenza nei giovani, negli adolescenti è ancora più presente che negli adulti, la libertà incondizionata è diventata sopruso, senza empatia, senza riferimenti affettivi, senza valori da preservare e mete autentiche da raggiungere. L’isolamento dei singoli si manifesta in una asocialità tra persone ed in una esasperata ricerca di contatti social che nulla hanno più a che fare con la capacità di relazionarsi. Tutti chiusi in noi stessi troviamo il vuoto perché il pensiero, l’autocritica, la fantasia costruttiva, il rispetto di se e degli altri sono solo un ricordo del passato, un ricordo che va cancellato secondo una certa parte dell’intellighenzia. Così dal doveroso, giusto rispetto per il diverso si è arrivati a fare proselitismo perché la diversità diventi dominante, se non ti senti sufficientemente soddisfatto di quello che sei puoi cambiare sesso, inventarti una nuova falsa identità, drogarti fino allo stremo o quel tanto sufficiente, ogni giorno, per reggere allo stress di aver rifiutato i normali strumenti che aiutano a conoscersi ed ad affrontare la vita.

    Troppe religioni storiche confondono la spiritualità con l’interesse e l’interesse genera violenza e sopruso, basta pensare a Kirill, a quegli imam che incitano all’uccisione di chi non è musulmano o a quegli importanti prelati che hanno usato i beni della chiesa per il proprio arricchimento e piacere mentre proliferano sempre nuove, pericolose sette.

    Alla confusione che regna sovrana ovunque nel mondo, confusione in politica, nell’economia, nella società, nella sfera privata, e anche nelle nella religione ci mancava solo Monsignor Georg che sulla salma di Papa benemerito Benedetto XVI sponsorizza il suo libro.

  • La Commissione approva una misura italiana da 20 milioni di € per compensare Poste Italiane per la creazione di spazi di co-working

    La Commissione europea ha approvato, ai sensi delle norme dell’UE in materia di aiuti di Stato, una misura italiana da 20 milioni di €, volta a compensare Poste Italiane per la creazione di 80 spazi di co-working in città di piccole e medie dimensioni in Italia. Il regime fa parte del piano nazionale italiano per gli investimenti complementari che integrerà con risorse nazionali il Piano di ripresa e resilienza dell’Italia. L’obiettivo della misura è creare una rete di co-working accessibile e immediatamente disponibile, distribuita in tutto il paese e dotata di infrastrutture digitali. La misura fa seguito a una precedente misura italiana a sostegno di Poste Italiane per la realizzazione di un’infrastruttura di ricarica, approvata dalla Commissione il 5 ottobre 2022. Entrambe le misure fanno parte di un più ampio progetto (“Progetto Polis”) che consentirà a Poste Italiane di fornire una serie di servizi alla popolazione dei piccoli comuni e delle zone remote in Italia. Nell’ambito della misura approvata oggi, che durerà fino al 31 dicembre 2026, il sostegno assumerà la forma di una sovvenzione diretta e coprirà i costi di sviluppo nelle zone in cui gli investimenti privati non sarebbero effettuati in assenza di sostegno pubblico. La Commissione ha valutato la misura alla luce delle norme dell’UE in materia di aiuti di Stato del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che consente agli Stati membri di sostenere lo sviluppo di talune attività economiche a determinate condizioni. La Commissione ha ritenuto che la misura sia necessaria e appropriata per sviluppare spazi di co-working in quelle aree in cui non sarebbero stati effettuati investimenti privati in assenza del sostegno pubblico. La Commissione ha inoltre concluso che la misura è proporzionata, in quanto è limitata al minimo necessario e ha un impatto limitato sulla concorrenza e sugli scambi tra Stati membri.

  • La Commissione approva un regime di investimenti italiano da 380 milioni di € a sostegno di una ripresa sostenibile nel contesto della pandemia di coronavirus

    La Commissione europea ha approvato un regime di investimenti italiano da 380 milioni di € a sostegno di una ripresa sostenibile dell’economia nel contesto della pandemia di coronavirus. Il regime è stato approvato nell’ambito del quadro temporaneo per gli aiuti di Stato e sarà cofinanziato dai Fondi strutturali e di investimento europei (“fondi SIE”).

    Nell’ambito del regime, l’aiuto può essere concesso in forme diverse, vale a dire sovvenzioni dirette, tassi di interesse agevolati sui prestiti, prestiti agevolati, garanzie, anticipi rimborsabili, investimenti azionari e obbligazioni.

    Il regime mira a sostenere gli investimenti privati in attivi materiali e immateriali come stimolo per colmare una carenza di investimenti accumulata nell’economia a causa della pandemia di coronavirus e accelerare le transizioni verde e digitale. La misura sarà accessibile alle imprese attive in tutti i settori, ad eccezione di quello finanziario. Il regime di aiuti dovrebbe andare a beneficio di circa 5.000 imprese.

    La Commissione ha constatato che il regime italiano è in linea con le condizioni stabilite nel quadro temporaneo. In particolare, l’aiuto i) non supererà l’1% della dotazione totale del regime per beneficiario; ii) sosterrà investimenti in attivi materiali e immateriali, ma non gli investimenti finanziari; iii) non supererà le intensità massime di aiuto stabilite nel quadro temporaneo; e iv) sarà concesso entro il 31 dicembre 2022.

    La Commissione ha pertanto concluso che la misura è necessaria, adeguata e proporzionata per agevolare lo sviluppo di talune attività economiche importanti per una ripresa sostenibile dell’economia, in linea con l’articolo 107, paragrafo 3, lettera c), del TFUE. Su queste basi la Commissione ha approvato le misure in conformità delle norme dell’Unione sugli aiuti di Stato.

    Fonte: Commissione europea

  • I risparmi del lockdown mettono al sicuro le famiglie ma l’autunno si prospetta duro

    Il ‘tesoretto’ di risparmio accumulato durante la pandemia dalle famiglie, specialmente in forma liquida, con un’incidenza attuale dei depositi pari al 110% del reddito disponibile, rappresenta una fondamentale “garanzia psicologica” che, assumendo un’inflazione in discesa nel corso del 2023, potrà favorire la tenuta dei consumi”. E’ uno degli aspetti più significativi messi in evidenza dall’ultimo Report di Area Studi Legacoop e Prometeia nel quale si sottolinea tuttavia come l’effetto difficilmente coinvolgerà i lavoratori dipendenti a basso reddito. “I rischi sociali di questa fase convulsa sono altissimi” – dichiara Mauro Lusetti, presidente di Legacoop – già durante la pandemia dal nostro osservatorio denunciavamo come l’impatto fosse asimmetrico non solo sulle imprese, ma pure sulle famiglie: da un lato vi era chi forzatamente accumulava risparmi imprevisti, dall’altro lato chi si impoveriva ulteriormente”. Per Lusetti “nelle condizioni italiane occorrono politiche di protezione sociale eccezionali, perché, anche prendendo per buone le previsioni di un rientro progressivo dell’inflazione, già sappiamo che questo autunno sarà durissimo. Aggiungere a questo quadro di ansia e fragilità anche l’instabilità di una fase elettorale è stato un capolavoro di irresponsabilità della politica italiana di cui avremmo certamente voluto fare a meno”.

    Lo studio prevede, per i prossimi trimestri, un recupero della propensione al consumo, nel tentativo delle famiglie di mantenere inalterato il proprio tenore di vita, nonostante la caduta non solo del reddito disponibile reale, ma anche del valore di mercato della propria ricchezza. Lo studio ipotizza, infatti, che non si avvierà una rincorsa prezzi-salari, e ciò comporta che lo shock “da offerta» che si sta sperimentando in Italia (e in tutta Europa), che implica il trasferimento di reddito all’estero via bolletta energetica, sarà pagato in misura importante dai lavoratori dipendenti, in particolare da quelli a basso reddito, su cui questa inflazione concentrata su energia ed alimentari sta esercitando gli effetti maggiori. È dunque importante – suggerisce lo studio – che le misure fiscali volte a contrastare tale inflazione, in un contesto di risorse limitate, siano mirate alle fasce più povere della popolazione e non distribuite a pioggia.

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