La saggezza non è un prodotto dell’istruzione ma
del tentativo di acquisirla, che dura tutta la vita.
Albert Einstein
C’era una volta, tanti anni fa, un regno dove gli abitanti vivevano a lungo. Così racconta la favola. Il che non piaceva però al re. Chissà perché? Ma la favola non ce lo racconta. Ci racconta invece che preoccupato, ma anche determinato, il re decise di porre fine a questa faccenda. E scelse un modo crudele per farlo. Radunò i suoi sudditi e proclamò loro la sua decisione. Chiunque avesse anziani in casa, li doveva portare sulla montagna, dove c’era un profondo precipizio. Nessuno escluso: genitori, zie e zii e, ovviamente, anche i nonni, se ce n’erano. Una volta portati sull’orlo del precipizio dovevano buttare giù i loro cari. E che tutti lo sapessero però: chi non ubbidiva alla decisione del re avrebbe avuto la stessa morte crudele. Questo sanciva l’ordine del re. Tutti i sudditi furono sconvolti e si spaventarono per una simile decisione che era anche un’ordine perentorio. Come potevano buttare nel precipizio i loro buoni e premurosi nonni e nonne, zie e zii e, soprattutto, i loro cari genitori? Ma impauriti per le loro proprie vite, ubbidirono a malincuore all’ordine del re. Così tutti coloro che avevano degli anziani a casa, costretti dalla paura per le proprie vite, portarono sulla montagna e fecero scivolare nel profondo precipizio i loro cari anziani. Tutti tranne uno. Era un giovane coraggioso che viveva con i suoi genitori che amava e rispettava sopra ogni altra cosa ed essere umano. Il giovane decise di non ubbidire all’ordine del re. E per sfuggire a qualsiasi controllo, ma anche agli occhi indiscreti dei vicini, nascose i suoi cari genitori in un angolo buio della cantina. Premuroso, ma anche molto attento, si prendeva cura di loro e portava da bere e da mangiare quello che poteva, senza farli però uscire da lì. Facendo così tutto il possible per alleviare le loro sofferenze causate da quella vita vissuta in quel angolo buio della cantina.
Passarono mesi da quando il re prese quella crudele decisione e spartì quel suo ordine perentorio. Ma un giorno il re radunò di nuovo i suoi sudditi e diede loro un altro ordine. Chi di loro, l’indomani mattina, sarebbe stato il primo ad annunciare al re il momento esatto in cui sarebbe spuntato il sole, sarebbe stato premiato ed avrebbe avuto doni dal re. Ma se, invece, nessuno di loro fosse riuscito ad annunciare il momento esatto del sorgere del sole sulla montagna, allora tutti sarebbero stati puniti con una tremenda punizione: il taglio della testa. Questo ci racconta la favola. I sudditi, conoscendo la malizia del re, si sentirono subito molto minacciati ed una grande ansia si impadronì di loro. E come tutti anche il giovane. Tornò preoccupato a casa, scese in cantina e raccontò tutto al padre. Questi, una volta ascoltato quanto gli disse il figlio, accorgendosi anche del suo timore, lo tranquillizzò con un convincente sorriso. E poi gli disse quello che doveva fare l’indomani prima che il sole sorgesse. Mentre tutti gli altri avrebbero cercato di vedere il sorgere del sole volgendosi a levante, gli consigliò di fissare invece le cime delle montagne a ponente. Il figlio si stupì sentendo il consiglio del padre. Perciò, non nascondendo il suo stupore, gli chiese di nuovo perché doveva guardare verso ponente, mentre il sole, si sa, sorgeva a levante. Allora il padre spiegò al figlio la ragione. E cioè che i primi raggi, mentre il sole sorgeva da dietro la montagna, prima di farsi vedere dai sudditi radunati fuori le mura del castello del re, sarebbero andati ad illuminare le cime delle montagne che si trovano proprio a ponente. Ecco perché lui, suo figlio, doveva guardare quelle cime, per poter accorgersi prima di tutti che il sole stava sorgendo e subito dire questo al re. E così facendo, lui non solo avrebbe avuto i doni promessi dal re, ma, soprattutto, avrebbe salvato le vite di tutti gli altri. Di coloro che, l’indomani, avrebbero cercato di vedere per primi i saggi del sole, guardando verso levante.
E l’indomani, quando era ancora notte, tutti i sudditi si radunarono come aveva ordinato il re. Era presente anche lui come giudice indiscusso per godere la sfida lanciata, sicuro che nessuno sarebbe stato in grado di annunciare il giusto momento del sorgere del sole. E mentre il buio si stava pian piano diradando ed il chiarore dell’alba del nuovo giorno stava prendendo il suo posto, tutti, sulle punte dei piedi, guardavano verso la cima della montagna a levante. Invece il giovane, seguendo il consiglio del suo padre guardava nella direzione opposta, le cime delle montagne a ponente. Ed ecco, i primi raggi del sole che stava sorgendo da dietro la montagna sulla cui cima tutti stavano guardando, illuminarono proprio quelle cime. Appena il giovane vide le cime illuminate delle montagne a ponente, annunciò al re che il sole era sorto. Tutti si girarono, guardando il giovane che stava mostrando con il dito le cime delle montagne e videro, anche loro, le cime illuminate. Allora il re, a malincuore, diede ragione al giovane e lo proclamò vincitore della maligna sfida che lui, il re, aveva lanciato a tutti un giorno prima. Ma incredulo alle capacità del giovane che aveva dimostrato una simile saggezza chiese a lui di raccontare da chi aveva avuto consiglio. E se non gli avesse detto la verità giurò che lo avrebbe ucciso subito. Allora il giovane coraggioso raccontò al re la verità. Raccontò che mentre tutti, seguendo il suo ordine, avevano buttato nel precipizio i loro genitori e tutte le persone anziane che avevano in casa, lui invece aveva nascosto i suoi genitori nell’angolo buio della cantina. Ed era stato proprio suo padre che gli aveva consigliato cosa doveva fare per annunciare per primo il sorgere del sole. Allora il re, in cuor suo, si sentì in colpa e si pentì per la sua crudele e perfida decisione e per l’ordine di uccidere tutte le persone anziane, buttandole nel precipizio della montagna. Perciò revocò subito quell’ordine. Ovviamente nelle favole, non di rado possono accadere cose del genere e si verificano anche simili cambiamenti di carattere dei personaggi. Re compresi. Ma da allora in poi però, in quel regno, tutti gli anziani rimanevano in vita finché lo decideva il Signore. Così finisce la favola chiamata “La saggezza degli anziani”. Una favola che l’autore di queste righe l’ha sentita raccontare, quando era piccolo, dalla sua nonna paterna che conosceva molte favole e le sapeva raccontare molto bene.
E come da tutte le favole, anche da questa c’è molto da imparare. Si, perché l’esperienza millenaria dell’umanità ci insegna, tra l’altro, che la saggezza umana, soprattutto quella degli anziani che hanno una lunga esperienza di vita vissuta, di sofferenze, ma anche di meritati e buoni risultati ottenuti, rappresenta un prezioso valore. La saggezza umana, quella acquisita dall’essere umano in tutte le parti del mondo e tramandata, arricchita in contenuti, da una generazione all’altra è e sarà sempre un inestimabile tesoro che bisogna custodirlo con molta cura.
Purtroppo il 31 dicembre scorso, mentre nel mondo tutti aspettavano l’arrivo dell’anno nuovo e si stavano preparando, secondo le proprie usanze e possibilità, a festeggiare, il mondo ha perso una persona saggia e di valore. Ha perso una persona colta, ma anche sobria, umile e consapevolmente discreta. Ha perso una persona che rispettava il prossimo, nonostante non condividessero le stesse opinioni, le stesse convinzioni e le stesse credenze. Ha perso una persona che preferiva ascoltare prima di parlare. Ha perso una persona che ha dimostrato di riconoscere le sue responsabilità e di prendere, convinto e determinato, delle decisioni molto difficili, al limite dell’inimmaginabile. Il 31 dicembre scorso ha lascito questo mondo Joseph Ratzinger, il Papa emerito Benedetto XVI. La grave notizia è stata resa pubblica dal direttore della Sala stampa della Santa Sede. Papa Francesco durante il Te Deum di ringraziamento per l’anno appena trascorso, in seguito alla triste notizia, ha detto commosso: “Parlando della gentilezza, in questo momento, il pensiero va spontaneamente al carissimo Papa emerito Benedetto XVI, che questa mattina ci ha lasciato. Con commozione ricordiamo la sua persona così nobile, così gentile. E sentiamo nel cuore tanta gratitudine”. Mentre nel “Rogito per il pio transito di sua santità Benedetto XVI, Papa emerito”, pubblicato il 5 gennaio 2023, proprio il giorno del suo funerale, si leggeva: “Nella luce di Cristo risorto dai morti, il 31 dicembre dell’anno del Signore 2022, alle 9,34 del mattino, mentre terminava l’anno ed eravamo pronti a cantare il Te Deum per i molteplici benefici concessi dal Signore, l’amato Pastore emerito della Chiesa, Benedetto XVI, è passato da questo mondo al Padre”. Nello stesso Rogito si citava anche il testo della dichiarazione in latino, fatto l’11 febbraio 2013 da Papa Benedetto XVI, quando ha dichiarato la sua rinuncia come successore di San Pietro. Un atto quello che ha suscitato tanto sgomento e molte discussioni. Un atto però che ha dimostrato una grande responsabilità, ha testimoniato la piena consapevolezza, nonché la sofferenza di Papa Benedetto XVI nel prendere una simile ed insolita decisione, più unica che rara. Responsabilità e consapevolezza dovute anche alla grande saggezza accumulata negli anni del santo Padre. Durante il Concistoro di quel 11 febbraio 2013 egli ha dichiarato: ”…Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando”. Ed era convinto che “… per governare la barca di San Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato”. Per poi annunciare la sua difficile, insolita ed del tutto inattesa decisione: “Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005”.
Nella sera del 31 dicembre scorso, dopo la morte del Papa emerito, è stato pubblicato dalla Sala stampa della Santa Sede anche il suo “Testamento spirituale”. Testamento che comincia con le seguenti parole: “Se in quest’ora tarda della mia vita guardo indietro ai decenni che ho percorso, per prima cosa vedo quante ragioni abbia per ringraziare”. Ed in seguito il Papa emerito ringrazia “prima di ogni altro Dio stesso”. Poi ringrazia i suoi genitori, coloro che, come egli scrive “…mi hanno donato la vita in un tempo difficile e che, a costo di grandi sacrifici, con il loro amore mi hanno preparato una magnifica dimora che, come chiara luce, illumina tutti i miei giorni fino a oggi”. Ringrazia Dio per i tanti amici che “Egli mi ha sempre posto a fianco”. Lo ringrazia anche per la sua “bella patria nelle Prealpi bavaresi”, così come per “…il bello che ho potuto sperimentare in tutte le tappe del mio cammino”. Ma il Papa emerito nel suo “Testamento spirituale” chiede anche perdono. “A tutti quelli a cui abbia in qualche modo fatto torto, chiedo di cuore perdono”. Molto significative queste parole. Si potrebbe scrivere molto altro sulla vita e sull’opera di Papa emerito Benedetto XVI. Ma l’autore di queste righe ha scelto una frase del suo successore, di Papa Francesco, pronunciata sul volo di ritorno da Rio de Janeiro nel luglio del 2013. Per lui la presenza di Papa emerito in Vaticano era come “avere il nonno in casa”, ma “il nonno saggio” da amare ed ascoltare. Un nonno saggio!
Chi scrive queste righe è convinto che la saggezza rappresenta un prezioso valore dell’umanità. La saggezza che matura con gli anni come il buon vino. La saggezza, portatori della quale sono soprattutto gli anziani. E questa indiscussa verità la capì infine anche il malvagio re della favola “La saggezza degli anziani”. Proprio quella saggezza che ci insegna anche a saper ascoltare. Ascoltare senza parlare. Ascoltare con pazienza. Ascoltare per poi capire meglio. La saggezza che non è un prodotto dell’istruzione, ma del tentativo di acquisirla, che dura tutta la vita.