Parlamento Europeo

  • Le prime nomine al Parlamento europeo

    Le riunioni dei nuovi gruppi politici eletti al Parlamento europeo cominciano a dare  i primi frutti. Quello che era il gruppo liberale ALDE, ora trasformatosi in gruppo “Renew Europe” con l’arrivo dei macroniani francesi, ha eletto il suo nuovo presidente nella persona del rumeno Dacian Ciolos, già premier a Bucarest e commissario europeo all’agricoltura. La sua nomina ha però diviso il gruppo. Da un lato i suoi sostenitori, tra cui Macron, dall’altro tutti coloro che non dimenticano le sue vecchie posizioni del 2016 contro il matrimonio tra persone dello stesso sesso e a sostegno della famiglia tradizionale. I malumori riguardanti la nomina del rumeno si concentrerebbero soprattutto nell’ala più legata ai valori liberali dell’ex ALDE, che avrebbero preferito la nomina dello svedese Frederick Federley o dell’olandese Sophie in’t Veld. Che la preferenza per la famiglia tradizionale rappresenti un discrimine, e sostanzialmente un ostacolo per la nomina a responsabilità politiche europee, la dice lunga sulla deriva culturale a cui si è giunti in Europa e addirittura in seno ad un gruppo politico detto liberale fino a ieri, se i suoi dirigenti non possono essere liberi di pensarla come vogliono a proposito di famiglia. Oggi quell’aggettivo qualificativo è stato tolto dalla denominazione del gruppo, pare per decisione di Macron, ma quell’eliminazione potrebbe voler dire “o la pensate così, o potete rinunciare a stare con noi”. Con buona pace della libertà di pensiero!

    Anche il gruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, secondo gruppo con 153 seggi, ha un nuovo presidente. Si tratta dell’eurodeputata spagnola Iratxe Garcia Perez, che dirigerà il gruppo S&D nella prossima legislatura. E’ la seconda donna a presiederlo in 20 anni, dopo l’ex eurodeputata Pauline Green. E’ stata eletta per acclamazione su proposta del capo delegazione italiano David Sassoli. “Siamo tutti d’accordo – ha dichiarato la nuova presidente  nel suo discorso inaugurale – che dobbiamo fornire ai cittadini risposte solide e innovative in questo momento cruciale per il progetto europeo e per la nostra famiglia politica, la socialdemocrazia europea”. Per la nuova eletta, l’Europa deve riacquistare la sua anima sociale e porre le persone e la lotta contro le disuguaglianze al centro della sua azione politica, “basata su standard sociali che ci portano avanti. Siamo in grado di guidare i cambiamenti necessari – ha continuato la Garcia Perez – per continuare a servire i nostri cittadini, garantire standard sociali equi, guidare la lotta contro il cambiamento climatico, migliorare i diritti del lavoro in un’economia sostenibile e essere un faro di libertà e democrazia nel mondo”.

    Ieri sera intanto, Boris Johnson, favorito nella corsa per diventare premier britannico e leader del partito conservatore, ha partecipato per la prima volta ad un dibattito con i suoi quattro contendenti conservatori. L’ex sindaco di Londra, in grande vantaggio nelle “primarie” dei Tory, non ha commesso gaffe, come gli succede spesso, ma nello stesso tempo non ha brillato per le sue idee e per le convinzioni espresse. L’ultima trovata di Johnson è che l’accordo sulla Brexit di Theresa May con l’UE (respinto per ben tre volte dal Parlamento) in realtà, secondo lui, può essere rinegoziato spostando le discussioni sull’annoso confine irlandese nel periodo di transizione, cioè nelle trattative sulle future relazioni che si dovrebbero tenere dopo l’uscita di Londra dall’UE. Forse Johnson dimentica, o fa finta di dimenticare, che Bruxelles e i 27 Paesi membri dell’UE, non accetteranno mai questo punto, come hanno già detto e fatto capire molte volte in passato. Il futuro dell’Irlanda va negoziato prima, non dopo. Secondo Johnson, poi, c’è un margine di manovra con l’UE prima del 31ottobre, la nuova data limite della Brexit. Ma anche questo è un wishful thinking: pare davvero improbabile che dopo due anni di trattative a vuoto, ora improvvisamente si trovi una soluzione, soprattutto con un euroscettico come Johnson, soluzione mai trovata con una May abbastanza moderata. Tutti pensano però che la sua strategia porti ad un’uscita no deal, con tutte le conseguenze che si temono, soprattutto sull’economia e sul confine irlandese. Il dibattito non è stato chiaro e non ha presentato proposte di soluzioni convincenti, diverse da quelle conosciute all’epoca della May. Pare insomma che i politici conservatori non abbiano fatto una gran bella figura. La novità è rappresentata da Rory Stewart, il più europeista di tutti, che al secondo turno a Westminster è balzato al quarto posto con 37 voti, dietro ai 41 di Gove, ai 46 di Hunt e agli inarrivabili 126 di Johnson. Stewart è però sembrato un candidato che difficilmente arriverà in fondo. Johnson insomma pare non avere rivali e ciò per il futuro del Regno Unito e dell’Europa potrebbe essere una cattiva notizia: con lui il NO DEAL è sempre più probabile.

  • Le elezioni europee in Francia

    Macron non ce l’ha fatta. Il “Raggruppamento Nazionale” (già Fronte Nazionale) di Marine Le Pen ha superato di un punto (23,5%) il partito “En Marche” (22,5%) del presidente della Repubblica. Il risultato rappresenta certamente una bella umiliazione per Macron, che in ogni caso avrà modo di rifarsi in Europa, poiché il suo partito aderirà al gruppo politico dei liberali (ALDE&R – 109 deputati) che hanno conquistato il terzo posto, dopo il gruppo dei democratici cristiani (PPE- 180 deputati) e quello dei Socialisti (S&D- 145 deputati). La Le Pen aderirà al gruppo ENF, lo stesso della Lega di Salvini, con 58 deputati. Si può dire per lei quello che è stato detto per Farage nel Regno Unito e per Salvini in Italia: vincitori in patria e perdenti in Europa. Il voto francese ha espresso altre riserve. E’ in flessione la “France insoumise” di Mélenchon, che esce molto ridimensionata dal voto (6,3% con 6 deputati); sono in crisi i Repubblicani (8,2% con 7 deputati) e i Socialisti 6,4% con 6 deputati). Il loro crollo è epocale se si pensa che fino a qualche anno fa erano i partiti che si contendevano l’Eliseo. Un exploit di rilievo è rappresentato invece dai Verdi che hanno ottenuto il 13,1% dei voti con 12 deputati, collocandosi al terzo posto, meta insperabile fino a qualche mese fa. Le due liste riconducibili ai “gilet gialli”, invece, che tanto scalpore hanno avuto negli ultimi mesi con le loro violente manifestazioni contro il presidente della Repubblica, non hanno ottenuto nessun seggio, conseguendo un flop macroscopico al di sotto della soglia di sbarramento: Alliance Jaune lo 0,6% e The Patriots lo 0.7%. Quadro politico scombussolato, dunque, rispetto ai parametri dei partiti nell’Assemblea Nazionale, con un’affermazione “sovranista” indubbia della Le Pen che sarà nettamente minoritaria in seno al Parlamento europeo. Macron si rifarà in Europa, dicevamo, e lo abbiamo visto all’opera a Bruxelles, prima della riunione del Consiglio europeo, operando contatti con numerosi leader nazionali in previsione delle importanti nomine che dovranno avere luogo a seguito delle elezioni. Contatti lobbystici, diremmo, tesi a stabilire alleanze e a garantire quel potere che dovrà gestire gli affari dell’Unione europea. Questa fase di contatti e di incontri è assolutamente indispensabile al fine di ottenere un equilibrio tra nazionalità e tra tendenze politiche. A questo proposito Macron ha già infranto una tradizione: quella degli spitzenkandidaten, secondo la quale il partito che otteneva in Europa il maggior numero di seggi poteva pretendere, e ottenere, la presidenza della Commissione europea. Questa regola ha funzionato per più di sessant’anni, ma per Macron è ora di cambiarla, perché il suo gruppo non è il primo al Parlamento europeo, quindi si invoca la riforma che lo possa soddisfare. Due sono i suoi candidati, il francese Michel Barnier, capo negoziatore della Brexit per conto dell’UE, e la danese Margrethe Vestager, commissario alla Concorrenza nella Commissione di Juncker. Attivissimo in questa funzione di lobby, Macron esercita indefessamente nello stesso tempo una funzione di leadership, che vede in ombra Angela Merkel, tanto più che il candidato alla presidenza della Commissione, secondo la tradizione che Macron vuole abbattere, è proprio un tedesco, l’attuale presidente del gruppo del PPE, che ha il maggior numero di deputati (180), il bavarese Manfred Weber. Macron, non solo scombina le prospettive tedesche, ma sta operando assiduamente per avere con sé la Spagna, la quale potrebbe sostituire l’Italia nell’assegnazione di funzioni che l’Italia perderebbe, da un lato per l’isolamento in cui si trova attualmente con il governo giallo-verde, e dall’altro per l’insipienza del Presidente del Consiglio e per lo stato di minoranza in cui si trova in Europa uno dei suoi due vice, il vincitore delle elezioni in Italia, Matteo Salvini. Dopo l’atteggiamento dell’altro suo Vice, Luigi Di Maio, che andò in Francia per sostenere i “gilets gialli”, è improbabile che Macron tenga conto delle esigenze italiane. Quali esigenze, tra l’altro? Fino ad ora nessuno le ha formulate, mentre in Europa i giochi sono in corso e le alleanze si stanno formando. Per concludere, si può affermare che non avendo ottenuto soddisfazione in Francia, dalle elezioni europee, Macron la soddisfazione la cerca in Europa e non è detto che non riesca ad ottenerla, anche a scapito nostro.

  • In Europa per rappresentare l’Italia. E lasciare le risse a casa

    Finite le elezioni europee ed in attesa che finiscano anche i vari, e spesso astratti, commenti ed analisi del voto restano da affrontare i problemi europei e quelli italiani.
    Cosa faranno i deputati, riconfermati o di prima nomina, tenuto conto che i capipartito, salvo Berlusconi, rimarranno in Italia, vista l’incompatibilità tra parlamento nazionale ed europeo e che perciò si dovrà creare quel raccordo Roma Bruxelles che fino ad ora non è mai esistito? I ministri italiani andranno a Bruxelles conoscendo i dossier da discutere, le priorità degli altri paesi per potere aprire trattative ed ottenere compromessi politici utili anche all’Italia o continueranno nelle polemiche sterili e nelle minacce a vuoto che hanno fino ad ora contraddistinto la nostra
    politica? I governativi comprenderanno che se continueranno  a parlare esclusivamente con i paesi  che non accettano nessun migrante i migranti comunque continueranno ad arrivare proprio in Italia, mentre il problema è europeo a va discusso, con preparazione, decisione nella sostanza e moderazione nei toni, all’interno del Consiglio europeo? Capiranno che non è possibile ottenere un salario minimo europeo se prima non si realizza una comune politica economica attraverso la quale dare un nuovo impulso allo sviluppo e perciò alzare il tenore di vita, gli stipendi, nelle ex repubbliche dell’est? In caso contrario si rischia che il salario minimo porti ad  abbassare i salari nei paesi più sviluppati.

    Realizzare una politica economica comune, che ancora manca, e l’assenza della quale ci fa sopportare l’invasione di merci illegali e contraffatte, la delocalizzazione, la scorrettezza di troppe vendite on line, l’insicurezza doganale e  l’ingiustizia fiscale mentre aumentano le nuove povertà e diminuisce costantemente la natalità. Nello stesso tempo non è possibile garantire stabilità e riprendere un progresso economico e sociale senza una politica estera comune, l’esempio della Libia valga per tutto e per tutti.

    I nuovi deputati hanno chiaro che, al di là della loro appartenenza partitica, in Europa si rappresenta l’Italia, il suoi diritti, i suoi doveri, la sua immagine di paese fondatore e di potenza mondiale e che perciò le risse di casa si risolvono in casa e non nel Parlamento europeo? Hanno chiaro che studiare i dossier non significa dare retta ad una lobby o ad un sistema industriale ma sentire le varie parti, studiare i problemi, confrontarsi con i colleghi degli altri paesi per trovare alleanze e condivisioni? E i deputati dell’opposizione riusciranno ad avere la necessaria determinazione per affrontare i colleghi della maggioranza senza posizioni preconcette cercando di aprire la strada ad un nuovo e più significativo ruolo del Parlamento chiedendo ai colleghi di tutti i gruppi e di tutte le nazionalità di sostenere la richiesta di una nuova Convenzione europea come il percorso necessario per siglare quel nuovo trattato che realizzi il voto comunitario, almeno per alcuni temi, all’interno del Consiglio ed un vero potere legislativo per il Parlamento?
    Nell’attesa continueremo in Italia, come sempre, ad assistere alle note risse da cortile sperando che si fermino qui e che, prima o poi, prevalga il buon senso ed il vero interesse nazionale del quale troppi parlano e troppi si dimenticano.

  • Le elezioni europee: vinte in Italia, perse in Europa

    Finalmente le tanto attese e temute elezioni europee hanno avuto luogo. Attese dagli uni, i non sovranisti, nella speranza di spostare consensi dal blocco giallo-verde (Lega e Grillini), attese dagli altri, i sovranisti, nella prospettiva di cambiare le cose in Europa e di far recuperare sovranità agli Stati nazionali. La posta in gioco, a livello europeo, era la prosecuzione del processo di integrazione europea, o la vittoria dei sovranisti, con l’arresto di tale processo. A livello nazionale italiano la posta riguardava tanto l’aspetto europeo, quanto la verifica dei consensi, da confermare, o da re-distribuire,  tra i partiti in lizza, rispetto ai risultati delle elezioni politiche del 4 marzo 2018. Orbene, i risultati in Europa hanno premiato i non sovranisti, poiché questi ultimi sono risultati una minoranza, anche se sono riusciti ad affermarsi in alcuni Paesi, come in Italia, con la Lega, in Francia con Marine Le Pen e nel Regno Unito con il partito Brexit di Farage. Nonostante gli indubbi successi nei loro rispettivi Paesi, in Europa conteranno poco e, per fortuna di tutti noi, le loro idee alternative all’integrazione non avranno successo. I media dell’establishment, all’indomani del voto, hanno sottolineato con enfasi il grande successo dell’Europa attraverso la partecipazione al voto di poco superiore al 50%, cosa che non accadeva da vent’anni. Sarà un successo rispetto a vent’anni fa, non lo neghiamo, ma non è una gran cosa in assoluto, se pensiamo che nel 1979, in occasione delle prime elezioni europee, la percentuale media è stata del 62% e dell’85,6% in Italia. Da allora si sono fatti passi indietro e la colpa non è tutta dell’Europa, che non avrebbe saputo interessare i suoi cittadini, ma delle forze politiche che, obnubilate dal problema del potere, tra divisioni interne, mercanteggiamenti meschini, disinformazione costante, non hanno saputo, o non hanno voluto, fare politica in funzione europea, con un salto di qualità e di interesse che li avrebbe distolti dal persistente provincialismo, ristretto di vedute e limitato nelle prospettive. Questa apertura non è avvenuta ed anche il nuovo che nasceva in Europa era percepito come una costrizione, anziché come un necessario passo in avanti sulla via della costruzione europea e della sua sovranità rispetto alla globalizzazione senza regole, come è malauguratamente accaduto con la decennale crisi iniziata alla fine del 2007. Partecipare alle elezioni è una presa di coscienza necessaria per trasformare gli elettori in cittadini e per renderli consapevoli che il loro voto è un elemento indispensabile nella gestione della cosa pubblica. Più si partecipa, più si è coscienti, e viceversa. L’auspicio è che la prossima legislatura europea sia uno stimolo costante, anche attraverso l’informazione corretta, per elevare i partiti dei nostri Paesi membri, all’altezza dei compiti che li attendono e non per strumentalizzare le ragioni europee ai fini della politica interna. In Italia i risultati hanno premiato in larga misura il capo della Lega Matteo Salvini, che ha superato il 34% dei voti, distanziando i Grillini di 17 punti e che hanno ottenuto soltanto la metà dei voti leghisti (17,7%). Il Partito Democratico, in seconda posizione, ha superato i Grillini di 5 punti, arrivando al 22,69%. Anche Fratelli d’Italia è da annoverare tra i partiti vincitori, avendo superato la temuta soglia del 4% ed ottenuto il 6,45% con 6 seggi. “E’ un risultato storico” proclama il titolo del Secolo d’Italia. Sarà anche vero, ma nelle elezioni del 1994 Alleanza Nazionale, da cui discende in parte Fratelli d’Italia,  ottenne 11 seggi, e in quelle del 1999 e del 2004 si fermò a 9, e con una vice presidenza di gruppo nel 1999 e una copresidenza nel 2004. La vittoria di Salvini è la grande novità che ha scombussolato i consensi espressi alle elezioni politiche del marzo 2018, novità che mette in forse la coalizione giallo-verde e che vede Salvini proiettato verso la presidenza del Consiglio. “Siamo il primo partito italiano in seno al Parlamento europeo”, dicono. Tutto vero. E quanto conterà questo primo posto in Europa? Salvini non andrà a Strasburgo. Quale personalità lo sostituirà? In quale gruppo politico troverà collocazione? Certamente nell’ENF (Europa delle Nazioni e delle Libertà), con Marine Le Pen e l’olandese Geert Wilders, gruppo che dispone di 58 seggi; forse un po’ pochi per far fronte ai gruppi dei democratici cristiani del PPE (180 seggi), dei socialisti del S&D (146 seggi), dei Liberali dell’ALDE&R (109 seggi), dei VERDI/EFA (69 seggi). In questi giorni a Bruxelles si incontrano i capi di governo di vari Paesi per il raggiungimento di accordi relativi alle nomine più importanti dell’UE: Presidente del Consiglio europeo, presidente della Commissione europea, Vice presidente della Commissione e Alto Rappresentante per la Politica Estera, Presidente della BCE. Macron la fa da padrone e tenta di mandare all’aria gli equilibri garantiti fino ora da democristiani e socialisti.  Chi c’è a Bruxelles per difendere gli interessi italiani e negoziare con gli altri partner per assicurare a una personalità italiana una di queste importanti funzioni?  I vincitori italiani dove sono? Non certamente dove si negozia e si regolano accordi. Forse ci potrebbe essere Berlusconi, che non potrà parlare e negoziare per conto dell’Italia, non essendo al governo. Potrà farlo indirettamente in seno al PPE, di cui è un autorevole rappresentante.  L’Italia è tra i sei Paesi fondatori delle Comunità europee e meriterebbe,  a nostro parere, una sorte migliore. La Lega ha vinto in Italia, ma ha perso in Europa se non arriverà ad assicurare una delle funzioni indicate ad una personalità italiana. Sulle prospettive delle politiche europee ne parleremo in un’altra occasione, dopo che le nomine avranno avuto luogo e che i nuovi schieramenti saranno stati decisi.

  • Per cambiare in meglio l’Europa bisogna conoscerla davvero

    Tra poche ore il voto per il Parlamento europeo e per il presidente della Commissione, ancora qualche fuoco d’artificio e poi rien ne va plus, bisognerà solo andare al seggio, votare e sperare, nel marasma generale, che i risultati non siano troppi penalizzanti per l’Italia e che chi ha fatto tante sparate in campagna elettorale sia capace di trovare un po’ di buon senso e si metta a studiare seriamente per evitare di far fare all’Italia altri passi indietro.

    Gi italiani voteranno anche se i partiti, i loro capi, i candidati, nella maggior parte dei casi, non hanno parlato di Europa se non per dire che va cambiata e giornali e giornalisti si sono adeguati, continuando invece a fare domande sulla durata del governo, su eventuali elezioni nazionali e su più o meno innaturali nuove alleanze.

    Quei pochi che hanno tentato di affrontare i temi europei  più urgenti, dalla difesa comune all’immigrazione, dalla lotta al terrorismo a quella delle nuove povertà, dall’ambiente alle regole per impedire che mezzi tecnologici ed informatici da grande risorsa si tramutino in un nuovo grande ed irrisolvibile problema, sono stati relegati in qualche articolo interno e più o meno banditi dalle televisioni. Siamo ancora un paese che si guarda l’ombelico pensando che sia il centro del mondo, che pensa di risolvere i problemi ignorandoli o sparando frasi ad effetto, che non fa i conti con la realtà e non ha progetti per il futuro. Anche per questo l’Europa è necessaria e cambiarla in meglio significa conoscerne pregi e difetti, conoscere le esigenze degli altri paesi, non per fare  lo sterile gioco del tiro alla fune ma per trovare corrette mediazioni che rispettino i diritti e le necessità di ciascuno.

    In Europa bisogna starci fisicamente, non ignorare le riunioni o assentarsene dopo poco, e bisogna starci con la testa, conoscere i dossier e le mentalità diverse per ogni nazione, bisogna impegnarsi  per trovare il modo di fare si che il Consiglio europeo, l’organo che ha in mano il vero potere, trovi, almeno per alcuni temi, un sistema di voto comunitario per impedire che interessi nazionali esasperati, come è avvenuto per l’immigrazione, impediscano fattive collaborazioni e creino dannose rivalità, sempre a vantaggio dei più capaci e forti e dei loro stati satellite, come è avvenuto per il Made in con le note conseguenze economiche. Occorre una nuova Convenzione europea per definire limiti ed obblighi, per dare maggiore valenza e peso al Parlamento che rappresenta i cittadini, per ridisegnare le missioni, gli obiettivi interni ed esterni all’Unione, tenendo ben presenti le variegate realtà africane e cinesi, per identificare le priorità in campo economico e finanziario prima che il crollo di qualche banca europea, oltre Atlantico, ci riprecipiti in una nuova crisi o che un paese europeo scateni guerre, come quella libica, le conseguenze delle quali pagheremo tutti ancora per molto.

  • Ok del Parlamento europeo a programmi per investimenti di 700 miliardi entro il 2027

    Il Parlamento europeo ha dato il via libera al nuovo programma europeo per sostenere gli investimenti e l’accesso ai finanziamenti nel periodo 2021-2027, concordato in parte con i ministri dell’Unione europea. Con l’obiettivo di generare quasi 700 miliardi di euro di investimenti, l’iniziativa “InvestEU” sostituisce l’attuale Fondo europeo per gli investimenti strategici (il Feis, che faceva parte del “Piano Juncker”) istituito dopo la crisi finanziaria del 2008. Gli eurodeputati vogliono migliorare la proposta della Commissione europea, aumentando la dotazione dell’Ue da 38 miliardi di euro a 40,8 miliardi di euro per innescare investimenti pari a 698 miliardi di euro (l’obiettivo della Commissione era di 650 miliardi di euro).

    La relazione di José Manuel Fernandes (Ppe) e Roberto Gualtieri (Pd-S&D) è stata approvata con 463 voti favorevoli, 64 contrari e 29 astensioni. “Con InvestEU stiamo dando forma al futuro dell’Ue verso maggiori investimenti a sostegno delle piccole e medie imprese e dei progetti locali. Inoltre, colleghiamo questo nuovo strumento a un forte incentivo a sostenere i progetti ambientali, sociali e di governance, promuovendo la cultura e garantendo una finanza etica e sostenibile”, ha spiegato Gualtieri correlatore e presidente della commissione per i problemi economici e monetari. Il Parlamento ha ora concluso la sua prima lettura, che comprende le parti già concordate con gli Stati membri. I colloqui con i ministri Ue proseguiranno nel corso della prossima legislatura.

  • Questa sera summit europeo sulla Brexit

    Theresa May, la premier britannica, è stata ieri a Berlino e a Parigi, in preparazione del Consiglio europeo straordinario, la conferenza al vertice dei capi di Stato o di governo, che avrà luogo a Bruxelles questa sera, per decidere se concedere o meno una seconda proroga in meno di un mese, al fine di evitare che Londra sia costretta, venerdì prossimo, a uscire dall’UE senza un accordo. Dopo gli incontri si è fatta strada l’idea di una proroga lunga e flessibile che arrivi fino alla fine del 2019 o all’inizio del 2020. La decisione impone l’unanimità dei consensi; tutti i 27 governi dovranno trovarsi d’accordo. E se così non fosse? In questo caso il Regno Unito sarebbe costretto ad uscire dall’Unione europea senza un accordo (ipotesi no deal) alle ore 23 di venerdì 12 aprile. Si tratta però di un’ipotesi remota, che tra l’altro avrebbe la conseguenza di creare forte incertezza sui mercati e di danneggiare gravemente vari Paesi europei, primo fra tutti l’Irlanda. Non a caso il primo ministro irlandese Leo Varadkar ha dichiarato sabato scorso che un Paese UE che ponesse il veto su una proroga di Brexit “non sarebbe mai perdonato” dal governo e dai cittadini irlandesi. Nell’ipotesi in cui si vada invece nella direzione di una proroga, il problema sarebbe quello della sua durata: proroga breve o proroga lunga? Nel primo caso la proroga arriverebbe fino al 22 maggio, alla vigilia delle elezioni europee che si dovrebbero tenere nel Regno Unito, o al massimo, fino al 30 giugno, poiché il 2 luglio il Parlamento europeo eletto terrà la sua prima seduta. Una minoranza di Paesi UE, tuttavia, sembra favorevole a una proroga breve, con il rischio di convocare ripetutamente dei Consigli straordinari per dei rinvii di breve durata, essendo evidente che la May avrebbe grosse difficoltà a trovare un accordo con i laburisti per avere una maggioranza in seno al Parlamento in meno di tre mesi. Tanto più che per Bruxelles l’accordo sottoscritto a fine 2018 non può essere rimesso in discussione. Il compromesso tra conservatori e laburisti, dunque, dovrebbe riguardare soltanto la dichiarazione politica che regola i futuri rapporti tra Londra e Bruxelles. Pare perciò che il Regno Unito sia costretto a rimanere nell’UE a pieno titolo ancora per un periodo di tempo significativo. Da ciò l’ipotesi di una proroga lunga, che richiederebbe però la partecipazione di Londra alle elezioni europee. Ma quale impatto la partecipazione britannica alle elezioni di fine maggio potrebbe avere sugli equilibri politici del prossimo Parlamento europeo? Il rafforzamento dei gruppi politici euroscettici potrebbe disturbare la formazione di una grande coalizione che potrebbe comprendere i popolari, i socialdemocratici, i liberali dell’Alde e i deputati del partito di Macron, che però non hanno ancora deciso. La presenza dei deputati del RU inciderebbe senza dubbio sull’equilibrio previsto dei gruppi politici e ridurrebbe ulteriormente la già frammentata maggioranza europeista. In più, inciderebbe sugli equilibri interni ai due più grandi schieramenti, quello europeista e quello euroscettico. Nel primo aumenterebbero i socialdemocratici con la presenza dei laburisti, mentre i popolari ridurrebbero percentualmente i loro seggi, dal momento che i conservatori britannici non appartengono al PPE. Nel secondo, il gruppo ECR risulterebbe il più grande avendo con sé i conservatori britannici. Che diranno quelli della Lega e del Movimento 5 stelle, che potrebbero essere svantaggiati percentualmente dalla presenza dei conservatori?  Una proroga lunga potrebbe dunque scontentare molti, ma sembra che la maggioranza del Consiglio vi sia favorevole. Come andrà a finire questa sera lo sapremo durante la notte, che dovrebbe portare buon consiglio, con la lettera minuscola. Speriamo che anche quello con la lettera maiuscola sia saggio e ragionevole.

  • Il Parlamento europeo approva la direttiva sul Copyright

    “Con il voto di oggi il Pe dà il via libera definitivo alla nuova direttiva per la protezione del diritto d’autore dimostrando la sua determinazione a proteggere e valorizzare l’inestimabile patrimonio di cultura e creatività europeo”. Il Presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, esprime tutta la sua soddisfazione dopo che gli eurodeputati, riuniti in Sessione plenaria a Strasburgo, hanno approvato con 348 voti favorevoli, 274 contrari e 36 astensioni la direttiva europea sul copyright. Adesso spetterà agli Stati membri approvare, nelle prossime settimane la decisione dell’Europarlamento. Si conclude così l’iter legislativo iniziato nel 2016 e che, con il voto del 26 marzo, garantirà nuove norme, che includono salvaguardie alla libertà di espressione, grazie alle quali creatori ed editori di notizie potranno negoziare con i giganti del web.

    Dare un’organizzazione al mondo del web era un compito che l’Europa si era riproposta dal 2001 ma da allora le cose sono molto cambiate, all’epoca infatti non esistevano ancora le piattaforme Social, né i grandi giganti dell’e-commerce. Con la direttiva attuale, il cui testo era stato formulato dalla Commissione europea nel 2016, si spera di poter fare finalmente ordine, attraverso regole precise e condivise, in quello che lo stesso Tajani ha definito un “far west” delle notizie. E sappiamo bene quanto l’uso inappropriato degli strumenti digitali in questi anni abbia prodotto danni, a partire dalla diffusione di fake news.

    La direttiva intende così garantire che diritti e obblighi del diritto d’autore di lunga data si applichino anche online. YouTube, Facebook e Google News sono alcuni dei nomi di gestori online che saranno più direttamente interessati da questa legislazione. La direttiva si impegna inoltre a garantire che Internet rimanga uno spazio di libera espressione.

    Secondo la nuova normativa i titolari dei diritti, in particolare musicisti, artisti, interpreti e sceneggiatori (creativi), editori di notizie e giornalisti potranno negoziare accordi migliori sulla remunerazione derivata dall’utilizzo delle loro opere presenti sulle piattaforme Internet le quali, a loro volta,saranno direttamente responsabili dei contenuti caricati sul loro sito, dando automaticamente agli editori di notizie il diritto di negoziare accordi per conto dei giornalisti sulle informazioni utilizzate dagli aggregatori di notizie.

    Numerose disposizioni sono specificamente concepite per garantire che Internet rimanga uno spazio di libertà di espressione. Poiché la condivisione di frammenti di articoli di attualità è espressamente esclusa dal campo di applicazione della direttiva, essa può continuare esattamente come prima. Tuttavia, la direttiva contiene anche delle disposizioni per evitare che gli aggregatori di notizie ne abusino.

    Lo “snippet” (frammento) può quindi continuare ad apparire in un newsfeed (sezione notizie) di Google News, ad esempio, o quando un articolo è condiviso su Facebook, a condizione che sia “molto breve”.

    Il caricamento di opere protette per citazioni, critiche, recensioni, caricature, parodie o pastiche è stato protetto ancor più di prima, garantendo che meme e GIF continuino ad essere disponibili e condivisibili sulle piattaforme online.

    Nel testo viene inoltre specificato che il caricamento di opere su enciclopedie online in modo non commerciale come Wikipedia (che per protesta aveva oscurato il sito italiano il giorno prima del voto di Strasburgo), o su piattaforme software open source come GitHub, sarà automaticamente escluso dal campo di applicazione della direttiva. Le piattaforme di nuova costituzione (start-up) saranno soggette a obblighi più leggeri rispetto a quelle più consolidate.

    Autori, artisti, interpreti o esecutori potranno chiedere alle piattaforme una remunerazione aggiuntiva per lo sfruttamento dei loro diritti qualora la remunerazione originariamente concordata fosse sproporzionatamente bassa rispetto ai benefici che ne derivano per i distributori.

    Questi ultimi due passaggi, che nel testo precedente, modificato a febbraio, facevano capo gli assai discussi articoli 11 e 13 sono stati rielaborati con due nuove articoli, 15 e 17.

    L’accordo mira a facilitare l’utilizzo di materiale protetto da diritti d’autore per la ricerca che si basa sull’estrazione di testi e dati, eliminando così un importante svantaggio competitivo che i ricercatori europei si trovano attualmente ad affrontare. Viene inoltre stabilito che le restrizioni del diritto d’autore non si applicheranno ai contenuti utilizzati per l’insegnamento e la ricerca scientifica.

    Infine, la direttiva consentirà l’utilizzo gratuito di materiale protetto da copyright per preservare il patrimonio culturale. Le opere fuori commercio possono essere utilizzate quando non esiste un’organizzazione di gestione collettiva che possa rilasciare una licenza.

    Cosa cambia allora con l’approvazione della direttiva? Attualmente, le aziende online sono poco incentivate a firmare accordi di licenza equi con i titolari dei diritti, in quanto non sono considerate responsabili dei contenuti che i loro utenti caricano. Sono obbligate a rimuovere i contenuti che violano i diritti solo su richiesta del titolare. Tuttavia, ciò è oneroso per i titolari dei diritti e non garantisce loro un reddito equo.

    La responsabilità delle società online aumenterà le possibilità dei titolari dei diritti (in particolare musicisti, interpreti e sceneggiatori, nonché editori di notizie e giornalisti) di ottenere accordi di licenza equi, ricavando in tal modo una remunerazione più giusta per l’uso delle loro opere sfruttate in forma digitale.

    E’ inutile sottolineare che il voto del PE ha suscitato reazioni controverse tra chi ha applaudito alla nuova norma e chi invece ha visto nella sua approvazione un bavaglio alla libera informazione, una contrapposizione che ha coinvolto anche gli eurodeputati italiani chiamati a votare in Aula. Le delegazioni del Movimento 5 Stelle e della Lega all’Europarlamento hanno votato compatte contro, mentre la grande maggioranza dei deputati europei del Pd ha votato a favore della direttiva, insieme all’intera delegazione di Forza Italia, ma tre deputati del Pd – Brando Benifei, Renata Briano e Daniele Viotti –  hanno votato contro il testo. Nel gruppo dei Socialisti&Democratici, anche Eli Schlein di Possibile e Sergio Cofferati di Sinistra Italiana hanno espresso voto negativo. Contrari alla direttiva anche Barbara Spinelli e Eleonora Forenza del gruppo di estrema sinistra della Gue, nonché i due ex deputati eletti al M5S Marco Affronte (passato ai Verdi) e David Borrelli (non iscritti). Un’altra ex del M5S, ha preferito invece astenersi. Infine, hanno votato a favore i deputati italiani del gruppo dei Conservatori e riformatori europei Raffaele Fitto, Innocenzo Leontini e Remo Sernagiotto

  • Cristiana Muscardini relatrice al convegno di Firenze ‘Le donne del Parlamento europeo’

    In occasione della giornata della donna e in vista delle prossime elezioni europee Villa Finaly e gli Archivi storici dell’Unione europea organizzano a Firenze, giovedì 7 marzo 2019, dalle 14:30 alle 18, una conferenza di studio e dibattito con la partecipazione di accademiche, politiche e attiviste per i diritti delle donne. Al convegno, intitolato LE DONNE DEL PARLAMENTO EUROPEO interverrà, tra gli altri l’On. Cristiana Muscardini che con Laura Ferrara, Maria Grazia Rossilli e Francesca Russo, moderate dalla giornalista Francesca Venturi, discuterà delle prospettive e aspettative che riguarderanno le prossime elette al Parlamento europeo. Nelle precedenti sessioni con Federica Di Sarcina, Maria Pia Di Nonno, Luciana Castellina e Monica Baldi si ricorderanno il ruolo e l’importanza che dal 1979 ad oggi hanno avuto alcune eurodeputate nella storia del Parlamento europeo dalle elezioni del 1979 fino a oggi  quali Simone Veil e Nicole Fontaine.

  • I candidati dei partiti europei per la successione a Juncker

    La presidenza della Commissione europea viene assegnata al candidato principale del partito politico europeo che ha ottenuto il maggior numero di seggi al Parlamento Ue per il quale si voterà il 26 maggio (il presidente uscente Jean Claude Juncker era lo Spitzenkandidat del Partito popolare europeo, Ppe, nel 2014). Il sistema degli Spitzenkandidaten è stato il frutto di un accordo tra i capi di Stato e di governo dell’Ue, l’Europarlamento e i gruppi politici (il Trattato di Lisbona infatti prevede solo che il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata, proponga un presidente della Commissione che l’Europarlamento deve poi confermare a maggioranza dei suoi membri). Anche alla luce di una risoluzione adottata nel febbraio del 2018, con cui il Parlamento europeo ha avvertito che respingerà i candidati alla presidenza della Commissione che non siano Spitzenkandidaten, le maggiori forze politiche europee hanno già individuato i loro candidati alla presidenza dell’esecutivo europeo: il tedesco Manfred Weber per il Ppe, l’olandese Frans Timmermans per il Pse, il ceco Jan Zahradil per l’Ecr, il tandem Violeta Tomič e Nico Cué per la Sinistra europea.  L’Alleanza dei democratici e dei liberali per l’Europa (Alde), Europa della libertà e della democrazia diretta (Efdd) ed Europa delle nazioni e delle libertà (Enf) non hanno ancora scelto i loro Spitzenkandidaten.

    Durante il Congresso di Helsinki dell’8 novembre 2018, il Partito Popolare Europeo (Ppe) ha eletto Manfred Weber suo “candidato di punta” per le elezioni europee. Nato nel 1972 a Niederhatzkofen, Weber ha iniziato la sua militanza politica a sedici anni nell’associazione giovanile nell’Unione Cristiano-Sociale in Baviera (CSU), partito di cui è ancora membro. Dopo aver ottenuto una laurea in ingegneria nel 1996, Weber continua la sua attività politica arrivando a guidare l’associazione giovanile della CSU tra il 2003 e il 2007. Nel 2002, a soli ventinove anni, diventa il membro più giovane del parlamento del land della Baviera, posizione da cui si dimette nel 2004 dopo la sua elezione al Parlamento Ue. Dopo la sua conferma all’Eurocamera nel 2009, Weber è nominato vicepresidente del Partito popolare europeo (Ppe). La sua notorietà aumenta a partire dal 2014, quando il bavarese diviene capogruppo del Ppe in seno all’Eurocamera. Sposato dal 2002, Weber è un cattolico praticante: oltre a essere membro del comitato regionale dei cattolici della Baviera, da novembre 2016 è membro del comitato centrale dei cattolici tedeschi. Weber rappresenta l’ala più a destra del Ppe e in passato si è schierato contro l’espulsione di Fidesz (il partito di Orban) dal gruppo. A livello di politica interna è per un controllo più stretto dei flussi migratori, in economia difende le regole del Patto di stabilità e i vincoli di bilancio, mentre in politica estera sostiene le sanzioni alla Russia, con una presa di posizione molto forte contro il progetto di gasdotto Nord Stream 2 che dovrebbe collegare la Russia alla Germania.

    Durante il Congresso del 7-8 dicembre 2018 a Lisbona, il Partito socialista europeo (Pse) ha nominato l’attuale primo vicepresidente della Commissione Ue, l’olandese Frans Timmermans suo “candidato principale” per le elezioni europee. Nato nel 1961 a Maastricht, Timmermans conosce molto bene l’Italia. Suo padre era archivista presso l’Ambasciata olandese a Roma e Timmermans ha trascorso gli anni dell’adolescenza nella capitale, dove ha imparato a parlare perfettamente l’italiano. Timmermans è sempre rimasto legato all’Italia, torna nel Paese molto spesso e non ha mai nascosto il suo tifo per l’As Roma. Prima di entrare in politica, Timmermans ha lavorato per anni presso il Ministero degli Esteri a L’Aia e all’Ambasciata olandese a Mosca. Parla fluentemente diverse lingue (oltre all’olandese e all’italiano, anche francese, inglese, russo e tedesco) ed è laureato in Lingua e letteratura francese. Eletto per la prima volta nella Camera del Parlamento olandese nel 1998, Timmermans ha ricoperto la carica di ministro degli Esteri tra il 2012 e il 2014 sotto il governo Rutte. Timmermans è membro Partito del Lavoro olandese e, in qualità di primo vicepresidente della Commissione Ue responsabile dello stato di diritto, ha seguito dossier difficili, come quello della difesa dei valori fondamentali dell’Unione nel braccio di ferro di Bruxelles con il governo polacco e con quello ungherese. Timmermans ha dichiarato che baserà la sua campagna elettorale sui temi dell’equità e del lavoro.

    I Conservatori e riformisti europei (Ecr) hanno designato come “candidato di punta” l’eurodeputato Jan Zahradil. Nato a Praga nel 1963, Zahradil ha iniziato ad appassionarsi alla politica durante la cosiddetta “rivoluzione di velluto”, che portò al crollo del regime comunista cecoslovacco in modo pacifico. Dopo la laurea all’Università di Chimica e tecnologia di Praga, Zahradil ha fatto per anni il ricercatore scientifico. Eletto nel 1992 all’Assemblea federale della Repubblica Cecoslovacca nelle file del Partito Democratico Civico (Ods), formazione politica conservatrice e nazionalista di cui è ancora membro, Zahradil è stato tra il 1995 e 1997 consigliere politico dell’ex primo ministro della Repubblica Ceca, Václav Klaus. Eletto al Parlamento Ue per la prima volta nel 2004, Zahradil presiede l’Alleanza dei Conservatori e dei Riformisti Europei (Acre) dal 2009. Pur essendo “candidato di punta” dell’Ecr, l’eurodeputato ceco ha affermato di essere contrario al sistema degli Spitzenkandidaten. Zahradil sostiene la necessità di controllare meglio i flussi migratori e si batte per dare maggiore potere ai Parlamenti nazionali.

    Durante il Congresso del 23-25 novembre 2018 a Berlino, il Partito europeo dei Verdi ha scelto Ska Keller e Bas Eickhout come candidati di punta per le europee. Nata nel 1981 a Guben, Keller ha studiato Studi Islamici, turcologia ed ebraica presso la Libera Università di Berlino e la Sabanci Üniversitesi di Istanbul. Nel 2009, a soli ventinove anni, è stata eletta al Parlamento europeo. Già candidata come Spitzenkandidat dei Verdi nel 2014 (insieme al francese José Bové), Keller si è battuta nella commissione per le Libertà civili dell’Eurocamera per rafforzare i diritti dei rifugiati e dei migranti. È la portavoce per le politiche femminili del partito tedesco Alleanza 90/I Verdi. 

    Bas Eickhout, nato a Groesbeek in Olanda nel 1976, è membro della Commissione Ambiente del Parlamento europeo. Dopo aver studiato chimica e scienze ambientali alla Radboud Universiteit di Nimega, Eickhout ha lavorato come ricercatore presso Agenzia per la protezione dell’ambiente olandese. È tra gli autori del rapporto del Comitato Intergovernativo sui cambiamenti climatici dell’Onu, che nel 2007 ha ricevuto un premio Nobel.

    Il Partito della sinistra europea ha eletto Violeta Tomič e Nico Cué come “candidati di punta” alle europee. Nata a Sarajevo nel 1963, Tomič è membro del Parlamento sloveno dal 2014 ed è vice-coordinatore del partito nazionale di sinistra Levica. Nico Cué (1956) è stato uno dei volti noti del movimento sindacale vallone e ha ricoperto per dodici anni la carica di Segretario Generale dei lavoratori siderurgici nel sindacato FGBT (Fédération Générale du Travail de Belgique).

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