Parlamento Europeo

  • DiscoverEU: 15 000 biglietti in palio per esplorare l’UE durante l’estate

    A partire dalle ore 12 del 12 giugno e fino alle ore 12 del 26 giugno i giovani potranno candidarsi per un biglietto con cui potranno scoprire il loro continente da luglio a fine ottobre 2018. Grazie a DiscoverEU potranno capire meglio la diversità e la ricchezza culturale dell’Europa, fare nuove amicizie e scoprire la loro identità europea. Con questa nuova iniziativa dell’UE i giovani potranno viaggiare da soli o in un gruppo di un massimo di cinque persone. Come regola generale, useranno il treno. Tuttavia, per garantire l’accesso a tutto il continente, in alcuni casi particolari i partecipanti potranno utilizzare mezzi di trasporto alternativi, come l’autobus o il traghetto o, eccezionalmente, l’aereo. In questo modo anche i giovani che vivono in zone periferiche o sulle isole dell’UE potranno partecipare. Poiché il 2018 è l’Anno europeo del patrimonio culturale, i vincitori dei biglietti avranno la possibilità di partecipare a numerosi eventi che si svolgono in tutta Europa.

    I candidati dovranno fornire i loro dati personali e maggiori dettagli sul viaggio che vorrebbero fare. Dovranno inoltre rispondere a un quiz composto da 5 domande riguardanti il 2018 quale Anno europeo del patrimonio culturale, le iniziative dell’UE rivolte ai giovani e le prossime elezioni europee. Infine, dovranno rispondere a una domanda di spareggio su quanti giovani parteciperanno all’iniziativa. Le risposte consentiranno alla Commissione europea di selezionare i candidati. Una volta selezionati, i partecipanti dovranno iniziare il viaggio tra il 9 luglio e il 30 settembre 2018. Potranno viaggiare fino a 30 giorni e visitare fino a 4 mete all’estero.

    Con un bilancio di 12 milioni di EUR nel 2018, DiscoverEU dovrebbe offrire ad almeno 20.000 giovani la possibilità di viaggiare attraverso l’Europa quest’anno. A ogni Stato membro dell’UE è stato assegnato un numero di biglietti in base alla percentuale della sua popolazione rispetto a quella complessiva dell’Unione europea. La prima tornata di candidature, iniziata martedì 12 giugno, permetterà ad almeno 15.000 partecipanti di esplorare il nostro continente. Una seconda tornata di candidature, con almeno 5.000 biglietti in palio, si svolgerà nell’autunno del 2018. La Commissione europea intende sviluppare l’iniziativa e l’ha pertanto inclusa nella sua proposta per il prossimo programma Erasmus. Se il Parlamento europeo e il Consiglio approveranno la proposta, altri 1,5 milioni di diciottenni dovrebbero avere la possibilità di mettersi in viaggio tra il 2021 e il 2027, grazie a un bilancio di 700 milioni di euro.

    DiscoverEU è un’iniziativa dell’UE che si basa su una proposta del Parlamento europeo, che ne ha assicurato il finanziamento per il 2018 mediante un’azione preparatoria. L’iniziativa si concentra sui giovani che compiono 18 anni: infatti questo è un momento che segna un importante passo verso l’età adulta. La Commissione europea desidera conoscere le impressioni dei giovani partecipanti e li incoraggerà a condividere le loro esperienze e avventure. È per questo motivo che, una volta selezionati, i partecipanti faranno parte della comunità DiscoverEU e diventeranno ambasciatori dell’iniziativa. Saranno invitati a raccontare le loro esperienze di viaggio, ad esempio attraverso i social media quali Facebook e Twitter, o a fare una presentazione a scuola o della loro comunità locale.

    Per maggiori informazioni:

    Memo
    Portale europeo per i giovani: iscriviti qui
    Fonte: Comunicato della Commissione europea 11/06/2018

  • Stop ai test sugli animali per i prodotti cosmetici, lo stabilisce una risoluzione del PE

    Il Parlamento europeo ha votato la risoluzione che chiede, entro il 2023, sia di vietare i test sugli animali che di vendere prodotti cosmetici testati su animali. Nella risoluzione si chiede che l’Unione europea porti questa richiesta all’ONU, in ogni trattativa di negoziati commerciali e all’interno delle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Molte ditte cosmetiche hanno già dimostrato da tempo l’inutilità dei test su animali e producono da anni testando in vitro i prodotti prima di commercializzarli. “Se questo è stato possibile in Europa deve poter essere possibile a livello mondiale”, ha ricordato la relatrice Miriam Dalli, che ha sottolineato come le industrie cosmetiche che hanno messo da tempo al bando i test su animali, mettendo la notizia in etichetta, hanno avuto un incremento di popolarità e perciò un aumento di vendite. Nell’Unione già dal 2004 sono vietati per i cosmetici testati su animali e dal 2009, con un regolamento, sono stati vietati anche i test su singoli componenti per prodotti cosmetici e la vendita di prodotti testati su animali. In seguito, dal 2013, sono anche cadute quelle rare eccezioni che consentivano la sperimentazione dal vivo per test finalizzati a trovare eventuali effetti collaterali dannosi per la salute umana. Nella risoluzione è stato evidenziato come anche diversi paesi abbiano preso atto dell’inutilità di questi test, Guatemala, Islanda, India, Israele, Nuova Zelanda, Norvegia, Serbia, Svizzera e Turchia hanno già imposto il divieto sulla sperimentazione animale per prodotti cosmetici ma purtroppo ancora moltissimi paesi la consentono. Non solo dal punto di vista animalista ma anche scientifico ci auguriamo che la risoluzione del Parlamento europeo, unita alla forte pressione del sentire comune, porti ad un divieto mondiale per una sperimentazione che porta dolore e sofferenze inutili a decine di migliaia di animali senza alcun beneficio per l’essere umano.

  • Achtung Binational Babies: le pratiche dello Jugendamt nei casi transfrontalieri

    L’evento è organizzato da eurodeputati di diverse nazionalità e di diversi schieramenti politici che non si rassegnano ad osservare senza intervenire le centinaia e centinaia di casi di abusi attuati dal sistema familiare tedesco e denunciati al Parlamento tramite lo strumento della petizione. Nonostante l’impegno dell’eurodeputata Cristiana Muscardini durante tutta la passata legislatura, i convegni, i gruppi di lavoro e le raccolte di firme, la situazione non è cambiata: i bambini sotto giurisdizione tedesca sono proprietà dello Stato tedesco, anche se molti di loro hanno una diversa nazionalità. Questo significa che molti genitori Italiani che si recano in Germania con i figli rischiano di non poter mai più fare ritorno con loro in Italia o peggio, di non vederli crescere perché affidati a famiglie tedesche. Come è possibile tutto ciò nel XXI secolo, in Europa? A queste domande si cercherà di dare qualche risposta con  l’evento del 29 maggio al Parlamento Europeo a Strasburgo. Gli organizzatori dicono di voler almeno sensibilizzare su questa tematica i media e l’opinione pubblica, nonché i propri rispettivi governi. Si tratta dell’eurodeputata italiana Eleonora Evi, del Polacco Zdzislaw Krasnodebski, dei Francesi Virginie Rozière e Edouard Martin e del Greco Miroslavs Mitrofanovs. Interverranno inoltre Associazioni ed esperti del settore. Dopo gli interventi dei relatori, verrà data la parola ai giornalisti che potranno porre le loro domande agli esperti e agli eurodeputati. Anche il Patto Sociale sarà presente e vi terrà informati!

  • Il Bail in e i Mrel: il fattore temporale

    Nella primavera del 2015, gentilmente ospitato da Il Gazzettino, scrissi un breve intervento relativo ai pericoli per i piccoli risparmiatori che la legge in via di approvazione al Parlamento Europeo, conosciuta col nome di “bail-in”, avrebbe comportato. Ricordo perfettamente che il mio intervento fu oggetto di scherno da parte di molti dirigenti delle banche e persino dei sindacati i quali affermavano come non avessi compreso il contenuto della nuova normativa e che mai si sarebbero potuti coinvolgere i correntisti con depositi superiori ai 100.000 euro come i titolari di obbligazioni nel rischio d’impresa allegato ad un default di un istituto bancario.

    La storia poi ha insegnato come quella legge venne approvata con l’obiettivo di evitare l’intervento degli Stati sovrani, quindi attraverso il ricorso alle finanze pubbliche per risanare un istituto bancario in difficoltà ma solo coinvolgendo così clienti correntisti  e titolari di obbligazioni.

    Questa nuova normativa entrò in vigore successivamente ai pesanti interventi statali della Francia e della Germania le quali elargirono la prima alla BNL Paribas 92 miliardi di risorse pubbliche in quanto incagliata nei fondi subprime statunitensi mentre la seconda utilizzò sempre risorse pubbliche per riportare in equilibrio finanziario le Casse di Risparmio tedesche.

    La vicenda della approvazione  della legge che introduceva il Bail in dimostra essenzialmente quale sia il livello di preparazione della nostra classe dirigente e dei parlamentari italiani all’europarlamento i quali non capiscono, non conoscono e non hanno le competenze minime per valutare e comprendere gli effetti dell’approvazione di una legge tanto rivoluzionaria nel campo del risparmio. Un cambiamento epocale e portatore peraltro di un effetto immediato relativo al rapporto fiduciario tra risparmiatore ed istituto bancario. Senza poi dimenticare come le aziende debbano così aggiungere al rischio d’impresa legato alla propria attività anche quello bancario relativo ad un possibile dafault finanziario dell’istituto presso il quale si utilizzano i conti di servizio. Sembra paradossale come ora questo medesimo scenario proponga gli stessi protagonisti per quanto riguarda lo scenario europeo i quali, nel versante italiano (dove prende forma la nuova compagine governativa uscita dalle ultime elezioni), sono entrambi protagonisti di una situazione essenzialmente molto simile, sia nello svolgimento che negli effetti disastrosi, di quella relativa alla gestazione del Bail–in.

    Il Bail in, va ricordato, rappresenta ancora oggi un’anomalia economica e giuridica in quanto attraverso una norma europea vengono sostanzialmente modificati la forma ed il contenuto  dei  contratti per gli obbligazionisti e titolari di conti correnti sopra i 100.000 euro: da semplici contratti di servizio a veri e propri contratti di sottoscrizione di rischio. Una trasformazione che porta con se l’effetto paradossale che rispetto agli azionisti (quindi i veri sottoscrittori dei titoli di rischio) costoro non possano neppure intervenire all’interno della gestione come della scelta del management dell’istituto bancario stesso rispetto ad un azionista. In altre parole il cambiamento radicale del contratto rappresenta ancora oggi una violazione dei diritti dei consumatori i quali dovevano venire informati della modifica relativa alla tipologia di contratto ed eventualmente avere la possibilità di sottoscriverlo o meno. La rescissione del contratto rappresenta cioè una garanzia per i contraenti la quale nel caso specifico non viene neppure presa in considerazione da parte dell’autorità europea.

    Ora, in considerazione del nuovo programma del governo entrante, si intende modificare la struttura normativa del Bail in, dimenticando, tra l’altro, come le normative europee abbiano una forza di legge superiore rispetto a quelle nazionali, come le norme di ogni singolo Stato membro.

     

    Tornando invece ad uno scenario prossimo futuro, esattamente come nel 2015 questa ipotesi di modifica normativa viene presa in considerazione senza che la classe politica italiana, e ancor peggio la prossima classe governativa, valuti il significato e soprattutto il contenuto delle prossime scelte strategiche della BCE in relazione all’introduzione del Mrel (Minimum Requirement for own founds and eligible Liabilities). E’evidente come la BCE tema una grande e prossima situazione di default finanziario del sistema bancario nazionale ed internazionale. Partendo da una simile considerazione e mossa da tale timore intende obbligare tutti gli Istituti bancari ad emettere un titolo obbligazionario (il Mrel appunto) che possa venire incluso nella sottoscrizione dei rischi in caso di default per un valore pari al 8% del patrimonio generale. Quindi un titolo di risparmio da proporre anche alla clientela privata ma che rientri anche tra i titoli sottoposti al rischio d’impresa. Quindi, esattamente come nel 2015, “a loro insaputa”, i parlamentari italiani presenti all’interno del Parlamento Europeo assistono all’introduzione di una nuova normativa relativa al settore bancario senza valutarne gli effetti. Sempre “a loro insaputa” i prossimi governanti intendono cambiare una legge come quella del Bail–in, mentre il contesto relativo ai default bancari attraverso la BCE e la nuova introduzione del Mrel sta assumendo connotati decisamente più impegnativi e complessi.

    L’allargamento dei sottoscrittori di titoli di risparmio nel caso di un default finanziario offre l’immagine ma soprattutto la sostanza di una autorità finanziaria europea la quale opera al fine di allargare la platea di risparmiatori “responsabili” soprattutto attraverso i propri titoli, allargando così la platea dei sottoscrittori del rischio bancario ben oltre i singoli azionisti.

    Va ricordato come i Mrel vengano considerati, dalla autorità monetaria europea, il completamento di un quadro normativo iniziato con il Bail-in.

    Sembra incredibile come nella scena economica italiana la tempistica non venga considerata fondamentale nella elaborazione e preparazione dei piani strategici economici e normativi di sviluppo. Valutare le dinamiche economiche e finanziarie indipendentemente dal fattore temporale equivale a non comprenderle.

     

  • Il Parlamento Europeo può salvare la democrazia europea. Lo farà?

    Il 2 maggio prossimo, la Commissione avvierà le proposte formali per il quadro finanziario pluriennale (QFP), che modellerà l’Europa verso l’orizzonte 2030. Queste proposte arriveranno dopo una lunga preparazione in seno alla Commissione ma anche negli Stati membri. Il QFP non è un semplice rinnovo, ma è la prima risposta concreta dei 27 EUR alla crisi del progetto europeo e alle nuove sfide transnazionali.

    C’è il rischio che la narrativa europea presenti questa crisi come uno delle tante con la convinzione che l’Europa troverà, magari, anche le risorse per fare un passo avanti. Ma questa volta è diverso, la crisi non è una crisi degli ambienti diplomatici o delle élite, ma ha investito i cittadini e l’opinione pubblica. La decisione sul QFP post 2020 è un’occasione unica per rilanciare il progetto europeo. In attesa delle proposte, due considerazioni:

    • Il fallimento parziale dell’iniziativa ‘Bilancio focalizzato sui risultati”. Nonostante più di 700 indicatori delle politiche dell’UE non si è presa praticamente alcuna decisione politica, per modificare la legislazione in presenza di risultati modesti. In effetti l’autorità legislativa e di bilancio considera questo esercizio come burocratico e tecnocratico, senza assumerne la titolarità politica. La Commissione dovrebbe trovare il modo di coinvolgere, di più e meglio, l’autorità legislativa e di bilancio in questo processo e concentrarsi su politiche con più valore aggiunto europeo.
    • Il secondo punto riguarda il calendario di approvazione del nuovo QFP; La Commissione ha annunciato che è essenziale che il Consiglio europeo adotti le proposte prima della fine del 2018 e che il Parlamento europeo concluda la procedura prima della sua elezione. Questo calendario, se accettato dal Parlamento europeo, ignorerà la necessità di coinvolgere i cittadini europei nel progetto europeo. L’opportunità di presentare all’opinione pubblica le prossime elezioni europee su un modello diverso d’Europa andrà persa.

    La riforma dell’UE verso il 2030, non dovrebbe essere il risultato di un oscuro negoziato tra diplomatici, approvato in extremis da un Parlamento distratto dalle elezioni. Sarebbe l’eccellente opportunità per centrare il dibattito elettorale su temi europei. Sulle scelte di politica europee i partiti hanno necessariamente opinioni diverse le dovranno esprimere e coinvolgere l’opinione pubblica in questo dibattito. I cittadini cosi avranno la prova concreta che il loro voto per il Parlamento influenzerà le scelte politiche dell’Europa 2030.

    Per concludere, i partiti politici europei non dovrebbero perdere l’opportunità di costruire i loro progetti europei sulle priorità per il QFP oltre il 2020. Un dibattito elettorale per lo Spitzenkandidaten e le elezioni europee su diversi approcci tra i gruppi convincerà i cittadini europei ad assumere responsabilità e influenzare il corso del progetto europeo. Il prossimo QFP dovrebbe rilanciare la democrazia europea.

    Il Parlamento europeo sarà pronto a dire subito chiaramente che non è disponibile a impegnare nelle ultime settimane della legislatura in prossimi 7/10 anni di politica europea, costringendo il Parlamento della prossima legislatura a non partecipare ad alcuna decisione strategica importante.

    *Professore Collegio Europeo di Parma, Fellow all’Istituto Universitario Europeo

    Twitter @Alfredo231; http://alfredodefeo.blogactiv.eu/author/alfredo-de-feo/

     

     

  • Il Parlamento europeo chiede alla Commissione più controlli per il miele contraffatto

    E’ il terzo prodotto più contraffatto al mondo e per questo il Parlamento europeo, su proposta del deputato ungherese Norbert Erdős, il primo marzo scorso ha approvato una proposta di risoluzione in cui alla Commissione europea si chiedono norme precise per contrastare il fenomeno. L’Unione europea, con 17 milioni di arnie e 600.000 apicoltori che producono 250.000 tonnellate di miele ogni anno, è il secondo produttore di miele dopo la Cina, paese da cui vengono la maggior parte delle importazioni verso l’UE. All’interno dell’UE i maggiori produttori sono Romania, Spagna e Ungheria. La contraffazione diventa così una piaga che danneggia i produttori e inganna i numerosi consumatori. Per questo nell’iniziativa proposta a Bruxelles si chiedono chiaramente
    misure per migliorare le procedure di analisi, intensificare i controlli per meglio scoprire le truffe e inasprire le sanzioni per i truffatori e interventi sull’etichettatura in modo che i consumatori sappiamo da dove viene il miele che mangiano.  L’Unione europea, con la Direttiva 2001/110/CE del Consiglio, del 20 dicembre 2001, concernente il miele stabiliva già standard molto elevati per la produzione del miele che evidentemente non sono stati rispettati del tutto. Secondo le analisi dell’UE, infatti, il 20% dei campioni rilevati nei controlli alle frontiere e presso gli importatori non rispetta le richieste europee tanto che alcuni prodotti risultano contenere sciroppi di zucchero o si usa addirittura miele che è stato raccolto in anticipo e seccato artificialmente.  Nella Risoluzione, inoltre, si chiede anche l’aumento dei fondi per i programmi nazionali per l’apicoltura, il miglioramento della salute delle api (che dovrebbe passare anche dal divieto dell’uso di pesticidi nocivi), la protezione delle varietà di api locali e regionali. Una maggiore disponibilità economica permetterebbe di approfondire studi e ricerche sulle api e sul loro patrimonio genetico e di garantire una maggiore produzione di medicinali più efficaci, anche innovativi, per curare le api affette da malattie visto che quanto prodotto è ancora assai limitato.  Naturalmente i fondi da stanziare servirebbero anche ad incentivare l’apicoltura e l’istituzione di una banca dati digitale comune, armonizzata a livello dell’UE, per lo scambio di informazioni tra gli apicoltori, i ricercatori e tutti i soggetti interessati, scienziati e medici veterinari compresi. Non da ultimo la Risoluzione sottolinea i numerosi effetti benefici che l’uso di miele offre. Adesso si attende una risposta concreta da parte della Commissione europea.

  • Problemi di pensione per gli eurodeputati

    I contribuenti europei rischiano il salvataggio del Parlamento europeo a causa di un deficit attuariale di 326 milioni di euro per il sistema pensionistico per i deputati. Istituito per la prima volta nel 1990 e aperto ai deputati al Parlamento europeo fino al 2009, il fondo pensionistico volontario rischia di far sborsare ingenti somme di denaro al bilancio del Parlamento, per un forte aumento del numero di persone che raggiungono un’età di pensionamento anticipato.

    «Già dopo cinque anni c’era un deficit fino a 9 milioni di euro, il che non era normale”, ha dichiarato l’eurodeputato verde belga Bart Staes. Tali perdite sono pagate indirettamente dal contribuente dell’UE perché il bilancio del Parlamento europeo è la linea di vita finanziaria del fondo. I deputati hanno sospeso i contributi nel 2009. Fino ad allora, per ogni 1.000 euro versati nello schema, il parlamento dell’Ue ha contribuito con 2.000 euro. Il denaro è stato poi investito dall’associazione no profit di diritto lussemburghese nota come Cassa pensione dei membri del Parlamento europeo. Senza soldi in arrivo, più deputati in pensione e un ingannevole portafoglio azionario, il fondo – considerato il frutto dell’ex deputato britannico e del politico conservatore Richard Balfe, che oggi ne è il presidente – rischia di fallire in 6 anni.

    Il fondo è stato lanciato anche perché molti deputati francesi e italiani non avevano un regime pensionistico adeguato all’epoca. Balfe e altri deputati conservatori e laburisti hanno quindi insistito per creare un fondo per tutti. I deputati erano tenuti a versare al regime solo due anni per poter beneficiare della pensione vitalizia Ma il Parlamento europeo è tenuto a sottoscrivere il regime e deve garantire i pagamenti, quindi sarà costretto a pagare trovando denaro altrove nel suo bilancio qualora il fondo diventi insolvente.

    EUobserver ha visionato i documenti che elencano gli iscritti al fondo tra il 2003 e il 2008. I deputati britannici, incluso l’euroscettico Nigel Farage, sembrano dominare. Figurano anche gli ex deputati francesi Marine Le Pen e suo padre Jean-Marie.

    A maggio 2015, lo schema contava 1.007 membri e 721 ex deputati al Parlamento europeo o loro familiari superstiti ricevevano prestazioni pensionistiche. Altri 145 deputati supplementari riceveranno pagamenti mensili dal fondo nel 2022. Questo significa che i pagamenti aumenteranno dai circa 16 milioni di euro del 2016 a una media di oltre 20 milioni di euro per i prossimi anni.

  • Il prossimo Parlamento europeo avrà 46 seggi in meno, la Commissione europea invita Macron a scegliere in quale gruppo stare nel PE

    Gli eurodeputati hanno deciso di ridurre il numero di 46 seggi per il periodo parlamentare euro 2019-2024 in seguito alla Brexit, con la ridistribuzione di altri 27 seggi, che appartenevano al Regno Unito, tra i 14 paesi dell’Ue attualmente sottorappresentati. Le nuove norme entreranno in vigore in tempo per le elezioni europee del 2019, ma dovranno essere approvate dal Consiglio europeo. Il numero massimo di eurodeputati consentito dai trattati dell’UE è 751

    Gli eurodeputati hanno invece bocciato la relazione elaborata dalla Commissione per gli affari costituzionali per la parte in cui proponeva di istituire un collegio elettorale congiunto che includesse l’intera Ue per votare sulle liste elettorali pan-europee, che affiancasse i seggi assegnati a ciascun paese. La proposta è stata cancellata dopo che il Ppe ha contestato l’assenza di basi legali per simile lista. Emmanuel Macron, sostenitore della lista pan-europea, ha detto che continuerà a sostenere l’idea facendo presente che i capi di Stato europei devono ancora votare sulla questione, in vista delle elezioni del Parlamento europeo del maggio 2019. «La Francia continuerà a difendere questa idea in futuro perché contribuirebbe a rafforzare la democrazia europea creando dibattiti sulle sfide europee e non rigorosamente su questioni nazionali emesse durante le elezioni europee», ha fatto sapere tramite  una nota.

    Nel frattempo la Commissione europea ha invitato i partiti politici a dichiarare a quali gruppi europei al Parlamento europeo aderiranno dopo le elezioni del maggio 2019. «I partiti politici nazionali e regionali dovrebbero posizionarsi in modo chiaro e distinto sulle principali questioni in gioco nel dibattito europeo», ha affermato in un documento pubblicato il 14 febbraio, sollecitando anche a indicare il proprio candidato (a livello di raggruppamento politico europeo) per la presidenza della prossima Commissione europea («È importante nominare un candidato leader il più rapidamente possibile», ha detto il presidente della commissione Jean-Claude Juncker in conferenza stampa, presentando il rapporto).

    L’invito a scegliere in quale raggruppamento europeo collocarsi è parso rivolto in particolare proprio a Macron, il cui partito, La Republique en Marche, non si è ancora affiliato a nessuno dei gruppi dell’assise continentale, né ha reso nota l’eventuale intenzione di dare vita a un nuovo gruppo.

  • Norme più restrittive per la pesca nella Ue

    Il Parlamento europeo ha approvato nuove regole su modalità, località e tempi per la nell’Ue e sollecitato la messa al bando la pesca con impulsi elettrici.
    Le nuove regole – che aggiornano oltre 30 regolamenti – stabiliscono un quadro comune su attrezzi e metodi di pesca, dimensioni minime autorizzate delle catture e limitazioni alla pesca in determinate zone o in periodi specifici. Includono anche misure per adattarsi alle esigenze di ciascun bacino.
    La sessione plenaria ha anche approvato un emendamento che chiede il divieto totale della cosiddetta pesca elettrica, che utilizza impulsi elettrici per trascinare il pesce dai fondali marini alle reti.
    Tra le misure che hanno ottenuto l’appoggio del Parlamento europeo figurano il divieto di determinati attrezzi e metodi di pesca (come esplosivi, sostanze tossiche, martelli pneumatici e proiettili, oltre all’elettricità), restrizioni generali per l’uso di attrezzi trainati e reti fisse, specificazione delle specie di pesci, crostacei e molluschi la cui pesca è vietata, limitazioni alla cattura di mammiferi marini, uccelli marini e rettili marini, con disposizioni speciali sugli habitat particolarmente vulnerabili, divieto di pratiche quali la “selezione qualitativa”, che comporta il rigetto di pesci a basso prezzo soggetti a limiti di cattura, sebbene possano essere stati sbarcati legalmente, al fine di massimizzare il valore delle catture.

Pulsante per tornare all'inizio