Perù

  • Peru protests: New President Boluarte faces genocide inquiry

    Peru’s top prosecutor has launched an inquiry into President Dina Boluarte and key ministers over weeks of clashes that have left dozens of people dead.

    The officials are being investigated on charges of “genocide, qualified homicide and serious injuries”.

    Violence erupted after ex-President Pedro Castillo was arrested in December for trying to dissolve Congress.

    On Monday, 17 people died in clashes between Castillo supporters and security forces in south-eastern Peru.

    Dozens more were injured in the city of Juliaca in what was the worst day of violence so far. Many of the victims had gunshot wounds.

    The authorities accused the protesters of trying to overrun Juliaca’s airport and a local police station. An overnight curfew is now in place in the region.

    On Tuesday, the attorney general’s office announced its decision to investigate Ms Boluarte, as well as Prime Minister Alberto Otárola along with the defence and interior ministers.

    The president and her ministers have not publicly commented on the issue.

    Castillo supporters – many of whom are poor indigenous Peruvians – say President Boluarte must resign, snap elections be held and the former president released.

    Mr Castillo, a left-winger, tweeted from his prison cell, saying those defending Peru from what he called the coup dictatorship would never be forgotten.

    In a separate development on Tuesday, Mr Otárola’s government comfortably won a vote of confidence in Congress.

    The South American nation has been through years of political turmoil, with the latest crisis coming to a head when Mr Castillo announced he was dissolving Congress and introducing a state of emergency in December.

    But Congress proceeded to vote overwhelmingly to impeach him.

    The former president is being investigated on charges of rebellion and conspiracy. He denies all the accusations, insisting that he is still the country’s legitimate president.

  • Il Perù mette alla porta il presidente Vizcarra

    Fedele alla sua fama di democrazia traballante, il Perù applaude Manuel Merino quale terzo presidente della repubblica della attuale legislatura 2016-2021. Il 10 novembre il Parlamento ha destituito per “incapacità morale” il predecessore, Martín Vizcarra, il quale a sua volta era subentrato nel 2018 al dimissionario Pedro Pablo Kuczynski. Vizcarra era passato indenne meno di due mesi fa attraverso un primo tentativo di estrometterlo dal potere, sempre per ragioni assimilabili a corruttela, ma questa volta ben 9 dei 10 partiti del Congresso (Parlamento) peruviano, hanno votato sì alla destituzione, raccogliendo 105 dei 130 voti disponibili.

    Parte dell’opinione pubblica è subito scesa in piazza a Lima ed in altre città, gridando al ‘colpo di stato’, per una scelta sembrata eccessiva data l’accusa, non ancora provata dalla giustizia, di possibili tangenti ricevute da Vizcarra nel 2011 quando era governatore di Moquegua.

    Arrivato alla presidenza senza contare su una forte base in Parlamento, Vizcarra ha cercato di forzare la mano ai partiti impegnandoli in una riforma delle istituzioni e della giustizia a cui hanno palesemente mostrato di non voler partecipare. Così, secondo alcuni analisti, in vista delle elezioni generali dell’11 aprile 2021, i leader delle formazioni politiche hanno preferito concordare con Merino, presidente del Parlamento e ora capo di stato ad interim, una procedura di destituzione e poi la formazione di una coalizione governativa che contasse su una presenza chiara dei partiti.

    Nel suo discorso di investitura, dopo aver giurato “per Dio, per la patria e per tutti i peruviani, che eserciterò fedelmente l’incarico di presidente della Repubblica per completare il periodo costituzionale”, Merino ha promesso un “governo di consenso ed unità nazionale” per affrontare i problemi del Paese. Se tutto andrà per il verso giusto Merino trasferirà la banda presidenziale ad un nuovo presidente fra meno di un anno, il 28 luglio 2021.

    Vale la pena ricordare infine che in 30 anni la poltrona di capo dello Stato è stata davvero bollente. Alberto Fujimori, dopo aver chiuso a forza il Parlamento, è stato processato e condannato, come era avvenuto per altri due predecessori (Augusto Leguía e Francisco Morales Bermúdez). Un presidente molto noto, Alan García, è morto suicida mentre era sotto processo, mentre altri tre ex capi di stato (Ollanta Humala, Alejandro Toledo e Pedro Pablo Kuczynski) attendono ancora la soluzione dei problemi giudiziari nei quali sono incappati.

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