Petrolio

  • Eurexit: la Shell rinuncia al nome Royal Dutch e si traferisce a Londra

    Shell rinuncia all’apposizione Royal Dutch e si trasferisce in Gran Bretagna, dove porterà anche la residenza fiscale. Gli azionisti saranno chiamati a dare il via libera all’operazione il 10 dicembre che prevede anche una semplificazione della struttura azionaria, con un’unica linea di azioni. “In un momento di cambiamento senza precedenti per il settore, è ancora più importante avere una maggiore capacità di accelerare la transizione verso un sistema energetico globale a basse emissioni di carbonio. Una struttura più semplice consentirà a Shell di accelerare la realizzazione della sua strategia Powering Progress, creando valore per i nostri azionisti, clienti e società in generale” spiega il presidente di Shell, Sir Andrew Mackenzie ma la decisione ha spiazzato Amsterdam con il governo olandese che si è detto “spiacevolmente sorpreso” dall’annuncio.

    Il colosso petrolifero, una delle cosiddette Sette sorelle, fu costituita nel 1907 dalla fusione dell’olandese Royal dutch petroleum e della britannica Shell transport and trading; a controllarlo erano rimaste due holding distinte che nel 2005 si sono fuse e le azioni erano rimaste divise in due classi, A e B, che rappresentano le vecchie azioni Royal Dutch e Shell. A seguito della semplificazione, spiega il gruppo, gli azionisti continueranno a detenere gli stessi diritti legali, di proprietà, di voto e di distribuzione del capitale in Shell. Le azioni continueranno ad essere quotate ad Amsterdam, Londra e New York (attraverso il programma American Depository Shares), con l’inclusione dell’indice FTSE UK. Si prevede che l’inclusione nell’indice AEX verrà mantenuta.

    Non è però un addio all’Olanda: “Shell è orgogliosa della sua eredità anglo-olandese e continuerà a essere un importante datore di lavoro con una presenza importante nei Paesi Bassi – rassicura il gruppo -. La sua divisione Projects and Technology, le attività globali Upstream e Integrated Gas e il polo delle energie rinnovabili rimangono a L’Aia”. E poi ci sono i progetti eolici al largo delle coste olandesi, il progetto di costruzione di un impianto di biocarburanti a basse emissioni di carbonio su scala mondiale presso l’Energy and Chemicals Park di e del più grande elettrolizzatore d’Europa a Rotterdam.  “La semplificazione – aggiunge Sir Mackenzie – normalizzerà la nostra struttura azionaria sotto le giurisdizioni fiscali e legali di un singolo paese e ci renderà più competitivi. Di conseguenza, Shell sarà in una posizione migliore per cogliere le opportunità e svolgere un ruolo di primo piano nella transizione energetica. Il consiglio di amministrazione di Shell raccomanda all’unanimità agli azionisti di votare a favore della proposta di risoluzione”.

  • Il primo vero fallimento di Biden

    Sono passati poco più di 6 mesi dall’elezione di Biden ed i primi effetti, soprattutto in politica estera, sono già evidenti. L’amministrazione Trump aveva stretto un’alleanza, confortata e rafforzata anche sul piano economico, con i sauditi sunniti contro l’Iran sciita.

    Il primo produttore mondiale di petrolio (Usa), infatti, poteva gestire, o quantomeno fortemente influenzare, il prezzo del petrolio grazie all’appoggio della nazione con le maggiori riserve del mondo (Arabia Saudita) con evidenti ripercussioni positive per la strategia energetica statunitense. La evidente marginalizzazione dell’Opec negli ultimi quattro anni dallo scenario internazionale ne rappresenta la evidente conseguenza.

    La pressione politica statunitense era riuscita addirittura a rompere l’isolamento politico di Israele con l’avvio di accordi e rapporti diplomatici con due stati arabi dando inizio ad un processo di normalizzazione interamente attribuibile alla innovativa ma soprattutto decisa quanto chiara politica estera dell’amministrazione Trump.

    Viceversa, ora, l’allentamento della pressione della amministrazione Biden nei confronti del principale finanziatore dei terroristi di Hamas ed Hezbollah, lo stato dell’Iran, ha riportato indietro di vent’anni la crisi israelo-palestinese, tanto è vero che persino il processo di arricchimento dell’uranio ha ripreso slancio.

    La politica, specialmente quella estera, viene determinata da fatti concreti e da alleanze basate sempre più spesso sulla convenienza immediata e su una prospettiva a medio termine.

    In questo contesto sicuramente i proclami inneggianti ad un pacifismo da operetta lasciano lo spazio adeguato a chi persegue il rilancio delle tensioni politiche internazionali.

    L’escalation del conflitto israelo-palestinese e la sua responsabilità vanno attribuiti in parte al cambiamento di atteggiamento nei confronti dell’Iran da parte degli Stati Uniti e dall’ultima sua amministrazione appena insediatasi. Una visione geopolitica contestata da chi individua la ragione di questo nuovo conflitto all’interno di logiche inerenti la politica interna israeliana.

    Sfugge evidentemente ai sostenitori di questa “bizzarra teoria” come durante la precedente amministrazione statunitense guidata da Trump Israele avrebbe ancora una volta fatto ricorso alle nuove elezioni anticipate. Viceversa in quest’ultimo caso il lassismo dell’amministrazione Biden verso lo stato iraniano ha permesso ad Hamas di armarsi e di lanciare oltre 3.000 missili. Una strategia di politica estera che ha trovato, come sempre in queste situazioni, anche l’appoggio dell’Unione Europea, da sempre il ventre molle dello scenario internazionale.

    La fragile tregua imposta ai contendenti proprio dalla amministrazione statunitense conferma la precedente insufficiente pressione politica nello scenario medio orientale.

  • Berlino ragiona su un piano B per il gasdotto Nord Stream 2

    Una moratoria, una exit strategy, un piano alternativo, una trattativa internazionale: la Germania, come riferisce un resoconto dell’agenzia di stampa Agi, è alla disperata ricerca di un ‘uovo di colombo’ che le permetta di uscire dal vicolo cieco chiamato Nord Stream 2. Sullo sfondo del braccio di ferro sul mega-gasdotto russo-tedesco la questione sempre più difficile dei rapporti con Mosca, a maggior ragione con il riacuirsi della crisi ucraina, le tensioni intorno al destino di Aleksei Navalny e la non meglio specificata “linea rossa” posta minacciosamente da Vladimir Putin nelle relazioni con l’Occidente. Tensioni che iniziano a fare sempre più breccia a Berlino, nonostante che Angela Merkel abbia finora sempre tenuto duro nel volere difendere la pipeline lunga 1.200 chilometri volta a raddoppiare il flusso di gas naturale dalla Russia alla Germania – in generale dovrebbe portare nell’Unione europea ulteriori 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno – considerandola niente più che un “progetto economico”.  Ma a questo punto nessuno nei palazzi di potere berlinesi esclude che sia necessario trovare un “piano B”, non solo tra i Verdi – da sempre contrari al gasdotto – ma anche tra le fila della Grosse Koalition ancora al governo, ossia Cdu/Csu e Spd. Dove per la prima volta si ragiona apertamente su quali possano essere le opzioni per salvare il salvabile (la costruzione della pipeline è quasi ultimata) e al tempo stesso modificare la natura di Nord Stream, anche alla luce della strenua opposizione di Washington, che – come ribadito in varie occasioni dallo stesso Joe Biden e dal segretario di Stato Tony Blinken – vuole impedire la sua realizzazione “a qualsiasi costo”.

    Pressioni sempre più dure (tanto che qualcuno teme che possano appesantire non poco le relazioni con gli Usa, per l’appunto dopo che si era tanto sperato in uno spettacolare rilancio dopo la difficilissima stagione trumpiana), alle quali si aggiungono anche quelle di diversi Paesi dell’Est europeo nonché’ delle repubbliche baltiche. Idem la Francia, che in varie occasioni si è espressa esplicitamente contro il progetto.  Ecco che d’improvviso a Berlino si cominciano a sentire toni
    nuovi. “La domanda è se il gasdotto venga effettivamente utilizzato, se ci passerà effettivamente del gas, e quanto”, ha detto giorni fa la ministra alla Difesa tedesca Annegret Kramp-Karrenbauer a un dibattito a Parigi. “Ne stanno già ragionando i giuristi”, ha aggiunto Akk, che pure non vede “molto spazio di manovra” per un vero e proprio blocco dei cantieri. Sono segnali che si moltiplicano. “Il fatto è che per la nostra politica estera il prezzo da pagare rischia di diventare troppo alto”, commenta a microfoni spenti un deputato della Cdu, il partito di Frau Merkel. Così nel partito che fu di Adenauer   di Kohl si fanno più rumorose le voci di chiedere di mettere “nel freezer” il gasdotto. Mentre in casa Spd si inizia a ragionare sul fatto che la realizzazione del progetto potrebbe essere connesso a precise
    richieste di natura politica da rivolgere a Mosca. Alla Welt il parlamentare cristiano-democratico nonché esperto di politica estera Roderich Kiesewetter lo ha detto chiaramente: “Abbiamo bisogno di una soluzione che salvi la faccia a tutte le parti in causa. Potrebbe esserlo una moratoria”. La stessa Kramp-Karrenbauer e altri esponenti della Cdu si erano già d’accordo sulla possibilità di valutare la possibilità di questa ‘moratoria’. Evidentemente, il punto è capire a quali condizioni legare questa sorta di sospensione del progetto. Qualche idea in proposito arriva proprio dai socialdemocratici: “E’ possibile collegare l’attività del gasdotto a determinate condizioni: e’ di questo che dovremmo parlare”, ha affermato per esempio il portavoce della Spd per gli affari esteri al Bundestag, Nils Schmid, che invece è contrario ad un blocco ‘tout court’, troppo difficile adesso è quasi terminato.

    Nondimeno, è un’esternazione significativa, se si considera che la Spd ha sempre difeso a spada tratta il progetto, a cominciare dal leader del partito Norbert Walter-Borjans e dal ministro alle Finanze (nonché candidato cancelliere) Olaf Scholz, senza considerare governatori direttamente interessati per motivi geografici, come Manuela Schwesig in Meclemburgo, terra d’approdo della pipeline. In realtà l’idea della moratoria si potrebbe facilmente coniugare con le condizionalità di principio. A detta della Cdu, sarebbe l’opzione ‘freezer’ già di per sé sarebbe “un segnale” rivolto al governo russo per cui situazioni come l’arresto di Navalny oppure una nuova escalation nell’Ucraina orientale non verrebbero più accettate passivamente. Per la Spd, in più, si tratterebbe di rendere esplicito il meccanismo: se determinate condizioni non saranno rispettate Nord Stream 2 si “spegne” in automatico. Vedi al capitolo diritto internazionale e diritti civili, in particolare. Il problema è che un semplice blocco dei lavori avrebbe un costo esorbitante: oltre 10 miliardi per violazione di contratti in essere e altri in risarcimento danni, dato che quasi il 95% della tubatura sottomarina è terminato. Denaro che peserebbe sulle tasche dei contribuenti tedeschi, il che non è il massimo nell’attuale super-anno elettorale (le urne federali si apriranno il 26 settembre, in mezzo ci sono anche 3 elezioni regionali).

    “Un’alternativa potrebbe essere che il gasdotto venga portato a termine, ma che non si importi il gas russo finché non si siano chiarite le grandi questioni di politica estera ancora aperte”, spiega ancora il cristiano-democratico Kiesewetter alla Welt. Secondo questo schema, anche il tema dei risarcimenti potrebbe risultare contenuto se le motivazioni di un eventuale fermo sono determinate da questioni di diritto internazionale (vedi alla voce sanzioni). Tra i socialdemocratici invece l’altra possibilità della quale si ragiona è esplorare con gli stessi americani “se la politica energetica possa essere utilizzato come strumento di sanzione nei confronti della Russia”, afferma ancora Schmid. “E quali obiettivi si possono perseguire? La liberazione di Navalny? Il ritiro dal Donbass?”. Il punto politico è che per la Germania diventa sempre più complicato gestire la pressione sul caso Nord Stream 2. Se sul fronte interno l’opposizione dei Verdi inizia ad avere un’eco sempre piu’ forte (la candidata alla cancelleria Annalena Baerbock ha ribadito che fosse stato per lei il gasdotto sarebbe una storia già finita, il  martellamento da parte statunitense non conosce cedimenti: per dire, due parlamentari Usa, il repubblicano Michael McCaul e la democratica Marcy Kaptur, hanno scritto al segretario di Stato Blinken una lettera nella quale affermano che la pipeline “permetterebbe a Putin di utilizzare le risorse energetiche russe come un’arma volta ad esercitare pressione politica su tutta l’Europa”. Pertanto, “è necessario assicurarsi che Nord Stream 2 non venga mai terminata”.

  • L’Opec conferma il taglio delle quote di estrazione del petrolio

    L’ Opec+ lascia invariato il taglio delle quote di produzione di petrolio anche per il mese di aprile. La situazione di incertezza del mercato persiste nonostante la campagna vaccinale e gli stimoli dei governi e non consente ancora un aumento produttivo. Una mossa che innesca il rally delle quotazioni del greggio Wti e del Brent con rialzi superiori al 5% fino a sfiorare rispettivamente i 65 e i 67 dollari al barile. Ha vinto la linea del rigore dell’Arabia Saudita al vertice dell’Opec e dei suoi alleati che ha visto ancora una volta muro contro muro i 2 leader, Mosca e Riad. Anche se, per far fronte alle modeste concessioni accordate a Russia e Kazakistan, l’Arabia Saudita si fa nuovamente carico di un sacrificio extra prorogando a tutto il mese prossimo la stretta sulla propria produzione di un milione di barili/giorno.

    “I Ministri hanno approvato il proseguimento dei livelli di produzione di marzo per il mese di aprile, ad eccezione di Russia e Kazakistan, che potranno aumentare la produzione rispettivamente di 130 e 20mila barili al giorno, a causa dei trend stagionali di consumo” recita il comunicato finale spiegando che ” il Meeting ha riconosciuto il recente miglioramento del sentiment del mercato attraverso l’accettazione e il lancio di programmi di vaccinazione e pacchetti di stimoli aggiuntivi nelle economie chiave, ma ha avvertito tutti i paesi partecipanti di rimanere vigili e flessibili date le condizioni di mercato incerte, e di rimanere sulla rotta”.  Il Cartello ha discusso del possibile aumento della produzione di 1,5 milioni di barili al giorno. Ma fin da subito Riad ha invitato alla “cautela” in contrapposizione all’interventismo di Mosca che premeva per un allentamento dei tagli alle quote produttive varati l’anno scorso per scongiurare un accumulo delle scorte e il crollo delle quotazioni di greggio.

    Con la campagna vaccinale anti-Covid e la prospettiva di una ripresa dell’attività economica, il mercato aveva messo in conto un aumento della produzione di almeno 500mila barili al giorno a partire da aprile. E la decisione di oggi fa temere che l’azione dell’Opec possa rivelarsi tardiva rispetto alle reali esigenze del mercato globale. “L’Opec+ rischia decisamente di stringere in modo eccessivo il mercato petrolifero”, ha commentato Amrita Sen, capo analista di Energy Aspects e già si calcola che sul mercato si potrebbe registrare un deficit di offerta di oltre 2 milioni di barili col rischio di impennate delle quotazioni e surriscaldamento dell’inflazione. Negli ultimi tempi il mercato obbligazionario ha già reagito ai segnali di ripresa dell’inflazione e la mossa aggressiva dell’Opec+, con quotazioni del greggio ben oltre i 60 dollari al barile, potrebbe diventare un problema secondo la Federal Reserve e la Bce.

  • Azerbaijan, Armenia reject talks as Karabakh conflict widens

    Armenia and Azerbaijan accused one another on Tuesday of firing directly into each other’s territory and rejected urges to hold peace talks as their conflict over the Nagorno-Karabakh region continued.

    Both countries were part of the Soviet Union and have been involved in a territorial conflict since gaining independence within the 1990s. The main issue is the disputed Nagorno-Karabakh region, internationally recognised as part of Azerbaijan but controlled by ethnic Armenians.

    Armenian Prime Minister Nikol Pashinyan said on Tuesday that the atmosphere was not right for talks with Azerbaijan. Azerbaijan’s president Ilham Aliyev has also rejected any possibility of talks with Armenia.

    On Tuesday, Armenia’s foreign ministry said a civilian was killed in the Armenian town of Vardenis after it was shelled by Azeri artillery and targeted in a drone attack. Azerbaijan’s defence ministry said that from Vardenis the Armenian army had shelled the Dashkesan region inside Azerbaijan. Armenia denied those reports.

    Armenia, which earlier accused Turkey of sending mercenaries to back Azerbaijani forces, said a Turkish fighter jet had shot down one of its warplanes over Armenian airspace, killing the pilot. Turkey has denied the claim.

    On Tuesday, the United Nations’ Security Council expressed concern about the clashes, condemned the use of force and backed a call by UN chief Antonio Guterres for an immediate halt to fighting.

    Nagorno-Karabakh has reported the loss of at least 84 soldiers. The current incident is the most serious spike in hostilities since 2016, the when the nations fought for 4 days in the region. The violence resulted in the deaths of over 90 troops on each side and over a dozen civilians.

  • Black April for black gold, call to turn off the pumps

    On April 21, several ministers of OPEC+ held a teleconference to brainstorm the current dramatic oil market situation, the Organization of Petroleum Exporting Countries said. “They reiterated their commitment to the oil production adjustment reached during that videoconference,” OPEC wrote in a tweet. “They also called on HE (Algerian Energy Minister) Mohamed Arkab to continue holding such consultations on the market situation on regular basis,” they added.

    A day earlier, WTI futures for May delivery dived more than 100% to -$37.63 a barrel. June US crude futures tumbled 18% to $20.43 per barrel. Brent crude oil prices fell 8.9% to settle at $25.57 per barrel. The drop on April 21 for WTI contracted for May basically shows the markets distrust in the historic OPEC+ deal last week to cut production.

    International Energy Agency (IEA) head Fatih Birol has called for deeper oil productions cuts. “We continue to see extraordinary turmoil in oil markets in this ‘Black April’ for the industry. The OPEC+ supply cut is a solid start but insufficient to rebalance the market immediately due to the scale of the drop in demand,” he wrote in a tweet on April 21. He noted that the IEA suggests that those countries that made the recent decisions to reduce production act as soon as possible and also consider deeper cuts.

    Birol also urged the financial authorities to adopt measures to discourage disorderly market outcomes.

    Finally, the IEA suggests that countries with strategic reserves make capacities available to help take surplus barrels off the market.

  • Eni rinnova il proprio sito sul web

    Eni ha reso noto di aver rinnovato il proprio sito web “eni.com” per comunicare le attività del gruppo, il mondo dell’energia e le sfide della transizione energetica.

    Secondo Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, «il nuovo eni.com simboleggia la trasformazione che Eni sta portando avanti, nella quale l’innovazione riveste un ruolo fondamentale. Il nuovo sito vuole costruire un legame di fiducia con i visitatori, raccontando non solo la galassia Eni, ma anche il mondo dell’energia, con le opportunità, le tecnologie, le implicazioni economiche, politiche e sociali intrinseche al cambiamento epocale di questi anni. Il filo conduttore saranno gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) dell’Onu per il 2030, sui quali abbiamo costruito la nuova mission di Eni».

    Affiancando l’analisi di temi come la decarbonizzazione e l’economia circolare, al racconto del contributo di Eni per una transizione equa e trattando anche di geopolitica ed innovazione tecnologica, il sito propone sia contenuti proprietari che approfondimenti esterni. Il visitatore può scegliere quali sono i contenuti del sito per lui più rilevanti e organizzare le tematiche secondo i propri interessi, aggiungendo o eliminando i vari canali dinamici dal menù personale. Il sito introduce anche soluzioni avanzate per facilitare la navigazione dei contenuti. Grazie all’intelligenza artificiale, il motore di ricerca del sito è in grado di affinare la propria capacità di comprensione degli intenti di ricerca, individuando le risposte più adeguate per l’audience. Dal testo al video con la nuova produzione di “EniTV”, dalle infografiche ai podcast e alle Amp stories per la versione mobile, tutte le possibilità espressive del digitale sono integrate per raccontare la trasformazione.

    Il rinnovamento del sito “Eni.com” è un progetto a cui la Direzione comunicazione esterna e la funzione Ict di Eni hanno lavorato in collaborazione con alcune delle realtà più innovative del settore, riunite in un team coordinato da TBWA\Italia e Assist Digital. TBWA\Italia ha guidato la parte strategica, creato la content strategy e sviluppato i contenuti, mentre AssistDigital ha guidato il design della customer experience e la creatività dell’ecosistema digitale. StoryFactory ha sviluppato lo storytelling concept del sito, Jakala la data strategy e Ad Maiora si é focalizzata sulle attività Seo. La parte tecnologica è stata sviluppata in collaborazione con Reply per le attività di sistem integration ed Exprivia per l’application management.

  • L’UE esorta la Turchia a fermare le perforazioni illegali al largo di Cipro. E intanto prepara nuove sanzioni

    L’Unione europea, mentre prepara nuove sanzioni, ha esortato la Turchia a interrompere le sue attività di perforazione “illegali” nella zona economica esclusiva di Cipro (ZEE) dopo aver annunciato che la nave di Yavuuz condurrà ulteriori attività di esplorazione e perforazione nell’area. In una dichiarazione rilasciata sabato, il portavoce della politica estera dell’UE, Peter Stano, ha affermato che le azioni della Turchia minano la stabilità regionale e che “sono necessari passi concreti per creare un ambiente favorevole al dialogo civile”.Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan “ha promesso” giovedì di iniziare a perforare al largo della costa di Cipro “il più presto possibile”, mentre Ankara a novembre ha firmato un accordo per le zone marittime con il governo del generale Khalifa Haftar, con sede a Tripoli, rivendicando vaste aree di acque territoriali della Grecia e di Cipro.

    “Il diritto internazionale del mare, il principio delle relazioni di buon vicinato, la sovranità e i diritti sulle zone marittime di tutti gli Stati membri devono essere rispettati”, ha affermato l’UE nella sua dichiarazione.

    Intanto la nave Yavuz avanza nell’area autorizzata “G” nel sud di Cipro per condurre un’altra operazione di perforazione in un’area autorizzata dalle società energetiche Eni e Total.“I ciprioti turchi hanno diritti tanto quanto i ciprioti greci. Se petrolio e gas naturale dovessero essere trovati in quest’area, entrambe le parti condivideranno le entrate insieme”, ha aggiunto il portavoce dell’AMF Hami Aksoy. Nella stessa dichiarazione si commenta anche la decisione dell’UE che starebbe applicando politiche non realistiche, pregiudizievoli e di doppio standard nel suo approccio alla Turchia e ai turco-ciprioti.”La Turchia si sta trasformando in uno stato pirata nel Mediterraneo orientale”, ha dichiarato la presidenza cipriota. “La Turchia insiste nel percorrere la strada dell’illegalità internazionale”, in quanto ha “provocatoriamente ignorato” l’UE che chiede il rispetto del diritto internazionale e la cessazione delle sue attività di trivellazione.

  • La Ue vuole interrompere le relazioni diplomatiche con la Turchia

    Il Consiglio dell’UE ha votato il 15 luglio la sospensione delle attività diplomatiche tra UE e Turchia in risposta a «nuove e continue» attività sulla costa di Cipro da parte del Paese asiatico. Almeno due navi turche hanno trivellato petrolio e gas nelle acque territoriali cipriote; il governo turco rivendica diritti di esplorazione sulla regione mentre l’Ue ha più volte invitato Ankara a non proseguire tali attività.

    A seguito della decisione europea, il ministero degli Esteri turco ha rilasciato una dichiarazione in cui ha respinto le conclusioni del Consiglio e lo ha accusato di mostrare pregiudizi ingiustificati a favore di Cipro. «Non dovremmo prendere sul serio le decisioni dell’Ue» ha dichiarato il ministro degli Esteri Mevlüt Çavuşoğlu al sito di notizie turco Habertürk: «Abbiamo già tre navi lì e ne stiamo inviando una quarta» ha aggiunto.

  • L’ambientalismo italiano fa ricche Albania e Croazia

    Shell ha scoperto un «potenziale significativo» di greggio in Albania, a circa 80 chilometri dalle coste pugliesi, nella stessa area di Val d’Agri e Tempa Rossa, dove le norme ‘blocca trivelle’ del decreto semplificazioni impediscono all’Italia di sfruttare le ricchezze naturali presenti.

    I primi test di Shell sulla scoperta di Shpirag, situata nell’entroterra dell’Albania nei pressi di Berat, hanno evidenziato un «significativo potenziale di olio leggero», ha reso noto giorni fa la stessa major anglo-olandese in un comunicato. Le verifiche condotte grazie al pozzo esplorativo Shpirag-4  hanno mostrato un potenziale produttivo di diverse migliaia di barili al giorno di petrolio.

    A pochi chilometri dalla costa pugliese si possono “ammirare” grandi strutture, battenti bandiera croata, che proseguono le loro trivellazioni in mare alla ricerca di petrolio e gas. La Croazia come l’Italia aveva deciso lo stop alle perforazioni in mare nel 2015 ma il governo di allora, guidato da Zoran Milanovic, è caduto dopo breve tempo, riaprendo la questione e portando ad accelerare le attività di ricerca ed estrazione del petrolio nel mar Adriatico. Non solo. Oltre ai piani di sfruttamento dell’Adriatico, Zagabria ha lanciato una nuova gara per cercare altri giacimenti al pari del Montenegro, dove nei mesi scorsi sono stati operate una serie di prospezioni geologiche commissionate da Eni e dalla russa Novatek. Secondo il Sole24Ore «sotto la tavola di sabbia che forma il fondale dell’Adriatico c’è molto più metano di quanto si potesse sperare. Due numeri per fare il raffronto: oggi dai giacimenti sotto il fondo dell’Adriatico si estraggono 2,8 miliardi di metri cubi l’anno; le riserve individuate in questi mesi fanno pensare che invece si possano estrarre 4 miliardi di metri cubi l’anno. Tantissimo, rispetto ai 5,5 miliardi di metri cubi di gas estratti da tutti i giacimenti italiani nel 2017. Un soffio impercettibile, rispetto ai 75 miliardi di metri cubi che l’Italia ha bruciato nel 2017, dei quali 70 miliardi arrivati da lontano attraverso migliaia di chilometri di condotte». Ma che Eni era pronta a estrarre, tanto che «aveva annunciato 2 miliardi di investimenti sull’Adriatico, che in Europa è una delle aree più ricche di metano e che viene sfruttato con intensità dagli anni 70». A fine aprile è arrivato lo stop anche per Edison: l’ampliamento della piattaforma petrolifera Vega nel canale di Sicilia non si farà. Il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, come ha annunciato su Twitter, ha firmato il decreto ministeriale per bloccare la realizzazione di 8 nuovi pozzi di ricerca a largo di Ragusa.

    Secondo il Bollettino ufficiale degli Idrocarburi e delle Georisorse del 31 gennaio scorso le compagnie attive negli idrocarburi in Italia includono colossi come Eni, Shell, Total, Edison, ad aziende di dimensioni minori come le americane Global Med, Delta e AleAnna, le britanniche Rockhopper, Nothern Petroleum e Sound Energy con la sussidiaria Appennine e l’australiana Po Valley legata a Saffron Energy e tante altre.

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