pianeta

  • Scelte prudenti per salvare il Pianeta

    Durante la Cop 28 ben 22 Paesi hanno espresso la volontà di accelerare sul nucleare, nel frattempo nel Regno Unito si è diffuso l’allarme per quanto sta accadendo da tempo, nel silenzio degli incaricati al controllo, al nord dell’Inghilterra, a Sellafield, l’ex impianto per la produzione di energia atomica.

    Secondo un’inchiesta del Guardian i vertici della società di gestione non hanno avvertito che il sito, da tempo usato per lo smaltimento delle scorie nucleari, è ormai fatiscente con crepe nel serbatoio dei fanghi tossici e la conseguente fuoriuscita di liquido radioattivo.

    La notizia sembra aver creato tensioni con altri Stati in considerazione dell’alta tossicità e del gravissimo rischio nucleare.

    Non è certo il primo problema che si è posto in tema sia di gestione delle centrali nucleari che di smaltimento delle scorie, anche in Italia non è chiaro cosa stia succedendo a Caorso, come abbiamo scritto tempo fa sul Patto Sociale (Smaltire, tacere, ascoltare – 28 febbraio 2023).

    Energia pulita non può voler dire energia ad alto rischio, pericolosa per le persone di oggi e di domani e per il territorio, nei suoi molteplici aspetti, che, se inquinato, per decenni non potrà né essere abitato né essere produttivo.

    La guerra in corso in Ucraina, con i settimanali allarmi per le centrali nucleari che i russi hanno occupato, o vogliono occupare, con il conseguente vicino e continuo bombardamento da entrambe le parti, dimostra come questi impianti siano fonte di grave rischio comune sia per azioni di guerra che di sabotaggio e terrorismo, terrorismo che è ben presente, non solo in Europa, al di là di azioni belliche ufficiali.

    Salvare il pianeta, e perciò l’ecosistema che ne garantisce la vita, significa essere molto prudenti nelle scelte, queste devono essere prese tenendo in considerazione non solo gli eventuali vantaggi immediati ma anche le conseguenze a lungo termine in tutti i possibili scenari: dalla incuria umana agli attacchi alla sicurezza.

  • L’UE approva la dichiarazione internazionale su clima e salute in occasione della Giornata della salute della COP28

    Domenica 3 dicembre la Commissione ha approvato ufficialmente, a nome dell’UE, una dichiarazione internazionale su clima e salute. L’approvazione ha avuto luogo negli Emirati arabi uniti nel contesto della Giornata della salute della COP28, durante la quale si è tenuta la prima conferenza ministeriale in materia di clima e salute, con la partecipazione del Vicepresidente esecutivo per il Green Deal europeo, le relazioni interistituzionali e le prospettive strategiche, Maroš Šefčovič.

    Si stima che l’ondata di calore dell’estate del 2022 abbia causato 62 000 decessi in Europa. L’aumento delle temperature sta inoltre generando nuove minacce per il nostro continente, tra cui le malattie trasmesse dalle zanzare e dall’acqua. A titolo di esempio delle azioni volte ad affrontare questa sfida, l’Autorità per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie (HERA) della Commissione sta investendo 120 milioni di € per migliorare l’accessibilità alle contromisure mediche per le malattie trasmesse da vettori.

    La dichiarazione sul clima e sulla salute è un appello internazionale su base volontaria ad agire per affrontare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici sulla salute umana. Si tratta di un impegno di tutti i firmatari ad adoperarsi a favore di sistemi sanitari più resilienti ai cambiamenti climatici, a basse emissioni di carbonio e sostenibili e a fare di più per proteggere le persone più vulnerabili e colpite dalla crisi climatica.

  • Ognuno faccia la sua parte

    Chi ha attenzione per il futuro del pianeta ha visto con interesse i pochi ma speriamo concreti passi avanti fatti durante il Cop28 di questi giorni e sono state apprezzate le affermazioni del Presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni che si è riferita alla necessità di uno sviluppo sostenibile e di un ambiente da difendere.

    È proprio tornando in Italia che dobbiamo chiedere al premier come pensa di intervenire per impedire che siano nuovamente usati, sia nelle nuove costruzioni che nelle ristrutturazioni, materiali che sono a rischio incendio, che sono nocivi per la salute e pericolosi.

    La recente, e deprecabile, vicenda del 110%, per mancanza di leggi chiare, ha consentito che per una gran parte delle case, alle quali è stato fatto il “cappotto”, sono stati usati pannelli pericolosi e a rischio combustione, come dimostra quello che è avvenuto recentemente a Roma con la conseguenza che decine di persone sono rimaste senza abitazione e che tutta la zona è stata inquinata dai fumi.

    Una delle prime leggi che il governo dovrebbe immediatamente varare è proprio quella che impedisca nell’edilizia l’uso di materiali insicuri, inquinanti, pericolosi e nocivi. Un capitolato certo che, se non rispettato, sanzioni in modo efficace chi ha tradito la fiducia e violato la legge.

    L’ambiente, l’ecosistema si tutelano dalle foreste amazzoniche alle costruzioni di casa nostra, dalla cura del verde pubblico al riutilizzo di quanto è possibile riciclare, ognuno faccia la sua parte e il governo, senza essere inutilmente vessatorio con elefantiache e sterili burocrazie, produca leggi chiare e ne controlli il rispetto.

  • Il Pentagono e i cambiamenti climatici

    “L’obiettivo del rapporto sui futuri cambiamenti climatici è quello di comprendere le gravi implicazioni che avranno sulla sicurezza nazionale e sulle strategie da adottare per contrastarli”. Così concludeva l’introduzione al rapporto del Pentagono denominato ‘Lo scenario di un improvviso cambiamento climatico e le sue implicazioni per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti’ datato 2003 e reso pubblico dalla rivista The Observer nel febbraio del 2004. Il Rapporto è stato commissionato dall’allora consigliere per la difesa del Pentagono Andrew Marshall ed è stato redatto da Peter Schawartz, consulente della Cia, e Doug Randall, analista del Global Business Network. Non si tratta, dunque, di un documento scientifico, come quelli redatti dall’Intergovernanmental Panel on Climate Change (IPCC) ma di dati e prospettive nati in seno alla più nota (e forse più grande) agenzia di spionaggio civile del mondo.

    E a quali conclusioni sono arrivati vent’anni fa questi esperti?

    Il rapporto inizia con il puntualizzare che i cambiamenti climatici rappresenteranno certamente un serio e sempre maggiore rischio per il futuro del nostro pianeta e che il loro impatto avrà conseguenze disastrose sull’ambiente e sulla biodiversità andando a modificare radicalmente intere regioni del Pianeta. Di conseguenza, lo stile di vita di moltissime popolazioni sarà profondamente modificato creando nuovi e ingenti flussi migratori. E nello specifico ipotizza che nel ventennio 2010-2030:

    • In alcune aree del Pianeta le temperature medie annuali potranno aumentare fino a 2°C mentre in altre aree, potranno diminuire fino a 3°C.
    • Le aree soggette a fenomeni di siccità e infertilità dei terreni aumenteranno esponenzialmente;
    • Alcuni venti, da secoli più moderati, aumenteranno di intensità, specialmente in Europa occidentale e nel Pacifico settentrionale;
    • Uragani, tornado e improvvise tempeste aumenteranno di numero su tutto il globo terrestre;
    • Aumenteranno per numero ed intensità i conflitti armati per la carenza di cibo, la diminuzione della disponibilità e della qualità dell’acqua potabile e la difficoltà di accesso alle risorse energetiche (idrocarburi, minerali, etc.).

    E in ambito geopolitico e militare? Cosa prevedevano per il ventennio 2010-2030?

    In Europa (in ordine di tempo):

    • Sempre più tensioni tra gli Stati per la gestione delle risorse primarie (come acqua e cibo) ed energetiche;
    • Aumento dell’approvvigionamento delle risorse energetiche e chimiche dalla Russia con la possibilità che la Russia chieda di far parte dell’Unione Europea;
    • Aumento delle migrazioni interne;
    • Forte aumento dell’immigrazione dall’Africa;
    • Rischio di collasso dell’Unione Europea;
    • Emigrazione di circa il 5% dei popoli europei verso altri Paesi.

    In Asia (in ordine di tempo):

    • Conflitti crescenti e persistenti nel sud est Asiatico;
    • Sempre più tensioni tra Cina e Giappone per l’energia Russa;
    • L’instabilità della regione porta i paesi più potenti a incrementare politiche di riarmo (anche di testate atomiche);
    • Aumento delle relazioni tra Cina e Russia per contrastare le varie crisi geopolitiche ed ambientali;

    E negli Stati Uniti?

    • Sempre più tensioni con il Messico per i flussi migratori clandestini;
    • Aumento del fenomeno migratorio dall’Europa (in prevalenza dei benestanti);
    • Conflitto con l’Unione Europea;
    • Aumento del prezzo del petrolio per l’instabilità dell’area medio orientale e russa;
    • Rischio di conflitto tra Cina e Stati Uniti per le risorse petrolifere e la difesa dei propri alleati.

    Lo scenario è certamente quello di un mondo ridotto alla fame e sull’orlo di decine di conflitti in ogni parte del globo.

    Che dire? Oltre al fatto che al Pentagono avevano analisti veramente in gamba, se teniamo conto che la maggior parte degli eventi ipotizzati hanno avuto luogo, sulla base di queste previsioni non si sarebbe potuto fare qualcosa in più per evitarli?

    E quali sono state le conclusioni di questo rapporto? Quali sono stati i consigli di questi esperti per la tutela della sicurezza nazionale?

    Incremento degli investimenti nella ricerca militare e in quella geoingegneristica; un graduale aumento degli approvvigionamenti militari; la manipolazione del clima globale attraverso l’immissione di determinati gas o minerali nell’atmosfera e l’intensificazione dei controlli dei confini. Non una parola sulla riduzione dei consumi degli agenti o delle azioni concause dei cambiamenti climatici o sulla proposta di accordi con altri stati per fronteggiare insieme eventi e fenomeni di tale gravità. Giusto per fare solo un paio di esempi perché si potrebbero dire molte più cose al riguardo. E nel mentre stiamo vivendo il tragico scenario previsto con oltre vent’anni di anticipo, chissà cosa staranno ipotizzando gli attuali analisti del Pentagono e di tutte le agenzie di spionaggio del Mondo e, soprattutto, chissà quali soluzioni proporranno. A noi comuni mortali non resta che pregare che diano consigli più saggi e ragionevoli di vent’anni fa e, nel mentre, cercare solo di sopravvivere.

  • La sostenibilità conviene

    Come scrive sul suo sito, Alice sostiene e promuove uno stile di vita (più) sostenibile, etico e consapevole creando contenuti sui social (dove è nota come @aliceful) e collaborando con scuole, enti, associazioni, aziende e partecipando a numerosi eventi e iniziative su queste tematiche. Oggi Alice ha trent’anni e oltre trentamila followers.

    Ciao Alice. Potresti raccontarci da dove nasce tanto ammirevole impegno nel promuovere stili di vita sostenibili, etici e consapevoli?

    Sicuramente l’educazione ricevuta da bambina mi ha aiutato a sviluppare un certo senso critico. Fin da piccola, ad esempio, mi hanno insegnato a non sprecare l’acqua, la luce e il cibo e a casa mia si fa ancora l’orto. La mia è una famiglia di risparmiatori e di persone rispettose dell’ambiente. In particolare i miei nonni erano custodi di tante preziose conoscenze dell’antica cultura dell’autosufficienza di cui tanto avremmo ancora tutti bisogno. Poi, grazie a mio padre, amante degli sport all’aria aperta, ho imparato ad apprezzare ancora di più la natura e la sua forza creativa.

    Qual è stato il tuo percorso di studi?

    Al momento di scegliere il mio percorso universitario mi sono iscritta al corso di laurea magistrale in Marketing e Comunicazione d’Impresa con indirizzo pubblicitario. Affrontai la cosa con entusiasmo tanto che non appena conclusi i miei studi trovai subito lavoro presso un’agenzia di digital marketing ma ci volle altrettanto poco tempo per rendermi conto che non era quello che avrei voluto fare nella vita.

    Cosa di quel lavoro non ti piaceva?

    Il fatto di passare ore della mia vita a cercare di trovare sempre nuove ed efficaci strategie di comunicazione per riuscire a vendere prodotti il più delle volte inutili. Non solo era diventato molto stressante ma lo percepivo sempre più come incompatibile con tutte le attuali emergenze climatiche e sociali.

    E cosa ti ha fatto decidere di cambiare percorso?

    A far scattare la molla decisiva fu un post ironico su Facebook riferito al mio lavoro di digital marketer che diceva “prova a spiegare a tua nonna che lavoro fai”. E io ci provai. Mi presi infatti qualche minuto ma sentii un profondo senso di inadeguatezza verso tutto quello che mi aveva insegnato mia nonna. Persona intelligente, semplice e schietta e che ho sempre ammirato e che ancora oggi porto nel mio cuore con grande senso di gratitudine. Come detto ci provai. Ripensai alla frase di Albert Einstein quando disse “se non lo sai spiegare a un bambino di 6 anni, vuol dire che non lo sai” e mi sforzai, quindi, di immaginare cosa avrei detto a mia nonna per spiegarle il mio lavoro. “Cara nonna, i social media sono come delle piazze dove le persone si trovano a dire quello che pensano, quello che vorrebbero fare, quello che a loro piace, etc. In queste piazze ci sono anche quelli che, come me, cercano di vendere dei prodotti. Sia prodotti utili e sia prodotti inutili. Il mio lavoro consiste nel creare continuamente nuovi cartelloni e frasi per convincere le persone in queste piazze a comprare qualsiasi cosa: sia i prodotti utili che quelli inutili”. Conoscendo lo spirito pratico di mia nonna, mi sono immaginata le sue possibili reazioni: “Ti abbiamo educato e fatto studiare per questo?”. “L’essenziale, le cose utili, non hanno bisogno di essere pubblicizzate”. “A cosa serve questo marketing?”.

    Insomma, qualcosa dentro di me si era mosso. Ho passato diverse notti insonni fino a quando nel 2018 ho deciso di licenziarmi e di aprire la mia partita iva per dedicarmi completamente alla libera professione di divulgatrice di contenuti sulla sostenibilità ambientale.

    Parliamo di questi contenuti. Se domani il Ministero della Pubblica Istruzione dovesse incaricarti di redigere un progetto per inserire nel nuovo programma didattico delle scuole elementari contenuti utili all’educazione di stili di vita e alimentari più sostenibili, cosa proporresti?

    Per quanto io ami molto condividere con gli altri queste tematiche e mi piacerebbe formarmi sempre di più in qualità di insegnate, non credo di essere all’altezza di una sfida del genere. Sicuramente suggerirei di porre l’attenzione su modelli formativi che sul piano dell’educazione ambientale hanno già dato molti risultati positivi. Penso ad esempio all’esperienza delle scuole che adottano il metodo Montessori (metodo molto più utilizzato ed apprezzato nel Mondo che in Italia). Vicino al mio paese di origine ce n’è una. Insegnano, ad esempio, ai bambini a prendersi cura di una pianta per tutto l’anno scolastico, non ci sono i voti, si dà valore alla collaborazione e non alla competizione. Tutte cose molto importanti per creare la consapevolezza di quanto ogni nostro gesto può influire sul benessere dell’ambiente e della società. So che esistono altri metodi di insegnamento altrettanto positivi ma io non ne ho ancora approfondito i programmi. Detto ciò, posso aggiungere che se un certo tipo di impostazione culturale partisse dall’alto questo aiuterebbe già moltissimo. Ricordo che su un testo di economia della mia università c’era scritto che delocalizzare le aziende in paesi dove non c’è la copertura sindacale può essere una buona strategia economica. È un esempio per dire che se ai giovani non si insegna che lo sfruttamento scriteriato delle risorse umane e naturali è la principale causa delle attuali e sempre più gravi emergenze climatiche e sociali è più difficile far cambiare loro opinione nel tempo. Noi dobbiamo abbandonare il punto di vista antropocentrico. Noi siamo ospiti su questo pianeta. Dobbiamo partire da questo ragionamento. Se gli adulti non “decostruiscono”, non smontano l’idea che i nostri bisogni vengono prima di tutto il resto, difficilmente cambieranno le cose e, soprattutto, le future generazioni non avranno la giusta consapevolezza di cosa sia successo. Tutto parte da qui. Quello che sto cercando di fare è di sviluppare nelle persone un pensiero critico che li porti a capire le conseguenze disastrose che una visione antropocentrica del mondo sta avendo sull’ambiente e sulla società.

    Sogni nel cassetto?

    In primis che ci siano sempre più persone nel Mondo che prendano coscienza della gravissima attuale situazione ambientale e su ciò che ognuno di noi può fare per cambiarla. Nel relativo, tra tanti altri progetti, mi piacerebbe portare anche nelle aziende italiane corsi di formazione sulla sostenibilità a tutto tondo (dalle scelte alimentari al risparmio energetico, ad esempio) perché sono certa che ciò possa contribuire a migliorare non solo la salute di tutte le persone coinvolte (dal dirigente agli impiegati) ma possa portare a valutazioni imprenditoriali più lungimiranti e profittevoli per il futuro dell’azienda stessa.

    Se qualcuno volesse cogliere questa opportunità, come potrebbe contattarti?

    Tramite il mio sito (www.alicepomiato.it) o tramite il mio profilo instagram (@aliceful).

  • Il patto europeo per il clima: coinvolgere i cittadini per creare un’Europa più verde

    La Commissione europea ha varato il patto europeo per il clima, un’iniziativa a livello dell’UE che invita persone, comunità e organizzazioni a partecipare all’azione per il clima e a costruire un’Europa più verde. Nell’ambito del Green Deal europeo, il patto per il clima offre uno spazio dove tutti possono condividere informazioni, esprimersi e agire per far fronte alla crisi climatica, entrando così a far parte di un movimento europeo per il clima in continua crescita.

    Un anno fa la Commissione ha inaugurato il Green Deal europeo, un piano per trasformare l’UE in una società equa, sana, sostenibile e prospera, e per risanare il modo in cui interagiamo con la natura. La Commissione sta predisponendo la politica e la legislazione necessarie per dar vita a cambiamenti sistemici, ma le soluzioni delineate nel Green Deal possono avere successo solo con il coinvolgimento e il contributo attivo di tutti noi.

    Il patto europeo per il clima offre alle persone di ogni estrazione sociale uno spazio per comunicare e per sviluppare e attuare collettivamente soluzioni per il clima, grandi e piccole. Condividendo idee e traendo ispirazione gli uni dagli altri possiamo moltiplicare il nostro impatto collettivo. Il patto è un’iniziativa aperta, inclusiva e in evoluzione incentrata sull’azione per il clima: invita le regioni, le comunità locali, l’industria, le scuole e la società civile a condividere informazioni sui cambiamenti climatici, sul degrado ambientale e sul modo in cui ciascuno affronta queste minacce esistenziali. Tramite una piattaforma online e tramite il dialogo e gli scambi tra i cittadini, il patto promuoverà il collegamento tra la transizione digitale e quella verde.

    Oggi la Commissione lancia un invito rivolto a ogni persona e organizzazione affinché diventino ambasciatori del patto per il clima, dando così l’esempio e coinvolgendo le proprie comunità nell’azione per il clima.

    Il patto vuole contribuire a diffondere informazioni scientificamente fondate sull’azione per il clima e fornire consigli pratici per le nostre scelte quotidiane. Appoggerà inoltre le iniziative locali e incoraggerà l’assunzione di impegni individuali e collettivi nell’ambito dell’azione per il clima, contribuendo a incentivare sostegno e partecipazione.

    Nella sua fase iniziale, il patto darà priorità alle azioni incentrate su quattro ambiti che comportano vantaggi immediati non solo per il clima e l’ambiente, ma anche per la salute e il benessere dei cittadini: spazi verdi, mobilità verde, edifici efficienti e competenze verdi. Il patto ha un mandato aperto e la sua portata evolverà a seconda delle idee e dei contributi delle persone e delle organizzazioni partecipanti. Un evento annuale sul patto per il clima riunirà tutti i partecipanti per condividere esperienze e conoscenze.

    Il 16 dicembre, dalle 9:00 alle 11:00 CET, si terrà online l’evento per il lancio del patto europeo per il clima, con il vicepresidente esecutivo Frans Timmermans. L’evento prevede la presentazione del ruolo dei primi ambasciatori del patto europeo per il clima, un’introduzione ai prossimi impegni legati al patto e una discussione, animata da ospiti speciali, sulle azioni che tutti noi possiamo adottare per combattere i cambiamenti climatici.

    In linea con la ricchezza e diversità dell’azione per il clima in Europa, la Commissione invita i cittadini, le imprese e le organizzazioni della società civile a organizzare altri eventi dedicati al patto per il clima. Gli eventi consentiranno la discussione in varie lingue, coinvolgendo così le comunità locali, e si concentreranno su temi specifici o sottolineeranno il ruolo che particolari gruppi o settori ricoprono nell’ambito del patto per il clima.

    La Commissione europea ha annunciato per la prima volta il patto europeo per il clima all’interno degli orientamenti politici della presidente von der Leyen, pubblicati nel luglio 2019. Nel dicembre 2019 la comunicazione sul Green Deal europeo ha ulteriormente approfondito gli obiettivi del patto per il clima. Tra marzo e giugno 2020 si è svolta una consultazione pubblica aperta i cui risultati hanno contribuito all’elaborazione della comunicazione pubblicata oggi.

  • Il Tempo del prima e del dopo

    Se fossimo saggi, se avessimo quel minimo di saggezza, di comprensione degli eventi e di capacità di elaborarli, che ha consentito, nei secoli e nei millenni, agli essere umani di conservare la specie, dovremmo capire che c è un prima e un dopo. Un prima e un dopo pandemia.

    Il prima è come siamo stati per decenni, quei decenni che ci hanno consentito di arrivare ad un grado di benessere altissimo per alcuni mentre intere altre popolazioni vivevano ancora, sia economicamente che culturalmente, in realtà arretrate fatte di fame e di violenza fisica. I soprusi appartengono invece a tutte le fasce sociali e a tutte le epoche. Il Tempo del prima è il lungo periodo delle scoperte scientifiche utili e di quelle pericolose, il periodo dello stravolgimento dei sistemi economici, dovuti al prevalere della finanza virtuale sull’economia reale e i derivati, che hanno avvelenato la maggior parte delle banche, sono solo uno dei tanti aspetti nocivi che hanno inquinato, in modo globale, la società.

    Il Prima è lo sfruttamento sconsiderato del pianeta perché chi lo effettuava era incapace di previsione delle conseguenze o indifferente alle stesse. Molti si sono sempre sentiti al di sopra o, meglio ancora, al di fuori, da quello che riguardava le persone normali. E’ sempre esistita, ed è stata particolarmente radicata negli ultimi decenni, la convinzione, in alcuni piccoli gruppi di persone, particolarmente potenti per i mezzi i diversi mezzi, che avevano a disposizione, che le eventuali conseguenze negative delle loro scelte non li avrebbero colpiti. Ed è prevalsa, sia nel mondo capitalista che in quello comunista, la convinzione che il patrimonio che la natura ci aveva offerto, dalle foreste ai giacimenti del sottosuolo, dagli animali, alla gestione delle acque e alla modifica dei venti fosse eterno o anche eventualmente sostituibile.

    Il dopo se fosse il ritorno al prima, alla realtà che ci ha portato alla pandemia e al suo diffondersi nel mondo, sarebbe ricominciare un cammino destinato a portarci a nuove tragedie senza più possibilità di tornare indietro. Una strada senza uscita, un baratro nel quale dopo aver lanciato i più anziani vedremo cadere giovani e bambini nell’inarrestabile declino della specie più debole del pianeta, l’uomo. C’è un prima al quale non possiamo, non dobbiamo ritornare come se nulla fosse accaduto e se il tempo del contagio e dell’isolamento non è servito a comprendere che ci sono momenti nei quali si deve scegliere e saper dividere il grano dall’olio allora tutto diventa pericolosamente possibile. Prima di arrivare al dopo, al nuovo tempo, dobbiamo affrontare molte sfide, quelle economiche con centinaia di migliaia di persone rimaste senza la prospettiva di un lavoro e di centinaia di migliaia che il lavoro hanno perso sia come dipendenti che come imprenditori. Le sfide economiche sono aggravate in Italia da una burocrazia elefantiaca e dall’evidente calo di consumi frutto della mancanza di reddito di chi non lavora o lavora a ritmo ridotto. La mondializzazione, che era stata affrontata senza la capacità di guidarla, è servita al virus per espandersi, i controlli internazionali hanno funzionato male e con ritardo, i paesi hanno gestito la pandemia in modo difforme ma il virus ha colpito quasi tutti più o meno con la stessa intensità ed ovunque le vittime più numerose sono stati gli anziani. La politica ha dovuto lasciare campo libero ai tecnici, spesso non adeguatamente preparati e sicuramente non in grado di supportare le risposte scientifiche con le necessità sociali ed economiche della popolazione e il mondo si è spaccato tra negazionismi e super previdenti senza che il risultato complessivo cambiasse. Siamo tornati in pochi giorni alle misure di cautela utilizzate nei secoli scorsi per le grandi epidemie, lavarsi le mani, stare lontani, coprirsi la bocca. Tutta la nostra sapienza tecnologica e il credere di poter vedere avanti con business sempre più avanzati non ci ha consentito di provvedere in tempo a fare scorta dei presidi di protezione più elementari, come le mascherine, i tamponi e i reagenti necessari per andare a stanare il virus. Qualcosa di infinitamente piccolo, qualcosa che presumibilmente, ancora una volta arriva da un animale e dalla nostra incuria e superbia ci ha messo tutti in ginocchio nonostante i nostri viaggi su Marte, le più sofisticate armi nucleari ed i sistemi informatici e robotici che ormai ci esonerano anche dal pensare.

    Se torneremo  al tempo di prima sarà per indifferenza, per ignoranza, per inerzia, per nostalgia, per prosopopea, perché prima avevamo la sensazione di sapere, di conoscere, anche nei momenti difficili, la composizione della nostra cuccia o la posizione del nostro ipotetico trampolino di lancio. Sembrava tutto possibile e permesso, chi non arrivava al benessere poteva sperarci, chi c’era arrivato arrancava per conservarlo, tutti comunque nell’ignoranza di cosa si celava dietro la nube tossica dell’inquinamento, l’abbattimento di una foresta, il pericolo degli allevamenti intensivi e dei troppi prodotti pericolosi abbandonati o portati appositamente sul terreno agricolo e nella falda.

    Il dopo è la crisi economica sia per i mercati internazionali che dovranno riconsiderare chi è in grado di comperare e a che prezzo vendere, sia per i mercati interni che già soffrivano da tempo, e si dovranno fare i conti con i derivati che hanno intossicato le banche, con le necessità dell’economia reale che quando produce rischia di non trovare a chi vendere. Il dopo è anche la crisi umana che covava da tempo e che è sul punto di esplodere. Prima lentamente siamo stati portati a confondere i diritti individuali, sanciti anche dalla carta universale, col diritto di ciascuno di fare qualunque cosa gli potesse portare appagamento, senza tenere conto di quanto ledesse gli altrui diritti la difesa dei propri piaceri. Più importanti i diritti degli adulti di chiamare figlio anche chi è, su commissione, stato procreato da altri che il diritto di una nuova creatura obbligata a venire al mondo, più importante il diritto di affermare la propria religione o tradizione che rispettare le vite altrui e l’inviolabilità fisica di altri esseri umani.

    Più importante poter vendere a poco prezzo che conservare, come necessarie all’ecosistema, non solo di un area determinata, le foreste rumene o amazzoniche, più importante strappare energia dalle rocce che impedire lo sprofondamento di intere aree, più importante solcare avanti e indietro i cieli che riflettere sulle conseguenze sopportate dall’atmosfera, più importante iniettare lo zucchero nelle fragole o gonfiare i vitelli che produrre con meno guadagno ma nel rispetto della salute. Popoli di vecchi malandati e caparbi nella difesa delle loro verità, nei mondi sviluppati, popoli di giovani arrabbiati, affamati e sempre di più disposti anche al suicidio pur di trascinare con se i presunti colpevoli, nei paesi meno sviluppati. E’ stata chiamata civiltà quel tipo di progresso che intorno alle megalopoli ha creato le bidonville o gli ammassamenti nei casermoni popolari e che ha assistito alla propria sconfitta per colpa di un virus invisibile e vecchio come il mondo.

    Per contenere il virus hanno detto che bisognava mantenere il distanziamento sociale. Non il distanziamento fisico ma sociale. Già da questo lapsus freudiano capiamo quanto privo dei più elementari valori, quanto anaffettivo, era il tempo del prima, il distanziamento sociale ha significati ben diversi dal distanziamento fisico! Il tempo del dopo non può essere uguale al tempo del prima perché il silenzio dell’isolamento, i malati, i morti, le differenze e le difficoltà economiche dovrebbero averci insegnato la necessità di saperci reciprocamente aiutare con una solidarietà vera e costante, di pretendere dalle istituzioni, e da chi le rappresenta, il rispetto del ruolo che ricopre, la capacità di affrontare per tempo i problemi e di sapersi assumere le responsabilità delle scelte che comunque vanno sempre prese nel rispetto della democrazia parlamentare e della nostra Costituzione. Il tempo del dopo è il tempo dell’ambiente, della sua preservazione, unico modo per conservare la salute e il lavoro. Il tempo del dopo è il tempo che sconfigge l’arroganza e premia il merito, che boccia l’intruppamento, il pensiero unico e crede che la scienza debba essere coniugata con la coscienza, che sa che il mercato deve avere regole corrette, che chi sbaglia deve pagare, che le megalopoli non sono sempre una conquista di libertà e che per costruire il futuro si deve cominciare a costruire il presente.

     

  • L’uomo e il pianeta vivranno solo se l’ecosistema manterrà il suo equilibrio

    Sabato 19 ottobre, al Mulino di Tuna (Gazzola – PC), si è svolto il convegno Dal ghepardo all’elefante, dal lupo all’orso, per salvare l’uomo e la terra. Grande la partecipazione del pubblico che ha manifestato interesse e desiderio di rimanere aggiornato sui problemi e sulle proposte per mantenere e salvare l’ecosistema. All’incontro hanno partecipato Betty von Hoenning, presidente della sezione italiana del Cheetah Conservation Fund, Giovanni Quintavalle Pastorino, ricercatore all’Università Statale di Milano e dell’Università di Manchester, Maurizio Ritorto, veterinario che si occupa prevalentemente di medicina e chirurgia degli animali da compagnia, Anastasia Palli, responsabile per la Lombardia di A.A.A.L.I. (Associazione degli Affidatari Allevatori del Lupo Italiano), l’On. Cristiana Muscardini, che al Parlamento europeo è stata vicepresidente dell’Intergruppo per la protezione degli animali e della quale riportiamo di seguito l’intervento tenuto in occasione del convegno.

    Il pianeta e perciò l’uomo possono continuare a vivere solo se l’ecosistema mantiene il suo equilibrio. L’inquinamento è una delle principali cause del disequilibrio, ormai in essere, e per questo da qualche tempo si sono alzate più voci, accademiche e di popolo, affinché la politica e l’economia, nei suoi vari aspetti produttivi, invertano la rotta rendendo compatibili le diverse attività umane con l’abbassamento dell’inquinamento. Vi sono poi cause naturali che portano a modifiche climatiche che a loro volta modificheranno l’assetto geologico e la vita delle future generazioni.

    Un aspetto che sembra però sfuggire, sia alla politica che all’economia, è che l’ecosistema si basa sulla sopravvivenza delle migliaia di specie della fauna e della flora. Stanno scomparendo, e sono già scomparse, troppe specie non solo di animali selvatici ma anche domestici. Il non rispetto delle diversità oltre a creare omologazione culturale, anche nel cibo e nei manufatti, crea squilibri sempre più pericolosi. La distruzione, voluta e procurata, di immense aree verdi, dall’Amazzonia alle aree nordiche, non ha solo distrutto i polmoni verdi del pianeta ma piante, insetti ed animali la presenza dei quali ha consentito, fino ad ora, quell’equilibrio che ormai è seriamente a rischio. Se a questo aggiungiamo che la popolazione mondiale è in continuo aumento, nonostante la sempre più forte carenza di acqua e di cibo, è facile comprendere come la preservazione delle specie in via di estinzione dovrebbe essere un dovere non solo di associazioni meritorie che purtroppo sono troppo isolate nella loro tenace attività.

    Come far convivere gli animali selvatici con l’agricoltura, le strade, le case che avanzano? In Europa l’inutile consumo di suolo è un problema ignorato dalla politica mentre deve essere una priorità, non solo per i paesi meno industrializzati, l’attenzione a non distruggere le aree verdi, i polmoni verdi che non appartengono ad un solo stato o ad un solo continente ma ad un intero pianeta ed in certe aree del mondo questo è un problema che va affrontato anche culturalmente.

    La battaglia per evitare sparizione di alcune specie animali è alle ultime battute, se non si interviene sarà troppo tardi. Citiamo solo alcuni esempi: il corno d’Africa, per altro quasi tutto in mano agli Shabaab, gli islamisti terroristi che si sono macchiati e continuano a macchiarsi dei più sanguinosi attacchi terroristici anche negli stati confinanti, alimenta un importante commercio illegale di cuccioli di ghepardo. La Cnn rivela che ogni anno almeno 300 cuccioli sono catturati, ancora piccolissimi, la maggior parte muore durante il trasporto verso gli Emirati arabi dove sono molto richiesti come status symbol per super ricchi.

    Il rinoceronte bianco è ormai estinto e solo la passione di alcuni scienziati, tra i quali Cesare Galli, cerca di salvarne la specie con l’unione degli ovuli delle uniche due femmine viventi e lo sperma congelato di due maschi già deceduti, un’impresa difficilissima alla quale auguriamo ogni successo. Ma anche i rinoceronti neri sono ad altissimo rischio, infatti i bracconieri continuano a cacciarli per poter vendere ad alto prezzo il loro corno richiestissimo, specie in Cina, per le sue fantomatiche doti afrodisiache e curative. Ancora nel novembre del 1991 chiedevo, in una interrogazione alla Commissione europea, in quali Stati, a partire dal Regno Unito, fosse ancora in essere la vendita dei corni di rinoceronte visto che era già entrato in vigore il divieto. Ancora nel dicembre 2012 tornavo sul problema del bracconaggio, che negli anni ha sterminato decine di migliaia di elefanti, per chiedere ragione della continua caccia permessa in alcuni Stati sia ai grandi felini che in Namibia alle ontarie da pelliccia. Stava e sta di fatto che, nonostante gli sforzi di alcuni governi, il Kenia ha addirittura bruciato tonnellate d’avorio come esempio per lottare contro questo traffico, il prezzo dell’avorio e del corno di rinoceronte continua a salire per una domanda che non si arresta, ecco perché il problema è anche culturale.

    Oltre mille ghepardi sarebbero in mano a privati nei paesi del Golfo e secondo Il Corriere della Sera del 27 agosto in Iran alcuni scienziati, impegnati nel collocare fotocamere per controllare i movimenti dei cinquanta ghepardi superstiti, al fine di preservarli, sono stati arrestati dai Guardiani per la Rivoluzione con l’accusa di spionaggio ed uno di loro è morto in prigione.

    Dal primo film del Re Leone, uscito 25 anni fa, la popolazione dei leoni africani si è dimezzata. I contrabbandieri e i bracconieri, nonostante le leggi che proteggono gli animali selvaggi, uccidono i leoni per estrarre denti ed artigli che saranno poi utilizzati per fabbricare gioielli. Se dal Nepal arriva la buona notizia dell’opera che sta facendo il Wwf per salvare la tigre, purtroppo lo sterminio di questo animale continua in alcuni paesi asiatici, in tutto il Nepal sono rimaste solo 235 tigri e 103 nel Bhutan. Le fotocamere sono uno strumento molto importante per ben identificare le tigri e i loro spostamenti in quanto ogni tigre ha delle strisce diverse  dall’una all’altra.

    Secondo un articolo di Francesco Petretti mentre le specie selvatiche si estinguono al ritmo di due al giorno si stanno estinguendo anche diverse razze di animali domestici dalla capra girgentina, con le corna a cavatappi, agli asinelli bianchi dell’Asinara, solo in Italia sono a rischio 38 razze di pecora, 24 di bovini, 22 di capre, 19 di equini, 10 di maiali, 10 di uccelli da cortile e 7 di asini. “La scomparsa delle razze domestiche non è solo una perdita culturale ma significa mettere un’ipoteca sulla capacità futura di produrre cibo”, certamente Petretti ha ragione perché le diversità delle razze e degli animali domestici corrispondeva alle diversità ed alle esigenze del territorio.

    La recente strage di elefanti in Sri Lanka ripropone il problema di come salvare gli animali salvando le colture, l’agricoltura, gli insediamenti di una popolazione in espansione e che deve capire come gli animali possono anche essere fonte di reddito tramite il turismo.

    In Italia, nonostante la legislazione europea, ‘Progetto Life’, vi sono regioni che insistono nel chiedere l’abbattimento dei lupi, specie protetta ed oltremodo necessaria per controllare l’eccessiva proliferazione di ungulati. In questi anni gli agricoltori si sono lamentati più volte per l’eccessivo aumento dei cinghiali, animale particolarmente prolifico e solo dove sono finalmente ritornati i lupi, per altro in tutta Italia non sono più di mille, il problema dei cinghiali si è ridimensionato. Anche l’orso è nel mirino di chi vuole tornare ad aprire la caccia a loro e ai lupi. Nei giorni scorsi vi è stata una manifestazione a Roma, a Piazza Montecitorio, per ricordare che dell’orso marsicano ormai esistono solo 50 esemplari, infatti negli ultimi 25 anni abbiamo perso 43 orsi, di cui il 40% per bracconaggio (avvelenamento, arma da fuoco e lacci), il 25% per cause accidentali legate all’uomo (investimenti stradali e ferroviari e annegamento in vasche artificiali). Anche i lupi continuano ad essere uccisi dai bracconieri, impiccati, impalati, torturati perché la violenza dell’essere umano è resa ancora più devastante dalla crudeltà e dall’ignoranza, tanto l’animale uccide per sfamarsi nel rispetta della più antica legge di natura, la catena alimentare, tanto l’uomo uccide per depravazione e piacere perverso.

    Vi è necessità di interventi urgenti per consentire la convivenza tra gli uomini, la loro attività e gli animali selvatici. Vi è urgenza di tutelare quanto è necessario all’uomo per vivere e all’essere umano è necessario che l’ecosistema sopravviva ma senza le diverse specie animali l’ecosistema muore.

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