Politica

  • La sagra delle manipolazioni e delle menzogne sull’Autonomia Differenziata per nascondere la polvere sotto il tappeto

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo dell’On. Nicola Bono, Presidente di Europa Nazione

    La riforma dell’Autonomia Differenziata nel corso della sua approvazione ha già integrato 26 violazioni della Costituzione, 12 forzature di legge e 42 truffe e manipolazioni che, per un disegno di legge di appena 11 articoli, costituiscono un record mondiale di mala politica, ed evidenziano una totale assenza di etica, moralità e correttezza di una classe politica incapace di vedere al di là dei propri interessi, le conseguenze gravissime di una triade di riforme che nulla hanno a che vedere con il bene comune e il rafforzamento della serenità e dell’unità del Paese, ma semmai l’esatto contrario.

    Ottenuta l’approvazione, la preoccupazione crescente sulla presa di coscienza dei cittadini italiani, specialmente del Sud, sta sollecitando molti soggetti politici a rivestire il ruolo di difensori d’ufficio della sciagurata riforma, con un florilegio di ulteriori bugie e manipolazioni, nonché insulti ai cittadini, senza avere mai letto il testo, e ancora meno capito, la tragedia che cercano di difendere e di trasformare in presunta opportunità per le vittime della congiura delle tre riforme.

    Tra i tanti che esaltano l’Autonomia Differenziata emergono, per inconsistenza degli argomenti, figure come quella del Presidente della Regione Siciliana Renato Schifani e del Ministro per la Protezione Civile e le politiche del Mare Nello Musumeci che, dopo 17 mesi di processo approvativo della legge, con i loro interventi, se in buona fede, dimostrano di non avere capito nulla di questo provvedimento. In particolare Schifani nell’accusare nientemeno di “terrorismo politico” gli attacchi all’Autonomia, dichiara fideisticamente (ma senza avere letto una riga del provvedimento legislativo) “di rifiutarsi di pensare che questo governo possa approvare intese pericolose per il Sud”, e conclude la sua esternazione sostenendo la sua tesi, del tutto infondata, sul principio che “se non ci saranno i Livelli Essenziali di Prestazione l’Autonomia non partirà”. Gli fa eco il Ministro Musumeci che, dall’alto delle sue note competenze legislative e giuridiche, messe in atto nei cinque anni di gestione della Regione Siciliana dove ha risolto miracolosamente ogni problema, con il cipiglio che gli è tipico, insulta i meridionali e li sprona a smetterla di piangere. Ed aggiunge una affermazione criptica “Noi abbiamo bisogno di competere con il Nord, sapendo che i nostri obiettivi sono diversi da quelli delle regioni settentrionali”; per concludere “Io ho votato il provvedimento al Senato e non avrei mai votato un provvedimento che potesse pregiudicare l’unità d’Italia”, con ciò confermando che non ha letto, o non ha capito il provvedimento approvato.  Questi due campioni della politica siciliana si assumono la responsabilità di difendere una norma indifendibile, incuranti del destino di 20 milioni di italiani del Sud, venduti a logiche di interessi personali e partitici, che di colpo vengono privati dei loro diritti costituzionali, del loro futuro e del doveroso rispetto dovuto al popolo sovrano. Come si fa a non capire che con l’approvazione della legge, nessuno potrà fermare il processo di trasferimento dei fondi dallo Stato alle regioni ricche, che lo otterranno con le intese che saranno operative nel giro di 4-5 mesi al massimo? Il procedimento previsto nei 24 mesi dall’approvazione del disegno di legge dei decreti legislativi per la determinazione dei LEP non riguarda le regioni ricche, che hanno le commissioni paritetiche, e quindi da subito potranno aumentare a loro piacimento i costi del LEP. Sono soltanto le Regioni fragili che dovranno aspettare i 24 mesi, e poi eventualmente per l’aumento dei costi dei LEP: prima dovranno aspettare altri tre anni, e poi anche il finanziamento dello Stato, che nel frattempo le regioni ricche avranno svuotato, e quindi non ci saranno le risorse necessarie a sostenere tali spese. Quindi Schifani e Musumeci, e tutti coloro che hanno votato questa riforma, specialmente se eletti nel Sud, con questo provvedimento hanno tradito non solo i diritti costituzionali dei cittadini del Sud, ma la logica stessa della solidarietà come principio fondativo della Patria comune. Il Sud è stato sacrificato sul terreno della disparità dei diritti e l’Autonomia Differenziata è la prima legge della Repubblica Italiana a legittimare tale disparità con l’avere sostituito lo Jus Civitatis con lo Jus domicili, banalizzando di fatto l’art. 3 della Costituzione Italiana sulla parità dei diritti, e concedendo ogni possibile beneficio solo in base alla residenza che, per i cittadini delle regioni ricche comporterà vantaggi e prebende, a discapito dello Stato e delle regioni povere, che dovranno sopravvivere in condizioni di assoluta assenza di solidarietà e perequazione. Non è accettabile che si restituisca il residuo fiscale alle Regioni ricche, che non ne hanno alcun diritto, essendo il pagamento delle imposte erariali un dovere nei confronti delle Stato, e quindi impedire alle regioni povere di avere risorse e trasferimenti dallo Stato, come fosse una condanna alla presunta incapacità di non essere diventate anch’esse ricche. Perché la perequazione tra i territori (che non c’è nella riforma malgrado imposta dalla Costituzione) e i principi di solidarietà, prescindono dal passato e dalle eventuali responsabilità, ma incidono sul futuro, ed appare incredibile che una destra di governo possa concepire una norma così assurdamente penalizzante e divisiva, da smuovere anche l’allarme della Commissione UE che sostiene come “la devoluzione di ulteriori competenze alle regioni comporta rischi per la coesione e le finanze pubbliche del Paese”. Un’ultima domanda a Schifani, Musumeci e ai difensori d’ufficio di questo sciagurato provvedimento che non sarà dimenticato dagli italiani: quando lo Stato rimarrà senza risorse, per averle date alle regioni ricche, chi pagherà il Debito Pubblico, il Sud?

    *Presidente di Europa Nazione

  • ‘Al fianco di Berlusconi – Da Cavaliere a Presidente’, il nuovo libro di Dario Rivolta

    È uscita la seconda edizione di un libro su Berlusconi imprenditore e politico scritta da uno stretto collaboratore che gli è stato vicino negli anni del maggiore sviluppo e dell’entrata in politica. Dalla costruzione dell’impero televisivo all’acquisto del Milan, dallo sviluppo internazionale delle sue imprese alla “discesa in Campo”, Dario Rivolta fu suo assistente personale partecipando, a volte in prima persona, a molte di quelle avventure. Questa edizione, rivisitata e aggiornata, svela i retroscena e le strategie di un uomo che nel bene (secondo ammiratori e seguaci) e nel male (secondo i suoi detrattori), ha segnato la storia dell’Italia negli ultimi trenta e più anni. Ne esce la figura di un uomo carismatico e simpatico, dalle indubbie qualità di imprenditore ma con alcune manchevolezze nella gestione del suo ruolo politico. Lungi dall’essere un’agiografia o, al contrario, un ennesimo atto di accusa tra i tanti che sono stati scritti contro Berlusconi, Rivolta, senza nascondere il suo affetto, mette in evidenza gli aspetti della personalità sia nelle sue luci che nelle sue ombre. Non a caso, l’ex Ministro Gianni De Michelis che ha firmato la prima prefazione scrive: “…uno che Berlusconi lo conosce bene e ne apprezza le doti indubbie e ne critica, sine ira ac studio, i difetti”. Anche l’Ambasciatore Carlo Marsili che firma la seconda prefazione è concorde: “ne è uscito un quadro che anche chi non conosceva bene Berlusconi…è indotto a valutarlo per quello che è: assolutamente obbiettivo”.

    Il libro è sotto forma di intervista e la suddivisione in capitoli tematici lo rende un racconto di facile e veloce lettura. L’intervistatore è Eric Jozsef, corrispondente in Italia di Liberation e già Presidente dell’Associazione della Stampa Estera.

    AL FIANCO DI BERLUSCONI – Da Cavaliere a Presidente

    Fas Editore 2024  Euro 19.90

    Acquistabile presso: www.unilibro.it, https://tabook.it/, www.amazon.it, direttamente presso l’editore (www.faseditore.it) oppure in libreria su prenotazione

  • Politici senza acqua

    Per governare bene bisogna conoscere i problemi che si devono affrontare oggi, avere visione del futuro e procedere celermente. Bisognerebbe anche conoscere i problemi che andavano risolti ieri e l’altro ieri e non perdere più tempo.

    Delle tante situazioni difficili che vanno risolte alcune sembrano non essere ancora entrate nella agenda, per questo suggeriamo a tutti coloro che si occupano di politica, nei luoghi ove si può intervenire direttamente o si può suggerire ad altri di farlo, perciò maggioranza e opposizioni, di fare un piccolo esperimento.

    Chiudete l’acqua centrale della vostra abitazione, dell’ufficio, dei bagni di Montecitorio e Palazzo Madama, per 24 ore rimanete senza acqua, neppure quella minerale dei vari frigoriferi e provate a vedere come vi sentite, nel frattempo, per distrarvi e passare il tempo, guardatevi qualche foto di tante zone della Sicilia, della Sardegna, del centro Italia.

    Anche se il nostro Paese è il più forte consumatore di acqua minerale sembra difficile poterla usare per irrigare i campi e, se, mentre aspettate di riaprire i rubinetti, avete voglia di leggervi qualche dato che, fino ad ora vi è inspiegabilmente sfuggito (inspiegabilmente è ironico visto i tanti interessi che ci sono dietro l’acqua e gli acquedotti) potrete scoprire che quasi il 45% dell’acqua delle reti di distribuzione va dispersa, perduta per sempre, basta riguardare quanto risulta nel 2021.

    Regioni ricche d’acqua ma senza acqua, case e imprese agricole completamente all’asciutto e intanto anche le aree dove si sono verificate le recenti tragiche alluvioni soffrono di siccità perché alluvioni e siccità si inseguono ed alternano nel ciclo idrogeologico.

    Se gli acquedotti perdono acqua non stanno certo meglio dighe e bacini di stoccaggio, sporchi di troppi sedimenti, obsoleti, mai finiti di realizzare, o mai collaudati, mentre dei dissalatori si parla solo e solo si parla.

    Senza acqua non c’è agricoltura, non c’è industria, non c’è turismo, non c’è vita ma dietro i consorzi delle acque e dei canali, dietro la gestione delle risorse idriche, dietro la manutenzione, non fatta, dei fiumi, dietro troppe attività, collocate in aree pericolose per la falda, vi sono interessi che, ad oggi, hanno scalzato via i diritti dei cittadini.

  • Il paradosso degli incentivi fiscali

    Gli incentivi fiscali possono determinare degli  esiti contraddittori a seconda del loro posizionamento.  Sembra incredibile come ancora oggi sia necessario precisare la differenza negli  esiti con la politica degli incentivi se posizionati a monte o a valle di una qualsiasi filiera industriale.

    Nel caso, per esempio, dell’industria automobilistica qualsiasi forma di incentivo relativo a favorire l’acquisto di un’auto, esattamente quanto scelto dal governo in carica, rappresenta un sostegno alla politica “commerciale” quasi sempre utilizzato, come diceva Marchionne negli anni passati, a favore della vendita di automobili estere e magari nell’ultimo periodo cinesi.

    Anche se gli esempi risultano sempre molto difficili da dimostrarsi veramente esemplificativi, sarebbe come se il bonus edilizio fosse stato adottato come incentivo alla vendita delle realtà immobiliari esistenti e non a favore di un eventuale efficientamento energetico, come è avvenuto in realtà, anche con effetti disastrosi per quanto riguarda il debito alla spesa pubblica.

    In quest’ottica, all’interno di una politica di sviluppo di una qualsiasi filiera industriale i medesimi incentivi dovrebbero rappresentare la prima forma di sostegno alle produzioni o quantomeno al mantenimento delle complesse filiere all’interno del confine nazionale.

    Solo in questo caso, quindi, questi assumerebbero i connotati di una forma di sostegno non al singolo settore manifatturiero, ma più complessivamente ne trarrebbe un vantaggio la stessa occupazione, e, di conseguenza, anche allo sviluppo della domanda interna e quindi dello stesso PIL.

    Nel complesso momento nel quale il sistema economico/industriale si trova, per la prima volta dal dopoguerra ad oggi, di fronte alla quindicesima flessione della produzione industriale un governo consapevole avrebbe dirottato ogni incentivo a monte della filiera, più che allo sviluppo del commercio dei prodotti per riuscire ad acquisire qualche decimale di crescita.

    In quanto l’obiettivo strategico dovrebbe essere quello di invertire il trend della disastrosa flessione della produzione industriale, la quale non è ancora oggi condizionata dalla politica fiscale a sostegno espressa dal governo in carica come dai precedenti.

    Va ricordato, infatti, come gli ultimi governi, compreso l’attuale, si sono dimostrati espressione di un imbarazzante pressapochismo economico optando  con la scelta dei bonus fiscali ed incentivi a valle di ogni filiera industriale e quindi anche di quella Automotive. Ed ecco allora come i risultati ovviamente non tardano ad arrivare, come qui sotto ricordati (*), con un calo della produzione industriale nel settore industriale dell’auto del -20%. Un disastro strategico e politico oltre che economico il quale non può venire semplicemente attribuito alla congiuntura internazionale ma anche ad un’incompetenza di fondo di chi ha gestito negli ultimi vent’anni la politica economica ed industriale del Paese.

    Tornando, quindi, agli incentivi fiscali ed economici, sarebbe opportuno ricordare come proprio dal loro posizionamento, se a monte o piuttosto a valle della filiera industriale, questi potranno garantire un futuro al nostro Paese oppure condannarlo alla propria estinzione industriale ed economica.

    (*) https://www.motorionline.com/anfia-ad-aprile-in-italia-la-produzione-cala-ancora-203/

  • Bipolarismo e astensionismo

    Se bipolarismo significa che due coalizioni, composte da più partiti, si confrontano e sfidano nelle competizioni elettorali con una nuova legge, che ripristina il diritto di scelta degli elettori attraverso la preferenza, il sistema può funzionare.

    Se invece attraverso il bipolarismo si tenta di riportare in vita un bipartitismo che ha già dato i suoi frutti avvelenati, allontanando i cittadini dal voto e dalla politica, siamo assolutamente contrari così come siamo contrari ad esperienze simili a quella del Pdl che tanti problemi ha creato, problemi dei quali ancora, in parte, subiamo le conseguenze.

    Quella che per molti decenni è stata la più grande democrazia al mondo, gli Stati Uniti, proprio attraverso il bipartitismo, oltre che ad un distorto sistema per il quale per votare bisogna iscriversi alle liste elettorali, sta ormai dimostrando di non essere in grado neppure di presentare per le presidenziali candidati sufficientemente credibili ed in grado di rappresentare nel mondo un punto di reale riferimento.

    Negli Stati Uniti la non partecipazione al voto, per colpa del bipartitismo, è un problema, problema che è arrivato anche in Europa e che da noi può essere arginato, eliminato, solo restituendo ai cittadini la possibilità di confrontarsi con scelte politiche e programmi chiari nei quali si sentano, almeno in parte, coinvolti.

    L’uso smodato dei social, che non possono sostituire luoghi di incontro fisico con lo scambio di idee tra persone reali, il costante affidarsi a slogan, battute, la scomparsa dei dirigenti di partito dai media televisivi e della carta stampata, che intervistano solo i leader, non fa crescere una classe dirigente, non fa conoscere ai cittadini i loro rappresentati e crea una situazione di indifferenza ed una mancanza di fiducia che si tramuta nell’astensionismo.

    Una società sempre più tecnologica sta lasciando indietro milioni di persone, anche tra i giovani che, spesso, usano questi strumenti più per isolarsi che per comunicare realmente, per questo c’è l’urgente necessità di tornare ad un confronto diretto perché se si può guardare una persona, un politico, negli occhi si può sperare che ti consideri come essere umano non come suddito da pilotare.

    Se invece le forze politiche sono tutte d’accordo, e questo sospetto non è peregrino, nel non ritenere l’astensionismo un problema per la democrazia e lo vedono invece come un’opportunità per loro perché meno gente vota meno c’è confronto ed i leader hanno più facilità nell’imporre le loro scelte ed i loro candidati è allora evidente che o i cittadini saranno in grado di trovare nuove forme per contare o si andrà sempre più verso una deriva oligarchica.

  • Chi semina vento raccoglie tempesta

    Il distacco degli elettori dalla partecipazione al voto non è indifferenza verso l’Europa ma allontanamento dalla politica partitica dalla quale non si sentono rappresentati.

    Al di là dei successi di chi ha ottenuto un miglioramento dei propri risultati, che vanno conteggiati su un minor numero di votanti, la diminuzione sempre più consistente della partecipazione è un pessimo segnale per la democrazia.

    Abbiamo avuto una campagna elettorale nella quale si è parlato di tutto meno che dei problemi che l’Europa deve risolvere e delle sfide che tutti insieme dobbiamo affrontare, all’interno dell’Unione e nel mercato mondiale, quello politico e quello economico.

    Nonostante siano state elezioni preferenziali che, attraverso la scelta dei cittadini, dovrebbero portare al Parlamento europeo deputati capaci e incentrati sui temi europei, i movimenti politici hanno candidato leader di partito, che in Europa non andranno, o figure, in genere, più legate ad interessi di categoria o di schieramento partitico che tesi ad una visione di ampio respiro con la necessaria conoscenza geopolitica.

    La campagna elettorale è trascorsa rimpallandosi polemiche e immaginando le più diverse alleanze future.

    I partiti hanno da tempo eliminato i luoghi di incontro pensando che qualche aperitivo ed i social avrebbero potuto sostituire volantini, programmi, comizi, dibattiti, sezioni, ed in televisione hanno mandato solo i big che in Europa non sarebbero andati così l’elettore si è sentito sempre più lontano, di elezione in elezione, sempre più indifferente e disamorato.

    L’astensionismo delle precedenti competizioni elettorali non è servito a nulla perché per i partiti, per tutti, la democrazia non è partecipazione: meno elettori votano e più possono sperare di fare eleggere chi vogliono.

    Molti diranno di avere vinto, altri giustificheranno quanto non hanno conquistato dicendo che non sono stati capiti, tutti continueranno come prima e gli elettori continueranno a non votare e la democrazia sarà sempre più a rischio, non è un problema di destra o sinistra ma un problema di valori e di politica, quella politica che c’è sempre meno.

    La maggioranza degli italiani non ha votato ed ora cosa cambierà? Chi ammetterà che bisogna cambiare, chi continuerà come prima?

    Ritornare a parlare ed a confrontarsi con le persone, senza proclami e promesse, sarebbe un inizio nuovo ma nessuno ha l’umiltà di ammettere di avere sbagliato nonostante i buoni risultati personali.

  • Cambiare lo sguardo per una nuova Europa e una nuova Italia

    Riceviamo e pubblichiamo una riflessione di Simone Feder, lo psicologo che da anni, con il Team Rogoredo, affianca, ascolta e cerca i recuperare i tanti giovani disagiati che popolano l’area a sud di Milano.

    In questa accesa campagna elettorale pochissimo abbiamo sentito parlare di giovani e fragilità, eppure sono questi alcuni dei punti principali su cui si può valutare l’investimento effettivo di una società rispetto al proprio futuro. Ormai da sette anni mi ritrovo a camminare a fianco a molti giovani all’interno di quel boschetto di disperazione ed è su di loro che oggi sento il bisogno di puntare un faro di luce.

    I figli di Rogoredo hanno braccia segnate da domande senza risposte, pelle marchiata da una ricerca che non ha coordinate logiche, parole non dette, silenzi frastornanti e urla logoranti che scandiscono ore di attesa, secondi di tregua e innumerevoli minuti di paura. Oggi Rogoredo non è più la stazione, non è più la sede di Sky, non è più nemmeno ‘il boschetto’.

    Oggi Rogoredo è un disarmante rito, un atroce stile di vita, un terribile quesito esistenziale che non può lasciarci silenziosi e indifferenti.

    Occuparsi di questi figli vuol dire incontrare quegli occhi, sostenere quelle schiene, stringere quelle mani, asciugare quelle lacrime, accompagnare quei passi che restano invisibili alle passerelle di chi si limita ad osservare e a pensare il “non luogo” senza vedere le persone, a parlare dei giovani senza dedicare loro tempo. Come restare indifferenti a tale dramma? Ciò che sta accadendo ci mette di fronte ad una diversità esistenziale che ci interroga profondamente, ad una diversità di “scelte” che ci obbliga a chiederci se, e come, entrarci in contatto.

    Oggi Rogoredo è una lacerante domanda a cui dobbiamo dare ascolto e risposta, prima che il suo grido diventi così forte e profondo da trasformarsi solo in un fastidioso e indifferente rumore di fondo.

    Oggi Rogoredo è la punta dell’iceberg di un disagio che sempre più attanaglia i nostri giovani, invischiandoli in ragnatele di solitudine da cui non trovano via di scampo.

    Il tema giovanile e quello dell’attenzione alla cura e al disagio non possono oggi passare in secondo piano quando si tratta di pianificare il futuro del nostro Paese. Per poter essere portatori di proposte credibili è necessario essere pronti ad investire pensiero e risorse in questa necessaria avventura che è l’accompagnamento dei nostri giovani verso il loro futuro.

    Quali alternative concrete offrire loro? Quali possibilità? Quali valori guidano oggi la loro crescita? Dove sperimentano relazioni efficaci, attività promozionali, esperienze di volontariato che possano offrire loro chiavi di lettura e di approccio al mondo diverse?

    Il problema non è mai il sintomo ma la causa di esso, soffermarci sul tema droga diventa quindi pericoloso e riduttivo. È sempre più fondamentale porsi le domande giuste ed essere pronti ad offrire le risposte necessarie a questo dilagante disagio, che non ha più nomi né confini, ma per farlo è fondamentale far ritornare questi temi all’interno della prima pagina delle agende politiche. Perché non sappiamo quando un giovane che oggi trova nella droga la sua strada deciderà di accendere la lampadina del suo cambiamento, la nostra mission oggi deve essere quella di esserci quando quel giovane sarà in ricerca dell’interruttore.

  • Perché il disegno di legge sull’Autonomia Differenziata deve essere fermato

    Ci voleva l’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per esprimere le preoccupazioni della gran parte del Paese per un imminente rischio di “Una separazione delle strade tra territori del Nord e territori del meridione che recherebbe gravi danni agli uni e agli altri”.

    Un appello forte del Capo dello Stato, per ricordare a quanti da mesi sostengono che l’Autonomia Differenziata non si farà mai, che il pericolo è ormai alle porte.

    Basta con le dichiarazioni, ultimo in ordine di tempo Cirino Pomicino, ma preceduto dai Galvagno, Schifani, Meloni, Zaia, Calderoli e migliaia di altri a sostenere la narrazione di LEP uguali per tutti, che il partito dei patrioti alla fine non consentirà questa sciagura, che i soldi non ci sono e quindi non se ne farà nulla e così via,  tentando di sminuire un disegno che invece sta per raggiungere la meta, grazie all’ignoranza sulla pericolosità dei suoi obiettivi, e alla superficialità delle analisi di chi non ha letto la legge o non l’ha capita.

    La verità è che non ci sono, né mai ci saranno LEP uguali per tutti.

    Che l’approvazione di questo disegno di legge consentirà di dare alle regioni ricche le risorse erariali pagate nei loro territori e sottratte allo Stato, che diventerà più povero ed impotente rispetto al resto del territorio nazionale.

    Che le Regioni fragili, avranno LEP finti, calcolati sulla spesa storica, già oggi al di sotto dei costi reali e tali resteranno perché lo Stato, che sarà impoverito, non potrà finanziare gli aggiornamenti dei LEP che, comunque, non potranno esserci prima del 2029.

    Che le regioni ricche, non appena fatta la legge, entro cinque mesi, e quindi al più tardi entro ottobre 2024, avranno via libera sulla determinazione dei costi reali dei LEP, e potranno concedere aumenti di stipendio anche triplicandone gli importi, e procedere ad ogni ulteriore modifica, acquisendo da subito e poi annualmente le risorse erariali dello Stato, alla faccia di chi ancora pensa che dovrebbero passare non meno di due anni per l’approvazione dei decreti legislativi.

    Che questa riforma viola ben 26 norme della Costituzione, che tra l’altro hanno finora consentito di non istituire il Fondo di Perequazione, ed addirittura aggirare gli obblighi di copertura finanziaria della norma, con il truffaldino criterio di rinviare la quantificazione dei LEP al momento della elaborazione delle Intese e non nella fase di approvazione della legge.

    Che ci sono ben 42 manipolazioni in 11 articoli di legge, che evidenziano la superficialità e mala fede nella elaborazione di una riforma, che passerà alla storia come la prima legge della Repubblica Italiana che discriminerà legalmente i diritti costituzionali degli italiani in base allo Ius domicili (cioè in base alla residenza), piuttosto che allo Ius civitatis (e cioè in base ai principi di uguaglianza garantiti dal diritto di cittadinanza).

    Le forzature sono state continue e perniciose sin dall’inizio, ed in ultimo con l’arroganza del potere di violare le regole parlamentari, imponendo la ripetizione della votazione su un emendamento dell’opposizione, che non doveva essere approvato.

    Perché sin dall’inizio questa fretta di approvare una riforma di tale rilevanza, con forzature gravi delle regole parlamentari e prepotenza ingiustificata?

    Questa corsa disperata all’approvazione prima delle elezioni europee è la spia che, qualunque questione riguardi la politica italiana, l’unico vero interesse è finalizzato alla caccia ai voti, e non al rispetto dei diritti e delle regole, che dovrebbero costituire la garanzia e la base delle decisioni al servizio dei cittadini di uno Stato di diritto e democratico.

    Ecco perché questa legge va fermata prima del voto delle elezioni europee, per consentire la verifica della compatibilità degli obiettivi con l’interesse generale del Paese, per eliminare o correggere le ripetute manipolazioni soprattutto in materia costituzionale e finanziaria, per garantire i diritti costituzionali a tutti i cittadini, ma anche perché, se fosse approvato prima dell’8 e 9 giugno, oltre a dare la prova di una coalizione di governo sotto ricatto, costretta all’approvazione dalle minacce di una Lega disperata, non ci sarebbero più i margini per impedire l’assalto alla diligenza dello Stato, in quanto, già dal prossimo mese di ottobre, inizierebbero i trasferimenti delle risorse erariali dallo Stato alle Regioni sottoscrittrici delle Intese e, quindi, l’avvio del processo di implosione dello Stato e la fine dell’Unità Nazionale.

    E il conseguente addio ai sogni di gloria del Premierato.

    In tal caso, con la legge approvata prima delle elezioni, gli elettori italiani, e soprattutto meridionali, dovrebbero valutare seriamente di negare il consenso elettorale ai partiti della coalizione di governo e ricordarlo con estrema chiarezza nei giorni dell’8 e 9 giugno.

  • Fare politica dovrebbe essere una missione ignorando i propri interessi e i propri impulsi

    Non stupisce più di tanto, anche se inorridisce, la dichiarazione, confermata in un suo libro, della governatrice del South Dakota che tranquillamente scrive di avere ucciso deliberatamente il suo cane, cucciolo di 14 mesi, perché non obbediva e non andava bene per la caccia.

    Non contenta di questa infamia la governatrice ha subito dopo ucciso, con la stessa pistola, una capretta perché la trovava brutta.

    Entrambi gli animali, con indifferente crudeltà, sono stati portati sul luogo dell’esecuzione dalla stessa governatrice che, fino all’uscita delle sue dichiarazioni, era, e forse è ancora, favorita per affiancare Donald Trump nel ticket per le presidenziali di novembre.

    Ovviamente, come riporta ampiamente il Corriere della Sera di domenica 28 aprile, si sono levate molteplici voci e proteste, da vari campi, ma al di là della tragica fine dei due poveri esseri viventi e delle battaglie, che condividiamo sempre per difendere gli animali, quello che in questo momento ci preoccupa è il futuro del popolo americano affidato a persone come Kristi Noem.

    Il motto di Trump era ed è ‘Rendiamo di nuovo grande l’America’ e, a prescindere dalle molte intricate e buie vicende che lo circondano, ci si chiede di quale spessore morale, culturale e civile siano gli altri suoi alleati e sostenitori dopo aver appreso la torbida coscienza che guida la governatrice del South Dakota e come, con questi alleati, intenda fare di nuovo grande l’America!

    Che, in ogni parte del mondo, ci sia un irrefrenabile scadimento del personale politico, che nella società, e perciò nei singoli, sia sempre più difficile ritrovare basilari sentimenti di umanità ed empatia, anche le guerre in corso lo dimostrano, che ci sia un preoccupante aumento dalla violenza e dell’indifferenza sono purtroppo dati che conosciamo tutti.

    La difficoltà degli Stati Uniti per trovare, in ogni ordine e grado, persone degne di rappresentare i cittadini in sede locale, nazionale e mondiale pone inquietanti interrogativi anche rispetto alle alleanze nel contesto internazionale.

    Ci preoccupiamo, in molti, dei gravi problemi dovuti a quelle azioni umane che hanno messo a rischio la stabilità del pianeta, cambiamenti climatici, distruzione dell’ecosistema etc, ora è anche arrivato il momento di chiederci se, per risolvere questi problemi, non dobbiamo modificare il nostro approccio alla politica e ai modi nei quali diamo consenso alla classe dirigente.

    I politici, di ogni ordine e grado, devono dare prova di avere moralità, onestà, disinteresse, capacità di provare empatia, conoscenza dei valori e rispetto dei diritti fondamentali di ogni essere vivente e dello stesso pianeta.

    Fare politica dovrebbe essere una missione, un impegno a tutto campo per il quale si deve essere disposti a ignorare i propri impulsi, a dimenticare i propri interessi, a sentire che il proprio dovere è superiore al proprio diritto.

    Oggi un cane ed una capra ci hanno comunque dimostrato che la governatrice del South Dakota è indegna di governare anche la propria casa in campagna.

  • Vittime di ingenuità e di voglia di apparire

    Quanti giovani dovranno ancora morire vittime di ingenuità, desiderio di apparire e mancanza di regole, di controlli sui messaggi che la rete diffondo turbando menti ancora acerbe ed incapaci di discernimento?

    C’è un male per nulla oscuro che pervade la nostra società e con l’intelligenza artificiale, priva di regolamentazione, i problemi e le tragedie si moltiplicheranno ma il Dio denaro, il Dio del successo ad ogni costo continuerà a prevalere se il mondo delle politica, della scienza, della comunicazione non si decideranno a collaborare ed intervenire.

    Riportiamo di seguito un articolo di Fanpage.it, a firma di Ida Artiaco, pubblicato il 19 aprile 2024

    Si tuffa da una diga per realizzare un video estremo: star dei social muore annegato a 20 anni

    Tragedia in Brasile dove Mc Dieguin Md, noto artista di funk e star dei social, è morto affogato dopo essersi tuffato in una diga per realizzare un video. L’amico che era con lui: “Ho dovuto lasciarlo andare per salvarmi”.

    Voleva realizzare un video estremo per i suoi follower ma quello che avrebbe dovuto essere un successo si è trasformato in tragedia per un 20enne brasiliano, star dei social.

    Diego Kaua Oliveira Santos, conosciuto artisticamente come Mc Dieguin Md, noto artista di funk, è morto annegato in un lago nei pressi di Americana, nell’entroterra di San Paolo, lanciandosi dalla diga del Salto Grande.

    È successo lo scorso 16 aprile. L’incidente si è verificato davanti agli occhi degli amici, che hanno tentato invano di salvargli la vita. “Diego ha iniziato ad avere delle difficoltà, trascinandomi verso il fondo. Ho dovuto lasciarlo andare per salvarmi e poi nuotare fino al bordo della diga, dove ho chiesto aiuto”, ha detto alla stampa locale il suo amico Carlos.

    I soccorritori sono intervenuti senza successo e hanno potuto soltanto accertare la morte del giovane, il cui corpo è stato recuperato in acqua 30 minuti dopo l’incidente. Le autorità hanno aperto un indagine per chiarire meglio la dinamica del decesso di Diego.

    “Buonasera a tutti voi che eravate fan di Diego, che siete fan di Diego. Oggi abbiamo ricevuto la triste notizia, Diego si è tuffato nel fiume e non è più risalito a galla. Dopo qualche ora è stato ritrovato il corpo. Mio fratello è morto, ho il suo cellulare e sto controllando io il suo profilo social”, ha annunciato sui social il fratello della vittima.

    Nato a Paulínia, nella regione metropolitana di Campinas, Mc Dieguin Md aveva 275mila follower su Kwai, oltre a più di 230mila iscritti sul proprio canale YouTube. Ha lavorato anche come cantante e cantautore e ha anche pubblicato tre canzoni su piattaforme digitali.

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