popolazione

  • Serbatoio di migranti? No, l’Africa è anche l’area con la più impetuosa urbanizzazione al mondo

    L’Africa non è solo una, se non geograficamente, perché i 54 Paesi che ne fanno parte non sono tutti omogenei. Come spiega il giornalista Federico Rampini, che sul Continente Nero ha scritto un saggio (La speranza africana), vi è anzitutto una fascia di nazioni che nel biennio 2023-24 avranno una crescita economica superiore al 5% annuo: Ruanda, Costa d’Avorio, Benin, Etiopia, Tanzania. Vi è poi un secondo gruppo di Paesi che possono aspirare al 5% annuo di aumento del Pil: Repubblica Democratica del Congo, Gambia, Mozambico, Senegal, Togo e Niger.

    Vedere l’Africa come il luogo da cui partono immigrati diretti in Europa, come da mentalità prevalente nel Vecchio Continente e in Italia, appare insomma riduttivo. Cina anzitutto, ma anche India, Arabia saudita, Emirati, Turchia vedono nell’Africa un luogo dove fare investimenti, un luogo cioé che promette sviluppo e ritorni per chi è disposto a scommetterci.

    Un rapporto della società di consulenza McKinsey sull’Africa evidenzia del resto che l’Africa sta registrando l’urbanizzazione più rapida al mondo e sta impetuosamente raggiungendo la soglia fatidica in cui sarà gli abitanti delle sue città avranno superato quelli delle campagne. Su questa base, Rampini fa presente che gli unici spostamenti di grandi masse, oggi come in futuro, rientrano nella categoria dell’urbanizzazione: abbandono di zone rurali, spostamento verso le città, con un parallelo miglioramento del benessere (come già accaduto altrove: in Cina, India e altre aree emergenti). Non importa se all’inizio molti ex-contadini vanno ad abitare in quartieri cittadini poveri e degradati, baraccopoli sprovviste di servizi essenziali: il loro reddito è comunque superiore ed infatti i consumi stanno migliorando più rapidamente che nel resto del mondo (da qui gli investimenti da parte di imprese cinesi, indiane, saudite, turche).

    Se si prende come riferimento lo Human Development Index (indice dello sviluppo umano), che raccoglie e analizza dati che riguardano il benessere economico insieme con i livelli di istruzione e la salute, si constata che Seychelles e Mauritius hanno livelli superiori alla media mondiale e che il Botswana si avvicina a questa media. Certo, appunto, esistono più Afriche e a fronte di Paesi tanto sviluppati ne restano altri, come Repubblica centrafricana e Niger, che hanno livelli che sono meno della metà rispetto alla media globale. Ma resta il fatto che vedere l’Africa solo come una minaccia, di flussi migratori, e non anche come un’opportunità è riduttivo.

  • La Cina alza l’età pensionabile

    Il governo della Cina innalzerà gradualmente l’età pensionabile prevista dalla legge, tra le più basse al mondo, per alleggerire la crescente pressione sul sistema di previdenza sociale. È quanto si apprende da un documento pubblicato dalle autorità cinesi, in cui vengono delineati piani per contrastare il calo della natalità e l’invecchiamento della popolazione, con il completamento dei relativi obiettivi entro il 2029. Attualmente, l’età pensionabile in Cina è fissata a 60 anni per gli uomini, a 55 anni per le donne che svolgono lavori impiegatizi e a 50 per le lavoratrici delle fabbriche. La riforma procede di pari passo con l’aumento dell’aspettativa di vita nel Paese asiatico, passata da circa 44 anni nel 1960 a 78 anni nel 2021. Entro il 2050, dovrebbe superare gli 80 anni.

    Come spiegato da Michael Herrmann, consulente senior presso il fondo delle Nazioni Unite per lo sviluppo della popolazione”, gran parte dei governi ricorrono all’aumento dell’età pensionabile in risposta alle pressioni demografiche, con l’obiettivo di salvaguardare i fondi dedicati alla previdenza e frenare una potenziale contrazione della forza lavoro. Attualmente, ogni pensionato in Cina è sostenuto dal contributo di cinque lavoratori: il rapporto risulta dimezzato rispetto a dieci anni fa e dovrebbe diventare di 4 a 1 nel 2030 e di 2 a 1 nel 2050. La riforma del sistema pensionistico cinese è appoggiata da diversi economisti, secondo cui il programma che prevede la riduzione della forza lavoro attiva per sostenere un numero crescente di pensionati è “insostenibile” e “deve essere riformato”. Secondo i dati del ministero delle Finanze, undici delle 31 giurisdizioni cinesi a livello provinciale registrano attualmente un deficit di bilancio relativamente alle pensioni. L’Accademia cinese delle scienze, controllata dallo Stato, prevede che il sistema pensionistico si esaurirà entro il 2035.

  • Outrage as Nigeria changes national anthem

    Some Nigerians have expressed outrage after the country’s national anthem was changed with little consultation.

    President Bola Tinubu on Wednesday signed into law the bill to revert to Nigeria’s old national anthem which was dropped by a military government in 1978.

    The newly re-adopted anthem, which begins “Nigeria, We Hail Thee,” was written by Lillian Jean Williams in 1959 which and composed by Frances Berda.

    Speaking on his first anniversary in office, President Tinubu said the anthem symbolised Nigeria’s diversity.

    But many have questioned his priorities amid the cost-of-living crisis.

    Reacting online, some Nigerians said the country had more pressing problems such as insecurity, rising inflation and a foreign exchange crisis.

    X user @Gospel_rxx posted: “A new national anthem is the priority for Tinubu & Co at a time like this, When our people can’t eat, insecurity is rife & life is hell? What a sordid joke!!. Lets see how they implement it…”

    Another X user Fola Folayan said it was shameful that parliament had rushed through the bill.

    “Changing the Nigerian national anthem written by a Nigerian, to the song written by colonizers is a stupid decision and it’s shameful that nobody in the National Assembly thought to stand against it.”

    Former Education Minister Oby Ezekwesili posted on X that she would never sing the new-old anthem.

    “Let it be known to all and sundry that I, Obiageli “Oby” Ezekwesili shall whenever asked to sing the Nigerian National Anthem [will] sing:”

    She then posted the words of “Arise O Compatriots” – the anthem which has been used for the past 46 years.

    Former presidential aide Bashir Ahmad had an interesting take as Nigerians continue to debate the issue on social media.

    “After the change of our national anthem, some people are now calling for the name Nigeria and the national flag to be changed as well. What do you think? Should we keep the name Nigeria?”

    But Tahir Mongunu, chairman of the parliamentary committee which pushed the bill through, dismissed the widespread criticism, saying it was “apt, timely and important”.

    “It will undoubtedly inspire a zeal for patriotism and cooperation. It will promote cultural heritage. Changing the national anthem will chart a path to greater unity,” Tahir said.

    And Kano resident Habu Shamsu agrees, telling the BBC: “I think it more encompassing and I like the way it flows.”

  • Il nuovo film: “2023: fuga da …”

    Negli ultimi trent’anni, all’unisono, ceto politico e mediatico hanno sostenuto la presunta sostenibilità del turismo opposta ad ogni altra forma di economia bollata come “old economy”. Questa competenza strategica ha trovato espressione sia nelle classi politiche nazionali quanto regionali e nel complesso sistema mediatico, i cui effetti hanno raggiunto un nuovo terribile traguardo individuabile nello spopolamento di due tra le più importanti mete turistiche venete ed italiane come Venezia e Cortina d’Ampezzo.

    Proprio l’altro giorno, infatti, la città lagunare ha raggiunto il triste traguardo di offrire maggiori residenzialità turistiche rispetto agli stessi abitanti ormai al di sotto della soglia di sopravvivenza con 49.998 abitanti (nel 1981 erano 108.000).

    Da anni lo spopolamento di Venezia rappresenta l’inevitabile conseguenza della ponderata desertificazione industriale che ha coinvolto anche Porto Marghera. Uno smantellamento ideologico che ha distrutto una realtà complessa che aveva portato negli anni Settanta alla creazione di decine di migliaia di posti di lavoro.

    Da questa realtà si moltiplicarono le famiglie che si trasferirono in zona sostenendo una rinnovata domanda residenziale anche nell’entroterra della terraferma.

    Con le opportune proporzioni il medesimo processo sta interessando anche Cortina d’Ampezzo la quale ha perso negli ultimi vent’anni il 9% della popolazione. Un fenomeno molto preoccupante ma che va comunque inserito all’interno di un fenomeno più complesso relativo allo spopolamento di molte comunità montane.

    La mancanza, quindi, di una politica industriale e le scellerate opzioni di una economia basata solo ed esclusivamente sul turismo risulta la principale responsabile di questo spopolamento.

    In altre parole si sono invertiti i fattori di crescita demografica e sostegno alle città.

    Quasi nessuno aveva capito, ed ancora oggi esprime una certa difficoltà anche solo ad ammetterlo, come la sola economia industriale sia in grado di assicurare uno sviluppo economico ed occupazionale e quindi demografico e sociale di una città anche se meta di una forte domanda turistica.

    Nella attuale situazione, invece, esistono ed emergono tutte le responsabilità soprattutto dei sindaci degli ultimi trent’anni anni che hanno gestito, in particolar modo a Venezia, ma vale molto spesso per tantissime località turistiche italiane, le politiche economiche guidandone la desertificazione industriale e facendola diventare un luna park che alla sera spegne le luci e diventa un deserto (https://www.ilpattosociale.it/attualita/la-presunta-sostenibilita-del-turismo/).

    Invertire ora questo trend rappresenta la vera ciclopica sfida con l’importante obiettivo di assicurare un futuro economico e sociale a queste splendide località, le quali meritano, proprio per la loro storia, una crescita demografica sostenuta da strategie economiche molto differenti dalla sola e semplice mercificazione turistica.

    Nel frattempo a giorni nelle sale cinematografiche il nuovo film “2023: fuga da Venezia e Cortina d’Ampezzo”.

  • South Koreans become younger under new age-counting law

    South Koreans have become a year or two younger as a new law aligns the nation’s two traditional age-counting methods with international standards.

    The law scraps one traditional system that deemed South Koreans one year old at birth, counting time in the womb.

    Another counted everyone as ageing by a year every first day of January instead of on their birthdays.

    The switch to age-counting based on birth date took effect on Wednesday.

    President Yoon Suk Yeol pushed strongly for the change when he ran for office last year. The traditional age-counting methods created “unnecessary social and economic costs”, he said.

    For instance, disputes have arisen over insurance pay-outs and determining eligibility for government assistance programmes.

    Previously, the most widely used calculation method in Korea was the centuries-old “Korean age” system, in which a person turns one at birth and gains a year on 1 January. This means a baby born on 31 December will be two years old the next day.

    A separate “counting age” system, that was also traditionally used in the country, considers a person zero at birth and adds a year on 1 January.

    This means that, for example, as of 28 June 2023, a person born on 29 June 2003 is 19 under the international system, 20 under the “counting age” system and 21 under the “Korean age” system.

    Lawmakers voted to scrap the traditional counting methods last December.

    Despite the move, many existing statutes that count a person’s age based on the “counting age” calendar year system will remain. For example, South Koreans can buy cigarettes and alcohol from the year – not the day – they turn 19.

    Three in four South Koreans were also in favour of the standardisation, according to a poll by local firm Hankook Research in January 2022.

    Some, like Jeongsuk Woo, hope the change will help break down Korea’s hierarchical culture.

    “There is a subconscious layer of ageism in people’s behaviour. This is evident even in the complex language system based on age… I hope the abolition of ‘Korean age’ system and the adaptation of the international standard get rid of old relics of the past,” said the 28-year-old content creator.

    Another resident Hyun Jeong Byun said: “I love it, because now I’m two years younger. My birthday is in December, so I always felt like this Korean age system is making me socially older than what I actually am.

    “Now that Korea is following the global standard, I no longer have to explain my ‘Korean age’ when I go abroad.”

    The 31-year-old doctor said South Korea’s medical sector has already been adopting the international age system.

    The traditional age-counting methods were also used by other East Asian countries, but most have dropped it.

    Japan adopted the international standard in 1950 while North Korea followed suit in the 1980s.

  • Amazonia brasileña: ante contaminación de mercurio en los pescados

    La inédita investigación «Análisis regional de los niveles de mercurio en el pescado consumido por la población de la Amazonía brasileña» revela que el pescado consumido por la población de los estados de Acre, Amapá, Amazonas, Pará, Rondônia y Roraima tiene índices de concentración de mercurio en un 21,3% superiores a lo permitido por las entidades de vigilancia de la salud. El máximo recomendado por la Agencia Nacional de Vigilancia Sanitaria es de 0,5 microgramos por cada gramo de pescado.

    El sondeo se realizó entre marzo de 2021 y septiembre de 2022 con la recolección de más de 1.000 muestras de pescados vendidos en mercados, ferias libres o comprados a pescadores en puntos de desembarque de pesca en 17 ciudades de los seis estados, incluidas las capitales.

    Según la investigación, ya se conoce la ruta de contaminación por el metal: el agua de los ríos se contamina por la acción de la minería ilegal en la búsqueda de oro y, en consecuencia, al consumir el pescado, la población también se contamina. El estado de Roraima tiene los peores datos: el 40% del pescado recolectado tiene un contenido de mercurio superior al indicado. Rio Branco, en Acre, también presenta un escenario similar, con 35,9% de pescado con alto contenido del metal.

    Paulo Basta, investigador de la Fiocruz y uno de los coordinadores del estudio, relata algunos riesgos para la salud de la población debido a la contaminación. Paulo destaca que las mujeres y los niños son los grupos considerados más vulnerables.

    El estudio de la Fiocruz contó con una alianza con la Universidad Federal del Oeste de Pará, el Instituto de Investigación y Capacitación Ambiental, el ISA (Instituto Socioambiental) y las ONG Greenpeace Brasil y WWF-Brasil.

    Fuente: Agencia Brasil. Con producción de Renato Lima.

  • Non dimenticare, per non rivivere più le atrocità del passato

    Si può perdonare, ma dimenticare è impossibile.

    Honoré de Balzac

    La scorsa settimana, il 18 aprile, ad Oswiecim, in Polonia, è stata organizzata e svolta la 35a Marcia dei Vivi. Si tratta di un’annuale celebrazione che si svolge sempre lì. Una celebrazione alla quale partecipano migliaia di studenti, ma non solo, da tutto il mondo. I partecipanti marciano silenziosi per ricordare le atrocità subite da milioni di ebrei e di altre nazioni, portati nei famigerati campi di concentramento e di sterminio nazisti durante la seconda guerra mondiale. Un’iniziativa, quella avviata nel 1988, il cui obiettivo è di ricordare quanto è accaduto in quei campi e di non dimenticare tutte le crudeltà messe in atto consapevolmente dai nazisti. Di non dimenticare per non essere poi costretti a riviverle. Si tratta di un’attività, quella della Marcia dei Vivi, che accade ogni anno tra aprile e maggio, subito dopo il Pesach, la Pasqua ebraica. E non a caso è stata scelta quella ricorrenza, essendo il Pesach strettamente legato con l’Esodo: la liberazione degli ebrei e la loro partenza verso la Terra promessa. Le Sacre Scritture testimoniano, con il libro dell’Esodo, come gli ebrei, schiavi in Egitto, sono stati liberati da Dio, che aveva scelto Mosè per guidarli. Dopo aver attraversato, prima il mar Rosso e poi il deserto di Sinai, sono finalmente arrivati vicino alla Terra promessa dal tempo di Abramo, a Canaan, ossia la Palestina, divisa in tre regioni: la Galilea, la Samaria e la Giudea. Una volta arrivati di fronte a Canaan, Mosè chiese a suo fratello Aronne di curarsi degli ebrei mentre lui saliva sul monte Sinai per parlare con Dio e scrivere i dieci Comandamenti. Ma nel frattempo gli ebrei convinsero Aronne a fondere tutti i gioielli d’oro e di forgiare una statua raffigurante un vitello. Un vitello d’oro per essere adorato. “Ecco il tuo Dio o Israele, colui che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto” (Esodo; 32;4). Allora Dio disse a Mosè: “non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicata! Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li distrugga. Di te invece farò una grande nazione” (Esodo; 32; 9-10). E solo dopo l’implorazione di Mosè, “Il Signore abbandonò il proposito di nuocere al Suo popolo” (Esodo, 32; 14). Ma gli ebrei non sono potuti entrare nella terra promessa di Canaan e secondo le Sacre Scritture hanno trascorso altri quarant’anni nel deserto prima di entrarci.

    Trentacinque anni fa, nel 1988, è stata attuata la prima Marcia dei Vivi, come parte integrale di un programma educativo delle giovani generazioni degli ebrei, ma non solo. Da allora ogni anno la marcia si svolge in Polonia. Si tratta di diverse attività che durano per alcuni giorni, incluse le visite nei diversi campi nazisti di concentramento, nel ghetto di Varsavia, nonché in altri luoghi legati alla storia e alla cultura ebraica. Tutto per non dimenticare. Non si devono mai e poi mai dimenticare le atrocità subite nel passato. Non dimenticare mai per non essere costretti a rivivere e subire di nuovo le stesse o simili crudeltà. E per non dimenticare mai, la Marcia dei Vivi è stata concepita anche per ricordare altre marce, quelle che i nazisti chiamarono le marce della morte. Ossia quei lunghi percorsi fatti a piedi, oppure stipati in vagoni di treno, da migliaia di detenuti partiti dai campi di concentramento verso la parte dei territori controllati dai nazisti. Le marce della morte erano degli spostamenti forzati, soprattutto degli ebrei, ma anche di altri prigionieri, tutti malnutriti e sofferenti, nei primi mesi del 1945, quando le truppe degli alleati stavano avanzando verso Berlino. Sono stati molti i prigionieri che persero la vita durante le marce della morte. E la Marcia dei Vivi, ogni anno, nel periodo immediatamente dopo il Pesach, la Pasqua ebraica, ricorda anche le vittime delle marce della morte. Per non dimenticare mai i crimini, le crudeltà e le atrocità commesse dai nazisti prima e soprattutto durante la seconda guerra mondiale,

    E per non dimenticare mai le vittime della barbarie e della crudeltà nazista, diverse nazioni del mondo celebrano “le Giornate/i Giorni della Memoria”. Sono delle ricorrenze che ricordano tutte le atrocità subite soprattutto dagli ebrei ed attuate dai nazisti fino al 1945. Per indicare lo sterminio ed il genocidio degli ebrei perpetrato dai nazisti, dal 1933 si usano le parole shoah ed olocausto. Dal punto di vista etimologico il termine ebraico shoah significa catastrofe, distruzione e, riferendosi alle Sacre Scritture, tempesta devastante. Con questa parola si definisce anche lo sterminio degli ebrei dovuto al genocidio nazista. Mentre la parola olocausto, che deriva dal greco antico e significa “bruciato interamente”, definisce un atto di sacrificio religioso usato dai greci antichi e dagli ebrei, durante i quali degli animali venivano uccisi e poi bruciati completamente sugli altari dei templi, in modo che poi nessuna parte commestibile dell’animale sacrificato poteva essere mangiata. Da qualche decennio però, viene sempre più usata la parola shoah invece della parola olocausto. Questo soprattutto perché, riferendosi al genocidio nazista, non necessariamente è legato ad un sacrificio inevitabile come l’olocausto.

    Sempre per non dimenticare le crudeltà dei nazisti, ma non solo, prima e durante la seconda guerra mondiale, il 24 gennaio del 2005 si svolse una sessione speciale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Il motivo era quello di celebrare il sessantesimo anniversario della liberazione dei campi nazisti di sterminio e la fine di quell’orribile periodo storico. Circa nove mesi dopo, e proprio il 1° novembre 2005, si è svolta la 42a sessione plenaria dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Durante quella sessione è stata approvata la Risoluzione 60/7 con la quale si stabilì che ogni 27 gennaio si celebrasse il “Giorno della Memoria”, una ricorrenza internazionale per ricordare ed onorare tutte le vittime della Shoah. E non a caso fu scelta quella data. Era proprio il 27 gennaio 1945 quando sono stati liberati tutti i detenuti rimasti nel famigerato campo di Auschwitz (il nome nella lingua tedesca riferita alla città polacca di Oświęcim nel sud della Polonia; n.d.a.). Un campo costituito nell’aprile del 1940, sfruttando le strutture di una vecchia caserma ad Auschwitz che si estendeva in un’area di circa 200 ettari. In quel campo furono portati i primi prigionieri politici polacchi nel giugno dello stesso anno. Ma siccome la superficie del campo non bastava più per i sempre crescenti flussi di prigionieri, soprattutto ebrei, allora fu deciso di allargarlo. Si costruì quello che è noto come il campo di Birkenau, costituendo quello conosciuto come il campo Auschwitz-Birkenau, il più grande campo di sterminio nazista del Terzo Reich. All’entrata del campo, sulla porta di ferro, era stata scritta in tedesco la frase “Arbeit macht frei” (il lavoro rende liberi; n.d.a.). Una cinica e diabolica idea quella di riferirsi alla “libertà” mentre si entrava in un luogo di crudeli torture e di morte. Una scritta, quella sull’ingresso del famigerato campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, che offende la memoria delle vittime e la capacità di intendere, pensare e giudicare delle persone normali.

    Riferendosi ai dati, risulterebbe che nel campo di sterminio di Auschwitz siano stati sterminati, uccisi, bruciati vivi e morti per altre cause oltre un milione di persone. Sempre riferendosi ai dati, circa il 90% delle vittime erano degli ebrei arrivati nel campo dalla Polonia e da diversi altri Paesi europei. Ragion per cui il campo di Auschwitz-Birkenau è stato considerato come una “fabbrica della morte”. Una “fabbrica della morte” per mettere in atto quella che cinicamente e crudelmente veniva chiamata la “soluzione finale”. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel 1947, sul territorio della “fabbrica della morte” è stato costituito un museo memoriale, mentre nel 1979 il campo di Auschwitz-Birkenau è stato iscritto come “luogo di memoria” nell’elenco dei siti tutelati come Patrimonio mondiale dell’Unesco.

    E proprio lì, ad Oświęcim (Auschwitz), la scorsa settimana, il 18 aprile, si è svolta la 35a Marcia dei Vivi. Una Marcia di alcune migliaia di studenti arrivati da molti paesi del mondo, Italia compresa, nonché dei sopravvissuti della Shoah, per ricordare e commemorare tutte le vittime dello sterminio nazista degli ebrei, ma anche delle vittime di altre nazionalità. Il tragitto che hanno percorso tutti i partecipanti alla Marcia dei Vivi era quello noto come la “strada della morte” che dal campo di sterminio nazista di Auschwitz I arriva a quello di Auschwitz II-Birkenau. Il 18 aprile scorso tra i partecipanti della Marcia dei Vivi c’erano anche gli studenti di tre scuole superiori italiane. Era presente anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, accompagnato dalle due sorelle, Tatiana e Andra Bucci, che sono tra le ultime sopravvissute del campo di sterminio nazista di Auschwitz- Birkenau e che possono ancora testimoniare, per loro sofferte esperienze personali, l’orrore, le atrocità e tutto quello che accadeva nel famigerato campo. Il presidente Mattarella, dopo aver visitato il campo, ha dichiarato ai giornalisti: “Già studiarlo, e l’ho fatto molto a lungo, è impressionante ma vederlo è un’altra cosa, è già straziante leggere e vedere nei video le testimonianze, ma vederlo è un’altra cosa, che dà la misura dell’inimmaginabile”. E poi, riferendosi a quella parte dove erano esposte ammassate le scarpe delle vittime, bambini compresi, ha detto; “Vedere quelle scarpe, vedere quelle scarpette dei bambini, dei neonati sono cose inimmaginabili e bisogna continuare a ricordare e bisogna ricordare che quello che vediamo è una piccola parte”. Il presidente Mattarella, rivolgendosi ad un gruppo di studenti di tre scuole superiori italiane lì presenti, ha detto: “Dovete trasmettere anche voi a vostra volta la memoria. Dovete trasmetterla anche voi a chi verrà dopo”. Ed infine ha dichiarato: “Siamo qui oggi a rendere omaggio e fare memoria dei milioni di cittadini assassinati da un regime sanguinario come quello nazista che, con la complicità dei regimi fascisti europei che consegnarono propri concittadini ai carnefici, si macchiò di un crimine atroce contro l’umanità. Un crimine che non può conoscere né oblio né perdono”.

    L’autore di queste righe ha trattato anche prima l’importanza di non dimenticare per non rivivere quanto è accaduto nel passato. Nel febbraio 2020 scriveva: “Il 27 gennaio scorso è stato ricordato e onorato il “Giorno della Memoria”. Un giorno prima, durante l’Angelus, Papa Francesco, riferendosi alle barbarie nei lager nazisti ammoniva dicendo che “Davanti a questa immane tragedia, a questa atrocità, non è ammissibile l’indifferenza ed è doverosa la memoria” (Drammatiche conseguenze dell’indifferenza; 3 febbraio 2020). Oppure ricordava la frase “Tutti coloro che dimenticano il loro passato sono condannati a riviverlo!”, scritta da Primo Levi nel suo libro “Se questo è un uomo” (Deliri e irresponsabilità di un autocrate; 22 febbraio 2021).

    Chi scrive queste righe è convinto, come tanti altri, che bisogna non dimenticare per non rivivere più le atrocità del passato. Egli pensa che nessuno che ha ed esercita poteri, nessun autocrate debba aggredire i diritti innati e acquisiti e le libertà del genere umano, ma anche delle singole persone innocenti. E men che meno, nessuno possa mettere in atto delle atrocità come quelle commesse dalle diverse dittature in ogni parte del mondo. E soprattutto quelle simili alle orribili atrocità, le crudeltà commesse consapevolmente nei campi di concentramento dai nazisti. Ragion per cui si deve evitare a dare qualsiasi appoggio, anche “formalmente protocollare”, alle persone che abusano del potere conferito, agli autocrati. Come per anni e per degli “interessi di Stato” è accaduto con il dittatore russo. Ma anche con altri autocrati in America Latina, in Africa ed in Medio oriente. La storia, anche quella recente, ci insegna. Perciò non si potranno offendere i tanti sacrifici umani, le tantissime vittime crudelmente uccise dai nazisti ma anche da altri dittatori. Perché così si potrà rispettare anche quanto è stato sancito il 1° novembre 2005 dalla Risoluzione 60/7 dell’Assemblea delle Nazioni Unite. Chi scrive queste righe, riferendosi agli insegnamenti della storia e alle vissute esperienze umane, parafrasando il pensiero di Balzac, pensa che si può perdonare, ma si dovrebbe far di tutto, per quanto possa essere difficile, per non dimenticare. Si, non dimenticare, per non rivivere più le atrocità del passato.

  • Egyptians complain over Netflix depiction of Cleopatra as black

    A Netflix docudrama series that depicts Queen Cleopatra VII as a black African has sparked controversy in Egypt.

    A lawyer has filed a complaint that accuses African Queens: Queen Cleopatra of violating media laws and aiming to “erase the Egyptian identity”.

    A top archaeologist insisted Cleopatra was “light-skinned, not black”.

    But the producer said “her heritage is highly debated” and the actress playing her told critics: “If you don’t like the casting, don’t watch the show.”

    Adele James made the comment in a Twitter post that included screengrabs of abusive comments that included racist slurs.

    Cleopatra was born in the Egyptian city of Alexandria in 69 BC and became the last queen of a Greek-speaking dynasty founded by Alexander the Great’s Macedonian general Ptolemy.

    She succeeded her father Ptolemy XII in 51 BC and ruled until her death in 30 BC. Afterwards, Egypt fell under Roman domination.

    The identity of Cleopatra’s mother is not known, and historians say it is possible that she, or any other female ancestor, was an indigenous Egyptian or from elsewhere in Africa.

    Netflix’s companion website Tudum reported in February that the choice to cast Adele James, who is of mixed race, as Cleopatra in its new documentary series was “a nod to the centuries-long conversation about the ruler’s race”.

    Jada Pinkett Smith, the American actress who was executive producer and narrator, was meanwhile quoted as saying: “We don’t often get to see or hear stories about black queens, and that was really important for me, as well as for my daughter, and just for my community to be able to know those stories because there are tons of them!”

    But when the trailer was released last week many Egyptians condemned the depiction of Cleopatra.

    Zahi Hawass, a prominent Egyptologist and former antiquities minister, told the al-Masry al-Youm newspaper: “This is completely fake. Cleopatra was Greek, meaning that she was light-skinned, not black.”

    Mr Hawass said the only rulers of Egypt known to have been black were the Kushite kings of the 25th Dynasty (747-656 BC).

    “Netflix is trying to provoke confusion by spreading false and deceptive facts that the origin of the Egyptian civilisation is black,” he added and called on Egyptians to take a stand against the streaming giant.

    On Sunday, lawyer Mahmoud al-Semary filed a complaint with the public prosecutor demanding that he take “the necessary legal measures” and block access to Netflix’s services in Egypt.

    He alleged that the series included visual material and content that violated Egypt’s media laws and accused Netflix of trying to “promote the Afrocentric thinking… which includes slogans and writings aimed at distorting and erasing the Egyptian identity”.

    Three years ago, plans for a movie about Cleopatra starring the Israeli actress Gal Gadot triggered a heated debate on social media, with some people insisting that the role should instead go to an Arab or African actress.

    Gadot subsequently defended the casting decision, saying: “We were looking for a Macedonian actress that could fit Cleopatra. She wasn’t there, and I was very passionate about Cleopatra.”

  • Il Sud crescerà più dell’Italia ma ha sempre meno residenti

    Quest’anno il Pil del Mezzogiorno crescerà più del resto del Paese ma il Mezzogiorno continua a perdere abitanti: dal 2007 ad oggi il calo è stato pari a 800mila residenti. Sono i dati contenuti nell’analisi dell’ufficio studi di Confcommercio sull’economia del Sud presentata a Bari ad un convegno sul Pnrr.

    Nel 2022 il Prodotto interno lordo del Mezzogiorno dovrebbe attestarsi al 2,8% contro una media italiana del 2,5%, alla pari con il Nord-Est e superiore alle altre aree del Paese. Ma non è sufficiente, basti pensare che, osservando il tasso di variazione del Pil nel periodo 1996-2019 delle macro-ripartizioni Nord e Sud, lo scarto è di quasi 17 punti percentuali: il Nord è cresciuto del 20,1%, il Sud del 3,3%.

    Ma da cosa dipende? Da tre fattori: produttività del lavoro, che varia di quasi il 10% al Nord contro il 6,2% nel Mezzogiorno; il tasso di occupazione (+0,3% al Nord e -0,8% al Sud); e, infine, la popolazione residente, il Nord cresce del 9,3% come abitanti, quelli del Sud scendono del 2%. “Se non riparte il Mezzogiorno non riparte il Paese e il Pnrr rischia di rimanere una lista di desiderata”, ha avvertito il presidente di Confcommercio-Imprese per l’Italia, Carlo Sangalli. La ministra per il Sud, Mara Carfagna, ha però assicurato: “Il lavoro che stiamo portando avanti per favorire lo sviluppo e la crescita del Mezzogiorno si fonda” sull’impegno di “fare in modo che le ingenti risorse che ci arrivano dall’Ue servano a ridurre i divari nelle infrastrutture, nei servizi, nei diritti, nelle opportunità, nel tessuto economico e produttivo. E la scelta di destinare alle regioni del Mezzogiorno almeno il 40% delle risorse allocabili territorialmente è indicativa di come il governo intenda utilizzare questi fondi per favorire la ripresa di un processo di convergenza”. E ha aggiunto: “faremo del Sud una piattaforma logistica grazie alle Zsr”. Però, i sindacati incalzano e chiedono rispetto dei tempi: “Per sfruttare questa occasione serve intanto investire nella pubblica amministrazione per garantire il rispetto dei tempi, serve però avere anche un cronoprogramma degli impegni”, ha sostenuto il segretario generale della Uil Pierpaolo Bombardieri. Tesi condivisa da Andrea Cuccello, segretario confederale della Cisl: “Bisogna lavorare bene sui progetti e i bandi perché sono i luoghi dove si costruisce il futuro del Paese. Occorre costruire lavoro sicuro, più stabile possibile”. Per il vicesegretario della Cgil, Gianna Fracassi, “l’ottimismo è fondamentale, soprattutto quando dobbiamo spendere 230 miliardi. Il problema è saperli spendere e farlo per ciò che serve. In questo senso, qualche problema c’è: serve rafforzare la capacità amministrativa”.

  • La Finlandia è il Paese più felice al mondo, l’Italia è al 25esimo posto

    La Finlandia si conferma il Paese più felice al mondo. Guadagna due posizioni l’Islanda, che passa al secondo posto, e relega al terzo posto (era seconda l’anno scorso) la Danimarca. L’Italia resta indietro, ma sale dal 28esimo al 25esimo posto. Nella top ten, nell’ordine, ci sono anche Svizzera, Olanda, Svezia, Germania, Norvegia, Nuova Zelanda e l’Austria. Il verdetto porta la firma del World happiness report, la classifica mondiale degli Stati più felici, che quest’anno si è trovato ad analizzare gli effetti della pandemia di coronavirus sul benessere individuale e collettivo.

    Il primato del Paese scandinavo è un risultato da attribuire principalmente alla fiducia della popolazione nei confronti della propria comunità, un elemento chiave in epoca Covid. Ma a differenza di altri Stati, secondo i ricercatori del Gallup world poll, la risposta dell’Italia al virus è stata insoddisfacente, principalmente per una scarsa adesione della popolazione alle misure richieste e i pochi controlli, nonostante il lockdown nella prima ondata.

    Il report, arrivato alla vigilia della Giornata mondiale della felicità (20 marzo), ha cercato di rispondere a una domanda fondamentale: perché i tassi di mortalità sono così diversi nel mondo? Il dato è infatti molto più alto in America e in Europa rispetto ad Asia, Australia e Africa. I fattori determinanti includono l’età della popolazione, l’essere un’isola o meno, la prossimità ad altre zone altamente infette. Alcune differenze culturali, inoltre, hanno ulteriormente contribuito a modificare il tasso. Si va dalla fiducia nelle istituzioni pubbliche alla conoscenza maturata in epidemia precedenti; dalla disuguaglianza nel reddito alla presenza di una donna come capo del governo e persino la probabilità di ritrovare i beni smarriti, come un portafoglio.

    Nell’anno del Covid, intanto, più di un italiano su due (55,5%) è insoddisfatto della propria vita con l’incertezza sulle prospettive future per salute e lavoro che condiziona le previsioni dei prossimi 5 anni, secondo l’analisi dell’Unione europea delle cooperative (Uecoop) su dati dell’ultimo rapporto Bes Istat. Sul podio delle regioni dove prevalgono gli scontenti ci sono la Campania (68,3%), la Sicilia (60%) e il Lazio (58,9%), mentre è al Nord che si concentrano le quote più basse di insoddisfatti dal Trentino Alto Adige (37,8%) alla Valle d’Aosta (46,3%), dal Friuli Venezia Giulia (50,4) alla Lombardia (51,1%) con Emilia-Romagna e Veneto a pari merito (51,5%).

    Per Jeffrey D. Sachs, presidente dello United Nations sustainable development solutions network, l’ente che pubblica il report annualmente da 9 anni, “dobbiamo urgentemente imparare la lezione che ci ha dato il Covid”. John Helliwell, professore dell’Università British Columbia, aggiunge: “Siamo stati sorpresi di vedere che in media non c’è stato un declino nel benessere generale. Una possibile spiegazione è che la gente vede il coronavirus come una minaccia comune ed esterna, che tocca chiunque e che ha generato un maggior senso di solidarietà ed empatia”.

Pulsante per tornare all'inizio