prevenzione

  • L’UE si prepara alla stagione degli incendi boschivi del 2024

    L’UE sta adottando misure significative per potenziare gli sforzi nella lotta antincendio e proteggere le comunità, anticipando il posizionamento di vigili del fuoco e costituendo una flotta di velivoli antincendio.

    Quest’estate 556 vigili del fuoco provenienti da 12 paesi saranno posizionati strategicamente in luoghi chiave in Europa, come Francia, Grecia, Portogallo e Spagna, pronti ad aiutare le forze locali. Questa misura proattiva migliora la capacità dell’Europa di rispondere agli incendi boschivi e mitigarne l’impatto devastante sulle vite, sulle abitazioni e sull’ambiente, e mette in luce la forza della solidarietà dell’UE nell’affrontare tali crisi.

    Sempre per quest’estate, l’UE ha anche costituito una flotta di velivoli antincendio, composta di 28 aerei e quattro elicotteri di stanza in 10 Stati membri.

    La Commissione ha inoltre stanziato un totale di 600 milioni di € in fondi UE per agevolare l’acquisto futuro di 12 nuovi aerei antincendio, che saranno distribuiti tra sei Stati membri dell’UE. In futuro l’UE finanzierà anche 9 elicotteri per rafforzare la sua flotta aerea antincendio.

  • Dalla Commissione 12,2 milioni di euro da investire nell’ambito del programma EU4Health per rafforzare la sicurezza sanitaria in Europa

    La Commissione ha avviato due progetti in partenariato con l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) allo scopo di rafforzare la sicurezza sanitaria e la preparazione a gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero, in particolare in relazione a rischi chimici, biologici, radiologici e nucleari.

    Il primo progetto si concentra sul rafforzamento delle capacità di sicurezza sanitaria e sul miglioramento delle strategie di prevenzione, preparazione, individuazione e risposta nell’UE, nello Spazio economico europeo (SEE), nei paesi candidati all’adesione all’UE e nei paesi del partenariato orientale. Il progetto contempla un’ampia gamma di rischi potenziali, dalle catastrofi naturali, come terremoti e inondazioni, ai rischi biologici e ai conflitti di origine umana, e si concentra in particolare sul miglioramento del coordinamento e della cooperazione in caso di emergenza, a livello sia nazionale sia internazionale. Il programma EU4Health sosterrà questo progetto con 6,4 milioni di € nel corso dei prossimi 5 anni.

    Il secondo progetto accelera gli sforzi volti ad affrontare specificamente i rischi chimici, biologici, radiologici e nucleari (CBRN) nell’UE, in Ucraina, in Moldova e in altri paesi aderenti al programma EU4Health, rafforzando le capacità di prevenzione, preparazione e risposta alle minacce CBRN per la salute pubblica mediante la pianificazione della preparazione e della risposta, nonché rafforzando la preparazione a livello transfrontaliero. Il programma EU4Health finanzierà questo progetto con 5,8 milioni di € nel corso dei prossimi 3 anni.

  • La Commissione raccomanda nuove misure sulla prevenzione vaccinale dei tumori

    Dalla Commissione europea arriva una raccomandazione volta a sostenere gli Stati membri nel loro impegno a prevenire il cancro mediante la vaccinazione. La raccomandazione si concentra, in particolare, sulla promozione del ricorso a due vaccinazioni chiave in grado di prevenire infezioni virali che possono causare tumori (il papillomavirus umano (HPV) e il virus dell’epatite B (HBV)) e sul miglioramento del monitoraggio dei tassi di copertura.

    La raccomandazione fa parte del piano europeo di lotta contro il cancro, un pilastro fondamentale dell’Unione europea della salute. Si stima che circa il 40% dei casi di cancro nell’UE sia prevenibile. Tuttavia, secondo una nuova relazione appena pubblicata, nel 2021 gli Stati membri dell’UE hanno destinato alla prevenzione solo il 5% circa della spesa sanitaria totale.

    In molti Stati membri la copertura vaccinale contro il papillomavirus è ben al di sotto del 50% tra le ragazze, i dati relativi a ragazzi e giovani adulti sono molto limitati ed è marcata la mancanza di dati sui tassi di vaccinazione contro il virus dell’epatite B.

  • Usare la mascherina non è una diminuzione ma un gesto di responsabilità

    Il covid ha ripreso a correre, in tutto il mondo e perciò anche in Italia, nonostante il silenzio stampa che qualcuno ha imposto o suggerito.

    Non facciamo allarmismi ma torniamo, finché c’è tempo, a ricordare a tutti le precauzioni che vanno prese e che qualche medico assennato ha cercato di dire, in una generale indifferenza.

    Qualche genio della politica ha detto che è inutile ricordare agli italiani l’uso della mascherina perché ormai lo sanno…. Non commento perché la stupidità dell’affermazione è evidente.

    Per questo, mentre la campagna vaccinale va al rilento, vogliamo rivolgere un appello a tutti i nostri lettori: quando siete in un luogo aperto al pubblico usate la mascherina FFP2 ed anche all’aperto, se c’è assembramento come avviene nelle ore di punta e nei mercatini di Natale, usatela sui mezzi pubblici, anche se non è obbligatorio, e quando incontrate persone fragili o qualcuno che ha il raffreddore, usatela anche se siete voi ad averlo.

    Usare la mascherina non è una diminuzione, ed in inverno non è neppure un fastidio.

    Negli Stati Uniti i centri per il controllo e la prevenzione delle malattie hanno ribadito l’importanza di prendere tutte le precauzioni possibili perché i virus respiratori, oltre al Covid, sono in aumento, e i contagi in questi giorni hanno registrato 15.000 ricoveri ospedalieri giornalieri e 1.000 decessi alla settimana mentre da noi, e la percentuale va fatta sul numero di abitanti, i decessi settimanali sono intorno ai 300, molti di più perciò, in percentuale, che negli Stati Uniti.

    Usare le mascherine, arieggiare spesse i locali chiusi, lavarsi e disinfettarsi le mani, fare il tampone quando si hanno sintomi di raffreddamento sono le minime precauzioni che dobbiamo prendere, per noi stessi e per gli altri.

  • Ora si parta subito con la prevenzione

    Bene il decreto del governo per contenere il dilagare del crimine specie nelle fasce più giovani della popolazione e bene la legge per aiutare le donne e prevenire violenze ed uccisioni

    Sono iniziative necessarie proprio per contenere ma ora è il momento di una radicale azione di prevenzione che deve vedere coinvolta la scuola, fin dalle primarie, la famiglia e tutte le istituzioni pubbliche, le varie rappresentanze della società civile a partire dai media.

    Insegnare il rispetto dell’altro, essere umano o animale, il rispetto di quanto ci circonda, che è un bene di tutti, insegnare il valore dei sentimenti, il dovere comune di osservare le leggi e le regole, ritornare, insieme ai nostri studenti e ai nostri figli, a provare empatia ed emozioni che nascano dal sentirsi in sintonia con gli altri, insegnare ad avere coraggio, a denunciare il male, ad essere sicuri di se senza sentire la necessità, per essere parte di qualche gruppo, di impasticcarsi, di bere smodatamente, di dimostrare con violenza la propria presunta superiorità

    La scuola, certo, ma non può mancare la famiglia e troppe situazioni di grande disagio, economico, culturale, sociale, dimostrano l’urgenza di creare reti di supporto e politiche ad hoc che impediscano realtà disagiate, spesso al limite dell’illegalità e della disperazione.

    La nostra società, negli ultimi decenni, pur facendo un balzo in avanti per le conquiste scientifiche e tecnologiche ha fatto troppi passi indietro e al benessere di alcune categorie corrisponde il grave disagio di altre come dimostrano le troppe persone emarginate e quelle che vivono in strada.

    Una società che corre troppo rispetto ai tempi di adattamento dell’essere umano e che perciò crea insicurezze, paura di non farcela, rifiuto di quella competizione, che per alcuni è l’unica leva per vivere pensando a maggiore denaro o potere, ha portato all’aumento di chi usa stupefacenti per essere più competitivo o per rifugiarsi nel limbo della deresponsabilità, di chi, fin da giovanissimo, abusa di alcool e di sostanze, di chi pensa di avere solo diritti senza alcun dovere.

    La scuola dovrebbe insegnare a non abusare di sostanze che impediscono la piena consapevolezza di se, che donne ed uomini sono veramente forti quando sanno affrontare le difficoltà, quando sanno che l’attenzione verso gli altri, il rispetto delle leggi, non è una diminuzione ma un accrescimento della propria personalità.

    Lo stesso messaggio dovrebbe arrivare dagli strumenti di comunicazione che, troppo spesso, magari anche inconsapevolmente, fanno sembrare il delitto, la brutalità, il sopruso come azioni normali e comunque non controllabili, sempre la scuola dovrebbe, in questo era super tecnologica, insegnare a decodificare i messaggi della Rete.

    I dati parlano chiaro: nei più giovani l’uso di sostanze ed alcool favorisce la creazioni di bande che li portano ad atti estremi, a causare incidenti mortali sulle strade, alle violenze e gli stupri contro le ragazze, ad atti di bullismo, all’incapacità di comprendere la differenza tra quello che vedono in Rete, la cosiddetta realtà virtuale, dalla realtà reale, dal sangue e dal dolore vero.

    Non sarà semplice ma senza mirati interventi che blocchino nella Rete i messaggi fortemente negativi e pericolosi, specie per i più giovani, dalla pornografia a quelli che inducono al suicidio o a giochi tragici, come le corse in auto contromano, le gare con i treni e via discorrendo, non ci sarà il ritorno ad una capacità di vita consapevole

    Ai più piccoli l’uso, fin dalla più tenera età, di cellulari di ultima generazione porta ad una totale libertà di guardare qualunque cosa trasmessa dalla Rete e di apprendere non dall’educazione famigliare e scolastica ma proprio dalla Rete che diventa un autentico sistema di manipolazione.

    Come in tutti i processi di crescita autorità, educatori, famigliari dovrebbero tornare a comprendere che vi è un età diversa per esperienze diverse e, di conseguenza, che ai più giovani non possono essere forniti, senza regole e controlli, strumenti che da utili diventano invece gravemente lesivi della loro crescita culturale, sociale ed umana.

    I problemi connessi alla Rete, e che la hanno trasformato, in troppe occasioni, da strumento per migliorare a strumento per distruggere se stessi e gli altri, avranno bisogno di iniziative ferme ed immediate ma anche di un coordinamento, inizialmente almeno all’interno dell’Unione Europea, per perseguire insieme provider e siti incriminati.

    Dalla lotta al consumo di stupefacenti e di alcool passa anche una diversa normativa per gli orari di apertura e chiusura dei locali notturni che devono avere, come un tempo, orari più corrispondenti alla necessità di tutelare coloro che non sono in grado di tutelarsi da soli. I locali notturni che aprono a mezzanotte per chiudere all’alba portano i loro frequentatori ad arrivare all’ora di ingresso già ampiamente preda di sostanze tossiche e superalcolici, e chi non lo ha fatto diventa la loro vittima.

    Non sarà facile, non sarà veloce raggiungere gli obiettivi per ridare ai giovani la consapevolezza di scelte e comportamenti ma, come ho spesso ricordato, chi non parte non arriva, oggi il governo ha dato un segnale importante per il contenimento di particolari, pericolose e delittuose situazioni, ora si parta subito con la prevenzione, dalle scuole alla Rete, dalla lotta al degrado sociale al modo di fare informazione dei media tradizionali senza dimenticare la famiglia.

  • Senza contraccettivi 160 milioni di donne nel mondo

    A livello globale è cresciuto negli ultimi 50 anni l’utilizzo dei metodi contraccettivi, ma sono ancora oltre 160 milioni le donne nel mondo che non hanno accesso ai farmaci e ai presidi necessari per evitare una gravidanza indesiderata. Quelle che incontrano maggiori difficoltà sono le donne più giovani e quelle che vivono nell’Africa subsahariana e nell’Asia meridionale. Ad affermarlo è uno studio internazionale coordinato dalla University of Washington a Seattle e pubblicato sulla rivista The Lancet.

    Dall’indagine emerge che la quota di donne in età riproduttiva che utilizza metodi anticoncezionali moderni –  ovvero farmaci e presidi – è cresciuta dal 28% del 1970 al 48% del 2019. E mentre nel 1970 più di una donna su due che voleva accedere alla contraccezione non trovava risposta, oggi la percentuale è scesa al 21%.

    Nonostante questo trend positivo, sono state 163 milioni le donne che nel 2019 non hanno avuto accesso alla contraccezione su un totale di 1 miliardo e 200mila che dichiaravano di averne bisogno.

    Lo studio rileva inoltre che le donne nelle fasce di età comprese tra 15 e 19 anni e tra 20 e 24 anni avevano i tassi più bassi di domanda soddisfatta a livello globale, rispettivamente al 65% e al 72%. In pratica 43 milioni di giovani donne e adolescenti nel 2019 non hanno avuto accesso ai contraccettivi di cui avevano bisogno.

    “È importante sottolineare che queste donne traggono vantaggi dall’uso di contraccettivi, poiché ritardare la nascita di figli può aiutarle a rimanere a scuola e ad accedere al mondo del lavoro”, ha evidenziato Annie Haakenstad, della University of Washington. “Questo – ha aggiunto – può portare a benefici sociali ed economici che durano per tutta la vita ed è un fattore essenziale per una maggiore equità di genere”.

    I tipi di metodi contraccettivi inoltre variano in base all’area geografica. I metodi più usati in America Latina e nei Caraibi sono stati la sterilizzazione femminile e i contraccettivi orali; la pillola anticoncezionale orale e i preservativi sono i più usati nei Paesi ad alto reddito. Lo Iud (la spirale) e i preservativi sono stati i metodi più utilizzati in Europa centrale, Europa orientale e Asia centrale, mentre la sterilizzazione femminile ha rappresentato oltre la metà dell’uso complessivo dei metodi contraccettivi nell’Asia meridionale.

  • “Casa mia non la lascio”

    Benché assediati da 14 giorni da un’acqua putrida, puzzolente, infetta, che corrode i muri e la pazienza, molti romagnoli hanno ripetuto quello che avevano detto all’inizio dell’alluvione: “casa mia non la lascio”.

    Non è testardaggine, non è sprezzo del pericolo ma amore per la propria casa, per i ricordi che parlano di persone che non ci sono più, di oggetti comperati con sacrificio, di giorni passati nel lavoro e nella fatica per poi trovare, nella propria casa, il luogo della sicurezza, il senso per continuare.

    Siamo consapevoli del grande sforzo fatto dal governo per reperire almeno una consistente parte dei fondi necessari ad affrontare l’emergenza e cominciare a pensare alla bonifica di quanto è stato allagato, dando un aiuto diretto a famiglie ed imprese.

    Siamo commossi di fronte alla grande partecipazione di volontari, specialmente giovani, che ancora oggi lavorano per aiutare le popolazioni colpite.

    Siamo convinti che il presidente Bonaccini abbia fatto un difficile lavoro dopo il terremoto del 2012 per riportare la regione alla normalità e che anche ora sia presente e consapevole del dolore e della tragedia che i romagnoli stanno vivendo.

    Siamo, nello stesso tempo, assolutamente certi che, non solo in Romagna, non si sia data la necessaria attenzione alla prevenzione: il nostro, purtroppo, è il Paese dove si spende di più per riparare ai danni fatti dalle calamità naturali che per provvedere ad eseguire tutte le opere necessarie ad impedirle o almeno a contenerle.

    È un problema di cultura politica, di capacità di previsione, di coraggio di fare quello che è necessario, anche se fare quello che è giusto, necessario, non porta, spesso, consensi nell’immediato.

    Dopo la tragedia alla quale abbiamo assistito nelle ultime settimane c’è chi ancora crede che il consumo del suolo, la pulizia delle vie d’acqua, il divieto di costruire in prossimità delle stesse, la costruzione di bacini di sicurezza, la piantumazione delle colline e la pulizia dei boschi non siano priorità.

    “La mia casa non la lascio” non è soltanto la dichiarazione di un diritto o un’espressione di paura per i possibili sciacalli, ma l’affermazione di una volontà, quella di non lasciare tutto quello che rappresenta il proprio vissuto per prepararsi a ricominciare, appena possibile, a ricostruire il futuro.

    Con il coraggio e la determinazione che è nel DNA dei romagnoli, e nell’aria che anche chi viene da fuori respira, la casa, la terra, restano al centro della vita.

    La proprietà della propria casa non è un furto, come sostenevano lugubri dottrine politiche del passato e come sostengono ancora i loro tristi epigoni, ma certamente è un furto, un delitto, lasciare, senza provvedere in tempo alla adeguata prevenzione, che siano distrutte le case di così tante persone. E questo avviene da tempo in troppe parti d’Italia.

  • In 6 anni le morti per tumori solo calate del 10% tra gli uomini e dell’8% tra le donne

    In 6 anni, dal 2015 al 2021, la mortalità per cancro in Italia è diminuita del 10% negli uomini e dell’8% nelle donne. Dai tumori del sangue a quelli della mammella e della prostata, molti progressi sono stati compiuti grazie alle campagne di prevenzione, alla diffusione degli screening oncologici e a nuove molecole che permettono di centrare sempre meglio il ‘bersaglio’ presente sulle cellule tumorali. Ma i pazienti si potrebbero curare ancora meglio se tutti coloro che possono beneficiarne avessero accesso ai test genetici in grado di individuare la presenza di mutazioni che rendono alcuni tumori rispondenti alle terapie.

    A fare il punto sulle terapie oncologiche è l’evento scientifico organizzato da AstraZeneca al Centro Congressi La Nuvola, a Roma, che vede riuniti i maggiori esperti in materia. Continuano a crescere di anno in anno, e sono oggi circa 3,6 milioni, i cittadini che vivono dopo la diagnosi di tumore. In particolare, 7 pazienti su 10 colpiti da tumori del sangue sono vivi a 10 anni dalla diagnosi o può essere considerato guarito. La leucemia linfatica cronica, che colpisce 3.400 persone ogni anno in Italia, è la più frequente fra le leucemie e, per trattarla, la tradizionale immuno-chemioterapia è efficace solo in alcuni casi. “Dopo la revisione delle linee guida europee, che ha ridotto i pazienti candidabili a questo approccio, le terapie mirate sono destinate a diventare sempre più lo standard di cura – spiega Armando Santoro, direttore dell’Humanitas Cancer Center all’Istituto Clinico Humanitas Irccs di Rozzano -. Nelle patologie dei linfociti B, gli inibitori della proteina BTK, che rientrano nella classe delle terapie mirate, permettono di controllare la malattia. In particolare, acalabrutinib ha evidenziato un beneficio significativo in termini di efficacia e tollerabilità a lungo termine”.

    A fare la differenza è, in molti casi, la possibilità di accedere a test per la ricerca di mutazioni genetiche: sapere se sono o meno presenti, infatti, è fondamentale nella scelta delle terapie migliori per alcuni tipi di tumore. Per quanto riguarda, ad esempio, i tumori della mammella ereditari in stadio precoce, in donne con mutazione dei geni Brca1 e 2, la terapia mirata olaparib colpisce le mutazioni di questi geni per ridurre il rischio di recidiva. Ma olaparib “ha aperto l’era della medicina di precisione anche nel tumore della prostata – spiega Romano Danesi, direttore del Dipartimento di Medicina di Laboratorio Aou Pisana -. La molecola ha più che triplicato la sopravvivenza libera da progressione di malattia, garantendo buona qualità di vita per pazienti con carcinoma prostatico metastatico resistente alla castrazione con mutazioni Brca1/2”. Le mutazioni genetiche sono in grado di guidare la scelta della terapia anche nel carcinoma del polmone, che in Italia ha causato 34mila decessi nel solo 2021. “Nei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule in stadio precoce – conclude Danesi – il trattamento post chirurgico con osimertinib, terapia mirata anti EGFR, ha intento curativo. Parlare di guarigione in questa malattia è un grande risultato, impensabile pochi anni fa”.

    “I test per le mutazioni genetiche dovrebbero, pertanto, – afferma Saverio Cinieri, presidente Associazione Italiana Oncologia Medica (Aiom) – essere effettuati al momento della diagnosi per indirizzare al meglio ‘terapie su misura’ e andrebbero garantiti a tutti i pazienti che ne possono avere beneficio, a prescindere dalla regione di provenienza. Speriamo arrivino presto i decreti attuativi della legge che lo prevede, affinché possano presto essere inseriti nei Livelli essenziali di assistenza”.

  • Covid e prevenzione in oncologia

    La pandemia ha creato un enorme incremento di mortalità data dagli effetti gravi indotti dalla malattia scatenata dal covid: attualmente siamo ormai vicini in Italia a raggiungere purtroppo quasi i 140.000 morti, un numero impressionante che ci fa riflettere sull’impatto che ha avuto nella popolazione italiana, soprattutto nelle fasce di età più avanzate. Questo è ciò che definisco l’impatto primario. Ma la pandemia ha creato un impatto secondario di non minor importanza, sia nel breve che nel lungo termine, legato a una drastica riduzione da una parte del monitoraggio dei pazienti che già hanno avuto una diagnosi oncologica e dall’altra soprattutto nella ampia fascia di popolazione coinvolta nella prevenzione oncologica. I dati che arrivano dall’Europa e dall’Italia in particolare non sono per niente rassicuranti: nel nostro continente infatti, che ogni anno rileva 2,7 milioni di nuovi casi di cancro e 1,3 milioni di morti (dati 2020), la macchina della prevenzione nel periodo covid ha rallentato vertiginosamente, stimando che non siano stati eseguiti un numero di più di 100 milioni di screening oncologici, di cui più di 2,5 milioni solo in Italia. Nel 2020 due fra i  tumori più diffusi, cioè quello della mammella e del colon retto, hanno registrato una riduzione di interventi del 12%, soprattutto di quelli di minori e limitate dimensioni e quindi con probabilità maggiore di controllo e di sopravvivenza.

    Sicuramente la paura di recarsi in ospedale e le limitazioni di aree rosse vissute ha dato una forte spinta a questo atteggiamento ma credo che ciò ci debba far ripensare sia a una riorganizzazione del sistema di cura e delle strutture ad esse dedicate (quello che io chiamo un sistema modulare), sia ad una nuova maggiore attenzione da parte del governo e dei media di tornare a focalizzare le attenzioni e gli investimenti di nuovo sulla prevenzione e sulle campagne di screening.

  • Improbabile che Ebola arrivi dall’Africa all’Europa, ma scattano misure di prevenzione

    L’organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato l’epidemia di Ebola in corso in Africa un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale, sulla  base del Regolamento Sanitario Internazionale. Il Ministero della salute in Italia ha a sua volta emanato una circolare con le misure di sorveglianza e le raccomandazioni per i viaggiatori e residenti nelle zone affette da Ebola nella Repubblica democratica del Congo. L’epicentro dell’epidemia si è spostato da Mabalako a Beni che nelle ultime tre settimane ha registrato il 46% dei casi. Un caso importato è stato segnalato a Goma, un’importante centro di scambi commerciali col Ruanda (si stima che circa 15.000 persone ogni giorno passino il confine da Goma al Ruanda), dove è situato un aeroporto internazionale che tuttavia non effettua voli diretti verso i paesi europei.

    Sono monitorati oltre 70 Punti d’Entrata e sinora sono stati effettuati 75 milioni di screening, identificando, in tal modo, 22 casi. In totale alla data del 16 luglio 2019, sono stati segnalati 2522 casi confermati o probabili, con 1698 decessi. Si sono infettati 136 in operatori sanitari, 41 dei quali sono deceduti. L’epidemia continua con una media di 80 nuovi casi segnalati settimanalmente.

    Il Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (ECDC) valuta che la probabilità che un cittadino europeo che vive o che si reca nelle aree affette dall’epidemia contragga l’infezione è bassa, qualora vengano applicate le precauzioni di specificate nella circolare. Anche il rischio di introduzione e ulteriore diffusione di EVD (Ebola virus disease) nei paesi europei è considerato molto basso. Si raccomanda comunque di evitare ogni contatto con pazienti sintomatici, coi loro fluidi corporei e coi corpi o liquidi corporei di persone decedute, di non consumare carne di selvaggina, di evitare i contatti con animali selvatici vivi o morti, di lavare e sbucciare (quando appropriato) frutta e verdura prima di consumarle, di lavarsi frequentemente le mani con acqua e sapone o con prodotti antisettici e di avere rapporti sessuali protetti.

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