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  • In attesa di Giustizia: giustizia da palcoscenico

    La Riforma Cartabia sta andando, con fatica, a regime realizzando quello che può definirsi uno sfratto degli avvocati dai Tribunali: mentre da tempo i processi di Appello e Cassazione si celebrano in larga misura  lontano anzi, paradossalmente, fuori dalle aule con un grazioso scambio di mail, il deposito di gran parte degli atti dovrà ora avvenire tramite il “Portale” (sperando che funzioni e che i destinatari ricevano, scarichino e leggano quanto trasmesso) o forse no perché c’è ancora grande confusione sotto il cielo della giustizia penale e non è chiaro se gli strumenti da impiegare siano informatici, telematici o coesistenti con il vecchio, caro, cartaceo…Insomma permangono dubbi operativi che nessuno è in grado di chiarire con apprezzabile certezza sebbene la scelta di un’errata modalità (o una malfunzione del sistema che nel periodo di “test” ha rappresentato quasi la quotidianità) comporti conseguenze assai più gravi di una risposta sbagliata al dilemma “liscia, gassata o Ferrarelle?”.

    Viceversa, atti giudiziari, trascrizioni di intercettazioni, verbali di perizie e via enumerando continuano ad avere libera circolazione ed essere linfa vitale per le redazioni dei quotidiani e gli autori di trasmissioni televisive e qualsiasi iniziativa volta a garantire un maggiore riserbo sia alle attività investigative che alle persone a vario titolo coinvolte viene additato come un attentato alla libertà di stampa da parte di un regime autoritario che tenta la reintroduzione della censura: il processo è, ormai, materiale da palcoscenico trasferito dalle aule rimaste deserte ai salotti dei talk show a corredo ed arricchimento delle più ghiotte e pruriginose anticipazioni della carta stampata e neppure alle più atroci sofferenze, alle più insensate violenze, vengono riservati i limiti di una dimensione più intima, personale. Sembra, talvolta, che la ricerca, l’esigenza di giustizia passi in secondo piano e l’amplificazione della tragedia abbia in sé un’occasione di ricerca della notorietà.

    Alla tragedia ognuno ha il diritto di reagire come meglio ritiene ma talune forme di “transumanesimo mediatico” impongono delle riflessioni e fermo restando che il giudizio deve restare sospeso quando non si dispone di dati sufficienti…anzi, sarebbe meglio non giudicare proprio.

    Tuttavia, fa riflettere la nonna di Giulia Cecchettin che, pur potendolo fare, non ha rinviato la presentazione di un romanzo che – a quanto pare – affronta proprio il tema della violenza di genere mentre la sorella, un’intervista dopo l’altra, è stata incoronata da Repubblica “donna dell’anno”. Infine, il padre si è affidato ad una agenzia per curare l’immagine e la comunicazione…va bene tutto ma, augurandoci per lui che non sia la stessa di Chiara Ferragni, sorge spontanea la domanda se, prima o poi con questa giustizia da palcoscenico, dovremo aspettarci i parenti delle vittime al Grande Fratello VIP.  Gesti liberi, ma sembra tutto troppo. Quanto alla natura del processo, è dai tempi di Gesù che li fanno fare al popolo…e chi critica certi atteggiamenti non dimentichi che c’è chi cavalca le disgrazie del prossimo e le “usa” andando oltre il diritto di cronaca con interviste banalissime ma intrusive, i tinelli tv con le solite compagnie di giro, instant books scritti con atti avuti chissà in che modo:  così si accende un faro sulla vittima di turno e la si guarda con occhio ora indecente, ora speculativo, ora moralista, ora saccente, ma sempre illiberale.

    Così come illiberale sarebbe alterare il delicato equilibrio tra le garanzie processuali dell’imputato e la soverchiante forza dello Stato che lo accusa.

    Insomma, ad entrambi va assicurata libertà: alla vittima fuori, all’imputato dentro il processo penale ma la sovraesposizione mediatica di entrambi è diventata purtroppo inarrestabile: ad un certo punto l’informazione diventa deformazione dei fatti che potrebbe avere effetti devastanti per tutti nell’ottica di un giusto processo, ferma restando la ferma denuncia di ogni violenza  – non solo quella di genere –  in molti casi di taluno si rasenta il linciaggio, mentre altri soggetti vengono lasciati liberi liberi di commetterne…e molto va imputato, purtroppo, alla comunicazione.

    Per ultima, una considerazione amara: si fa un gran parlare di certezza della pena che deve essere momento di rieducazione di chi è ritenuto colpevole di un crimine ma nessuno pensa a questo modello di società, con questi mezzi a portata di tutti, pasciuta con giustizia da palcoscenico, che va rieducata tutta.

  • Diritto di cronaca?

    Approfittando dell’estate e riguardando all’anno passato ci sembra il momento di fare qualche considerazione su quel diritto di cronaca che, a nostro avviso, negli ultimi anni è stato stravolto.

    Pensiamo a quegli inviati delle testate televisive che, mettendoti un microfono praticamente in bocca, chiedono, con insistenza degna di miglior causa, di conoscere a tutti i costi il nostro pensiero anche quando non abbiamo nulla da dire o, addirittura, siamo  frastornati per notizie tristi che ci riguardano.

    Il diritto di cronaca va rispettato ma il diritto alla privacy non esiste più?

    Persone che hanno appena perso un congiunto, che sono scampate ad una tragedia, persone che non hanno voglia di comparire sui media, perché nella vita non tutto è spettacolo e non siamo tutti in spasmodica ricerca di quell’apparire che è l’obiettivo  tipico di certi vip, o degli aspiranti tali, sono inseguite fuori da ogni decenza.

    Giornalisti, uomini e donne, che con voce querula ti inseguono fuori dal tribunale, dall’agenzia delle Pompe funebri o sul luogo di un terribile delitto o incidente, che ti fanno domande alle quali, comunque risponderai, sai che la messa in onda sarà tagliata per assecondare quello che è l’obiettivo del servizio: non fare ipotetica luce su chissà quale verità ma fare audience, battere le altre testate per raccontare qualsiasi cosa di più degli altri, a prescindere dai sentimenti delle persone tampinate fino allo spasimo molte volte le domande sono proprio alla ricerca di una risposta scomposta ed irata.

    A questi giornalisti è impossibile sfuggire, ti aspettano, ti trovano, ti inseguono, forse solo un velocista riuscirebbe a sottrarsi alla loro, querula, invadente insistenza.

    Questo è giornalismo, inchiesta, diritto di cronaca o un vero e proprio mal costume che nessuno ha il coraggio di fermare perché il quarto potere, la stampa, persa gran parte della deontologia che dovrebbe guidare la professione è diventato più mestiere da paparazzi? Comunque la stampa ha un potere immenso che neppure i magistrati possono minare perché i media decretano innocenti e colpevoli, così siamo tutti vittime sacrificali dell’ascolto.

    I processi sono fatti in tv prima che nei tribunali

    Poi, dopo aver ossessionato le persone comuni vittime o testimoni di tragedie l’attenzione si sposta sulla così detta casta nella spasmodica ricerca di qualche oscuro segreto sugli emolumenti degli eletti alla Camera o al Senato.

    Un pericoloso tentativo, spesso riuscito, di far apparire deputati e senatori come nullafacenti  affamatori del popolo.
    Diciamolo francamente quanti di questi giornalisti hanno, con la stessa assiduità e perseveranza, per non dire sfacciataggine, chiesto conto ai tanti AD, di società  pubbliche, partecipate e private, di quanto guadagnano e di quante azioni, delle aziende che dirigono, sono gratificati nel corso della carriera o come buona uscita?

    Nessun dubbio per nessuno che ciascun giocatore di calcio o allenatore si meriti tutto quello che guadagna ma per chi rappresenta, democraticamente eletto, la repubblica solo critiche, contestazioni, insulti?

    Perché i giornalisti non controllano il lavoro dei deputati, le presenze, in aula, in commissione e sul territorio, le votazioni, le proposte di legge, le interrogazioni o interpellanze, perché non denunciare chi eventualmente non svolge a pieno ritmo il proprio lavoro invece che fare, come sempre, di tutt’erbe un fascio?

    Perché cercare sempre e comunque di additare chi rappresenta il potere legislativo come un parassita? Forse qualcuno preferirebbe un sistema nel quale non ci fossero più elezioni e rappresentanti del popolo o un sistema nel quale solo i ricchi potrebbero fare i deputati gratuitamente?

    Si è caduti nel ridicolo ma si rischia di finire nel tragico e più si delegittimano i nostri rappresentanti più si rischiano situazioni come quelle che vediamo in paesi vicini dove la democrazia non esiste.

    Forse l’estate dovrebbe consentirci qualche momento di seria riflessione.

  • Social network nel mirino per violazioni della privacy e political correctness

    A Napoli una querela per diffamazione è stata archiviata perché Facebook ha ritenuto di non collaborare – con la procura partenopea che si era attivata in seguito all’esposto di una ragazza che sul social network si era ritrovata una pagina a lei intestata con foto in abiti molto «ridotti», come ha riferito Panorama lo scorso ottobre.

    Le relazioni tra big tech e ordinamento giuridico sono una questione emersa già da tempo negli Usa. In Texas la Corte d’appello del quinto distretto ha riabilitato la legge Hb20, precedentemente bocciata, che consente agli iscritti ai social di denunciare le società se ritengono di essere stati censurati o di aver subìto la sospensione del profilo senza valido motivo. Oltre Atlantico, peraltro, a creare problemi giuridici non è tanto la violazione della privacy, come nel caso napoletano, ma la cultura woke, l’insofferenza verso tutto ciò che urta la sensibilità, o forse piuttosto la suscettibilità, politically correct. L’intelligenza artificiale di Menlo Park ha cancellato dalle mappe di Facebook la città francese di nome «Bitche» (5mila anime nel dipartimento della Mosella, al confine con la Germania) perché la pronuncia di quel nome (con la «e» muta) assomiglia a un insulto sessista in inglese. Allo stesso modo, la religione del politicamente corretto ha imposto la censura di quattro opere di Courbet, Giorgione e Canova perché ritenute volgari e pornografiche, ritraendo nudi di donne (come appunto il celeberrimo quadro di Gustave Courbet ‘ del mondo’). Finanche la dichiarazione di indipendenza americana è stata oscurata sul social per il riferimento agli «spietati selvaggi indiani». Vogliamo parlare poi del controllo esercitato sull’informazione durante la fase più acuta della pandemia?

  • Nuove norme per rafforzare la cibersicurezza e la sicurezza delle informazioni nelle istituzioni, negli organi e negli organismi dell’UE

    La Commissione ha proposto nuove norme per stabilire misure comuni in materia di cibersicurezza e sicurezza delle informazioni nelle istituzioni, negli organi e negli organismi dell’UE. La proposta è volta a rafforzare le capacità di resilienza e di risposta di questi soggetti rispetto agli incidenti e alle minacce informatiche, come pure a garantire la resilienza e la sicurezza della pubblica amministrazione dell’UE in un contesto di crescenti attività informatiche dolose nel panorama globale.

    Nel contesto della pandemia di COVID-19 e delle crescenti sfide geopolitiche, un approccio comune alla cibersicurezza e alla sicurezza delle informazioni è imprescindibile. Alla luce di ciò la Commissione ha proposto un regolamento sulla cibersicurezza e un regolamento sulla sicurezza delle informazioni. Stabilendo priorità e quadri comuni, tali norme rafforzeranno ulteriormente la cooperazione interistituzionale, ridurranno al minimo l’esposizione ai rischi e consolideranno la cultura della sicurezza dell’UE.

    Il proposto regolamento sulla cibersicurezza introdurrà un quadro di gestione, di governance e di controllo dei rischi nel settore della cibersicurezza. Porterà alla creazione di un nuovo comitato interistituzionale per la cibersicurezza, accrescerà le capacità in materia di cibersicurezza, e incentiverà periodiche valutazioni di maturità e una maggiore igiene informatica. Amplierà inoltre il mandato della squadra di pronto intervento informatico delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell’UE (CERT-EU), che fungerà da piattaforma di intelligence relativa alle minacce, di scambio di informazioni sulla cibersicurezza e di coordinamento della risposta in caso di incidenti, da organo consultivo centrale e da prestatore di servizi.

    Elementi chiave della proposta di regolamento sulla cibersicurezza:

    Rafforzare il mandato del CERT-UE e fornire le risorse necessarie per il suo assolvimento

    Esigere che tutte le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’UE:

    si dotino di un quadro di governance, gestione e controllo dei rischi nel settore della cibersicurezza;

    attuino una base di riferimento per le misure di cibersicurezza per affrontare i rischi individuati;

    effettuino periodicamente valutazioni di maturità;

    predispongano un piano di miglioramento della propria cibersicurezza, approvato dalla loro dirigenza;

    condividano senza indebito ritardo con il CERT-UE le informazioni relative agli incidenti.

    Istituire un nuovo comitato interistituzionale per la cibersicurezza per guidare e monitorare l’attuazione del regolamento e per indirizzare il CERT-EU

    Rinominare il CERT-UE da “squadra di pronto intervento informatico” in “centro per la cibersicurezza” in linea con gli sviluppi negli Stati membri e a livello globale, pur mantenendo l’abbreviazione CERT-UE per il riconoscimento del nome.

    Il proposto regolamento sulla sicurezza delle informazioni creerà una serie minima di norme e standard sulla sicurezza delle informazioni per tutte le istituzioni, tutti gli organi e tutti gli organismi dell’UE, per garantire una protezione rafforzata e uniforme contro l’evoluzione delle minacce alle informazioni. Queste nuove norme costituiranno un terreno stabile per uno scambio sicuro di informazioni tra le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’UE e con gli Stati membri, in base a pratiche e misure standardizzate per proteggere i flussi di informazioni.

    Elementi chiave della proposta di regolamento sulla sicurezza delle informazioni:

    Predisporre una governance efficace per promuovere la cooperazione tra tutte le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’UE, in particolare un gruppo di coordinamento interistituzionale per la sicurezza delle informazioni

    Istituire un approccio comune per la categorizzazione delle informazioni, basato sul livello di riservatezza

    Modernizzare la politica di sicurezza delle informazioni, includendovi pienamente la trasformazione digitale e il lavoro da remoto

    Razionalizzare le pratiche attuali e conseguire una maggiore compatibilità tra i sistemi e i dispositivi rilevanti.

    Nella sua risoluzione del marzo 2021, il Consiglio dell’Unione europea ha sottolineato l’importanza di un quadro di sicurezza solido e coerente per proteggere il personale, i dati, le reti di comunicazione, i sistemi di informazione e i processi decisionali dell’UE. Ciò può essere realizzato solo rafforzando la resilienza e migliorando la cultura della sicurezza delle istituzioni, negli organi e negli organismi dell’UE.

    Fonte: Commissione europea

  • Il Codacons presenta un esposto al Garante Privacy e all’Antitrust contro TikTok per truffa aggravata

    Il Cosacons ha presentato un esposto al Garante per la Privacy e all’Antitrust contro il social network TikTok, per chiedere «l’adozione di misure urgenti tese a tutelare i minori e una maxi-sanzione nei confronti della società valutando il sequestro e l’oscuramento del social network e il coinvolgimento della magistratura laddove dovessero profilarsi ipotesi penalmente rilevanti». La decisione è stata presa perché ci sarebbe, come si legge nel testo, “il mancato rispetto da parte di TikTok delle disposizioni dell’Autorità in tema di minori che accedono al social, e la possibilità per i minori di 13 anni di registrarsi alla piattaforma ricorrendo a semplici sotterfugi». Secondo il Cosacons gli impegni presi da TikTok non sarebbero in alcun modo “sufficienti a tutelare i minori dalle insidie e dai pericoli che possono trovare sui social network» perchè, continua l’esposto, “i minori che frequentano i social possono essere esposti a contenuti inappropriati o sconvolgenti, come commenti o immagini cattivi, aggressivi, violenti o sessuali. Non secondari sono le ricadute in termini di pubblicità ingannevole o occulta presente sul social, specie nel caso di TikTok in cui si è già contestata l’esistenza anche di clausole vessatorie nei Termini di Servizio che si presentano poco chiari, ambigui e comportano uno squilibrio tra il professionista che fornisce il servizio e gli utenti». E ancora: “I rimedi adottati dalla società in attuazione del Provvedimento del Garante non sono affatto finalizzati ad una controllabilità certa e sicura del minore che si iscrive o accede sulla piattaforma, in quanto appaiono – proprio come le precedenti procedure – solamente formali e non effettive, né tantomeno efficaci. Ad oggi l’unico rimedio visibile e fruibile per gli utenti ed adottato da TikTok per assolvere all’obbligo di utilizzare un sistema di accertamento dell’età anagrafica dell’utente è quello della richiesta iniziale di inserimento dell’età anagrafica: chiunque, persino un bimbo di sei anni potrebbe mettere una data diversa dalla sua per accedervi». Proprio per questo il Codacons ha chiesto al Garante della Privacy e all’Antitrust di disporre il sequestro e l’oscuramento del social network, elevando una maxi-sanzione nei confronti della società per il mancato rispetto delle disposizioni dell’Autorità.

  • Detective Stories: spiare il coniuge in casa propria

    Recentemente ho ricevuto alcune mail da parte di lettori de Il Patto Sociale, i quali, in maniera diversa, mi hanno chiesto la stessa cosa, ovvero se sia possibile spiare il coniuge all’interno della propria abitazione agendo direttamente in prima persona, magari lasciando un registratore acceso in salotto prima di andarsene.

    Per quanto ci si possa sentire legittimati nel fare ciò che si ritiene più opportuno all’interno delle proprie mura domestiche e soprattutto tentati dall’utilizzo di registratori ed apparecchiature investigative sempre più di facile reperimento, in realtà non è possibile intraprendere azioni di questo tipo, o almeno in parte.

    Improvvisare doti spionistiche all’interno di casa, lasciando banalmente un registratore acceso in nostra assenza, comporterebbe il reato di interferenza illecita nella vita privata altrui, un reato passibile di querela. Lo stesso vale per i veicoli anche se di nostra proprietà ma utilizzati dal coniuge. L’unica condizione che ammette l’utilizzo di registratori in casa o in auto è che entrambi i coniugi si trovino in prossimità l’uno dell’altro durante la registrazione, senza che il coniuge “spione” si allontani. Situazione più utile in caso di episodi di violenza domestica che in ottica di tradimento.

    I confini tra lecito ed illecito sono sempre più sottili, soprattutto quando parliamo di smartphone dimenticati in casa da uno dei coniugi. In casi di questo tipo, sbloccare un cellulare protetto da password o riconoscimento facciale (ad esempio spiando il codice di accesso o avvicinando il cellulare al volto del coniuge che sta dormendo), prevede le stesse violazioni di privacy delle quali abbiamo parlato precedentemente, a meno che il cellulare sia sprovvisto della password di accesso, fattispecie che in alcune circostanze, rende possibile la visualizzazione da parte del coniuge. Per Tribunale di Roma difatti, vivere all’interno di uno stesso spazio, implica un consenso implicito alla conoscenza di dati e conversazioni altrui anche se riservate.

    Tuttavia esistono delle eccezioni, ad esempio in caso di accesso a cellulare non protetto da password e successivamente ad applicazioni apparentemente aperte, il cui login però prevede l’inserimento di password al fine di accedere alla piattaforma sulla quale ci si è registrati, basti pensare ad applicazioni come Facebook o Instagram il cui accesso sui propri dispositivi personale non prevede un continuo inserimento di password per una pura comodità dell’utente.

    In ogni caso ci si addentra in ambiti estremamente complessi con grossi rischi in caso di condanne, un rischio che non vale mai la pena di correre, soprattutto perché sarà sempre molto difficile produrre prove non autenticate da apposite procedure, basti pensare alla fotografia di una chat, la quale in realtà potrebbe anche essere un artwork realizzato appositamente per simulare una conversazione compromettente del coniuge. Nessun giudice riterrebbe attendibili prove di questo tipo.

    Alcuni anni fa mi occupai del caso di una cliente che aveva ottenuto da sola le prove del tradimento del marito in seguito all’installazione di uno spyware sul tablet del coniuge. Il suo avvocato le suggerì che solo una agenzia investigativa avrebbe potuto ottenere prove certe da utilizzare in sede legale in merito alla frequentazione extra coniugale del marito, grazie ad una attività di controllo diretto. Le informazioni fornite dalla cliente in merito ad alcuni dettagli contenuti nelle chat del marito, certamente facilitarono la nostra attività, che tuttavia avrebbe avuto un esito positivo anche senza queste informazioni, che sarebbero comunque emerse nel corso di una lecita attività investigativa. Spiando il tablet aziendale del marito ed accedendo alla sua mail, la cliente aveva commesso una serie di gravi violazioni anche nei confronti dell’azienda presso la quale lavorava il marito, il quale ricopriva un ruolo chiave particolarmente delicato. imNel caso in cui avesse tentato di produrre queste prove “illecite” in sede legale, la cliente si sarebbe esposta a conseguenze ben più gravi di quelle di una infedeltà subita.

    Per questo motivo consiglio sempre di evitare di improvvisarsi esperti di “spionaggio” e di rivolgersi a seri professionisti che possano suggerire quali siano le strategie più idonee da adottare e da svolgere in totale sicurezza.

    Per domande e consigli di natura investigativa e/o di sicurezza, scrivetemi e vi risponderò direttamente su questa rubrica: d.castro@vigilargroup.com

  • Detective stories: tradire senza essere scoperti

    Contrariamente a quanto ritenuto dalla maggior parte delle persone, le investigazioni sulle infedeltà coniugali rappresentano solo una piccola parte del lavoro di una agenzia investigativa, tuttavia negli ultimi anni ho potuto assistere ad un trend molto interessante, ovvero l’aumento di soggetti infedeli che si sono rivolti a me per paura di essere scoperti dal proprio coniuge.

    La principale preoccupazione di questo tipo di clienti è quella che, in seguito alla scoperta di un tradimento, il partner possa organizzarsi per raccogliere prove utili ad una separazione con addebito, o che possa ottenere l’affidamento dei figli, ed è per questo motivo che molto spesso i partner infedeli decidono di tutelarsi giocando d’anticipo.

    Al fine di prevenire situazioni spiacevoli è fondamentale capire quali siano i maggiori ambiti di rischio:

    1. Amicizie – Fare molta attenzione alle persone con le quali vengono condivise notizie circa eventuali frequentazioni extra coniugali, specie se si tratta di un amico/conoscente comune al partner. Oltre all’imbarazzo che una situazione del genere potrebbe generare, il mantenimento di un segreto è soggetto ad equilibri molto sottili e volubili nel tempo. Oggi un “amico” potrebbe fornire copertura ed alibi, ma un domani, in seguito ad una lite o per altri motivi più o meno gravi, potrebbe decidere di raccontare tutto al vostro partner.
    1. Luoghi frequentati – Lo scenario peggiore sarebbe quello di essere colti in flagrante dal vostro coniuge, con eventuali sceneggiate in pubblico annesse… tuttavia si tratta di una situazione più improbabile, dato che certamente verrebbero prese tutte le precauzioni necessarie per evitare di imbattersi nel coniuge. Il pericolo principale è quello di essere notati da una conoscenza comune che possa riferire al partner quanto visto. Anche senza riportare dettagli particolarmente scabrosi una situazione del genere potrebbe far crollare il vostro alibi.
    1. COVID – Qualora esposte a contagi, l’eventuale registrazione presso hotel, ristoranti e strutture, potrebbe svelare incidentalmente informazioni critiche al partner.
    1. Cellulare – Le password possono essere facilmente scoperte, spesso vengono utilizzate le date di nascita dei figli o variazioni di esse nel formato gg/mm/aa. Un atteggiamento troppo protettivo nei confronti del proprio cellulare potrebbe generare dei sospetti nel partner, mentre utilizzare un secondo cellulare anche di tipo non smartphone, potrebbe generare grandissimi sospetti qualora venisse scoperto. La timeline di Google Maps può fornire indicazioni precise sugli spostamenti. Se il partner dovesse conoscere e/o indovinare la password del vostro account Google potrà conoscere tutto circa i vostri spostamenti.
    1. Programmi spia – Hanno costi relativamente bassi e possono essere facilmente installabili, basta lasciare il proprio cellulare o pc incustodito per pochi minuti ed il partner potrà scoprire conversazioni e chat senza essere un hacker.
    1. Microspie ambientali – Solitamente installate in bagno o in auto (che di regola sono i luoghi dove ci si sente più isolati ed al sicuro). Servono per ascoltare le conversazioni telefoniche a livello ambientale e sono di difficile individuazione. Evitate se non altro di parlare con il vivavoce.
    1. Tracker gps – Sull’ auto potrebbe essere stato installato un dispositivo di localizzazione gps. In questo modo, grazie ad una apposita app, il partner può conoscere gli spostamenti del veicolo in tempo reale.
    2. Pedinamento – In caso di sospetti, il coniuge potrebbe rivolgersi ad un professionista o ad un conoscente per fare seguire e documentare spostamenti e/o frequentazioni del partner.

    Rosa, (nome di fantasia), sposata da 22 anni con Alberto, uomo dedito ad alcool e droghe, si era rivolta a me per tutelare la propria storia con Simone (nome di fantasia), vedovo e sua amante da circa 3 anni.

    Un giorno Rosa si accorse di essere stata notata da un amico comune mentre beveva un caffè con Simone, e pur non essendoci atteggiamenti intimi tra i due, la loro complicità non passò certamente inosservata. Insospettita da alcuni cambiamenti nell’atteggiamento di Alberto, Rosa dopo alcuni giorni mi contattò tramite una sua amica per evitare di utilizzare il proprio telefono e mai tale intuizione fu più corretta.

    Nell’incontro che per ovvi motivi effettuammo al di fuori dei nostri uffici, le proposi di svolgere una analisi tecnica sul proprio cellulare ed un servizio di contro pedinamento finalizzato a notare l’eventuale presenza di soggetti intenti a seguirla.

    Come era facile immaginare, sul cellulare Android di Rosa era stato installato un programma spia, con molta probabilità da parte di Alberto in uno dei suoi rari momenti di lucidità, invece l’attività di contro pedinamento confermò la presenza assidua da parte di due soggetti (che in seguito scoprimmo essere pregiudicati), albanesi “assoldati” da Alberto per seguire Rosa e raccogliere informazioni, ovviamente in maniera grottesca e per nulla professionale.

    Dopo aver raccolto prove sufficienti, supportai Rosa nel documentare le violenze domestiche che subiva da Alberto continuamente. Fu il primo passo che le consentì di divorziare, tutelando il proprio diritto alla felicità e ad una vita normale. 

    Sembra paradossale, e forse poco professionale, tuttavia, per quanto il tradimento non sia mai giustificabile, in tutti i casi di questo tipo che ho affrontato finora si è sempre trattato di situazioni particolari, dove il partner infedele fuggiva spesso da realtà difficili di abusi e violenza familiare, anni di incomprensioni e vessazioni continue. In scenari di questo tipo il nuovo partner può rappresentare la cosiddetta “isola felice” ed un momento di affetto che spesso esula dalla sola ricerca di piacere fisico e può servire da collante per la propria autostima e sanità mentale.

    Chi siamo noi per giudicare?

    Per domande e consigli di natura investigativa e/o di sicurezza, scrivetemi e vi risponderò direttamente su questa rubrica: d.castro@vigilargroup.com

  • Detective stories: privacy vs security, alcune riflessioni

    La notizia dello spygate di H&M ha suscitato molto clamore. La società svedese difatti è stata condannata dal garante per la protezione dei dati di Amburgo al pagamento di una multa superiore ai 35 milioni di euro per aver “spiato” i propri dipendenti invadendo la loro privacy.

    Come sempre il tema della privacy è molto controverso e di fronte ad una notizia del genere è più che mai doveroso fare alcune precisazioni distinguendo fra lo “spiare” un soggetto e lo svolgere una attività di analisi su elementi raccolti da fonti aperte.

    Nel caso H&M difatti, pare che le informazioni siano state reperite dai datori di lavoro nell’ambito di colloqui anche informali ed inserite in schede personali dei vari dipendenti dal 2014 ad oggi. Ciò che non è stato spiegato invece sono le motivazioni che hanno spinto alcuni responsabili dell’azienda svedese a compiere tali azioni, con l’ovvia conseguenza di fare ricadere poi le colpe sui vertici della società.

    Secondo la normativa sulla privacy il datore di lavoro non può raccogliere informazioni su un dipendente circa il suo orientamento politico, sessuale e religioso e ciò è assolutamente corretto da un punto di vista etico in quanto previene l’insorgenza di eventuali situazioni discriminatorie, pertanto rappresenta un successo dal punto di vista della tutela della privacy, ma forse un po’ meno da quello della sicurezza.

    Bisogna accettare il fatto che i modi di comunicare siano radicalmente cambiati negli ultimi anni e proprio per questo trovo assurdo che una grande azienda non possa tutelarsi dai rischi di condotte estreme e potenzialmente pericolose dei propri dipendenti monitorando in maniera lecita il proprio personale.

    Non parlo di pedinamenti, intercettazioni telefoniche o situazioni degne di scenari spionistici hollywoodiani, bensì di una semplice attività di monitoraggio sulla presenza web/social dei propri dipendenti, magari focalizzata sull’identificazione di alcune parole chiave che facciano scattare degli alert. Tutto ciò, grazie alle tecnologie moderne sarebbe realizzabile anche in maniera automatizzata.

    Al di là dei vari curriculum vitae, titoli di studio e sorrisi di circostanza, le persone con cui abbiamo a che fare, possono cambiare nel tempo così come le loro personalità nascondere molte insidie.

    La rete è diventata il nuovo diario dove poter esprimere le nostre emozioni, i nostri sfoghi, lasciare le nostre tracce. In determinate situazioni è giusto analizzarle per individuare dei campanelli di allarme. Basti pensare all’estremismo religioso, a quello politico ed alle conseguenze di un attacco terroristico dentro ad un negozio, oppure al classico soggetto insospettabile che uccide una collega per gelosia etc etc.

    La tecnologia ci consentirebbe quindi di “prevedere” in determinati casi l’insorgenza di alcuni comportamenti a rischio? Assolutamente sì. Svolgere verifiche di questo tipo sarebbe contro la privacy? Probabilmente sì. La privacy è più importante della nostra sicurezza? A quanto pare sì secondo il garante.

    Personalmente credo che le esigenze di privacy non debbano necessariamente escludere quelle di sicurezza, ed il mio auspicio è che un giorno entrambe possano coesistere senza escludere l’un l’altra.

    Ad oggi purtroppo, in una società con pochissima cultura per la sicurezza dove l’attitudine generale non è mai quella di prevenire il male, ma di correre ai ripari non appena l’evento si scatena in tutta la sua violenza, siamo noi a pagarne le conseguenze, ma forse un domani le cose potranno cambiare in meglio.

    Per domande e consigli di natura investigativa e/o di sicurezza, scrivetemi e vi risponderò direttamente su questa rubrica: d.castro@vigilargroup.com

  • Pratiche scorrette di geolocalizzazione: l’Australia fa causa a Google

    L’Australia porta Google in tribunale per le pratiche adottate per raccogliere i dati di geolocalizzazione.
    L’Australian Consumer Commission (ACC) ha intentato infatti un’azione legale accusando il colosso dell’elettronica perché indurrebbe in errore il pubblico sulle modalità con le quali vengono raccolti, conservati e utilizzati i dati sulla posizione. In particolare, la società non ha informato i consumatori della necessità di cambiare due impostazioni Android qualora desiderassero che la società interrompesse il monitoraggio della propria posizione. Oltre alla “Cronologia delle posizioni”, anche “Attività web e app” può segnalare la posizione.
    Google ha risposto che la società sta esaminando il caso e non ha affrontato le accuse nella sostanza. La prima udienza è prevista per il 14 novembre.

  • Facebook metterà il suo nome accanto a WhatsApp e Instagram

    Presto i nomi ufficiali di Instagram e Whatsapp, entrambi posseduti da Facebbok, diventeranno Instagram from Facebook e WhatsApp from Facebook, affinché chiunque capisca chi ne è il titolre.

    «Vogliamo essere più chiari per quanto riguarda i prodotti e i servizi che fanno parte di Facebook» ha spiegato l’azienda, ma la scelta di cambiare la denominazione pare aver creato sorpresa e confusione nei dipendenti. Perché infatti cambiare il marchio di un servizio molto noto e popolare, col rischio che cambi anche la percezione degli utenti (magari in peggio)?

    Facebook non gode di ottima fama per quanto riguarda il rispetto della privacy degli utenti e menzionarne il nome rischia di risultare non troppo gradito a quanti finora non sapevano che  Instagram e WhatsApp fanno capo ad esso. Secondo alcuni commentatori, potrebbero essere però proprio motivi legati alla privacy la base per questa mossa: Facebook, in questo modo, starebbe cercando di mostrare alle varie autorità che si occupano di tutelare i dati degli utenti che non ha alcuna intenzione di nascondersi dietro marchi certamente noti ma apparentemente non legati al social network in blu. D’altra parte, è anche possibile che si tratti semplicemente di un’ulteriore parte del piano che porterà gli account Facebook, Instagram e WhatsApp a essere sempre più integrati tra loro, un’operazione sulla quale Facebook non ama sbilanciarsi troppo, almeno pubblicamente.

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