Processo

  • In attesa di Giustizia: fantasia al potere

    Settimana abbastanza tranquilla sul fronte giudiziario, nella misura in cui i magistrati non si sono arrestati tra di loro e sembra che sia avviata alla conclusione la storia infinita della nomina del Procuratore Capo di Roma mentre quello di Milano – Francesco Greco – ha festeggiato il settantesimo compleanno e con esso la pensione che comporta anche l’esaurirsi automatico di un procedimento disciplinare che fu avviato, un paio di mesi addietro, mancando già dei tempi tecnici per arrivare ad una decisione proprio per l’imminente pensionamento; nel frattempo, l’indagine cui era sottoposto a Brescia si avvia all’archiviazione.

    Insomma, tutto è bene quello che finisce bene, ma non per tutti: come per Riccardo Fuzio, già Procuratore Generale della Cassazione che aveva confidato a Luca Palamara l’esistenza dell’inchiesta aperta a Perugia nei suoi confronti, e che era stato assolto dalle accuse di rivelazione di segreto d’ufficio.

    Contro questa sentenza si è, però, appellata in questi giorni la Procura Generale di Perugia (sede giudiziaria competente per i magistrati romani) e, parrebbe, con un certo fondamento: Fuzio, infatti, era stato prosciolto motivando che in occasione delle prime confidenze non vi era stata ancora secretazione degli atti: come se una delle più alte cariche del sistema giudiziario non sia comunque tenuto al riserbo a prescindere dalla esistenza di un passaggio meramente formale.

    La porzione più fantasiosa della motivazione è – però – quella che riguarda la rivelazione di altre notizie, quelle in seguito coperte dal segreto istruttorio: è stato, infatti, ritenuto che il fatto sia di particolare tenuità, quindi irrilevante dal punto di vista penale; si dice in sentenza che Palamara già sapeva qualcosa e che, quindi, si trattava di  innocenti ed innocui chiacchiericci tra vecchi amici e colleghi…senza considerare – tra l’altro – che i due, per accordarsi sul dove come vedersi e parlarne, a riprova che non fossero proprio sciocchezzuole, usassero telefoni a loro non riconducibili e stratagemmi vari per mantenere quegli incontri e i loro contenuti riservati.

    Il premio fantasia della settimana spetta però, ancora una volta e con pieno merito, al nostro legislatore. Albert Einstein diceva che il segreto della creatività è nel saper tenere nascoste le proprie fonti: il nostro Parlamento dispone, evidentemente, di fonti ispiratrici sulle quali è meglio stendere un velo pietoso. Ed è in ogni caso difficile individuarle tutte, salvo qualche celebre esponente del furore giacobino.

    La creatività, allora, si traduce non di rado in sciatteria normativa; d’altronde, come ricordava Cordero: «a terminologie esatte corrisponde chiarezza di idee». E di idee chiare non se ne segnalano molte, partitamente in materia di giustizia e legislazione.

    L’ultima perla partorita dalle Camere si rinviene nel nuovo codice della strada pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 9 novembre: per tutelare gli automobilisti ed evitare distrazioni alla guida viene introdotto il divieto di affiggere lungo le strade pubblicità con messaggi sessisti, discriminatori, lesivi delle diversità, dell’orientamento politico e religioso…concetti molto vaghi che riecheggiano i contenuti del d.d.l. Zan senza che sia ben chiaro a chi verrà assegnato il compito di valutare (e con che criteri) i cartelloni, tutti i cartelloni che fiancheggiano le decine di migliaia di chilometri di statali, provinciali, autostrade, tangenziali, strade urbane ed extraurbane e piste ciclabili, naturalmente. Come se, fino ai giorni nostri, se ne fossero visti molti.

    E’ vero, probabilmente e per esempio, che fu fatto molto peggio quando anni fa fu inserita una modifica della legge sul traffico di droga all’interno del decreto legislativo con cui venivano dettate disposizioni per l’organizzazione delle Olimpiadi invernali del Sestrière (poi dichiarate incostituzionali per eccesso di delega a distanza di anni, creando un putiferio per rimettere ordine nella infinità di processi celebrati e conclusi nel frattempo con pene tecnicamente illegali): che sia da considerare un segnale positivo? Ai posteri e a chi dovrà giudicare i “consigli per gli acquisti” l’ardua sentenza.

  • In attesa di Giustizia: In der Strafkolonie

    La scorsa settimana, questa rubrica si è occupata di un rarissimo caso (sembra addirittura l’unico in assoluto) di richiesta di danno erariale da parte della Corte dei Conti ad un G.I.P. e un P.M. il primo dei quali aveva ordinato l’arresto di una persona senza che vi fossero i presupposti, il secondo per averne curato la materiale esecuzione senza accorgersi del fatto di non avere, egli stesso, fatto la indispensabile richiesta.

    Risarcita dallo Stato con circa 21.000€ la vittima di questo grossolano strafalcione giudiziario, alla Corte dei Conti si è avviata la procedura per il riconoscimento del danno erariale, in egual misura ed in capo ai due protagonisti negativi, in ragione della loro colpa grave nella vicenda: approfondendo l’argomento dopo il primo articolo, è stato possibile verificare che – peraltro – le già esangui casse della Pubblica Amministrazione sono state solo parzialmente ristorate.

    Al P.M., infatti, non è stato addebitato nulla, essendosi giustificato con la circostanza che il fascicolo era rimasto al Giudice e a lui era stata trasmessa solo l’ordinanza cautelare da eseguire: dunque non si era potuto accorgere che di quella persona non aveva mai richiesto la carcerazione, dimenticandosi del tutto anche della corrispondente indagine che – pure – aveva personalmente svolto.

    Il G.I.P., invece, ha fatto ricorso al giudizio abbreviato previsto anche dal Codice della Giustizia Contabile che consente di pervenire ad una rapida definizione delle controversie garantendo l’incasso per l’Erario di somme certe ma considerevolmente ridotte rispetto all’ammontare effettivo del danno cagionato; non consta neppure l’avvio di un disciplinare al C.S.M. ed i progressi in carriera di entrambi paiono immeritatamente salvi.

    L’approfondimento ha consentito anche di verificare che praticamente mai  vi è una rivalsa dello Stato  per le riparazioni da ingiusta detenzione nei confronti di chi le ha cagionate e che gravano sul bilancio per una media di circa trenta milioni all’anno. Questo perché è necessario che la Corte dei Conti sia attivata da un esposto del cittadino vittima del torto che, di regola, non sa che può farlo ed è, comunque, privo di interesse; in alternativa vi è la segnalazione da parte del Ministero della Giustizia…ma, si sa, cane non mangia cane.

    In sostanza, la Procura Contabile, per quanto sia di sua competenza, non dispone accertamenti per poi chieder conto dei sostanziosi esborsi per indennizzi dovuti a riparazione degli errori giudiziari, accertando se vi sia stata almeno colpa grave nel determinarli, perché nessuno, normalmente, la attiva.

    Come si potrebbe fare, allora, per realizzare in questo settore una forma di spending review,  prevenendo il pregiudizio economico per lo Stato, tenuto conto del sostanziale disinteresse del privato per il ristoro del danno erariale e della difesa corporativa del settore pubblico? La soluzione potrebbe essere di ispirazione letteraria.

    Durante il periodo di tirocinio, bisognerebbe far interpretare ai neo magistrati la parte del condannato nel racconto di Kafka “Nella Colonia Penale”, in cui si narra di prigionieri incarcerati senza neppure sapere di cosa fossero stati accusati e condannati sulla base di una semplice denuncia perché il processo sarebbe stata una inutile perdita di tempo nel quale l’imputato ha la facoltà di mentire, può persino portare testimoni falsi, la difesa avrebbe propinato menzogne…dunque un vero e proprio intralcio alla giustizia.

    In una parola: l’idea di giustizia che ispira il pensiero di Piercamillo Davigo e dei suoi epigoni… almeno finché non tocca a loro, come accade “In der Strafkolonie”, sperimentare, in senso stretto sulla propria pelle la conoscenza postuma delle proprie colpe con la sottoposizione finale ad una mostruosa macchina chiamata “erpice” che incide sulla schiena dello sventurato il nome del delitto per cui è stato condannato e che solo così potrà finalmente conoscere.

  • In attesa di Giustizia: nelle mani degli esperti

    Alzi la mano chi coltiva tra le proprie letture preferite la relazione della Corte dei Conti sulle spese sostenute dallo Stato per errori giudiziari ed ingiuste detenzioni.

    Eppure, anche da un testo come questo – che non si annovera tra i più appassionanti – si possono ricavare informazioni e dati che risultano utili, sebbene di nessun conforto, a comprendere in che condizioni versa l’amministrazione della Giustizia: talvolta con annotazioni davvero sorprendenti, come questa che arricchisce la galleria degli orrori di questa rubrica.

    Partiamo dal brocardo ne procedat iudex ex officio che esprime un fondamentale principio risalente, come intuibile, al diritto romano e da allora applicato anche da giudici contemporanei con il quale è fatto divieto ad un giudice di procedere di sua iniziativa quando manchi la proposizione di una domanda “di parte”: vale a dire del cosiddetto attore nel processo civile e del Pubblico Ministero in quello penale.

    Ciononostante, accade in una cittadina del Sud che un giudice delle indagini preliminari – magistrato con una certa anzianità di servizio – ordini l’arresto di un indagato e di sua figlia per false fatturazioni sebbene il P.M. avesse chiesto la carcerazione solo dell’uomo.

    Per legge è il Pubblico Ministero che cura l’esecuzione degli arresti ma nemmeno lui si accorge che sta per essere incarcerata una persona per la quale non ha fatto richiesta; le Forze dell’Ordine eseguono entrambi i mandati di cattura e solo qualche giorno dopo, in occasione dell’interrogatorio “di garanzia” si riesce a chiarire l’equivoco, chiamiamolo così usando un eufemismo per quello che in sostanza è un sequestro di persona: scarcerazione per assenza dei presupposti di legge.

    Come si vede, non era questione di interpretare una legge confusamente articolata, oppure di fare complicate ricerche di precedenti giurisprudenziali ma solo di leggere con attenzione la richiesta finalizzata a privare della libertà almeno una persona ed applicare un principio millenario ed immutato…e saper contare fino a due.

    Tutto è bene, però, ciò che finisce bene (o quasi): tornata in libertà, la donna è stata in seguito risarcita con circa 21.000€ di cui ora la Corte dei Conti chiede la restituzione a Giudice e P.M., responsabili a tutta evidenza del danno erariale prodotto. Nel rispetto degli interessati non facciamo nomi perché la notizia è sfuggita (chissà come mai?) ai media, a tacer del fatto che ci sono accertamenti ancora in corso.

    Chi vivrà vedrà come andrà a finire, soprattutto se le polizze assicurative dei due magistrati garantiscono anche contro il verificarsi di eventi simili o se dovranno pagare di tasca loro; sarà interessante anche sapere se saranno sottoposti ad un procedimento disciplinare e che futuro avrà la loro carriera ma – come si è detto – tutto è bene ciò che finisce bene e non è fuor di luogo pensare che non vi saranno conseguenze particolari per questi campioni del diritto, forse perché qualcuno sosterrà che si tratta di errorucci dai quali sicuramente si è tratto un arricchimento della esperienza.

    E, come scriveva Niels Bohr – che non era un giurista ma un fisico che, peraltro, ha vinto un Nobel – “Un esperto è uno che ha fatto tutti gli errori possibili nel suo campo”.

  • In attesa di Giustizia: anche per Giulio Regeni la giustizia può attendere

    La Corte d’Assise di Roma ha impiegato sette ore di camera di consiglio per prendere una decisione per la quale bastavano sette minuti: il processo per l’omicidio di Giulio Regeni non può iniziare e ritorna nelle mani del Giudice dell’Udienza Preliminare.

    Cosa è successo? C’era un handicap insuperabile circa la regolarità delle notifiche con l’avviso ai quattro imputati di fissazione della udienza preliminare, poi tenutasi nella loro assenza e nella quale è stato disposto il rinvio a giudizio.

    Vero è che notificare ritualmente una citazione del Tribunale di Roma ad agenti dei servizi segreti egiziani non è impresa facilissima (ma neppure impossibile) che – infatti – non è riuscita ma la soluzione adottata dal G.U.P., senza nascondersi dietro ad eufemismi, è una bestialità tale che imporrebbe di ri- sottoporre questo magistrato all’esame di procedura penale prima di fargli mettere nuovamente piede in un’aula. E, come  vedremo, non è neppure  del tutto nuova alle cronache.

    Il Giudice ha ritenuto di superare l’empasse procedurale sostenendo che “la copertura mediatica ha fatto divenire il processo un fatto notorio” dal che, pertanto, si può dedurre gli imputati fossero sicuramente a conoscenza del procedimento nei loro confronti, della data, del luogo destinati alla celebrazione, dell’Autorità che procede nei loro confronti, dei diritti che la legge italiana riserva loro: motivazione evidentemente inappropriata dal momento che la “copertura mediatica” non è tra i parametri presi in considerazione dal codice. A tacer del fatto che non si può essere sicuri che tra le letture preferite dagli 007 egiziani vi siano quotidiani e settimanali italiani, la visione dei nostri telegiornali, di Chi l’ha visto e Quarto Grado  e – aspetto non secondario – la comprensione della lingua: tanto è vero che la legge prevede che all’imputato straniero gli atti siano notificati con traduzione nella sua lingua madre.

    Al peggio non c’è limite e soluzioni diverse da uno strafalcione giuridico da guinness dei primati erano praticabili ma non è il caso di ammorbare i lettori con la illustrazione in dettaglio di tecnicismi.

    Dunque, bastavano davvero sette minuti per decidere: cosa avrà mai discusso la Corte per sette ore? Come salvare il collega da una figuraccia, cosa inventarsi per proseguire evitando l’immaginabile sdegno dell’opinione pubblica? Missioni impossibili entrambe anche alla luce di un precedente cui si è accennato…

    Accadde ai tempi di “Mani Pulite”, ovviamente, in quella camera di tortura delle garanzie che era la Sede Giudiziaria di Milano: problema più o meno analogo, legato ad una mancata notifica a Cesare Previti, in allora Ministro della Giustizia. Il G.U.P., determinato ad andare avanti a tutti i costi, in quel caso rilevò che vi fosse una nullità ma “innocua” perché di quel processo parlavano tutti i giornali e pertanto Cesare Previti ne era sicuramente informato. Inutile dire che, oltre che essere un ossimoro, la “nullità innocua” è un concetto sconosciuto al codice.

    La questione, che poteva essere subito risolta anche perché Previti, diversamente dagli egiziani, era facilmente raggiungibile da una nuova citazione valida, si trascinò per anni e per tre gradi di giudizio: Tribunale e Corte d’Appello di Milano sposarono la tesi del G.U.P. mentre la Cassazione fece (giustamente) a coriandoli le ordinanze che sostenevano la tesi della nullità innocua facendo ricominciare tutto da capo con il risultato di far maturare la prescrizione. Una prescrizione evitabile con il solo ricorso alla rinnovazione di un atto che l’ufficiale giudiziario non avrebbe avuto nessuna difficoltà a consegnare – ove tutto fosse mancato – al Corpo di Guardia del Ministero della Difesa, perdendo solo qualche settimana invece che alcuni anni.

    La storia si ripete tristemente perché dalla storia (oltre che dallo studio del codice) non si è imparato nulla. Giustizia per Giulio Regeni si legge in manifesti affissi un po’ dovunque; ma anche per lui l’attesa sembra destinata a durare a  lungo:  tanto per cominciare quanto serve a far ripassare a qualcuno le facili e basilari  norme che regolano le citazioni a giudizio.

  • In attesa di Giustizia: Carramba che sorpresa!

    Sono giorni in cui impazza la polemica per l’estensione del green pass e i controlli necessari al rispetto dei protocolli di prevenzione del contagio, le critiche alla Ministra Lamorgese per talune colpevoli inerzie nel disporne l’intervento si appaiano ai rilievi sulle obiettive difficoltà per le Forze dell’Ordine di assommare questi nuovi compiti di controllo a quelli istituzionali.

    Eppure, durante i lunghi mesi della pandemia, Carabinieri e Polizia di Stato si sono impegnati con dedizione alle verifiche sul rispetto delle misure di contrasto al diffondersi del virus: come, per esempio, è accaduto nei pressi di Modena nel febbraio di quest’anno in occasione di un controllo presso una macelleria equina di Scandiano, che avrebbe dovuto essere già chiusa, si intrattenevano amabilmente tre persone sorseggiando un calice di vino.

    Il particolare curioso, che ci porta a commentare questa vicenda, non è il mancato impiego delle mascherine o la temperatura corporea fuori norma dei presenti quanto la bizzarra composizione del terzetto: il titolare del negozio e…carramba che sorpresa! un magistrato donna della Procura di Modena ed un ergastolano in semilibertà.

    Cosa ci facesse un Pubblico Ministero a brindare, sotto sera, con questo garbato signore, condannato per omicidio, associazione mafiosa ed altre simili bagatelle, non è dato sapere con certezza perché Claudia Ferretti (questo il nome del Sostituto Procuratore della Repubblica) non ha fornito spiegazioni convincenti, riferendo di un’occasione per scambiarsi dei cordialissimi saluti. E dove meglio che in un retrobottega in orario di coprifuoco?

    Una ipotesi di reato non era configurabile, ma la segnalazione al Consiglio Superiore della Magistratura è stata inevitabile e dovuta: nel corso del procedimento disciplinare la Dottoressa Ferretti sembra che si sia difesa sostenendo che si è trattata di “una sciocchezza”.

    Incompatibilità ambientale e trasferimento ad altro ufficio: questo il destino che la Sezione Disciplinare del C.S.M., con il tradizionale rigore, avrebbe riservato alla P.M. sebbene per il pregiudizio arrecato all’immagine ed al prestigio della magistratura. Ammesso che ve ne sia ancora da pregiudicare.

    Ma tutto è bene ciò che finisce bene, particolarmente se ci si deve occupare di schiocchezzuole: la Dottoressa Ferretti ha anticipato la decisione dell’organo di autogoverno chiedendo di sua iniziativa di essere mandata a Firenze con funzioni di giudice civile: trasferimento disposto opportunamente a metà giugno, in prossimità del periodo feriale e procedimento disciplinare archiviato garantendo serenità alle meritate vacanze.

    La donna, poi, a dicembre andrà in pensione e – con una giustizia civile che ha il lustro come unità di misura della durata dei processi – non è ben chiaro di cosa si potrà occupare nell’arco di poco più di un paio di mesi nella nuova sede oltre che far apporre la targa con il nome sulla porta della sua stanza, la macchinetta Nespresso all’interno e verificare scrupolosamente l’accredito dello stipendio ogni 27 del mese.

    Procedimento disciplinare, quindi, interrotto per la scelta volontaria della incolpata di trasferirsi altrove; l’imminenza del pensionamento avrebbe, peraltro, condotto al medesimo risultato perché non può infliggersi sanzione a chi non fa più parte dell’Ordine Giudiziario.

    Alleluja! Non sapremo mai i motivi della composizione di quella allegra brigata che può ben essere stata frutto una casualità: del resto a chi non è mai successo di bere un bicchiere di quello buono, del tutto casualmente nel retrobottega di una macelleria equina, insieme ad un simpatico ergastolano? Da noi, si sa, accadono molte cose ad insaputa degli interessati…

    In attesa di Giustizia, da Modena per oggi è tutto, a voi studio centrale.

  • In attesa di Giustizia: tutto il mondo è paese

    Nella vicina Francia sta divampando un’accesa polemica tra il Ministro della Giustizia, Dupond Moretti, e l’U.S.M. che è il più importante sindacato di categoria dei Magistrati;  come dire, l’equivalente della nostra equilibrata A.N.M. Motivo? Un presunto conflitto di interessi: accade nientemeno che Dupond Moretti – nell’ambito di un più ampio progetto di riforma del sistema giudiziario – abbia proposto all’Assemblea Nazionale una disciplina a maggiore protezione degli avvocati e…Dupond Moretti è un avvocato penalista.

    Il Guardasigilli francese, in realtà, si è speso in favore non tanto della categoria quanto del diritto di difesa affermando (cosa ovvia che non dovrebbe scandalizzare nessuno) che gli studi legali sono luoghi sacri e non può esistere difesa adeguata senza segreto professionale: tanto è bastato per fare insorgere i magistrati che sostengono la malafede di un Ministro che lavorerebbe nell’interesse dei suoi amici e colleghi.

    Dupond Moretti si è limitato a ribattere che il suo intervento è volto a riaffermare, e non a torto visti i precedenti, lo Stato di diritto contro metodi da spie.

    Tutto il mondo è paese: veti incrociati e compromessi porteranno a delle modifiche della riforma nel suo insieme ma nel frattempo l’Assemblea, con voto bipartisan, ha approvato un emendamento che rafforza comunque la tutela del segreto professionale e si aspetta – da qui ad un paio di settimane – il voto del Senato.

    Basta quindi intercettazioni selvagge, perquisizioni e sequestri senza garanzie negli studi legali e intrusioni con ogni metodo nel rapporto confidenziale avvocato/cliente.

    Non è esattamente motivo di consolazione, ma in Francia sono successe cose che voi umani non potete neppure immaginare e che da noi, con grande scorno di Davigo e dei suoi claquers, non sono possibili mentre Oltralpe risultano ampiamente legittime: emblematico il caso giudiziario che ha coinvolto l’ex Presidente Sarkozy, condannato insieme al suo storico difensore grazie ad intercettazioni illegali – e poi ammesse in giudizio – dopo un’indagine condotta per tre anni senza che gli interessati ne sapessero nulla.

    Lo scandalo, quindi, consiste nell’apporre un freno agli abusi investigativi, qualcosa che – evidentemente – si verifica anche altrove, anche in un Paese in cui vi è dipendenza gerarchica tra le Procure medesime ed il Ministro della Giustizia, e sebbene non via sia la separazione delle carriere che da noi viene presentata come il viatico per subordinare il potere giudiziario e l’esercizio dell’azione penale alla volontà della politica.

    Anche da noi, tuttavia,  succedono in continuazione cose strane come – tanto per ricordarne uno – il caso bizzarro del trojan inoculato nel cellulare di Luca Palamara che subiva improvvisi, inspiegabili, guasti intermittenti a seconda degli interlocutori intercettati e degli argomenti trattati…e non si trattava del Presidente della Repubblica o del suo entourage come nella nota vicenda del processo Stato-mafia.

    No, al Quirinale Palamara – sia come Presidente dell’A.N.M. che come componente del C.S.M. – ci andava di persona: sistema più riservato e sicuro per confrontarsi con Giorgio Napolitano e i suoi collaboratori (come sostiene l’ex magistrato) o come, in termini più insidiosi sostiene Alessandro Sallusti, “per prendere ordini”.

    Non lo sapremo mai: a quel tempo Palamara forse non era ancora intercettato e poi da noi il Colle è intoccabile e, se tutto va male, un palmare – come tutte le diavolerie moderne – può avere un inatteso problema di funzionamento.

  • In attesa di Giustizia: autunno caldo

    Passato il Ferragosto, per restare in argomento, dalle prime avvisaglie sembra che ad una estate torrida seguirà un autunno caldo ma non a causa dei cambiamenti climatici.

    Il che non è difficile da prevedere se il riferimento è al settore della giustizia  – quotidianamente, anche di questi tempi – teatro di scontro e di inarrestabili polemiche. Basti pensare alla reazione provocata da un tweet con cui Enrico Costa, deputato di Azione, ha ricordato la vicenda umana e giudiziaria di Marco Sorbara, ex consigliere regionale della Valle d’Aosta, arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa: un reato, ricordiamo, non previsto dal codice bensì frutto di elaborazione giurisprudenziale. Un po’ come succedeva ai cari, vecchi tempi, dell’URSS allorquando, in spregio al principio della tassatività delle norme incriminatrici, nei processi penali era consentito il ricorso alla analogia.

    Sorbara, prima di essere assolto qualche settimana fa perché il fatto non sussiste, ha patito oltre 900 giorni di carcerazione e Costa – che è uno schietto garantista – ha evidenziato l’esito del processo rimarcando come a tale notizia sia stato riservato uno spazio marginale da quegli stessi media che, viceversa, avevano dato enorme risalto all’arresto.

    Come sempre avviene, sui social si è subito innescata la spirale di commenti a favore e contro e tra questi spicca quello di un magistrato, tal Antonio Salvati, che scrive “io continuo a dirglielo caro Costa: se soffiate sul fuoco vi scottate pure voi”.

    Messaggio che l’autore cercherà in seguito di svuotare del minaccioso significato offrendo varie spiegazioni, nessuna delle quali del tutto convincente, per illustrare quale fosse il suo pensiero sostenendo (improbabili e poco comprensibili) intenti metaforici ed incolpando l’eccesso di sintesi cui si è costretti dai “cinguettii”. Il commento, peraltro, è tutt’altro che ambiguo e, volendogli dare maggiore chiarezza o senso, restavano ancora la maggiore parte dei caratteri consentiti da Twitter.

    Prosegue, nel frattempo, lo scontro dialettico sulla riforma della Giustizia a firma Cartabia, invisa all’A.N.M. non meno che alle truppe dell’ex avvocato degli Italiani, passato ora a difendere i talebani. Sembra con altrettanto successo. Ex avvocato e quasi ex professore se continuerà a preferire una carica di vertice nel Movimento, visto che per questa ragione è stato messo in aspettativa non retribuita dall’Università: poco male, potrà sempre chiedere il reddito di cittadinanza.

    Restiamo, allora, in attesa di assistere, a breve, ad una sua lectio magistralis sulla riforma da un pulpito politico, magari invocando la promulgazione del Codice di Hammurabi con la sua intrigante legge del taglione. Sarà sempre meglio che rivederlo in aule universitarie: in tal modo si eviterà il rischio che allevi altri discepoli del calibro di Alfonsino Bonafede, già suo assistente di cattedra a Firenze, il che la dice lunga pensando a cosa potevano essere gli studenti meno meritevoli o il suo metro di giudizio.

    Mutuando la celebre la frase pronunciata da Neil Armstrong sbarcando sulla luna: sarebbe un piccolo passo per l’uomo ma un grande passo per l’Umanità…seppure una perdita incolmabile per il mondo del cabaret.

  • In attesa di Giustizia: Beccaria, chi era costui?

    Il ‘700, il secolo dei lumi, è lontano: eppure gli insegnamenti, il frutto del pensiero di un’epoca straordinaria di rinascita intellettuale, rimangono attualissimi. Basta pensare all’eredità lasciata dalle grandi rivoluzioni: quella francese e l’americana, al pensiero di Rousseau (che si rivolta nella tomba per l’accostamento del suo cognome con la nota piattaforma a firma Casaleggio & Associati), Montesquieu, Newton, Hegel  e – naturalmente – Cesare Beccaria: un visionario che credeva nella funzione rieducativa della pena e che il diritto penale avesse una mera  funzione sussidiaria come strumento di controllo sociale.

    Tuttavia, seguendo l’insegnamento di improbabili maestri del calibro di Marco Travaglio, Alfonso Bonafede, Nicola Morra (non propriamente definibili come raffinati cultori di teoremi giuridici) e di furbastri agit prop come Piercamillo Davigo e Nicola Gratteri, l’opinione pubblica  – e non solo quella – sembra allinearsi alla corrente di pensiero che segna il primato della querela e dei ceppi ai polsi sulla ragione in un mondo che è ideale solo se carcerocentrico e – quindi – molto distante dalla Città del Sole di Tommaso Campanella.

    Su queste premesse si è già acceso lo scontro dialettico sul controllo del green pass che in molti vorrebbero (ed altrettanti temono) suscettibile di severe verifiche da parte di baristi e camerieri, come per incanto trasformati in ausiliari delle Forze dell’Ordine ma – ahimè – sforniti di poteri sanzionatori.

    Perché, in fondo sempre lì si va a parare: una punizione purchessia per garantire l’ordine costituito. Sul punto, la Ministra competente (?) per materia è ondivaga nel chiarire le regole lasciando i cittadini nella spasmodica attesa di qualche circolare esplicativa che, verosimilmente, sarà partorita con la chiarezza di un testo redatto in lineare B di Cnosso.

    E c’è pure chi vorrebbe che anche i lavoratori sprovvisti di passaporto vaccinale siano passibili di sanzioni alta levando l’invocazione: crucifige, crucifige! sebbene la contestazione disciplinare appaia incompatibile con un obbligo, quello della vaccinazione, che dal punto di vista giuridico non esiste.

    Ma tant’è: in un Paese popolato da aspiranti sceriffi e punitori, quanto a distanza dal pensiero illuminista ed illuminato di Cesare Beccaria si continua a vedere di molto peggio, a conferma di quanto si è osservato sulla tendenza ad un sistema carcerocentrico anziché sulla  attuazione al canone costituzionale che affida finalità rieducative alla espiazione della pena. E non parliamo, non necessariamente, di redattori, editorialisti ed abbonati al Fatto Quotidiano.

    Infatti, qualche mese fa – tanto per fare un primo esempio – ad un detenuto in regime di carcere duro  (il famigerato 41bis) dal Magistrato di Sorveglianza di Viterbo è stata negata la possibilità di acquistare e leggere un libro di Marta Cartabia perché visto come un privilegio e le conoscenze che ne avrebbe tratto ne avrebbero aumentato il carisma criminale.

    Peggio ancora – al peggio, si sa, non c’è limite – ha saputo fare il Tribunale di Sorveglianza di Bologna negando la detenzione domiciliare a un condannato che, in regime di carcerazione, ha conseguito una laurea in economia, una in giurisprudenza ed anche un master. Scrivono questi fenomeni dell’oscurantismo giudiziario che “le lauree e la frequentazione di un master per giurista di impresa si ritiene che possano affinare le indiscusse capacità del condannato e, dunque, gli strumenti giuridici a sua disposizione per reiterare condotte illecite in ambito finanziario ed economico”.

    E, allora, perché non buttare via la chiave, già che ci siamo? Altrimenti prima o poi quest’uomo uscirà e sarà pericolosissimo.

    Anche Beccaria, come Rousseau, si rivolta nella tomba…già, Cesare Beccaria, chi era costui?

  • In attesa di Giustizia: compagni che sbagliano

    Lo avevamo previsto nell’articolo della settimana scorsa: come a teatro, il gran finale della stagione giudiziaria prima delle ferie propone reingressi dei protagonisti sul palcoscenico, saliscendi del sipario, ovazioni del pubblico (intese come lancio di uova preferibilmente marce).

    Giustappunto: a proposito di ferie giudiziarie, la cui mutilazione di quindici giorni per legge non è ancora stata digerita (fino a qualche anno fa duravano ufficialmente dal 1° agosto al 15 settembre, ufficiosamente circa da metà luglio fino almeno alla data astronomica dell’autunno) una menzione d’onore spetta ad un magistrato donna di Varese che ha motivato il rinvio di un’udienza da metà luglio a metà ottobre perché “il periodo di ferie deve essere del tutto effettivo ed assicurare il pieno recupero delle energie psicofisiche” con periodi “cuscinetto” di avvicinamento alle agognate vacanze e di soft landing al rientro.

    Tutto ciò è possibile nel rispetto di una “raccomandazione” del C.S.M. del 2016, Consiglio Superiore che – invece – è destinato a un duro lavoro anche in questo inizio di agosto: soprattutto la sezione disciplinare.

    Infatti, da un lato è stato disposto il rinvio di una settimana per decidere sulla richiesta di trasferimento d’urgenza del P.M. Storari – la rubrica si è occupata anche di questo – dall’altro sono pervenute altre richieste di sanzioni da parte del Procuratore Generale della Cassazione che nei confronti di cinque ex componenti del Consiglio medesimo ha chiesto la sospensione dalle funzioni: due anni per Luigi Spina, Antonio Lepre e Gianluigi Morlini, uno per Corrado Cartoni e Paolo Criscuoli, ritenuti responsabili di avere partecipato ad incontri con Palamara, Luca Lotti e Cosimo Ferri (quest’ultimo fuori ruolo in quanto deputato non si sa più bene con quale formazione politica ed, a sua volta, sottoposto a procedimento disciplinare) volti alla spartizione degli incarichi direttivi.

    Non va in ferie neppure Francesco Prete, Procuratore Capo a Brescia che ha recentemente iscritto nel registro degli indagati il suo Collega Francesco Greco, alla guida – come è noto – della Procura di Milano, per omissione di atti di ufficio in relazione alla mancata apertura di un’inchiesta sulla famigerata “Loggia Ungheria”: un colpo di coda inquietante nella vicenda dei verbali di interrogatorio secretati dell’avvocato Amara finiti ovunque tranne dove avrebbero dovuto restare o essere trasmessi.

    E non vanno in ferie nemmeno Giancarlo Caselli, ex Procuratore di Torino e Palermo (ma, tanto, è già in pensione) e Nicola Gratteri, Procuratore a Catanzaro, che da pulpiti diversi si scagliano contro la riforma del processo penale elaborata dalla Commissione istituita dalla Guardasigilli Cartabia: “la peggiore riforma della giustizia mai vista” afferma Gratteri alla trasmissione “In Onda” su La 7 nel corso di un’intervista che sarebbe stata abbisognevole dei sottotitoli in italiano.  Caselli, invece, si schiera nettamente contro la modifica della prescrizione plaudendo implicitamente all’operato di Fofò Bonafede. Si vede che in tempi di chiusura delle discoteche ha nostalgia di un dj che pochi altri rimpiangono.

    A parte la querelle destinata a non esaurirsi sulla riforma, che sarà sottoposta a voto di fiducia, prosegue incessantemente a sprofondare nell’abisso la credibilità della magistratura: un abisso nel quale, come suggeriva Nietzsche, è meglio non guardare a lungo perché anche l’abisso ti guarda dentro.

    Nonostante tutto ciò, l’Associazione Nazionale Magistrati non sembra interessata a formulare per i suoi iscritti quantomeno un richiamo generale al ritorno a comportamenti visibilmente virtuosi ed una presa di distanza netta dal verminaio scaturito in seguito all’ affaire Palamara e non solo da quello. La corporazione, piuttosto, si stringe a difesa tacita dei suoi componenti: in fondo sono solo compagni che sbagliano, come si diceva dei brigatisti quando rapine, omicidi e sequestri erano visti come un modo di interpretare il marxismo, le “diversità” viste come degenerazioni borghesi e proprio il PCI  – formidabili quegli anni in cui non si parlava di DDL Zan – discriminava gli omossessuali sino al punto di espellere Pier Paolo Pasolini dal partito per indegnità morale.

    Sipario? Forse…

  • In attesa di Giustizia: gran finale

    Siamo alle soglie delle ferie giudiziarie e – come alla conclusione di uno spettacolo – il sipario si alza e si abbassa perché sia offerto il giusto tributo ai protagonisti che riappaiono uno per volta, a coppie, tutti insieme, e qualcuno concede anche il bis.  Ecco…nel nostro caso mancano gli applausi perché c’è poco di cui compiacersi.

    Lato Procura di Milano, la fuga di notizie riferisce che si sta inasprendo lo scontro con quella di Brescia che richiede atti utili per le indagini nei confronti del P.M. De Pasquale, sotto accusa per avere occultato prove a discarico di imputati nel processo c.d. “ENI – Nigeria”: ma il Procuratore Greco rifiuta di collaborare sostenendo che vi sia da tutelare il segreto istruttorio di un’inchiesta ancora in corso.

    Quel segreto istruttorio milanese ad assetto variabile che ha condotto alla incriminazione di Piercamillo Davigo, di cui questa rubrica ha dato conto la settimana scorsa, e la cui difesa prende le mosse da un’intervista al Corsera con accurata selezione – così pare leggendola – dei soggetti di cui parlare e coinvolgere; nel frattempo, in sede disciplinare, della sua fonte Paolo Storari è stato richiesto il trasferimento immediato lontano da Milano, dalla Lombardia e dalle funzioni di Pubblico Ministero accompagnato dal tradizionale garrulo volo degli stracci e messaggi trasversali.  Come dire: un bel silenzio non fu mai scritto.

    Scendendo, di poco la penisola, abbiamo la Procura di Pavia con una brutta gatta da pelare: quella dell’assessore alla sicurezza di Voghera che ha ucciso un ragazzo extracomunitario durante una colluttazione. Il politico locale è stato messo agli arresti domiciliari con provvedimento di fermo che può essere motivato solo con l’evidenza del pericolo di fuga. Che non c’è perché manca qualsiasi elemento con cui sostenere questa tesi: un po’ come accadde con gli indagati per i fatti della funivia del Mottarone. Ecco allora che, prima dell’udienza di convalida, dopo l’incolpazione (originariamente di omicidio volontario) vengono anche cambiati i presupposti della richiesta: pericolo di ripetizione del reato e di inquinamento delle prove…che però, per legge, non sono i presupposti del fermo a tacere del fatto che – essendo stato contestato l’eccesso in legittima difesa –  in ipotesi di reato colposo e soprattutto in un caso come questo, è ardito sostenere il rischio di commissione di altro fatto analogo. Quanto al pericolo di inquinamento delle prove, anche sotto tale profilo, non vi è traccia di una volontà in tal senso. L’assessore resta in carcere: qui si parla di libertà personale ad assetto variabile; il fatto è brutto ma l’andamento ondivago sussultorio dell’accusa non è poi tanto meglio.

    Scendiamo ancora: a Perugia Luca Palamara è stato rinviato a giudizio per corruzione e l’ex Presidente dell’A.N.M. ha commentato affermando che l’udienza preliminare è un “passaggio stretto”: bene, se n’è accorto, altro che udienza filtro per scongiurare le imputazioni non sostenibili in giudizio! Palamara, tuttavia, si dice certissimo che varrà assolto. Può darsi, non conosciamo gli atti nella loro interezza e nessuna ipotesi deve essere azzardata anche se cotanto ottimismo pare un filo eccessivo.

    Ed eccoci a Roma: il C.S.M. vota e boccia la riforma “Cartabia” sulla prescrizione. Ma perché, il Consiglio Superiore non sarà mica diventato una terza Camera? Già c’è chi sostiene che due siano troppe e va bene esprimere opinioni, è un diritto innegabile, ma un voto formale su questo tema prima di quello nella sede naturale sembra esorbitare dalle competenze costituzionalmente affidate al C.S.M.. Poi dicono che non condizionano la politica.

    In Parlamento, invece, la riforma sulla giustizia finirà con l’essere affidata al voto di fiducia perché le truppe cammellate dell’ex avvocato degli italiani sono in rivolta e non si può perdere tempo ad ascoltare piagnistei pentastellati  a basso contenuto di garantismo  (e denaro: quello del Recovery Fund).

    Intanto continua a  procedere di gran carriera la raccolta di firme per i referendum sulla Giustizia: non tutti i quesiti sono formulati in maniera impeccabile ma sono questioni per addetti ai lavori ed il successo, invece,  la dice lunga del sentiment dei cittadini a proposito di Giustizia.

    Cittadini che, nonostante le proteste contro il green pass, stanno tornando in massa a prenotare la vaccinazione. Magari la scelta non è dettata da un ritrovato senso civico volto a contrastare la circolazione del virus ma dal timore di non poter andare al cinema o al ristorante. Però resta apprezzabile.

    Insomma, va bene così in un Paese dove la libertà è alla mercè di un sistema allo sfascio in cui ormai sono tutti contro tutti, quella di vaccinarsi va – come concetto – capovolta: vaccinarsi è la libertà ed almeno quella non dipende dalle Procure.

    Sipario.

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