profughi

  • Accogliere i profughi non basta

    Le più note voci della cultura, delle religioni, della politica si uniscono nel dire che bisogna tendere una mano ai disperati che fuggono dall’Ucraina.

    Pochi per ora sembrano aver capito che bisogna, subito, dare anche una mano, una mano vera, a chi difende l’Ucraina perché i civili, i bambini, i vecchi, le donne che vorrebbero fuggire dalle città bombardate, dalle case e dagli ospedali distrutti non hanno neppure i corridoi umanitari, Putin non lascia scampo a chi cerca di scappare.

    La menzogna di colui che vuole essere il capo di un nuovo soviet appare una volta di più evidente nelle parole improvvide del suo ministro degli Esteri che, dalla Turchia, ha dichiarato vi siano, in Ucraina, laboratori americani preposti a studiare virus letali. Se così fosse perché Putin non lo ha denunciato al mondo prima di cominciare ad invadere il Paese? Se così fosse perché non ha mandato reparti speciali a circondare ed annientare questi ipotetici laboratori invece di bombardare e distruggere case, ospedali, scuole?

    La debolezza di Putin è anche qui: nell’incapacità di creare menzogne credibili, è rimasto alla scuola di controinformazione del vecchio Kgb. Intanto il suo potere militare si è scontrato con la capacità di un popolo di subire sofferenze atroci per difendere la propria integrità e libertà e la sua credibilità ormai vacilla non solo nel mondo ma proprio all’interno della Russia.

    Il mondo libero non può nuovamente commettere gli errori che hanno consentito ad Hitler il genocidio degli ebrei e l’assassinio di decine di migliaia di persone e se a quel tempo si può tentare di sostenere che le notizie arrivavano in ritardo e parziali oggi la realtà la vediamo di ora in ora.

    Accogliere gli ucraini è un dovere ma è altrettanto doveroso, per loro e per il nostro futuro, impedire che l’Ucraina sia distrutta e che prevalga la follia di un uomo che ha anteposto la smisurata considerazione di sé al bene del suo popolo e della stessa umanità.

    Preghiamo perché in Ucraina si alzino le temperature ed il fango impantani definitivamente i carri armati russi, preghiamo perché  il popolo russo abbia la capacità ed il coraggio, nonostante i pericoli enormi per chi si oppone al regime, di manifestare e di ribellarsi a Putin, preghiamo  ed agiamo per salvare ed accogliere gli ucraini in fuga, ma agiamo finalmente per dare agli ucraini gli strumenti necessari ora, non domani, per poter continuare a difendere il loro Paese e la loro indipendenza. Ogni ulteriore ritardo ci sarà imputato dalla storia.

    Noi non siamo in guerra con i russi, e vogliamo con loro una pace duratura e futuri rapporti rinsaldati con l’Unione Europea, ma se non daremo al popolo ucraino gli aiuti necessari per difendersi, aiuti che avremmo dovuto dare da tempo, saremo complici e non sarà, accogliendo i profughi, che puliremo le nostre coscienze.

  • Regioni europee in prima linea per l’emergenza profughi dall’Ucraina

    Le Regioni e le città europee passano come testimone al dibattito sul Futuro dell’Europa un Manifesto, approvato all’unanimità al Summit di Marsiglia: vuole sottolineare come per un miglior funzionamento democratico dell’Europa serva un maggior coinvolgimento delle regioni stesse, delle città e dei piccoli comuni. Più coesione, più sussidiarietà, si chiede, puntando anche a raggiungere così una maggior partecipazione dei cittadini. Tra le possibili riforme, anche maggiori poteri del Comitato europeo delle Regioni, che potrebbe venir dotato di un ruolo vincolante – e non solo consultivo – negli ambiti strategici con una chiara dimensione territoriale.

    Alla due giorni del Summit di Marsiglia, organizzato a inizio mese dal Comitato nella città francese nell’ambito della presidenza di turno Ue, si è imposta però l’attualità, con l’attacco della Russia all’Ucraina. E dalla sussidiarietà si è passati in un attimo alla solidarietà, stravolgendo l’agenda dell’evento, sia nel dibattito e sia per dar spazio ai collegamenti con gli esponenti dei territori ucraini, dal presidente del consiglio regionale di Kharkiv Serhiy Chernov, al vicesindaco di Mariupol’ Sergii Orlov, fino al sindaco di Kiev Vitali Klitschko, nominato membro onorario del Comitato europeo delle regioni dal presidente Apostolos Tzitzikostas. Tzitzikostas ha chiesto di “usare i fondi di coesione per l’accoglienza dei rifugiati ucraini”. A più riprese, del resto, è stato ricordato che saranno i rappresentanti degli enti sul territorio a dover gestire la crisi. “Non mi sarei mai aspettato tanta unità”, ha sintetizzato un esponente polacco del Comitato, il consigliere di Varsavia Mariusz Rafal Frankowski, con lo sguardo di chi è già in prima linea per i rifugiati ucraini (“Seicentomila sono già a Varsavia”). “Sento la solidarietà nel mio Paese e sono felice di vederla in tutta l’Unione”, ha detto Marius Ursaciuc, sindaco della città rumena di Gura Humorului, aggiungendo che gli arrivi più recenti di rifugiati sono di persone intenzionate a restare vicine al confine “perché si aspettano di poter tornare nelle loro case in Ucraina”. “Non scenderemo a compromessi, perché diamo per scontata la democrazia”, ha detto dell’attacco all’Ucraina la presidente del Parlamento europea Roberta Metsola. “Continueremo a lavorare insieme per garantire l’accoglienza dei profughi ucraini insieme, fedeli ai nostri valori”, ha fatto sapere in una dichiarazione per il Summit il presidente francese Emmanuel Macorn: “L’ideale umanistico europeo trova oggi un nuovo slancio. Insieme mostriamo il volto migliore dell’Europa, un’Europa solidale, vicina, giusta, democratica”.

    Nello choc per l’aggressione russa i vertici del Comitato hanno diffuso una dichiarazione di condanna: “Siamo pronti a presentare ai nostri rispettivi governi e al Consiglio dell’Unione europea la richiesta di imporre al governo della Federazione russa le sanzioni più dure possibili”, afferma tra l’altro, chiedendo poi “assistenza immediata ai cittadini dell’Ucraina attraverso la rapida attivazione del meccanismo di protezione civile dell’Ue per l’assistenza umanitaria”. Come presidente di Eurocities (200 le città europee aderenti), il sindaco di Firenze Dario Nardella, ha annunciato a Marsiglia che il 12 marzo ci sarà una manifestazione delle città europee. Hanno già aderito Milano, Roma, Bologna, Napoli, Braga, Marsiglia, Nizza e Rotterdam, Cluj-Napoca.

  • Ucraina, ANMVI: supporto alla regolarizzazione dei pets

    Il Presidente dell’ANMVI ha scritto al Ministero promuovendo il coinvolgimento dei Medici Veterinari liberi professionisti nella regolarizzazione dei pets al seguito di rifugiati ucraini in Italia. “Coordinandosi con l’Autorità Competente, in particolare con i Servizi Veterinari territorialmente competenti, i Medici Veterinari liberi professionisti potrebbero essere invitati, anche a titolo gratuito, ad eseguire adempimenti minimi necessari, come l’identificazione/registrazione e la vaccinazione antirabbica stante che l’Italia non ha previsto alcuna deroga di profilassi e pertanto sul territorio nazionale non sono ammessi pets da Paesi UE o extra UE non vaccinati contro la rabbia“.

    Lo scrive il Presidente dell’ANMVI Marco Melosiin una lettera inviata al Capo dei Servizi Veterinari italiani, Pierdavide Lecchini.
    Il riferimento è alle misure eccezionali disposte dalla Direzione Generale della Sanità Animale (Dgsaf) per consentire l’ingresso nell’UE di animali domestici movimentati al seguito di rifugiati provenienti dall’Ucraina. L’Italia è fra i Paesi che hanno dato seguito alle indicazioni della Commissione Europea per facilitare gli spostamenti. Una volta nel Paese di destinazione, i pets devono essere regolarizzati.

    Desideriamo suggerire e promuovere il ricorso ai Medici Veterinari liberi professionisti, a supporto degli interventi necessari per conformare i suddetti pets ai requisiti del regolamento (UE) 576/2013 – scrive Melosi –  quanto sopra anche alla luce di stime di consistenti ingressi in Italia di cittadini ucraini con pet al seguito“.

    Fonte: Comunicato ANMVI

  • Dozens massacred in DR Congo camp raid

    About 60 people living in a camp for the homeless have been killed in a brutal overnight attack in the north-east of the Democratic Republic of Congo.

    At around 02:00 local time, men armed with guns and machetes raided Plaine Savo, set up for those forced to flee their homes in the province of Ituri because of inter-ethnic conflict.

    The local chief said most of the victims were women and children. Many of them had their throats slit.

    “I first heard cries when I was still in bed. Then several minutes of gunshots. I fled and I saw torches and people crying for help,” a camp resident told the Reuters news agency.

    Another 40 people have been injured, according to the Norwegian Refugee Council (NRC), which provides aid to the camp.

    The Codeco militia has been blamed for the massacre.

    Its fighters are mainly drawn from the Lendu farming community, which has been at loggerheads with the province’s Hema cattle herders.

    The NRC says there has been a steep escalation of deliberate and targeted attacks by armed groups against displaced people in Ituri.

    Since November, nearly 70 people have been killed in raids on five other camps, it says.

    “These attacks have triggered new waves of mass displacement and plunged already vulnerable populations into a climate of terror,” the NRC said.

    An estimated 1.7 million people have been forced to flee their homes in Ituri since violence began to escalate several years ago.

  • La Ue prepara un piano e stanzia oltre un miliardo per smistare gli afghani in arrivo

    Aiuti umanitari all’Afghanistan e assistenza finanziaria ai Paesi della regione per i profughi: il piano dell’Ue per allontanare il fantasma di una nuova crisi migratoria è delineato, ma ora occorre mettere in piedi l’impalcatura, convincere Iran e Pakistan per ora riluttanti ad accogliere, e trovare il denaro necessario per ‘compact’ tagliati su misura. Accordi che comunque saranno sulla falsariga di quanto già fatto con la Turchia per i richiedenti asilo siriani, nel 2016. Sul tavolo ci sono almeno 1,1 miliardi di euro.

    Le cifre note per il momento sono i 200 milioni di euro di aiuti umanitari annunciati dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, alla fine di agosto, che dovranno affluire attraverso le organizzazioni non governative ed il sistema delle Nazioni Unite. Ma a questi si aggiungono almeno 600 milioni di euro per l’Afghanistan, accantonati ad inizio anno sotto Ndici, lo strumento per il finanziamento delle politiche di vicinato, sviluppo e cooperazione internazionale, per il periodo 2021-2025. Risorse che ora si pensa di ridistribuire in modo massiccio ai Paesi del vicinato per aumentare le capacità di accoglienza, passando da un approccio bilaterale Ue-Afghanistan ad una strategia regionale che includa Pakistan e Iran, ma con l’aggiunta di ulteriori aiuti, ancora tutti da quantificare. Anche perché il 10% dei 79,5 miliardi di Ndici è riservato alla priorità della gestione delle migrazioni, e proprio da qui dovrà arrivare anche buona parte dei 3,5 miliardi per rinnovare l’intesa con Ankara sui richiedenti asilo. Al conto si potrebbero poi aggiungere i 300 milioni di euro per i 30mila reinsediamenti di profughi che Bruxelles conta di fare fino al 2022, totalizzando così fino ad 1,1 miliardi di euro. Ma anche nel caso dei 300 milioni occorre ricordare che la cifra è generale, non dedicata nello specifico ai profughi afghani, e anche in questo caso destinata probabilmente a lievitare.

    Riuniti il 31 agosto dalla commissaria europea agli Interni, Ylva Johansson per discutere della questione dei rifugiati e dei fuggitivi afghani, i ministri degli Interni dei 27 Paesi dell’Ue hanno convenuto, come ha spiegato la stessa commissaria, che occorre ” evitare una crisi umanitaria per evitare una crisi migratoria: dobbiamo aiutare gli afghani in Afghanistan. Ci sono persone sfollate internamente che hanno cominciato già a rientrare nelle proprie case”. Della questione, la commissaria ha parlato anche col segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, e col segretario americano alla Sicurezza interna, Alejandro Mayorkas. “L’Un Women sostiene ad esempio case sicure per le donne, ci sono tante cose che noi possiamo sostenere in Afghanistan e dovremmo farlo. Così come dobbiamo sostenere i Paesi confinanti che finora non hanno visto grandi movimenti di afghani ma questo potrebbe cambiare”, ha detto ancora la Johansson. “Dobbiamo anche dare protezione alle persone che hanno immediato bisogno di protezione internazionale, diversi Stati membri hanno già evacuato donne procuratrici, attiviste per i diritti umani, giornalisti, autori, e altri che sono in pericolo immediato”, ha evidenziato. “Dobbiamo prevenire che le persone si inseriscano nelle rotte dei trafficanti verso l’Unione europea lavorando con le persone in Afghanistan, nei Paesi confinanti. Ma dobbiamo prevenire le rotte irregolari. Sono per il 90% uomini quelli che prendono queste rotte invece noi dobbiamo dare protezione ai vulnerabili, donne e ragazze”, ha aggiunto Johansson.

    Il medesimo concetto è stato esposto molto chiaramente anche nelle dichiarazioni conclusive approvate dai ministri: “L’Ue e i suoi Stati membri sono determinati ad agire congiuntamente per prevenire il ripetersi di movimenti migratori illegali su larga scala incontrollati affrontati in passato, preparando una risposta coordinata e ordinata”, si legge nel documento. “Si dovrebbero evitare incentivi all’immigrazione irregolare”. E per farlo “l’Ue dovrebbe rafforzare il sostegno ai Paesi dell’immediato vicinato dell’Afghanistan per garantire che coloro che ne hanno bisogno ricevano un’adeguata protezione principalmente nella regione”. La parola d’ordine è “non deve ripetersi uno scenario del 2015”, in cui centinaia di migliaia di persone hanno preso la rotta per l’Ue.  “La necessità di una comunicazione esterna ma anche interna unificata e coordinata è fondamentale” e “dovrebbero essere lanciate campagne informative mirate per combattere le narrazioni utilizzate dai trafficanti, anche nell’ambiente online, che incoraggiano le persone a intraprendere viaggi pericolosi e illegali verso l’Europa”, si legge nel documento.

    La linea era stata anticipata dai ministri di Austria, Danimarca e Repubblica Ceca al loro arrivo alla riunione: “Siamo disponibili ad aiutare gli afghani ma devono restare nella regione”, avevano dichiarato. E i ministri dell’Ue per evitare “pull factor” non hanno voluto fornire numeri sulla disponibilità di reinsediamenti, nonostante la volontà di diversi Stati membri ad aumentarli.

    Oltre che dal forum di alto livello a cui sta lavorando la commissaria agli Affari interni Ylva Johansson, la gestione dei rifugiati afghani passa per l’impegno del premier Mario Draghi e del presidente francese Emmanuel Macron, che si sono visti a inizio settembre a Marsiglia. L’asse tra Roma e Parigi appare infatti come la nuova leadership in grado di trainare l’Unione dopo l’uscita di scena della cancelliera Angela Merkel. Alla vigilia dell’incontro con Macron Draghi ha parlato anche col segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, soffermandosi sugli ultimi sviluppi della crisi afghana, con approfondimenti sulle prospettive dell’azione della comunità internazionale nei diversi fori, incluso il G20, convenendo sul ruolo centrale che l’Onu può svolgere in relazione soprattutto all’assistenza umanitaria.

    I contatti sono stati frenetici anche a Bruxelles e nelle cancellerie europee. Solo per fare alcuni esempi, l’Alto rappresentante Josep Borrell ha sentito i ministri degli Esteri pakistano e iraniano. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha parlato col premier di Islamabad, Imran Khan. Mentre il capo della diplomazia tedesca Heiko Maas ha incontrato l’omologo pakistano Shah Mahmood Qureshi e lo stesso ha fatto il giorno dopo la ministra olandese Sigrid Kaag.

    Occorre fare presto. Secondo il Financial Times infatti l’Afghanistan è prossimo al collasso finanziario. I prezzi dei beni di prima necessità come farina, olio e carburante sono schizzati alle stelle, e gli stipendi non vengono più pagati. Le code di fronte alle banche e agli sportelli automatici per prelevare pochi spiccioli si fanno di giorno in giorno più lunghe. E senza sbocco sul mare e dipendente dalle importazioni, il Paese è tagliato fuori dal mondo: i suoi confini sono per lo più chiusi ed i talebani non sono in grado di accedere a circa 9 miliardi di dollari di riserve di valuta estera congelate. I donatori, inclusi gli Stati Uniti, il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale hanno interrotto i finanziamenti, in uno Stato dove gli aiuti esteri rappresentano oltre il 40% del prodotto interno lordo.

  • Apparenze che ingannano

    Il male mette le radici quando un uomo comincia a pensare di essere migliore degli altri.

    Madre Teresa

    L’attenzione pubblica, politica e mediatica continua ad essere focalizzata su quello che sta accadendo in Afghanistan. Anche la settimana appena passata è stata carica di avvenimenti e di sviluppi a livello locale ed internazionale. I talebani avrebbero preso il controllo del territorio. Compresa anche la Valle di Panshir, l’ultima provincia dove continuava la resistenza del Fronte della resistenza nazionale afghana. Proprio oggi, 6 settembre, riferendosi a questa pretesa vittoria, il portavoce dei talebani ha dichiarato che “…con questa vittoria il nostro Paese è completamente libero”. Non ha tardato però neanche la contestazione di questa notizia da parte dei diretti interessati: “…Le forze del Fronte nazionale della resistenza sono presenti in tutte le posizioni strategiche in tutta la valle per continuare a combattere  […] Garantiamo al popolo afghano che la lotta contro i talebani e i loro alleati continuerà fino a quando non prevarranno giustizia e libertà”. Ma comunque sia, la vera realtà si verrà a sapere presto. Il portavoce ufficiale dei talebani ha di nuovo ripetuto l’annuncio che, a breve, in Afghanistan i talebani costituiranno il loro “governo islamico e responsabile”. Un nuovo governo che sarebbe “inclusivo”, ma senza la presenza delle donne. Sempre secondo fonti mediatiche risulterebbe che l’Afghanistan potrebbe adottare una organizzazione statale tale che il Paese non sarebbe né una repubblica e né un emirato. Il nuovo governo talebano avrebbe due “anime”: una religiosa e una politica. In qualche modo si tratterebbe di un modello, in chiave sunnita, simile a quello adottato in Iran dopo la rivoluzione del 1979, guidata dall’Ayatollah Khomeyni. In più oggi, 6 settembre, il portavoce dei talebani ha dichiarato che ”…i talebani vogliono buoni rapporti con il mondo”. Da precedenti dichiarazioni ufficiali e da fonti mediatiche si era venuto a sapere che i talebani stavano attuando una nuova “strategia” politica e diplomatica. Loro hanno invitato ufficialmente tutte le nazioni che hanno rapporti diplomatici con l’Afghanistan, particolarmente gli Stati Uniti d’America e i Paesi dell’Europa occidentale, a riprendere e riattivare questi rapporti interrotti dopo il 15 agosto scorso. E come si sta verificando dal 15 agosto, dopo la presa del controllo su Kabul, i talebani stanno usando un moderato, inedito e non bellicoso linguaggio mediatico. Ben diverso da quello usato in precedenza. Il tempo, che è sempre un galantuomo, testimonierà se questo nuovo approccio rappresenta una nuova mentalità, oppure è semplicemente una voluta e ingannatrice apparenza. Quanto è accaduto e testimoniato durante queste ultime settimane affermerebbe, purtroppo, la seconda ipotesi. Staremo a vedere!

    La scorsa settimana l’autore di queste righe informava il nostro lettore su delle similitudini tra quanto era accaduto e sta accadendo in Afghanistan e in Albania. Ma erano soltanto alcune delle molte altre, ben evidenziate, somiglianze. Somiglianze caratteriali tra le persone che hanno avuto ed hanno delle responsabilità istituzionali e governative. Ma anche somiglianze nelle “strategie dell’esportazione della democrazia” adottate ed attuate dagli Stati Uniti d’America sia in Afghanistan che in Albania (Similitudini tra l’Afganistan e l’Albania, 1 settembre 2021).

    La scorsa settimana in Albania il primo ministro ha annunciato la composizione del suo nuovo governo, il terzo, dopo la “vittoria” elettorale nelle elezioni del 25 aprile scorso. Il nostro lettore è stato informato, con la dovuta oggettività e a più riprese dall’autore di queste righe, sia prima che dopo quelle elezioni, della “strategia vincente” del primo ministro, in stretta collaborazione con la criminalità organizzata. “Strategia” che ha funzionato anche perché, guarda caso, i “rappresentanti internazionali”, presenti e molto attivi in Albania, compresi quelli statunitensi, non hanno visto, sentito e capito nulla di tutto quello che da mesi stava accadendo! Ebbene, giovedì scorso il primo ministro albanese ha ufficialmente comunicato la composizione del suo terzo governo. Ci saranno, oltre a lui e al suo vice, quindici ministri. Ci saranno soltanto tre ministri uomini, dando così a dodici donne altrettanti ministeri. E questa è l’unica somiglianza mancata con il nuovo governo afghano, la cui costituzione è stata annunciata la scorsa settimana e sarà attuata nei prossimi giorni. Una sola differenza che ha a che fare con delle diverse realtà nei rispettivi Paesi. Almeno i dirigenti afghani, però, nonostante stiano cercando di apparire diversi da quelli che erano nel 2001, non nascondono la loro mentalità fondamentalista. Mentre la scelta di apparire del primo ministro albanese si basa sulla “mentalità aperta” occidentale. Ma, fatti accaduti, documentati e testimoniati alla mano, dimostrerebbero, senza equivoci, che si tratta semplicemente di una ingannatrice apparenza. Sono e rimangono purtroppo, sempre gli stessi, sia i dirigenti talebani, che il primo ministro albanese. Nonostante le apparenze e nonostante quello che stanno cercando di fare sembrare. Sono gli stessi e/o i discendenti dei talebani che il 12 marzo del 2001 hanno barbaramente distrutto due statue colossali di Buddha, scolpite nella roccia tra il III e il V secolo nella valle di Bamiyan in Afghanistan. Ed è lo stesso primo ministro albanese che finalmente ha messo in atto un suo progetto che durava da circa venti anni. Proprio lui ha ordinato la barbara e talebana distruzione dell’edificio del Teatro Nazionale in pienissimo centro di Tirana. Una distruzione attuata vigliaccamente nelle primissime ore del 17 maggio 2020 e in pieno regime di chiusura dovuta alla pandemia da coronavirus. Il nostro lettore è stato, come sempre, informato a tempo debito di questo atto vandalico e molto significativo. In quanto alla massiccia presenza femminile nel nuovo governo albanese, tutti sanno che si tratta semplicemente di una scelta di facciata, di una “novità” mediatica e propagandistica. Perché in Albania, fatti pubblicamente noti alla mano, è convinzione diffusa che si tratta delle “marionette” manipolate dallo stesso ed unico “puparo”: il primo ministro albanese. Mentre i membri maschi del nuovo governo, tutti, primo ministro compreso, sono delle persone coinvolte in diversi scandali documentati e pubblicamente noti. In tutti i Paesi normali e democratici loro sarebbero finiti sotto inchieste giudiziarie. E ci sarebbero state tante inchieste. Veramente tante! Ma siccome il sistema “riformato” della giustizia, anche con il “beneplacito e la benedizione” dei soliti “rappresentanti internazionali” in Albania, è sotto il diretto controllo personale del primo ministro, e tramite lui, anche di certi raggruppamenti occulti locali ed internazionali, niente di tutto ciò è accaduto e potrà accadere!

    La scorsa settimana l’autore di queste righe informava il nostro lettore che il primo ministro albanese si era “offerto” tra i primi, dopo il 15 agosto scorso, ad ospitare i profughi afghani. Tutto semplicemente per pura campagna propagandistica e mediatica. Perché il governo albanese, insieme con altri governi, in diverse parti del mondo, era stato contattato, alcuni mesi fa, dall’amministrazione statunitense per la sistemazione provvisoria dei profughi. Una “mossa” propagandistica quella del primo ministro albanese che ha permesso a lui di essere intervistato da diversi media internazionali. Ed era proprio quello su cui lui puntava: rendersi “mediaticamente visibile” (Similitudini tra l’Afganistan e l’Albania, 1 settembre 2021). Ma anche durante le sue interviste il primo ministro albanese ha consapevolmente mentito, mentito ed ingannato, deformando volutamente le verità storiche, per rendere le sue dichiarazioni “impressionanti” e fare colpo. Sempre cercando di mettere in evidenza il suo essere “umanitario”, la sua “magnanimità” e la sua “compassione”, ha mentito anche quando si riferiva, per esempio, agli ebrei in Albania. Proprio quegli ebrei che sono stati nascosti e protetti per non essere presi dai nazisti durante la seconda guerra mondiale in Albania. Il primo ministro, chissà perché, quegli atti di grande coraggio e di abnegazione dei semplici cittadini albanesi, che hanno messo in grande pericolo se stessi a le loro famiglie, li compara con quanto lui sta facendo in queste ultime settimane per accogliere dei profughi afghani! Quelle difficili e sofferte decisioni allora, durante la seconda guerra mondiale, sono state prese dai singoli cittadini, spinti da rispettabilissimi e molto apprezzabili sentimenti umani. Quelle decisioni non sono state prese perché richieste e/o ordinate dal primo ministro o il governo di allora. Mentre le decisioni di accogliere i profughi afghani il primo ministro albanese le ha prese personalmente, senza consultare le altre istituzioni, come previsto dalla Costituzione e dalle leggi in vigore. Si tratta di decisioni prese in totale mancanza della dovuta ed obbligata trasparenza. Tutto semplicemente per diventare, lui stesso e soltanto lui, attrattivo e visibile mediaticamente!!!

    Il primo ministro albanese mente consapevolmente anche quando dichiara che l’Albania non sta prendendo finanziamenti per la sistemazione dei profughi. Mente spudoratamente! Sono tanti i dati e i fatti che lo testimonierebbero. Lo dimostra palesemente anche una dichiarazione, alcuni giorni fa, del presidente francese Macron. Parlando dei flussi dei profughi afghani, lui ha detto: “…cosa dobbiamo fare noi quando gli Stati Uniti evacuano gli afghani, che poi dopo sono stati spostati in Albania, o in altri paesi, dietro pagamento?”! Invece il primo ministro albanese, alcuni giorni fa, riferendosi a dei pagamenti, dichiarava ad un media internazionale che “…noi ci stiamo appoggiando soltanto a delle persone con un cuore ricco”!

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto, anche in questo caso, tanti altri argomenti da trattare. Con tutta probabilità lo farà nelle prossime settimane, altri attesi sviluppi politici permettendo. Egli però ricorda al nostro lettore che l’inizio di settembre segna anche due date importanti riguardo la Santa Madre Teresa. Il 4 settembre 2016 rappresenta il giorno della sua santificazione, mentre il 5 settembre 1997 rappresenta il giorno in cui la Madre ci ha lasciati. Essendo anche lei albanese, che sia la vita della Santa Madre un esempio da seguire nella sua patria d’origine. Purtroppo però, gli usurpatori del potere e delle istituzioni in Albania useranno il nome della Santa semplicemente per demagogia, per delle apparenze che ingannano. Come sempre! Si perché, come era convinta madre Teresa, “Il male mette le radici quando un uomo comincia a pensare di essere migliore degli altri”.

  • Similitudini tra l’Afganistan e l’Albania

    Esistono delle menzogne così vergognose, da provare

    maggior disagio a sentirle che a raccontarle.

    Jacques Deval

    Era il settembre del 2015 quando l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore che “Giustamente l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni sia orientata verso migliaia e migliaia di profughi che scappano dalle atrocità, di guerre e conflitti continui, in Medio Oriente e in Nord Africa. La situazione drammatica ha reso impossibile la vita a milioni di abitanti in quelle terre”. E poi continuava “…Purtroppo tutto questo sta sfumando un altrettanto preoccupante fenomeno che si sta consumando in Albania. Flussi migratori, provenienti da un paese candidato all’Unione Europea e membro della NATO, che gode da alcuni anni del regime di Schengen per la libera circolazione, si dirigono verso la Germania, ma non solo”. Riferendosi ad un’intervista rilasciata in quel periodo dall’allora ministro tedesco degli Interni, che evidenziava il grande flusso dei richiedenti asilo provenienti dall’Albania, l’autore di queste righe sottolineava che “…Quello che, però, colpisce è che gli albanesi vengono secondi solo ai siriani! E bisogna tenere presente che la popolazione albanese è di circa 3 milioni di abitanti, mentre quella siriana, secondo il World Population Review per il 2015, è di circa 22 milioni di abitanti!”. Evidenziando, però, anche che “…Mentre in Siria ed altri paesi confinanti si combatte e si muore quotidianamente, in Albania non succede lo stesso”. Tutto ciò mentre nel periodo 2010 – 2013, dati ufficiali delle istituzioni internazionali specializzate alla mano, risultava che “…i cittadini albanesi erano i penultimi o gli ultimi, come richiedenti asilo in Germania, e sempre con cifre di alcune centinaia”! Bisogna sottolineare che dopo le elezioni politiche del 23 giugno 2013 in Albania, l’attuale primo ministro ha vinto il suo primo mandato governativo. Sono bastati soltanto due anni di malgoverno per costringere gli albanesi a scappare e chiedere asilo. Come i siriani, gli afgani ed altri che scappavano però dalle guerre ed altre atrocità. Questo fenomeno ha attirato in quel periodo anche l’attenzione dei media internazionali. Riferendosi allora ad uno di quei media che aveva trattato l’argomento, l’autore di queste righe citava: “… Questo dimostra che l’Albania, soprattutto nelle aree rurali, è colpita da una profonda crisi socio-economica. I cittadini di tutte le età e categorie socio-professionali abbandonano il Paese, senza sapere, in realtà, dove andranno e cosa faranno. I principali responsabili sono i politici, i quali tentano di sdrammatizzare la situazione agli occhi del mondo con una leggerezza inquietante. Politici senza esperienza, che occupano posti chiave, abusano con il dovere, rubano i fondi pubblici, con un passato legato al crimine, senza essere capaci di rianimare l’economia, che prendono in giro i cittadini durante le campagne elettorali, stanno portando l’Albania verso il fallimento” (Accade in Albania; 7 settembre 2015).

    Purtroppo, da allora, e cioè dal 2015, il flusso dei richiedenti asilo in Europa e provenienti dall’Albania continua. Si calcola che dal 2015 ad oggi i richiedenti asilo albanesi siano circa un sesto dell’intera popolazione. Il che rappresenta un serio e preoccupante problema: l’allarmante spopolamento dell’Albania. Ma il flusso dei richiedenti asilo albanesi da anni è diventato un serio problema anche per diversi Paesi europei. Tant’è vero che ormai si è inserita in una delle quindici condizioni sine qua non poste dal Consiglio europeo all’Albania prima di aprire i negoziati come Paese candidato all’adesione nell’Unioine europea. L’autore di queste righe ha informato spesso il nostro lettore di questa preoccupante ed insopportabile realtà per centinaia di migliaia di cittadini albanesi. Realtà causata dal consolidamento in Albania di una nuova dittatura sui generis. Una dittatura gestita dal potere politico in connivenza con la criminalità organizzata ed alcuni raggruppamenti occulti locali ed internazionali. L’autore di queste righe ribadisce spesso questa sua convinzione. Ma non è soltanto lui che è convinto di tutto ciò. E non solo in Albania.

    Venerdì scorso a Scilla, provincia di Reggio Calabria, la Fondazione Magna Grecia ha aperto i lavori dell’evento “La narrazione del Sud”. Durante le due serate dell’attività hanno partecipato il magistrato Nicola Gratteri, l’esperto di mafia Antonio Nicaso e lo scienziato Robert Gallo. Come ha ribadito anche il presidente della Fondazione Magna Grecia, quella scelta non era un caso perché “…parleremo di due settori importanti come la legalità e la sanità. Per la legalità non ci può essere ospite migliore del procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, che da decenni ha messo la propria vita a disposizione degli altri. Chi come lui mette a disposizione della collettività la propria vita, la propria famiglia e la propria libertà deve essere emulato dai giovani, che devono imitare questi esempi positivi, sia qui che all’estero […] Per la sanità, invece, durante la seconda serata avremo lo scienziato Robert Gallo….”. Durante il suo intervento Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, ha ribadito che da almeno tre anni dice “che in Europa c’è una mafia emergente, quella albanese. L’Albania è un Pese corrotto, dove è facile corrompere i funzionari pubblici. Se poi esco dall’Albania e ho già un potere economico riesco a rafforzarmi come mafia internazionale”. Una diretta accusa quella del procuratore Gratteri, il quale, a più riprese, ha ribadito ed evidenziato una simile e preoccupante realtà. Realtà che da anni sta preoccupando molto e non solo in Albania. Realtà che è stata seriamente presa in considerazione da vari Paesi europei e ha trovato espressione anche in alcune delle quindici condizioni sine qua non poste dal Consiglio europeo all’Albania.

    Da più di due settimane ormai l’attenzione dell’opinione pubblica, mediatica e politica, a livello internazionale, è stata giustamente e doverosamente focalizzata su quanto è accaduto e sta accadendo in Afghanistan. Soprattutto dopo la caduta di Kabul sotto il controllo dei talebani. Durante questi giorni, si stanno evidenziando anche le dirette responsabilità di una simile, drammatica e sofferta situazione. Sono state tante le opinioni espresse, gli articoli scritti, le analisi dettagliate e i dibattiti svolti. Ed è soltanto l’inizio. Ma ormai uno dei grandi problemi da risolvere rimane quello umanitario. Sono tante le persone che sono riuscite a scappare da quella drammatica e pericolosa realtà tramite i voli organizzati da diversi Paesi. Come purtroppo sono tante, tantissime le persone che non riusciranno ad avere la stessa fortuna, visto che tra due giorni i talebani dovrebbero prendere il controllo dell’aeroporto di Kabul. Le immagini trasmesse dai media sono molto significative ed eloquenti.

    Ad accogliere quei profughi si sono offerti diversi Paesi, così come altri ne hanno posto delle condizioni o, addirittura, hanno negato l’ospitalità. E guarda caso, tra i primi che si è offerto ad ospitare i profughi provenienti dall’Afghanistan è stato il primo ministro albanese. Proprio lui, che è il diretto responsabile, almeno istituzionalmente, del continuo, crescente e preoccupante flusso, tuttora in corso, dei cittadini albanesi verso i Paesi europei. Proprio lui, il primo ministro albanese, che si offre ad ospitare i profughi che scappano dall’inferno in Afghanistan ma che è il diretto responsabile dell’inferno creato per gli albanesi nella loro madrepatria! Proprio lui che ancora non ha mantenuto, tra le tantissime altre, neanche le promesse pubblicamente fatte dopo il terremoto del novembre 2019 e non ha rispettato gli obblighi istituzionali verso migliaia di cittadini albanesi che da quel terremoto hanno perso tutto. Hanno perso delle persone care e tuttora vivono in condizioni misere, con sopra le teste soltanto dei teloni malandati e con pochissimi mezzi di sopravvivenza. Ma il primo ministro ha ormai da tempo dimenticato le sue bugie e promesse fatte ai terremotati. Dal 15 agosto scorso lui si è “offerto” ad ospitare gli afgani in Albania. Lo ha fatto senza contattare e consultare nessuno, come è istituzionalmente obbligato. Ma lo ha fatto, soprattutto, come suo solito, e cioè senza la minima e dovuta trasparenza in questo caso. Lo ha fatto soltanto e semplicemente per “creare un diversivo” e spostare l’attenzione pubblica e mediatica in Albania da tantissimi preoccupanti problemi, da tanti scandali che si sovrappongono quotidianamente. Lo ha fatto cercando ed ottenendo anche l’attenzione mediatica internazionale. Chissà come però?!

    Chi scrive queste righe continuerà ad informare in nostro lettore delle messinscene mediatiche del primo ministro albanese riguardo l’ospitalità offerta ai profughi afgani, le ragioni per le quali lo sta facendo e tanto altro. Come tratterà anche il ruolo dei “rappresentanti internazionali” in Albania. Soprattutto quello dei rappresentanti diplomatici statunitensi. Quanto è accaduto durante questi venti anni e, soprattutto, quello che è accaduto e sta accadendo da qualche settimana in Afghanistan, hanno evidenziato molte cose. Sono fatti che rafforzano la convinzione ormai espressa dall’autore di queste righe, anche per il nostro lettore, sulle conseguenze della “strategia dell’esportazione della democrazia” adottata ed attuata in Albania dai rappresentanti statunitensi. Per il momento egli si è limitato a mettere in evidenza soltanto alcune delle tante similitudini tra l’Afghanistan e l’Albania. Mentre, riferendosi alle continue bugie ed inganni del primo ministro albanese, si potrebbe dire quello che pensava Jacques Deval. E cioè che esistono delle menzogne così vergognose, da provare maggior disagio a sentirle che a raccontarle.

  • Berlino accoglierà 1500 migranti dai campi in fiamme della Grecia

    La Germania accoglierà 1.553 migranti da cinque isole greche dopo gli incendi che hanno devastato il campo di accoglienza di Moria, sull’isola di Lesbo, lasciando migliaia senza riparo e nella disperazione più totale. Si tratta di 408 famiglie con bambini che hanno già ottenuto lo status di rifugiato in Grecia, ma che potrebbero anche non provenire dal campo di Moria. A questi si aggiungono 150 minori non accompagnati provenienti invece tutti da Moria e la cui accoglienza era stata annunciata la scorsa settimana dal governo tedesco in una misura condivisa con altri 10 Paesi europei.

    L’annuncio ufficiale di Berlino è arrivato dal vicecancelliere Olaf Scholz dopo la decisione presa dalla cancelliera Angela Merkel in accordo con il ministro dell’Interno Horst Seehofer. “Garantiamo che 1.553 familiari già riconosciuti come rifugiati dalle autorità greche lasceranno le isole” del Mar Egeo per la Germania, ha confermato Scholz. La Francia ha accettato di accogliere 150 minori dal campo di Moria mentre altri Paesi dell’Ue ne prenderanno 100.

    Nel frattempo, il ministro greco della Protezione Civile, Michalis Chrysohoidis, ha annunciato l’arresto di sei migranti sospettati di aver appiccato le fiamme a Lesbo: “Cinque giovani stranieri sono stati arrestati. Si cerca un sesto che è stato identificato”. Gli arresti, ha spiegato poi, “screditano l’ipotesi che ad appiccare il fuoco al campo sia stato un gruppo di estremisti”.

    Circa 800 degli oltre 12mila migranti e rifugiati fuggiti dall’inferno di Moria la scorsa settimana sono stati trasferiti in un nuovo campo, situato a tre chilometri dal porto di Mitilene, capoluogo di Lesbo. Ma la stragrande maggioranza dorme ancora in strada o sui marciapiedi mentre diverse organizzazioni umanitarie cercano di assisterli: l’Unhcr ha già fornito 600 tende familiari, bagni chimici e postazioni per lavare le mani. Le autorità greche affermano che 21 persone nel nuovo campo sono risultate positive al coronavirus e sono state poste in isolamento nel sito temporaneo di Kara Tepe, vicino al campo devastato dal rogo.

    Intanto, il ministro per la Protezione Civile ha annunciato che l’isola di Lesbo sarà svuotata dai rifugiati entro la Pasqua del prossimo anno. “Se ne andranno tutti”, ha assicurato Chrysochoidis. “Dei circa 12.000 rifugiati prevedo che 6.000 verranno trasferiti sulla terraferma entro Natale e il resto entro Pasqua. La gente di quest’isola ne ha passate tante. Sono stati molto pazienti”, ha aggiunto. Moria “era il campo della vergogna”, ha ammesso il ministro. “Adesso appartiene alla storia. Sarà ripulito e sostituito dagli uliveti”.

     

  • L’ONU afferma che il cambiamento climatico può essere causa di asilo

    Un comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite ha stabilito che le persone in fuga per gli effetti dei cambiamenti climatici possono chiedere asilo.Il gruppo di lavoro ha emesso il parere dopo che un uomo di Kiribati è stato rimandato nel suo paese perché gli è stato negato l’asilo dalla Nuova Zelanda. Anche se gli esperti del comitato hanno concluso che l’espulsione era legale, hanno comunque affermato che casi simili potrebbero in futuro giustificare le richieste di asilo.”Il degrado ambientale, i cambiamenti climatici e lo sviluppo insostenibile costituiscono alcune delle minacce più urgenti e gravi per la possibilità delle generazioni presenti e future di godere del diritto alla vita”, ha spiegato il comitato, aggiungendo che le persone in cerca di asilo non sono tenute a dimostrare che subirebbero danni immediati, se rimandati nei loro paesi d’origine.Hanno anche spiegato che, in quanto eventi legati al clima, possono verificarsi all’improvviso, come nei casi di tempeste o alluvioni, o nel tempo, come l’innalzamento del livello del mare.

  • L’UNICEF esorta i governi a rimpatriare i bambini stranieri bloccati in Siria

    Henrietta Fore, capo del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia – UNICEF, ha lanciato un appello lo scorso 4 novembre affinché i Paesi rimpatrino i bambini stranieri bloccati nel nord-est della Siria, in seguito dell’offensiva lanciata dalla Turchia il mese scorso. Secondo l’agenzia, quasi 28.000 bambini provenienti da oltre 60 paesi sono intrappolati nei campi di sfollamento nella regione, 20.000 dei quali provengono dall’Iraq. Molti di loro sono nati da estremisti dell’ISIS e oltre l’80% di loro ha meno di 12 anni. Circa 17 Paesi hanno rimpatriato più di 650 bambini, con un procedimento sostenuto dall’UNICEF. Tuttavia, l’agenzia è ancora molto preoccupata poiché circa 40.000 bambini siriani sono stati recentemente sfollati in tutta la regione e vivono in rifugi a causa della violenza. In questo contesto, le Nazioni Unite hanno nuovamente esortato tutte le parti in conflitto a garantire che gli operatori umanitari possano accedere in modo sicuro per aiutare i più bisognosi nella già disastrosa situazione umanitaria della regione.

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