rapporti

  • Benefici e conseguenze di un’alleanza

    L’uomo non può prendere due sentieri alla volta.

    Proverbio africano

    I rapporti di amicizia, di collaborazione e di reciproco sostegno tra la Russia e la Serbia risalgono al medioevo. La Russia offrì rifugio ai tanti serbi che sono stati costretti a lasciare il loro paese dopo l’invasione dell’Impero ottomano nel XV secolo. Da documenti storici risulta che la nonna materna del primo zar di Russia, Ivan IV, noto anche come Ivan il Terribile (1530 – 1584), era la principesssa Anna di Serbia. I rapporti di comune amicizia tra la Russia e la Serbia sono stati in seguito ufficializzati più di due secoli fa, nel 1816, con la decisione di stabilire delle relazioni diplomatiche tra l’Impero russo ed il Principato di Serbia. I legami tra le due nazioni hanno avuto come fondamenta anche la comune appartenenza alle popolazioni slave e alle Chiese ortodosse orientali. Nonostante la forma dell’organizzazione statale, nel corso degli anni i due Paesi hanno firmato anche molti trattati e protocolli bilaterali. Ma nel corso degli anni, e soprattutto subito dopo la seconda guerra mondiale, i rapporti tra l’allora Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e la Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia sono stati tutt’altro che buoni. Tutto dovuto alle scelte del maresciallo Tito, capo del governo jugoslavo. Lui, a partire dal 1948, scelse di allontanarsi dall’Unione Sovietica e di costituire, nel 1956, il Movimento dei Paesi non Allineati, insieme con l’India e l’Egitto. Ma dopo la morte di Tito, i rapporti tra i due Paesi ritornarono ad essere buoni ed amichevoli come prima. Dopo la disgregazione dell’ex Jugoslavia all’inizio degli anni ‘90 del secolo scorso, la Serbia dal 1992, essendo diventata ufficialmente la Repubblica di Serbia, ristabilì quei rapporti con la Russia. Rapporti che da allora ad oggi sono stati consolidati nell’ambito di una ritrovata alleanza tra i due Paesi. Con i dovuti benefici e le derivanti conseguenze. Soprattutto per la Serbia.

    Il 17 dicembre 2023 in Serbia si sono state le elezioni per rinnovare l’Assemblea nazionale, il Parlamento serbo. Elezioni che sono state vinte, con una maggioranza assoluta, dalla coalizione capeggiata dal Partito Progressista Serbo dell’attuale presidente della Repubblica. Subito dopo le opposizioni hanno contestato il risultato delle elezioni, scendendo in piazza a protestare, accusando di brogli e manipolazioni. Ci sono voluti circa cinque mesi prima che il nuovo governo si potesse insediare il 1o maggio scorso. Tra i membri del nuovo governo figurano anche due persone molto note per gli ottimi rapporti con la Russia. Si tratta dell’ex capo dell’Agenzia per le Informazioni sulla Sicurezza della Serbia, attualmente vice primo ministro, ed un proprietario di diverse aziende serbe con sede in Russia. Tutti e due però, dal 2023, sono delle persone sanzionate dal Dipartimento di Stato statunitense. Il vice primo ministro è stato accusato di coinvolgimento nel traffico di armi e di sostanze narcotiche, di abuso d’ufficio durante la sua attività pubblica, nonché per il suo contributo alla diffusione dell’influenza della Russia nella regione dei Balcani.

    Ebbene, proprio l’attuale vice primo ministro della Serbia, il 4 settembre scorso, è andato in Russia e ha avuto un incontro molto cordiale con il presidente russo. L’incontro è avvenuto nella città porto di Vladivostok, che si trova nell’estremo oriente russo, vicino al confine sia con la Cina che con la Corea del Nord. L’occasione era lo svolgimento del Forum economico orientale, organizzato dal 3 al 6 settembre scorso presso il Campus dell’Università federale di Vladivostok. Era la seconda visita ufficiale del vice primo ministro serbo in Russia dal maggio scorso, quando lui ha avuto quell’incarico istituzionale. “È un grande onore per me che ho il privilegio di parlare con lei. […] La prego di credermi quando le dico che è un grande incoraggiamento per tutti i serbi, ovunque essi siano”, ha detto il vice primo ministro serbo al presidente russo all’inizio del loro incontro, come confermano le fonti ufficiali di stampa.

    Sempre riferendosi alle fonti ufficiali di stampa, risulta che durante il loro incontro il vice primo ministro serbo abbia assicurato il presidente russo sull’amicizia che lega i due Paesi e sulla loro alleanza multidimensionale. Bisogna sottolineare però che il 29 aprile 2008 la Serbia ha firmato l’Accordo di Stabilizzazione e Associazione con l’Unione europea. Un Accordo, quello, che è entrato in vigore il 1° settembre 2013. Il 1° marzo 2012 il Consiglio europeo ha deciso di dare alla Serbia lo status del Paese candidato all’adesione all’Unione. Mentre, durante la riunione del 28 giugno 2013, il Consiglio europeo ha approvato l’inizio dei negoziati d’adesione della Serbia all’Unione europea. Negoziati che sono stati avviati il 21 gennaio 2014. Ragion per cui la Serbia ha assunto ufficialmente, tra l’altro, anche l’obbligo di aderire alle sanzioni poste ad un determinato Paese da parte dell’Unione europea. Come nel caso della Russia dopo l’inizio, il 24 febbraio 2022, dell’aggressione contro l’Ucraina. Bisogna sottolineare che tutti i Paesi membri dell’Unione europea, compresi anche i Paesi che sono in fase di adesione all’Unione, hanno aderito a tutte le sanzioni poste alla Russia da parte dell’Unione europea. Tutti, tranne la Serbia.

    Durante il sopracitato incontro tra il vice primo ministro serbo e il presidente russo il 4 settembre  scorso a Vladivostok, l’ospite ha garantito, tra l’altro, all’anfitrione che “…la Serbia guidata da Aleksandar Vučić (presidente della Serbia; n.d.a.) è una Serbia la quale non diventerà mai un membro della NATO, non imporrà mai sanzioni alla Federazione Russa e non permetterà mai che il suo territorio venga usato per qualsiasi azione anti-russa”. Il vice primo ministro serbo ha confermato al presidente russo che lui, come il presidente serbo, è convinto che “…le sanzioni contro la Russia danneggerebbero gli interessi  nazionali della Serbia”. In più l’ospite serbo ha confermato al presidente russo che “…la Serbia non è solo un partner strategico della Russia. La Serbia è anche un alleato della Russia. E questa è la ragione per cui la pressione dell’Occidente contro di noi è [così] grande”.

    Subito dopo l’incontro tra il vice primo ministro serbo e il presidente russo, il 4 settembre scorso a Vladivostok in Russia, sono arrivate anche le reazioni ufficiali dall’Unione europea. Il portavoce del Servizio europeo d’azione esterna ha dichiarato: “Ci aspettiamo che la Serbia si astenga dall’intensificare i rapporti e i contatti con la Russia. […]. Tutti i membri del governo serbo rispettino gli impegni che la Serbia si è assunta volontariamente nel processo di adesione all’Ue, compreso l’allineamento con le decisioni e le azioni di politica estera dell’Unione. Mantenere relazioni forti o, addirittura, rafforzarle con la Russia durante la sua aggressione illegale contro il popolo ucraino non è compatibile con i valori dell’Unione europea e con il processo di adesione all’Unione”. Il portavoce ha aggiunto che le istituzioni dell’Unione notano con preoccupazione le azioni e le dichiarazioni del vice primo ministro serbo. In più lui ha definito “…abbastanza indicativo quanto spesso [il vice primo ministro serbo] sia a Mosca e quanto raramente sia invitato nell’Unione Europea”. Un fatto quello che “…va contro l’obiettivo dichiarato della Serbia di aderire all’Unione”.

    Chi scrive queste righe trova veramente incoerente e contraddittorio l’atteggiamento della Serbia. Un paese che, firmando l’Accordo di Stabilizzazione e Associazione con l’Unione europea, ha assunto volontariamente anche tutti i derivanti obblighi. Obblighi però che consapevolmente ha ignorato quando si tratta dei rapporti con la Russia. Ma anche dei suoi interessi. Si tratta proprio di benefici e di conseguenze di un’alleanza. L’uomo non può prendere due sentieri alla volta. Così recita un proverbio africano. E neanche un Paese può farlo. Come cerca di fare la Serbia.

  • I cittadini dell’UE sostengono con decisione la cooperazione con i paesi partner e con i giovani per ridurre la povertà

    Secondo l’indagine Eurobarometro più recente sulla cooperazione allo sviluppo, quasi 9 cittadini dell’UE su 10 ritengono sia importante creare partenariati con i paesi terzi per ridurre la povertà.

    La pandemia mondiale non ha intaccato il sostegno dei cittadini alle iniziative dell’UE a favore dello sviluppo internazionale; i risultati confermano la forte tendenza registrata negli ultimi anni a ritenere la cooperazione con i paesi partner una delle politiche più positive dell’UE.

    Uno dei risultati principali dell’indagine indica una preoccupazione crescente per la salute, identificata come la sfida più urgente per il futuro dei paesi in via di sviluppo, con una percentuale del 36%, cinque punti in più rispetto al 2019.

    Nell’ambito della crescente inquietudine dell’opinione pubblica per la COVID-19, l’UE si sta concentrando al momento sulla vaccinazione dei propri cittadini e sugli sforzi internazionali per la vaccinazione mondiale, contribuendo sostanzialmente a COVAX e prefinanziando la produzione di vaccini che vengono esportati in 34 paesi. L’UE sta inoltre rafforzando i sistemi sanitari, basandosi sul pacchetto di misure “Team Europa” di risposta globale, con oltre 40 miliardi di € di sostegno ai paesi partner colpiti dalla pandemia.

    Tra le sfide più urgenti vengono citate l’istruzione (35%), la pace e la sicurezza (32 %), la crescita economica e l’occupazione (29%). Circa un quarto degli intervistati ha indicato l’acqua e le strutture igienico-sanitarie (27%), la democrazia e i diritti umani (26 %), la sicurezza alimentare e l’agricoltura (24%).

    La grande maggioranza dei cittadini dell’UE (88%) concorda sul fatto che l’Unione dovrebbe combattere il cambiamento climatico e i suoi effetti nei paesi in via di sviluppo, mentre il 77% si dice fortemente d’accordo sul fatto che la lotta alla povertà in questi paesi debba essere tra le priorità principali dell’UE. Il 61 % ritiene che le politiche di sviluppo dell’Unione dovrebbero inoltre concentrarsi sulla riduzione delle disuguaglianze nei paesi in via di sviluppo. Circa un terzo degli intervistati (34 %) ritiene che la politica di sviluppo dell’UE dovrebbe incentrarsi esclusivamente sul rafforzamento delle economie dei paesi in via di sviluppo.

    Per quanto riguarda le relazioni con l’Africa, più di quattro cittadini dell’UE su cinque (81%) ritengono che l’UE dovrebbe rafforzare i partenariati con i paesi africani per creare occupazione e assicurare uno sviluppo sostenibile in entrambi i continenti. I risultati sono sulla stessa linea della comunicazione congiunta dell’UE “Verso una strategia globale per l’Africa” e dei cinque partenariati con l’Africa proposti dall’UE.

    L’indagine di quest’anno ha esaminato in particolare il ruolo dei giovani nei paesi in via di sviluppo per affrontare i) le sfide ambientali e ii) le sfide economiche e sociali, chiedendo agli intervistati se ritengono che i giovani nei paesi in via di sviluppo svolgano un ruolo centrale nell’affrontare le sfide ambientali nei loro paesi. I risultati rivelano che nove cittadini dell’UE su dieci (90%) concordano sul fatto che i giovani siano importanti nell’affrontare le sfide ambientali nei paesi in via di sviluppo; il 91 % ritiene che siano essenziali per affrontare le sfide economiche e sociali in questi paesi.

    Fonte: Commissione europea

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